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Autore: nainai    06/04/2006    9 recensioni
Cos’era quella voce? Un canto. Un canto bellissimo. Lo aveva sentito altre volte. Un’altra volta. Da un uovo. Da un cucciolo d’angelo.
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alis non dimostrava affatto diciotto anni

Alis non dimostrava affatto diciotto anni. Gli occhi blu, grandi e profondi, lasciavano trasparire intatta tutta l’inquietudine della sua anima; lo smarrimento disegnato su quel viso di porcellana attirava l’attenzione su di lui, sulla sua fragilità, lo faceva sembrare un cucciolo che si fosse ritrovato all’improvviso tra gli adulti del suo branco.

Alis era troppo bello perché passasse inosservato. Troppo unico.

E così non passò inosservato.

 

La cella era umida e fredda. O forse era la paura.

Alis si rannicchiò contro il muro, osservando in silenzio il mondo buio che riempiva la realtà intorno al lui. Era un’isola al centro di quella prigione, dall’oscurità gli giungevano i rumori prodotti dai suoi compagni. Un immenso alveare, le cui api ronzavano debolmente, in lontananza. Voci, risa.

Qualcuno aveva visto quel ragazzino biondo quando i secondini lo avevano portato lì. Qualcuno anticipava agli altri la sorte che attendeva il ragazzo.

Alis non li udiva davvero. Sentiva le voci come sottofondo di un incubo di cui voleva ignorare i contorni. E tremava, per il senso di minaccia che incombeva su di lui nel tono di quei discorsi. Disperatamente cercava di escludere dalla mente il rumore.

Finché, alla fine, il mondo tacque. I borbottii sconclusionati dei dormienti ed i colpi di tosse soffocati rompevano ancora di tanto in tanto il silenzio, come gocce d’acqua dal soffitto.

Lui sentiva le lacrime salirgli agli occhi. Ricordava, come si ricorda in un sogno, gli avvenimenti di quei giorni, la solitudine, il comportamento per lui incomprensibile di quegli esseri umani intorno…Quello non era il suo mondo e lui non vi era mai rimasto da solo tanto a lungo.

Le labbra di perla tremarono formando quell’unica parola, in un soffio appena udibile.

Il nome si perse tra le pieghe di quella notte irreale. Una preghiera lontana per chi poteva udire la voce della sua anima.

“Shadya”

 

-Padre.

Il sacerdote si voltò e per un attimo rimase senza parole.

Dal fondo della cappella un angelo lo guardava.

Padre Charrys si passò una mano sul volto in un gesto istintivo, massaggiandosi gli occhi stanchi per le troppe ore nella penombra della cappella, e, quando ritornò a voltarsi verso la figura che avanzava lentamente nella sua direzione si accorse che si trattava di un ragazzino. Un ragazzino così giovane che non riusciva a capire cosa ci facesse lì e così bello da non sembrare di questa terra.

…Era una cosa fragile e bianca…

Il prete avvertì il suo dolore ed ebbe la sensazione che una sola mano sarebbe bastata a spezzare quella creatura inerme.

-Stai bene, figliolo?- domandò senza nemmeno averlo voluto.

Alis si fermò, ancora distante, e annuì appena.

Padre Charrys si guardò intorno senza sapere cosa fare, intimorito da quella presenza così sottile eppure così vivida, come una luce improvvisa che fosse giunta in quel luogo di peccato.

Sedette su una panca e fece cenno al ragazzo di sederglisi accanto:

-Quanti anni hai?- domandò dolcemente

Alis non lo guardò, gli occhi blu erano fissi sull’altare davanti a loro, una croce di metallo era sospesa al soffitto sopra di esso e lui ne era come ipnotizzato.

-Diciotto.- rispose meccanicamente.

Il parroco non gli credette: Questo è quello che dicono, io voglio sapere quanti anni hai davvero.- insistette.

Alis non si voltò: Non lo so.– ammise in un sussurro.

