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Autore: Iridia    11/08/2011    2 recensioni
Alhira, sedici anni, nessun passato. Solo un vecchio istinto la guida attraverso il mondo, soltanto dolci occhi ambrati vede nel suo riflesso, nessuna traccia di una vita dimenticata.
Non poteva infliggere dolore. Un essere talmente perfetto, talmente angelico, non poteva sapere come far del male. Quelle iridi di miele, dolci e spaventate, quelle gote pallide che sbocciavano in un rossore lieve come fiori di pesco in primavera. Quelle labbra piene, color ciliegia, quelle che non vedevano un vero sorriso da troppo tempo. Quei capelli mai al loro posto, le mani delicate, quel corpo agile.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Soltanto Alhira




-Calen … - mormorò.
Si alzò di scatto, la rabbia verso quella ragazza, il desiderio di guardarla negli occhi, capire perché le aveva fatto un incantesimo per strapparle anche i suoi pensieri più intimi.
La stanza era buia, le stelle splendevano in cielo, nessun rumore. Alhira si alzò ed uscì dall'alloggio. Dove poteva essere?
 
-Non sa nulla … non ricorda. Sono sedici anni. Bastano ed avanzano.- disse Thorpen, più parlando a lui stesso che alla figura dai capelli neri come l'oscurità di fronte a lui.
-Vostra Altezza, non è lei che state cercando; non corrisponde alla descrizione.-
-Silenzio, Calen.- lei abbassò il capo e si zittì.
Thorpen misurava a grandi passi la sala. Non potevano sbagliare, i controlli erano severi.
-Aspetteremo.- le parole gli bruciarono dentro. Aveva detto che una settimana sarebbe stato troppo, ed ora posticipava, rimandando a quando avrebbe avuto una vera e propria conferma.
-Come volete.- Calen non alzò lo sguardo. Le parole che aveva sentito poco prima non avevano nulla di strano; la storia di una ragazzina senza memoria. Forse stava scappando dall'incendio, aveva preso tutto quello di cui aveva bisogno, cibo, un'arma, una pergamena. Poi un incidente, un colpo, una caduta le aveva fatto sbattere le testa. Punto. Non pensava ci fosse qualcosa di più. Non c'era, lo aveva sentito lei, aveva ascoltato ogni sillaba che Alhira aveva detto con un'attenzione maniacale.
-Lasciala perdere, continua il tuo lavoro.-
-Certamente, Vostra Altezza.-  
 
Alhira aveva cercato ovunque, silenziosa come un gatto, ma di Calen nemmeno l'ombra. Quella servetta doveva essersene andata, oppure poteva essere nel palazzo, nella parte lussuosa. Il portone che ne segnava l'entrata era chiuso a chiave, sorvegliato da due guardie. Aveva sentito i loro respiri oltre le enormi ante.
Calen non c'era. Ma Alhira aveva un asso nella manica, una fonte di informazioni. Uscì e si diresse verso le stalle.
War, che stava sonnecchiando su un mucchietto di paglia, le corse incontro scodinzolando. Era stupefacente la velocità con cui aveva iniziato a fidarsi di lei, dato il loro primo incontro.
Come le altre sere, il cane sparì per qualche minuto prima di portarle una chiave argentata, sempre la stessa, quella che apriva il rifugio di Lauce.
Sapeva di trovarlo lì. Quel ragazzino a volte si addormentava accanto al drago, rimaneva ore ed ore a fissarlo, a contemplare l'animale pensando alla propria vita.
Drevan era il suo nome, esile e biondo, un ragazzino di tredici anni trascurato dal padre.
-Alhira! Non sei venuta ieri notte … -
-Mi dispiace, ma non ho potuto.-
Alhira gli raccontò tutto, del libro, di Ferah e dell'incantesimo di Calen. Il principe la guardava attonito.
-Non sai dove la posso trovare?- chiese infine la ragazza.
-Calen? Non lo so. Qualche volta l'ho vista portare a palazzo delle giovani, come te. Ma è schiva, non mi degna di uno sguardo, parla solo con mio padre e con le sue "ospiti". Non saprei come aiutarti, Alhira.-
-Non ti preoccupare Drevan, troverò un modo per parlarle, vedrai.-
Seduti entrambi contro la parete di pietra, fissavano Lauce, che da un poco li fissava a sua volta, con grandi, profondi, occhi azzurri.
Alhira lo vide in volo, cavalcato da un mago dai neri capelli, diretto verso la battaglia.
-Lauce?- chiese, come se l'animale potesse capirla. Lui alzò la testa, pronto ad ascoltarla.
Non poteva essere. Quanti anni aveva? Alhira si alzò, la mano tesa verso le squame candide. Lauce colmò la distanza allungando il collo. Il contatto con la pelle del rettile la fece rabbrividire, dandole una scossa che la percorse da capo a piedi. Lauce, un'antica bellezza. Un eroe, da sempre destriero di Asidi, di potenti uomini.
-La Battaglia dei Piani di Gaver. Tu c'eri.- disse Alhira in un sussurro.
Lauce si alzò in tutta la sua maestosità, mostrando i muscoli, le zampe possenti, spiegando le ali venate di blu. Un bagliore azzurro gli percorse gli occhi, un barlume di passato.
-Alhira, le pianure centrali non sono più i piani di Gaver da secoli.- fece Drevan, incapace di comprendere la scena. -Decenni dopo la battaglia furono chiamati Piani di Quareon dagli eredi del Grande re.-
-Quanto … ?-
-Tempo è passato? Secoli, Alhira. Lauce ha centinaia di anni, non sappiamo il numero preciso però. Vive qui da sempre.-
-Secoli …- disse lei, come un'eco lontana.
-Ma come fai a sapere cosa successe a Ferah? Il suo nome è stato eliminato dalla gran parte dei libri, e nella nostra biblioteca viene nominata soltanto, nessuno ha mai parlato di luci, poteri, maghi, o altro. Sì, la sua spada era famosa, ma venne distrutta assieme al suo ricordo. Mio padre mi ha parlato di quegli anni, nemmeno lui sa molto.-
-Promettimi di non dire nulla, Drevan, per favore.-
-Certo, come vuoi.-
Alhira continuò ad accarezzare Lauce, persa nei suoi pensieri, mormorandone qualcuno senza accorgersene.
-Perché ricordo?- Lauce sbuffò e pose il suo sguardo azzurro in quello ambrato della ragazza.
-Che hai Lauce?- disse piano Drevan incuriosito dal comportamento del drago.
-Forse è ora di tornare.- disse Alhira, forse per la stanchezza, per la confusione.
-Si, è una buona idea …-
 
I giorni passavano, Calen pareva scomparsa, l'alloggio accanto a quello di Alhira era stato dato ad un uomo. Non parlò mai con lui, le faceva venire i brividi il modo in cui la guardava. Quando la notte calava, Drevan l'aspettava da Lauce e War le portava tutte le volte le chiavi, e poco a poco, Alhira lo vedeva come un cagnolino affettuoso, invece che come un lupo nero come la tenebra che l'aveva quasi attaccata la prima volta che si erano visti.
Fu durante una notte di luna nuova che, mentre si dirigeva verso le stalle, udì rumore di passi provenire da dietro al grande portone. Curiosa ma cauta, si avvicinò. Niente guardie. Un vociare lontano sembrava voler richiamare il maggior numero di uomini possibile.
Uno scricchiolio la fece voltare.
-Alhira! Che succede?-
-Non lo so, pensavo che tu lo sapessi.-
-Voglio andare a vedere.- fece il ragazzino tirando fuori dalla tasca una chiave di bronzo. La serratura scattò senza procurare molto rumore, e Drevan sgusciò rapido nel palazzo.
-Che fai, non vieni?-
-Non posso, se mi vedessero …-
-Sei assieme a me, mi inventerò qualcosa. E poi, Calen sarà sicuramente da qualche parte.-
Alhira non si fece pregare, ed assieme al principe si inoltrò nelle sfarzose sale del palazzo.
 
-E' qui?-
-No ha mandato i suoi scagnozzi!-
-Lui non si presenta mai. Sono i suoi uomini che girano i territori, che vengono ogni anno.-
-Ogni anno?-
-Sì, idiota. Ed ora và a fare il novellino da qualche altra parte.-
Un sovrapporsi di voci si udiva da dietro l'angolo che dava su un lungo corridoio ornato da sculture, quello che portava ad una delle tante porte che si affacciavano sulla sala del trono.
-Chi sta arrivando?- chiese Alhira a Drevan.
-Faralwen. Dannazione … - sembrava teso, preoccupato. -Non dovresti rimanere, forse è meglio che tu ritorni nell'alloggio.-
-Faralwen? Io non vado da nessuna parte, fino ad ora me la sono cavata egregiamente.-
-Non capisci! Non scherzo, se ti trovassero qui … - scosse la testa. -Faralwen è il Supremo, ha in mano i Territori d'occidente, una parte di quelli di Meridione e qui si comporta come se fosse a casa sua. Dobbiamo assecondarlo, non possiamo combattere contro i suoi eserciti, sarebbero, come dire, in leggero vantaggio ecco.-
-Quindi vi sottomettete e basta?-
-Sì. Ora però vai.-
-Non ci contare, io voglio vedere che succede.-
-Ma … - Alhira non sentì cosa il ragazzino volle dirle. Silenziosa, si era allontanata dalla scultura dietro alla quale si celavano agli occhi delle guardie. Udì passi correre verso destra, voci dare ordini.