L’uomo lo fissò in silenzio per qualche istante: E almeno un nome lo hai?- domandò nuovamente.

-Alis.

-Alis.- ripeté il prete- E’ un nome strano.

-Lui mi chiama così.- mormorò il ragazzo. Ma forse l’uomo non lo udì, o forse non lo ritenne importante, perché non gli chiese a chi si riferisse.

-Cos’hai fatto, Alis?- sussurrò invece in tono gentile.

Lui lo guardò. Per la prima volta da quando era entrato ed i suoi occhi si erano posati sulla croce di metallo, quegli occhi di cobalto catturarono lo sguardo chiaro del prete trattenendolo in un respiro:

- Ho ucciso.- rispose recitando di nuovo parole non sue. Abbassò il viso a guardarsi le mani intrecciate, il suo tono cambiò mentre aggiungeva a fatica- Dicono che devo stare qui perché non possa rifarlo di nuovo.- Aveva paura ed era stanco.

Il prete se ne accorse guardandolo.

-Perché lo avresti fatto?

-Non lo so.

-Chi è che hai ucciso?

-Non lo so.

Padre Charrys sospirò e si voltò anche lui a fissare l’altare:

- Non lo hai fatto davvero.- disse dopo un istante e la sua non era una domanda. Il silenzio durò di nuovo tra loro, mentre l’uomo considerava quell’apparizione fragile al suo fianco e la quieta immobilità della croce in un unico pensiero…- Cosa posso fare per te?- domandò in un soffio.

Alis alzò il volto, il suo sguardo s’illuminò di luce mentre si posava sulla croce: Vorrei venire qui più spesso…- mormorò.

-Puoi venire tutte le volte che vuoi.- rispose il parroco. Le mani si chiusero istintivamente sulla Bibbia nera che aveva accanto a sé sulla panca e gliela porse in un gesto involontario- Tienila, ti sarà d’aiuto.- E mai aveva creduto così tanto in quelle semplici parole.

Alis sorrise con la sincerità che è propria dei bambini, accogliendo quel dono così prezioso:

-Grazie.- disse solo, stringendo a sé il volume.

-Alis, stai attento.- aggiunse il prete in tono sottile- Non è un posto per un bambino questo.

 

-Ha ucciso un uomo.

-Si, ma non è questo, è il modo in cui è morto! Nessuno sa come: il cuore spappolato come se fosse stato stretto fino ad esplodere e nessun segno di ferite.

-Non è umano. Nessun uomo può fare una cosa così. Guardatelo, è un demonio.

Alis tirò avanti senza dire nulla. La gente lo evitava, aveva paura. Perfino i secondini parlavano di quello che aveva fatto: quel ragazzo che nessuno conosceva, che sembrava spuntato dal nulla, quella morte inspiegabile…Aveva ucciso un uomo ed era stato condannato all’ergastolo. A diciotto anni. Sempre che davvero ne avesse tanti.

Tutti dicevano che non era normale, che lui non era come tutti loro.

Lì non c’era nessuno.

Ad Alis piaceva stare da solo dove le loro voci non potevano raggiungerlo. Per un attimo gli sembrò di poter respirare di nuovo. Alzò il volto verso la finestra, chiusa da quelle sbarre enormi, e si chiese quanto sarebbe passato.

Dunque valeva così poco per lui. Così poco da averlo già scordato, da lasciarlo lì con il dolore e la paura.

“Ti prego”, gridava la sua anima di bambino, ripetendo all’infinito quel nome. “Shadya

-Ciao, ragazzino.

Alis si voltò di scatto. Un terrore irrazionale gli era scivolato nel cuore. Non si era accorto che gli si erano avvicinati: un gruppo di uomini. Ridevano fra loro. Ridevano sempre. Perché?