Raggiunse presto l'entrata alla Sala del Trono, sorvegliata da numerosi uomini armati di scudo e spada. Ed ora come faccio?
Le parole di Drevan le rimbombarono nella mente, e per un attimo pensò che ritornare a letto potesse essere l'opzione adeguata. Eppure, la tentazione di trovare un'altra entrata era forte, dopotutto, quel nome le suonava tremendamente familiare. Faralwen. Faralwen il Supremo.
Corse verso un altro corridoio, e poi un altro ancora. Tutti erano sorvegliati.
-Ehi! Da questa parte!- Drevan le stava indicando una rientranza dietro alle possenti braccia di un grosso guerriero in Elora. Come sempre, rapida e cauta, lo raggiunse.
-Di qua.- le stava indicando uno stretto passaggio alto circa due braccia, perfettamente celato dietro allo spadone della scultura.
-Quindi hai deciso di aiutarmi?- chiese lei sottovoce alzando un sopracciglio.
-Sei una gran testarda, cosa potevo fare?- rispose il principe con un sorrisetto sulle labbra.
Alhira rise e si infilò nell'apertura. L'aria mancava ed il suo corpo era schiacciato tra le mura. Faceva fatica a respirare, per procedere doveva farsi più piccola possibile. All'altra estremità l'attendeva una scultura totalmente uguale al guerriero dietro al quale si era nascosta. Avvolta dall'oscurità, celata dalle ombre, era invisibile agli sguardi delle tre figure incappucciate con scarlatti mantelli color sangue in piedi di fronte al trono.   
-Vedo che anche quest'anno non avete nulla da consegnarci, Thorpen.- a parlare fu il più alto dei tre.
-Chi state cercando non è ad Asidi.-
-Chi avete adibito alle ricerche? Lei?- indicò Calen, in piedi a fianco del Re. Alhira dovette trattenere l'irrefrenabile voglia di correrle incontro.
-Sono più che sicuro che Calen svolga il proprio compito con cura.-
-Asidi è una città troppo grande, affidarla ad una sola persona è una sciocchezza. Fate in modo di trovare altri uomini, se il Supremo Faralwen venisse a sapere potreste avere grossi problemi, Thorpen. Queste ricerche non sono un gioco.-
-Farò in modo di intensificare i controlli.- nell'ombra, sul viso dell'uomo incappucciato si dipinse un sorriso mentre i pugni del Re si strinsero per la rabbia.
-Alhira, sbrigati, si stanno svegliando tutti!- un sussurro distolse la sua attenzione, Drevan si agitava nel passaggio stretto come una crepa.
-Cosa?- bisbigliò uno dei tre ammantati voltandosi verso l'oscurità che nascondeva la ragazza.
Alhira trattenne il respiro; il felino tornava. Il cuore, che prima aveva preso a battere all'impazzata ora era regolare, lento. la paura era scivolata via, trasformandosi in eccitazione, l'adrenalina della caccia.
Fu un istante, la ragazza sparì nel passaggio.
 
La guardo, la sua perfezione candida, la sua eleganza così innocente, avvolta in un vestito di petali, seta, gemme. E' bellissima. E' come ho sempre voluto essere, è la rappresentazione del mio ideale di bellezza.
-Sei meravigliosa.- le dico, mentre nel suo sguardo azzurro rinasce il sorriso di nostra madre.
-Grazie.- i suoi occhi azzurri risplendono carichi di lacrime alla luce del mattino, lacrime di gioia, impazienza.
Qualcuno bussa alla porta, e Ril sorride. Apro; lui è perfetto. Nella sua tunica bianca, con i suoi occhi verdi pieni di felicità, Erwan pare un angelo.  
-E' ora?- chiedo.
-Sì- risponde gettando qualche occhiata furtiva alle mie spalle, cercando di vederla.
Il mio vestito, blu intenso, lungo e vaporoso, è terribilmente scomodo. La raggiungo, e le prendo una mano ornata da lunghi nastri argentei.
-Erwan ti attende.- dico piano.
Ril si alza, tra nuvole bianche di stoffa sottile e brillanti pietre.
La bellezza di un momento, l'intensità di uno sguardo, un amore cristallino, limpido come l'aria mattutina.
Li seguo, come mi aveva chiesto di fare. La nostra casa non è mai stata così agghindata; fiori bianchi, nastri, luci magiche. Oltre la porta, un lungo portico fatto di leggeri teli candidi sostenuti da rami e foglie luminescenti li conduce fino ad un piccolo altare. Mi fermo poco prima dell'ingresso salutandoli con un sorriso.
Nostro padre è in prima fila, gli occhi lucidi, una mano sul cuore. Il matrimonio della sua primogenita, il giorno in cui non potrà più chiamarla "bambina", un cui deve lasciarla ad un altro uomo. Ma il suo amore non può essere diviso, spezzato, è più vivo che mai. E' sua figlia, e per sempre sarebbe stata la sua piccola Ril.
Lo raggiungo e, tra le sue braccia, attendo che il saggio del villaggio completi il rito. Quando Ril ed Erwan si scambiano un bacio casto, gli invitati scoppiano in un applauso, mentre Erwan mormora poche semplici parole:
-Ti amo, ti amerò per sempre.- e dalle sue mani nasce un unico fiore dai larghi petali bianchi. Lo dona alla sua amata, con una dolcezza tale da farla arrossire.
-Ti amo, Erwan. E per sempre sarà così, per sempre tu custodirai il mio cuore, per sempre io custodirò il tuo.-
Si svegliò. Una lacrima di dolore solcò la guancia della ragazza. I raggi del sole le illuminavano il volto diafano. Il ricordo di Ril era una pugnalata, una ferita aperta, una tortura. Provare un amore così intenso per una persona di cui rammentava solo pochi attimi di vita la dilaniava. Ma ogni sogno era un pezzo del suo passato, e per quanto male potesse fare, era ciò che cercava.
Si strinse le ginocchia al petto e lasciò che la sua mente masochista potesse navigare libera tra le immagini di Ril.
 
Gwel l'aspettava nelle cucine, sorridente anche se stanca. Alhira prese i piatti da lavare e come due amiche iniziarono a parlare, anche se la maggior parte della conversazione era sostenuta da donna.
La servitù del palazzo era stata utilizzata per rendere il soggiorno degli inviati di Faralwen un paradiso. Cibi prelibati venivano sfornati ad ogni ora del giorno, ogni loro desiderio era un ordine.
Alhira non sopportava tutto ciò, ma doveva adeguarsi, servire i superiori, eseguire i compiti a lei assegnati senza proferir parola.
Così, quando Blaet venne da lei, tra i vapori delle cucine, dovette seguirlo fino alle stanze degli uomini.
-Hanno richiesto la tua presenza.- solo quelle cinque parole le gelarono il sangue.
-Perché?-
-Non lo so, tu vai e basta.- l'aveva spinta in un'enorme camera dalla vetrata rosea, il pavimento era bianco e sulle pareti erano scolpite piante rampicanti d'oro ed Elora.
Calen era in piedi assieme ad un uomo piuttosto anziano, il viso smunto, gli occhi piccoli, quasi nascosti sotto le folte sopracciglia grigie come i pochi capelli che gli erano rimasti. Le pesanti porte dorate si chiusero alle sue spalle con un tonfo. Alhira rimase impietrita, non sapeva cosa fare, perché era lì, cosa volevano.
Un lieve bruciore agli occhi ed una fitta allo stomaco. Paura.
-Alhira.- fece Calen, voltandosi verso la ragazza. -Vieni, accomodati.-
Non si mosse.
-Perché mi avete fatta chiamare?- i pugni stretti, la bocca secca.
-Nulla di importante cara, forza, vieni.- la falsità nella sua voce le fece venire i brividi.
Lo sguardo severo dell'uomo la squadrava da capo a piedi, fino a soffermarsi sugli occhi.
Alhira avanzò lenta verso la vetrata.
Calen le porse la mano; un gesto inaspettato, dopo tutto quello che le aveva fatto, anche solo toccarla le dava il ribrezzo.
-Perché sono qui?- ripeté Alhira, scandendo una ad una le parole.
-Dobbiamo parlare.- la voce, profonda e grave, le rimbombò nelle orecchie. L'uomo le appoggiò una mano sulla spalla e la condusse fino ad un divanetto di velluto bianco. Si sedettero, e con loro anche Calen.
-Guardami negli occhi.- disse lui.
Alhira, confusa, obbedì. Le iridi dell'uomo erano scure, un comunissimo marrone.
Quello che prima era solo un fastidio, divenne un vero e proprio bruciore. Gli occhi della ragazza si fecero rossi, ed un dolore pungente le perforò le palpebre.
Lanciò un grido, portandosi le mani al volto, mentre Calen la teneva ferma.
-Guardami!- tuonò l'uomo, ma per Alhira, ogni rumore era scomparso. Solamente un dolore insopportabile la pervadeva, espandendosi dal viso fino alla testa, il petto, la schiena.
-Tienila ferma, dannazione!-
-Non riesco!- Calen cercava di tenerla seduta, bloccando gli spasmi del corpo, ma ogni volta Alhira riusciva a liberarsi della presa, dimenandosi, cercando di lottare contro il dolore.
Un altro urlo. Calen tentò di recitare una formula, la stessa di quella sera, ma non ebbe effetto, la ragazza non era nelle condizioni per poter essere ipnotizzata.