-Devi sentirti solo visto il modo in cui ti trattano tutti- continuò quello più vicino. Erano intorno a lui. Gli avevano tagliato ogni via di fuga- Il temibile assassino!- canzonò l’uomo avvicinandosi ancora di più. Con un gesto distratto afferrò una ciocca dei lunghi capelli di Alis e se la portò al viso- Sai, io non credo che tu lo abbia fatto davvero.- mormorò accondiscendente inspirando il profumo morbido dei capelli del ragazzino, ma lui avvertì la pelle accapponarsi a quel contatto e si ritrasse istintivamente, bruscamente provocando un leggero sogghigno sul volto dell’uomo che lo fronteggiava.- E neanche loro lo credono.- aggiunse quindi indicando i compagni, ostentando una benevolenza che i loro sguardi smentivano. Gli uomini si affrettarono ad annuire concordi- Visto?!- continuò il capobanda- Dovresti apprezzare la nostra fiducia, magari potresti unirti a noi…Non saresti più solo.

-Io non sono solo.- affermò seccamente Alis sostenendo lo sguardo dell’altro- E non ho bisogno di voi.

-Ne sei sicuro?- domandò ancora l’uomo, facendoglisi sempre più vicino e chiudendolo così in un angolo contro il muro- Sai, possono succedere cose spiacevoli a ragazzini graziosi come te in questo posto, soprattutto quando vanno in giro senza protezione.

Alis se ne accorse appena in tempo, ma questo non bastò a salvarlo.

L’uomo lo spinse contro il muro, lasciandolo senza fiato, poi lui e i suoi amici gli furono addosso.

 

Alis sistemava i paramenti nell’armadio della sagrestia. Lentamente. Come se per ogni singola striscia di stoffa esistesse un rituale lungo un’eternità da rispettare.

Ritto alle sue spalle, padre Charrys lo guardava in silenzio. In due settimane era cambiato.

Lo spettro di stesso. Parlava poco, mangiava ancora meno e stava sempre in un angolo a leggere la Bibbia nera che lui gli aveva regalato. E sempre più spesso la pelle candida era coperta di nuovi lividi bluastri...

-Alis.- Il ragazzo si voltò appena, padre Charrys gli sorrise rassicurante- Quando hai finito, riposati un po’, pulisco io qui.

Lui non disse nulla, ripose gli ultimi paramenti e richiuse con delicatezza l’anta dell’armadio, poi uscì dalla sagrestia e si lasciò cadere senza forze su una delle panche di legno, fissando con sguardo vacuo l’altare davanti a sé.

Padre Charrys non poteva saperlo, perché questo cambiamento non si vedeva all’esterno, ma Alis aveva anche smesso di pregare. Aveva smesso da giorni. E aveva smesso anche di piangere. Qualcosa dentro di lui si era rotta irrimediabilmente, ora non aveva più voce…Un sordo mormorio, che ancora ostinatamente scivolava nelle pieghe del suo inconscio, dimostrava che, nonostante tutto, lui era ancora vivo.

“Dio, io non l’ho ucciso. Perché mi fai questo, cosa ho fatto per essere punito?”

Nella sua mente sconvolta quel nome affiorava ancora e lui lo invocava disperatamente, la sera prima di addormentarsi, o quando i suoi compagni lo violentavano.

“Shadya”

-Alis.- Padre Charrys gli sedette accanto, ma lui non lo guardò.- Alis, ti va di confessarti?- domandò gentilmente.

-Io non ho fatto niente.- rispose lui senza capire.

-Alis, magari se ne parli ti sentirai meglio.- spiegò il parroco.

Alis guardava la croce di metallo, ipnotizzato dalla sua immobilità e dalla sua sicurezza: Io non sono più Suo figlio,- mormorò come se si rivolgesse direttamente ad essa- ho fatto qualcosa per cui Lui non mi vuole più.

-Alis, non esiste peccato per cui non esista perdono.- affermò il prete.

-Forse per gli uomini,- riconobbe il ragazzo abbassando lo sguardo- ma non per me.

 

Quel posto non gli piaceva. Non gli piaceva il suo odore, il sapore…

In un’altra situazione l’odio, il risentimento, la rabbia ed il dolore che quelle creature umane avevano accumulato in quell’unica, grande gabbia lo avrebbero attratto lì. Lui avrebbe gioito al pensiero di un simile banchetto imbanditogli, tante facili prede per la sua fame sempre viva…

Ma ora in mezzo a quelle creature c’era il suo Alis. Il suo angelo splendente richiuso in quella gabbia gridava di paura e dolore; il suo richiamo era così forte che aveva pensato di impazzire. Anche ora lui lo chiamava, lo invocava, lo implorava.

Accucciato sull’alto palo telefonico, come un uccello da preda Shadya scrutava il cortile affollato. Il sole dava noia ai suoi penetranti occhi bui, avrebbe dovuto attendere la notte.

...Quella notte avrebbe seguito il suo odore e avrebbe trovato Alis. Sentiva già il suo odore in bocca…

Alis, il suo Alis! Nessuno poteva separarlo da lui, nessuno!

I sentimenti di quegli uomini nel cortile gli facevano venire fame; Shadya represse quella sensazione e continuò ad attendere, immobile come un uccello da preda.

 

Il secondino passò nel corridoio gridando quell’unico ordine secco: Volete fare silenzio?!

Le luci si spensero di colpo ma non il vociare di sottofondo. Quando la cancellata a sbarre si fu richiusa fragorosamente alle spalle delle guardie, i carcerati ripresero a parlare tra loro. Le voci s’inseguivano nei corridoi, tra le celle.

Solo nella propria, Alis sedeva immobile sulla brandina, la Bibbia aperta sulle ginocchia, unica luce quella della piccola finestra in alto a sinistra.

Ma Alis non guardava nemmeno il libro nero, lo sguardo perso sul muro di fronte, c’era il buio fuori e dentro di lui.

Chiuse il libro e lo posò sotto il cuscino. Si sentiva così vuoto mentre chiudeva gli occhi al vuoto fuori di sé.

 

Shadya sorrise.

Un sorriso senza gioia, per sé e per coloro che avessero potuto incrociare il suo sguardo nascosto tra le pieghe della realtà.

Davvero credevano che mura e sbarre di ferro potessero fermarlo? Potessero tenerlo lontano da Alis?

Sentiva il suo odore. Così forte da farlo impazzire. Si sentiva eccitato come un segugio che avesse fiutato la preda.

Passò tra le sbarre della cancellata. Un dedalo di corridoi si apriva e da un punto imprecisato gli giungeva l’eco della voce di Alis. La sua invocazione sempre più disperata, sempre più flebile.

Shadya sentiva l’odio inondargli la testa. Ogni giorno lontano da lui la sua rabbia ribolliva sempre più fino a farlo esplodere.

Chiuse gli occhi. L’odore lo avrebbe guidato.

Come uno spettro silenzioso passò tra le celle ed il suo mantello si posava risvegliando incubi di orrore e violenza nelle menti degli uomini, ma Shadya non aveva tempo per giocare con quelle creature mortali. Quando la porta si frappose fra lui ed Alis, lui la passò senza fermarsi, scivolando più a fondo nel mondo.

...Gli occhi neri, inumani, si soffermarono stupiti indugiando sui due uomini addormentati…

Non era lì. Alis non c’era…

Ma c’era il suo odore.

Shadya digrignò i denti in un ringhio feroce e silenzioso, con un movimento fluido s’inginocchiò accanto ad una delle brande e il suo volto si abbassò lentamente a sfiorare quello dell’uomo addormentato. La creatura mortale si divincolò sussultando a quel tocco bruciante. Nella sua mente fiorirono ricordi ed angosce sopite a cui tentò di sottrarsi agitandosi convulsamente.

Sì, non si era sbagliato. Quella creatura umana aveva addosso il suo odore.

Una mano spettrale si sollevò sul corpo disteso: artigli lunghi e sottili come aghi si allungarono con uno scatto secco e trasformarono la mano in un mostruoso arto deforme.