Accecata, Alhira si alzò spingendo via da sé Calen. Un'altra ondata di dolore la fece cadere, le braccia in avanti.
Aprì gli occhi, e quello che vide fu soltanto una macchia indefinita bianca e oro, ogni tanto interrotta da qualche punto di colore. Non capiva più, non sapeva cosa fare, cosa doveva aspettarsi.
Infine, un istinto, una vecchia amica. La lei della vita passata risorse, fondendosi per un attimo con la nuova, contrastando la sofferenza e la paura. Mani la presero per le braccia, voci urlavano ordini.
Fu di nuovo in piedi, il mondo di nuovo definito, i contorni iniziavano a riprendere una forma e gli occhi parvero darle tregua. Non aspettò oltre; corse verso l'uscita, seguita da Calen e da altre guardie accorse dopo le urla. Rapida come un ghepardo, agile, si fiondò sulle ante che poco a poco si richiudevano per sbarrarle la strada.
Non fu abbastanza veloce. Le serrature erano già scattate con un frastuono infernale. La raggiunsero, strattonandola, la allontanarono dalla porta.
-No!- gridò con tutto il fiato che aveva in gola.
-Non lasciatela andare!- disse qualcuno nella confusione.
Chiuse gli occhi, le lacrime scorrevano calde sul suo volto, la paura che abbracciava il coraggio. Tutte le sue forze le vennero in soccorso, e sfruttando il caos, Alhira riuscì a liberarsi. Una mano sulla serratura, uno schiocco. Il portone d'oro si aprì e la ragazza corse via muovendosi come le diceva l'istinto, seguendo le indicazioni dei suoi sensi.
Si dirigeva verso la sua camera, ma l'intenzione non era quella di chiudersi in essa, a piangere nascosta dal mondo. Doveva prendere una cosa.
Tienilo con te, non lo lasciare mai. E' il suo unico ricordo, Alhira.
Un pezzo di metallo.
Prese i suoi vestiti, il pugnale, il tascapane. Le voci si avvicinavano, pesanti passi risuonavano dai corridoi. Non attese, sfrecciò nelle stalle, alla ricerca di un'uscita.
Prima Emtia, poi Asidi. Da quanti luoghi avrebbe ancora dovuto fuggire? Quante persone avrebbe dovuto lasciare per poter vivere? Quanto dolore avrebbe dovuto provare? Dove sarebbe andata? Avrebbe continuato a viaggiare lungo la costa, vivendo come un animale, reprimendo i sentimenti, la propria umanità. Poco meno di un mese di tranquillità, era tutto quello che era riuscita ad avere.
Il cancello, in fondo all'enorme cortile del palazzo, era alto una decina di braccia, troppo per essere scalato o oltrepassato senza attrezzi.
-Da questa parte!- le guardie stavano arrivando.
Un'ombra nera le correva di fianco, in bocca una chiave argentata e sottile. War.
Sapeva che quell'animale aveva qualcosa di speciale, ed in quel momento gli fu infinitamente grata. Prese la chiave e si infilò nella dimora di Lauce.  
Il drago riposava sopra ad un letto di paglia, il suo respiro pesante e caldo la investì come un'onda. Appena Alhira fu al sicuro, nascosta al mondo, si lasciò andare. Lauce sollevò un'ala, come per farle da rifugio e lei vi si gettò, rannicchiandosi a terra, sotto la protezione dell'animale.
Nel suo mondo, riparato dagli occhi degli esseri umani, poté versare lacrime di paura, confusione, nostalgia. Perché non ricordava? Perché Iethan, Ren, Calen, Ferah? Perché non poteva avere un passato come tutte le ragazze della sua età? Solo sedici dannatissimi anni di vuoto, come se ogni memoria fosse rinchiusa da qualche parte, in qualche cunicolo buio della sua mente. Pianse.
Pianse perché nessuno la guardava, perché nessuno poteva giudicarla. Pianse perché ne aveva bisogno, perché era sola. Ril era solo un lampo di vita, Ferah un'inspiegabile pezzo di passato.
Non si curava delle voci che passavano davanti alla porta, della confusione che invadeva ormai l'intero palazzo.
La mattina divenne sera, e sotto l'ala di Lauce, Alhira avrebbe potuto restare immobile giorni. Sapeva però che prima o poi sarebbero arrivati, sfondando la porta, trovandola accanto al drago, come se le sue pene non fossero già abbastanza. Già, le sue colpe. Quelle che non riusciva a comprendere, che non sapeva nemmeno di avere. Era ricercata per aver fatto resistenza alle torture di Calen? Perché era corsa via? O forse perché la sua mancanza di un passato era troppo sospetta?
Dopo ore di oscurità, aprì gli occhi. Un incessante battere sulla porta, come se volessero aprirla con un ariete o un'ascia. I colpi si fecero più violenti, Lauce aveva ringhiato, stringendo la ragazza a sé.