Nessuno. Nessuno poteva avere addosso il suo odore!

Gli artigli affondarono in un istante; l’uomo spalancò gli occhi e la bocca in un inarticolato urlo senza voce. Dall’incubo mostruoso in cui era stato gettato, cadde in una morte di orrore e dolore. Shadya lo osservò contorcersi sotto la sua stretta, con la curiosità che un gatto avrebbe mostrato verso la propria preda. Infine ritirò gli artigli e guardò il corpo senza vita rotolare ai propri piedi. Nella cella il compagno dell’uomo si svegliò e si girò a cercarlo. Shadya rimase dov’era, ombra per le stesse ombre, l’uomo guardò verso di lui e tutto ciò che percepì fu un innaturale silenzio. E paura. Paura senza spiegazione.

-Jack, sei tu?- domandò in tono appena udibile.

Richiamato dalle sue parole, Shadya mosse verso di lui. Un unico elegante movimento con cui attraversò la distanza della cella e gli si accucciò vicino. Il volto a pochi centimetri da quello dell’altro. L’uomo avvertì un vento gelido sfiorargli la pelle e il senso spiacevole di una presenza inquietante nella stanza. Tremando girò lo sguardo intorno: Jack.- ripeté alzando il tono di voce e concentrandosi sulla sagoma scura ai piedi della brandina del suo compagno di cella.

No, lui non aveva il suo odore…

-Jack, piantala!- gridò istericamente l’uomo. Shadya allontanò il viso inclinando il capo mentre osservava quella buffa creatura umana ed il suo terrore- Guardia! Jack si sente male, presto!

Passi nel corridoio.

Shadya si voltò di scatto, incuriosito, e si rialzò silenziosamente.

-Cosa diavolo succede qui?!- La porta si aprì.

Shadya uscì passando accanto ai secondini

Avrebbe cercato ancora. I trucchi degli umani non sarebbero serviti a portarglielo via.

 

Alis sentì il fiato mozzarglisi in corpo mentre il capo dei suoi aguzzini lo scaraventava con forza contro il muro di pietra, afferrandolo per il bavero della camicia e trattenendolo contro la parete. Con uno sforzo che non credeva di poter compiere riuscì a rimanere cosciente ed a sollevare sull’altro il suo sguardo blu.

-Non sono stato io, Matt!- giurò disperatamente.

Per tutta risposta l’altro gli sferrò un pugno nello stomaco, lasciando contemporaneamente la presa. Alis cadde al suolo, dove rimase accasciato su stesso.

-Fa silenzio, bastardo!- gridò rabbiosamente l’uomo- Io non so come tu faccia, ma se credi di avermi spaventato ti sbagli di grosso, moccioso! Non mi ammazzi come hai fatto con Jack!

-Matt…- provò di nuovo Alis in tono supplichevole.

Ma l’uomo lo fece tacere sferrandogli un calcio nelle reni: Non ho finito!- continuò nello stesso tono- Te lo dico io chi di noi due deve avere paura dell’altro! E te lo insegno in modo che tu non possa più scordarlo!

 

Padre Charrys trovò Alis due ore più tardi. Rannicchiato e tremante dietro l’altare nella cappella del carcere, il corpo coperto di lividi e ferite che il ragazzo non aveva ancora medicato ed il volto gonfio e pallido.

-Alis!- Il sacerdote gli corse accanto inginocchiandosi- Dio Benedetto, ma cosa ti è successo?!- domandò sconvolto.

-Sono scappato, padre.- ammise in un soffio il ragazzo- Matt pensa che io abbia ucciso Jack, lui e i suoi mi hanno picchiato.

-Picchiato?!- ripeté ironicamente il parroco- Hanno cercato di ammazzarti, Alis! Aspetta qui, vado a prendere qualcosa per togliere il sangue.- aggiunse prima di alzarsi e sparire in sagrestia. Qualche minuto dopo fu di ritorno con una bacinella d’acqua e un panno pulito.- Alis, se le guardie ti trovano qui dopo che hai saltato l’appello…- cominciò mentre puliva le ferite.

-Lo so, padre. Ma avevo paura.- mormorò appena- Io non l’ho ucciso!- aggiunse con forza, aggrappandosi al parroco come se fosse l’unica salvezza.

Padre Charrys lo guardò tristemente prima di stringerlo a sé, tentando invano di calmare i suoi tremiti: Ti credo, Alis, ti credo.- mormorò tranquillizzante- Dirò che ti avevo chiesto io di venire qui e ho dimenticato di avvisare.

Alis lo lasciò andare, respingendo indietro le lacrime, abbassò lo sguardo: Grazie, padre.- sussurrò con riconoscenza.

Il parroco mise via la bacinella e lo fissò in silenzio per qualche istante: Di cosa hai tanta paura?- domandò infine.

-Di morire.- rispose appena Alis- La mia anima si dissolverebbe di sicuro. Shadya me lo ha detto: “non devi morire, quando sono deboli come te non li fanno tornare, spariscono e basta”

-Shadya?- ripeté padre Charrys- Chi è? Alis, lui ti ha detto che la tua anima verrà dissolta se morirai? Ma sai che non è vero.

-Lo è invece.- ribatté Alis voltandosi- Io sono solo un Custode e non ho nemmeno un’anima da custodire, non servo a nulla.

-Alis, ma cosa dici?- mormorò il prete addolorato- Non c’è anima di Dio a cui non sia concessa la vita eterna, per quanto piccola o inutile appaia agli occhi degli uomini.

 

Il suo odore, il suo sapore…

Shadya si sentiva frastornato, confuso, e questo aumentava la sua rabbia mentre vagava nei corridoi silenziosi.

Lo avvertiva dappertutto.

Udiva il suo richiamo e non poteva raggiungerlo!

Si sentiva una fiera in gabbia.

Quando trovò le macchie di sangue si fermò. Il sangue gli dava alla testa, lo faceva star male, aveva bisogno di fermarsi. Si piegò sulle ginocchia, pronto al balzo, e le dita, lunghe come gli artigli che celavano, sfiorarono il rosso sul pavimento, lo accarezzarono e lo portarono alle labbra.

Sangue.

Il suo odore…

Il suo sapore…

Il suo sangue!

Gli occhi neri si socchiusero, due pugnali su un volto di marmo, i denti da gatto si scoprirono in un ringhio silenzioso.

Il suo sangue!

Shadya scattò in avanti, come un animale feroce, e fece di corsa quei metri seguendo il suo odore.

La croce di metallo gli si parò davanti a bloccargli il passo. Stupito, Shadya si fermò.

Una cappella.

L’altare, le panche rovinate, le candele consumate.

Ed un prete.

Shadya gli si avvicinò piano. Lui non poteva vederlo nè sentirlo, Shadya era solo un’ombra, un soffio d’aria gelida. Si fermò al suo fianco.

Alis?

Sporgendosi verso il prete, Shadya ne respirò l’odore.

Alis.

Padre Charrys non ebbe paura come Jack la notte precedente, non sentì nel gelo della sera un’anticipazione degli orrori dell’Inferno. Morì in pace, come in pace aveva vissuto.

Shadya lo guardò cadere al suolo, la mano trasformata nella sua crudele arma di morte sporca della vita dell’umano. Dov’era Alis? Dov’era il suo angelo?

Nessuno di loro poteva avere addosso il suo odore.

O il suo sangue.

 

-Perché? Perché devo cambiare cella? Perché non posso portare con me le mie cose?

Le sue domande disperate non ottennero risposta. La porta di metallo si richiuse dietro le due guardie, isolandolo all’interno di quel nuovo mondo senza luce.

Piangendo Alis si lasciò scivolare a terra lungo il muro gelido.

Glielo avevano detto quel mattino, prima che arrivassero le guardie per portarlo via, padre Charrys era morto.