Alhira, come un debole ramoscello protetto dalle potenti fronde dell'albero, attese, senza pensare, aspettando che il vecchio istinto le dicesse cosa fare.  
Un ultimo, potente, colpo fece cadere l'anta in metallo. Dietro di essa, un uomo ammantato di rosso, Calen ed altre guardie che tenevano una figurina esile per le braccia. Quando la polvere si diradò, capelli biondi ed un viso familiare si delinearono. Drevan.
Il ragazzino tentava di divincolarsi, di urlare, ma era troppo debole, ed i suoi movimenti non facevano altro che sfinirlo.
Lauce ruggì in tutta la sua potenza, mostrando le zanne candide ed affilate, negli occhi la ferocia. Scosse le pareti, fece vibrare i pavimenti. Eppure Calen si stava avvicinando mormorando una lenta litania, come se quel drago non avesse potuto toccarla. Un altro, terrificante ruggito penetrò nelle mura, svegliando la città. Lauce si alzo, e con il muso spinse Alhira sulla sua groppa, proteggendola con le ali. La ragazza si teneva stretta alla schiena ricoperta di scaglie, aspettando, sperando.
Le guardie vennero avanti con le armi sguainate verso la bestia.
Lauce si levò sulle zampe posteriori, lanciando la propria coda verso gli uomini, gettandoli a terra, storditi. Si diresse verso il fondo della camera e, quando fu abbastanza distante, spiccò il volo. Alhira gridò.
Ciò che la preoccupava non era l'altitudine, ma un soffitto di pesanti travi di legno che si avvicinava senza paura. Un colpo, Lauce la protesse con le ali mentre con la sua corazza sfondava il tetto del riparo che l'aveva ospitato per anni ed anni.
L'aria la investì come una parete di ghiaccio, una normale sera estiva, il tramonto d'oro colorava i cristalli della città. Un istante di vuoto, un vortice sul diaframma ed Alhira fu in aria. Abbracciata al collo del drago, lasciava che la meraviglia di Elora che si ergeva sotto di lei potesse colorare le sue lacrime di rosa.
I capelli, corti e neri come pece seguivano le folate d'aria, solleticandole la testa. Anche se respirare era difficile, l'aria che inspirava era pura, fredda.
Era la stessa sensazione. Il suo primo ricordo, la sua prima immagine. Ma qui, al posto di torrenti ed alberi, si poteva scorgere solo una immensa distesa di cristallo.
Desiderò di poter rimanere così, senza nessun peso, senza pensare al passato, né al presente, né al futuro. Desiderò di poter restare a guardare la terra allontanarsi lentamente, di poter essere priva di preoccupazioni e paure, essere quello che avrebbe sempre dovuto essere; una ragazza. Prima di un essere senza memoria, prima di un felino assetato di sangue, Alhira era un'adolescente. Una ragazzina risvegliatasi in un bosco, con sé solo un pugnale e provviste.
Desiderò che Lauce non la lasciasse scendere, che Calen non le avesse mai parlato, che l'intero palazzo non si fosse rivoltato su di lei. Desiderò di non aver aperto la porta a Ren, di non aver mai detto addio a Iethan.
Poco a poco la stanchezza ebbe il sopravvento, le sue membra si abbandonavano al dolce cullare del vento. Le palpebre, ancora doloranti, caddero offuscando ogni luce ed Alhira si lasciò trasportare dal passato.
-Cosa fai?- gli chiede, mentre lui solleva la sua testa da un pesante tomo dalle pagine ingiallite.
-Cerco.- risponde vagamente.
-Cerchi cosa?- ripete lei, sottolineando le parole. Sa che sta tentando di non dirle nulla.
-Ril, non sono cose che ti riguardano. E' una ricerca che serve per i miei incantesimi.-
-Ah incantesimi? Erwan ti prego lascia stare. Ne abbiamo già parlato.- in alto, a grandi caratteri decorati con intricati decori rossi, era scritto "Memoria umana".
-Tu non capisci. E se fosse l'unico modo?-
-Non lo è! Solo perché è lei a chiederlo non significa che sia la strada giusta. Non è abbastanza matura per prendere una tale decisione.-
-Questo lo dici tu, perché è più comodo per te.-
-Come puoi dire qualcosa del genere? Io darei la mia vita per lei!- Ril sbatte una mano sul tavolo.
-Allora in fondo sai che è la cosa migliore da fare.-
-No, non lo posso permettere, Erwan. Ma non pensi a lei? Non pensi a come vivrà? Non avrà nessuno, niente se non un corpo. Non ricorderà il suo nome, i nostri volti, la sua vita.-
-Non sarà più in pericolo. Troverà un posto dove andare e si rifarà una vita. Ril, se davvero tieni a lei, lascia che faccia le sue scelte.-
-No … no, no, non sai cosa stai facendo! Metti via quel libro e lascia stare questa storia.-
-Ril …-
-No!-
E' troppo. Apro la porta attraverso la quale ho sentito tutto. Ril, gli occhi lucidi, ed Erwan mi fissano sconvolti. So cosa stanno sperando, e so che parlare non è una buona mossa. Ma Ril è in lacrime, soffre per me. Non posso vederla così.