Apparentemente un infarto, come quello di Jack. Ci sarebbero state due autopsie. Tutti erano convinti che fosse stato lui.

Alis pianse. Per padre Charrys e perché non aveva più la sua Bibbia nera sotto il cuscino.

“Ormai non m’importa più, se la mia anima verrà dissolta o cadrà all’Inferno, io non ce la faccio più.”, sussurrò angosciato al soffitto buio sopra di lui.

 

-Continua a non voler mangiare? Mah, se quel demonio dovesse morire sarebbe un bene per tutti.

Le due guardie gli passarono accanto senza vederlo. Una spiacevole sensazione che ricordò loro violenze e abusi commessi in quei lunghi anni di lavoro.

Shadya girò l’angolo e uscì nel corridoio, voltandosi leggermente per guardarli allontanarsi. Per un attimo ebbe fame, ma escluse quel pensiero dalla sua mente.

Alis.

Non era più solo il suo odore.

La sua voce.

Non era mai stata così debole. Da quanto tempo non lo udiva cantare?

Seguì quel richiamo lungo il corridoio. In fondo c’era una sola cella ed una guardia che dormiva appoggiata al muro.

Shadya s’inginocchiò posando le mani contro il freddo del metallo.

Il suo pianto. I suoi singhiozzi soffocati.

Appoggiò il volto alla porta.

Lo chiamava ancora.

-Alis.- mormorò soltanto.

La porta parve liquefarsi sotto le sue dita e lui si lasciò semplicemente scivolare nella cella.

L’odore, il suo odore permeava l’aria come un balsamo. Shadya respirò a fondo, sentendosi di nuovo calmo dopo giorni di rabbia e confusione. Nell’oscurità della cella vide i capelli d’oro pallido risplendere sommessamente incorniciando quel volto di porcellana.

Shadya si avvicinò alla figura distesa sul pavimento e raccolse tra le braccia il corpo fragile, sollevandolo come se fosse stato un giocattolo costoso. Alis si abbandonò senza forze contro il suo petto, mentre gli occhi blu si aprivano appena per sincerarsi di ciò che già sapeva in modo istintivo. -Shadya,- mormorò a fatica- sei venuto a prendermi.

-Tu se mio, Alis.- rispose il demone come se fosse evidente.

 

Alis sentiva il calore morbido dei cuscini e delle coperte, che lo avvolgevano dolcemente. Nel cono di luce disegnato dalla grande finestra rotonda davanti a sé, vide Shadya muoversi con il passo misurato e silenzioso di un grosso felino che aspetti la preda. Il demone si voltò incrociando i suoi occhi e tornò subito al suo fianco, sedendogli accanto tra i cuscini.

-Dicevano che ero stato io ad uccidere l’angelo,- cominciò a raccontare Alis, mentre liberava le mani dalle coperte per sollevarle a stringere il braccio di Shadya, come per assicurarsi che non sparisse all’improvviso.-per questo mi hanno portato in quel posto. Poi hanno creduto che avessi ucciso anche padre Charrys e Jack. Sei stato tu, vero?- domandò dopo un istante.

Shadya non rispose, non ne aveva bisogno. Gli occhi neri brillavano nella penombra della luna piena mentre scrutavano in lungo e largo il viso della sua bambola: Perché avevano addosso il tuo odore?- chiese il demone ed Alis si accorse che era arrabbiato.

-Padre Charrys mi aveva abbracciato. Per consolarmi.- spiegò.

-Ti hanno fatto del male?- insistette Shadya. La sua rabbia non mutava.

Alis respirò a fondo e si accoccolò tra i cuscini, stringendosi al demone come un cucciolo in cerca di protezione: Mi hanno fatto molto male.- ammise in un soffio doloroso- Gli uomini si fanno l’un l’altro cose orribili.

-E’ l’influenza del mio signore Lucifero.