-Ril, ho già preso la mia decisione.- lei mi corre in contro, il viso rigato di lacrime, e mi getta le braccia al collo, stringendomi forte. Faccio lo stesso, beandomi di quel contatto, sapendo che non ho ancora molto tempo, che prima o poi avrei dovuto dimenticare.
Lauce planò lentamente, girando più e più volte su una radura vicino alla scogliera. Alhira aprì gli occhi, e senza muoversi, rimase a pensare. Era stata lei a chiederlo. Lei aveva voluto dimenticare, Ril non era stata nemmeno d'accordo. Ma perché? Erwan aveva parlato di pericolo. Non capiva; pericolo di cosa? E perché non vi era soluzione meno drastica?
Si lasciò trasportare dal drago che poco a poco scendeva, fino a toccare terra.
Troppe domande, poche risposte.
Lauce la fece scivolare sull'erba con gentilezza, e lei, per un riflesso quasi involontario, balzò a terra senza provocar un minimo rumore. Erano poco distanti dalle cave, ed alle loro spalle iniziava un enorme bosco che avvolgeva la città.
Alhira, ormai corpo senza mente, si mosse tra gli arbusti, non cercava, non voleva raggiungere un luogo in particolare. Doveva tersi impegnata, sentire i muscoli tendersi, vedersi come una parte della natura, senza passato, né presente, né futuro.
Si avviò con passo deciso verso il folto della foresta, una mano stretta sul freddo metallo dell'elsa.
Lauce la seguì e le morse il mantello, facendola arrestare di colpo.
Negli occhi azzurri dell'animale comparve un bagliore di dolore, forse pena. Alhira si voltò.
-Grazie Lauce.- gli disse, mentre con delicatezza gli sfiorava il muso con le dita.
Il drago non lasciò la presa ed emise quasi un guaito, come se volesse rimanere con lei, come se avesse qualcosa da dirle.
Alhira gli posò una mano tra gli occhi, accarezzando le candide squame, versando lacrime di dolore.
-Devo andare.- la sua stessa voce, quella di un mese prima, risuonò nella sua testa. Rivide gli occhi di Iethan, sentì la presa sulla sua mano.
Lauce lasciò il mantello e, con un ruggito, spalancò le ali alzandosi in volo su un cielo di stelle brillanti.
Rimase sola. Sola assieme ai suoi pensieri, ai suoi radi ricordi. Sola assieme ai suoi passi nel bosco, assieme al dolore.
Camminava, lasciava che fosse ancora il felino a prendere il comando. Eppure, la vecchia belva, quella che aveva quasi ucciso un uomo, che aveva vissuto in lei come un animale in gabbia, ora non ritornava potente come prima. Usciva dal proprio nascondiglio con cautela, rispetto. Si insidiava nel suo corpo occupandone metà, lasciando che la nuova lei potesse rimaner presente. Permetteva che le due parti, quella di una vita passata, e quella di una vita nuova convivessero, si consolassero a vicenda facendosi forza l'una con l'altra.
Passi, ore. Non seppe per quanto tempo camminò, ma un richiamo lontano la fermò. Era solo una sensazione, nessun suono o luce stavano interrompendo la tenebra. Era come un'attrazione, una calamita che attirava a sé l'altra metà.
Alhira cambiò direzione, e si diresse verso nord, poco a poco si riavvicinava alla costa.
Si arrestò. Un enorme tronco ricoperto di piante rampicanti; ecco cosa cercava. Era un albero secolare, se non millenario. I suoi rami chiari si avviluppavano su sé stessi, si attorcigliavano fino a ricadere verso terra sottili e riccioluti. Le sue foglie, di un marrone spento, si muovevano rumorose al soffiare del vento.
Era solo l'istinto che la muoveva, Alhira non voleva svegliarsi e ritornare nel mondo reale, preferiva che fosse il suo corpo a decidere per lei. Prese il pugnale, e con pazienza, tagliò le infinite radici che avvolgevano il tronco. Notò che il colore non era uniforme, strane macchie scure comparivano sotto altri strati di muschi e foglie. La ragazza continuò a raschiare via anni ed anni di vita, lasciando scoperte solo poche lettere.
"Nefral, morto per i propri compagni"
Un lampo le attraversò la mente, e per un attimo fu tutto più giovane di secoli. Ferah era ancora seduta davanti  alla terra smossa, illuminata dalla luce di un mattino invernale.
Il dolore di una perdita, lasciare alla morte un caro. Alhira conosceva quella sensazione, era una lenta e familiare tortura. Cadde in ginocchio, pervasa da un ricordo.
La casa brucia, tra lingue di fuoco ardente, il legno si sfalda, cadendo a terra in un mare di scintille. Ril mi stringe, impaurita.
-Ce la faranno Ril, ti prego non andare!- le tengo la mano mentre tenta di rialzarsi e di correre verso la casa. -Ril!- grido con tutta me stessa. Lei si ferma, come ipnotizzata dalla scena; due figure nere su uno sfondo infuocato.
Erwan, zoppicante, regge sulla spalla il braccio di nostro padre, il quale a stento riesce ad avanzare.
Mi alzo, ed assieme a Ril, gli corro incontro. Erwan non riesce più a reggere e, privo di sensi cade tra le braccia della propria moglie. Nostro padre, si accascia a terra, tossendo e respirando a fatica.
-Papà!- la sua pelle è bruciata, il suo volto sfigurato dalle fiamme. E' come se quel fuoco avesse dilaniato anche me, come se il dolore delle ferite si trasmettesse al mio corpo.
-Papà, ti prego …- troppe lacrime.
-A … Alhira- dice in un sussurro.
-No, ti prego, non ti sforzare. Adesso Erwan ti guarirà, vedrai.- mi stringe forte una mano, calda come il fuoco.
-Alhira, combatti. Non ti arrendere, sei giovane, hai il diritto di vivere.-
-Papà, tu sarai con me!- non mi ascolta. Tossisce violentemente, e uno spasmo lo percorre. -Papà!- la mia voce è rotta dal pianto, dalla disperazione.
-No, Alhira. Lasciami andare. Sono vecchio, non sopravvivrò.-
-No!- lo abbraccio lasciando che le lacrime scorressero via.
-Padre!- grida Ril correndo verso di noi. Erwan, risvegliatosi, la segue, trascinando una gamba.
-Ril … - sussurra lui cercandola con lo sguardo ormai vitreo.
-Erwan, fai qualcosa!- grida lei prendendogli la mano.
-No … lasciatemi andare. Non avete bisogno di un peso. Sono vecchio. Dovete scappare, andarvene da qui.-
Erwan aveva iniziato a recitare un incantesimo.
-Vi prego. Andate.-
-Non posso lasciarti qui.- mormora Ril.
-Dovete … Io vi ho sempre amato, siete state la ragione per cui ho vissuto … ora an.. andate.- Il respiro diventa irregolare e gli occhi si bloccano fissando un punto inesistente.
Non mi muovo. Sento il suo battito cessare sotto il mio volto. Non voglio crederci, non è reale, tutto questo è solo un incubo. La sensazione sembra la stessa, le immagini non sono più definite e nella mente rimangono soltanto fotogrammi. I suoni si fanno sempre più ovattati, scomparendo poco a poco. Le grida di Ril, il mormorio costante di Erwan, l'incantesimo che mai avrà effetto, non esistono più. Voglio risvegliarmi, voglio ritornare a vivere assieme a mio padre. Il corpo morto che sento sotto le mie mani non è lui. Lui è vivo, perche questo è solo un sogno, un orribile incubo.
Eppure, i sogni non fanno male, non feriscono le persone distruggendole dall'interno, mangiandone la speranza, la voglia di andare avanti.
Chiudo gli occhi, sperando che il mondo attorno a me scompaia. Voglio perdermi nel buio, finché non mi risveglierò nella mia camera, finché non potrò abbracciarlo.
Braccia forti mi sollevano, le sento allontanarmi da lui. Sembra che non riescano a camminare.
-Erwan, lasciami vicino lui, ti prego.- sussurro.
Nessun suono arriva fino a me. Nulla se non un grido straziante.
Lascio che mi portino via, che mi risveglino dall'incubo. Lascio che mi riportino alla realtà, quella in cui lui è ancora con me. 
Fu solo Alhira. La belva, ribelle e forte ora soffriva quanto la ragazza timida ed insicura. Erano un'unica entità, una sola anima in un solo corpo.
Soltanto Alhira.






Salve, dal campeggio con furore vi lascio con l'ottavo capitolo =D probabilmente ora mi dovrò dar da fare con i compiti ^^'' però spero di poter trovare comunque il tempo di scrivere. ^^
Non posso fare altro che ringraziarvi tutte le volte che pubblico qualcosa, perchè se sono qui, a mandare avanti una storia da mesi, è tutto merito di quelle poche persone che hanno recensito. Grazie mille *_*
Buone vacanze, alla prossima :D P.s. recensite, criticate, scrivetemi tutto e se ne avete voglia aggiungetemi su Fb :P MilunaSky Efp xD
   
 
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