Le dita di Shadya si sollevarono a scostare i capelli morbidi dal volto di porcellana. Poi il demone tracciò un segno leggero nell’aria e sul suo palmo apparve una sottile catenina d’argento brunito con un piccolissimo crocefisso ad un’estremità. Shadya chiuse dolcemente l’orecchino intorno al lobo dell’orecchio di Alis, lasciandone ricadere il pendente sulla guancia di velluto.

-Non potevo sopportare che avessero il tuo odore addosso.- continuò in tono più mite, anche se la sua voce continuava ad avere un sapore metallico- Tu sei mio, Alis.- ripeté. Le lunghe dita ripresero a giocare con i capelli di seta fragile, pascendosi della loro incredibile bellezza- Non ti lascerò andar via, farai quello che io ti dirò.

-Farò quello che mi dirai, Shadya.- promise Alis chiudendo gli occhi ed abbandonandosi alla dolce tranquillità di quella carezza.

Shadya si stese al suo fianco. Il volto a pochi centimetri da quello del ragazzino, il suo respiro regolare che gli sfiorava la pelle.

Ora si sentiva bene.

Ora.

 

-Shadya, guarda!

Il demone uscì sul cornicione di pietra fuori della finestra rotonda.

Alis rideva come un bambino, gli occhi blu che brillavano nel sole. Una coppia di passerotti si era lasciata convincere ed ora zampettava senza paura sul palmo aperto della sua mano.

Shadya sorrise: Sono belli.- ammise, avvicinandosi. I due uccellini volarono via spaventati, ma il demone non se ne curò, si piegò a sfiorare i capelli del ragazzino con il volto- Ma non belli come te.- aggiunse respirando il suo profumo. Afferrò una ciocca color dell’oro e ci giocò divertito, come abbagliato dai riflessi che avevano nella luce chiara- Mi piacciono i tuoi capelli, sono morbidi tra le dita.

Alis non se lo fece ripetere, raccolse i capelli in una coda tra le mani e la tagliò con decisione con un piccolo coltello che apparve tra le sua dita. Un caschetto irregolare si aprì a ventaglio intorno al volto di porcellana, ma Alis non vi badò, legò la ciocca di capelli con un laccetto sottile e la porse a Shadya.

-Tieni, sono tuoi. Almeno posso regalarti qualcosa che desideri.

Il demone nascose la ciocca dentro la giacca. Poi tornò a guardare il ragazzino, prendendogli il mento per girargli il viso verso di sé: Così mi piaci di più.- disse solo.

-Come vuoi, Shadya- assentì Alis obbediente.

La stretta di Shadya si trasformò in una carezza e Alis sorrise, felice di poter esaudire i suoi desideri.

Poi qualcosa cambiò bruscamente.

Shadya dimenticò in un attimo il ragazzino, raddrizzandosi di scatto e guardandosi intorno, un predatore che ha annusato la preda. Le dita si strinsero istintivamente intorno al collo di Alis, fino a fargli male, ma lui non disse nulla e non si mosse, sapeva ciò che stava accadendo e quale fosse il proprio ruolo in quel frangente.

Shadya si piegò verso di lui fino a sfiorargli l’orecchio con le labbra: Resta qui.- ordinò senza nessuna intonazione, soffiandolo nella morbida conchiglia dell’orecchio di Alis.

Con un unico movimento fu in piedi ed oltre i vetri della grande finestra tonda, all’intero del loro rifugio.

Alis rimase dov’era. Il cuore che gli martellava nel petto.

I pensieri che si inseguivano nella sua mente.

Poi decise.

Si alzò in piedi a sua volta ed entrò nel palazzo.

 

Gli edifici incombevano da ogni parte. Lo sporco. Il grigio. La ruggine rossa…

Alis respirava a fatica. Si sentiva un bambino in un gioco più grande di lui, l’eccitazione e la paura lo stordivano.

Trasse un respiro profondo.

Facendosi coraggio posò le mani sul parapetto di cemento e si sollevò, sporgendosi a guardare la strada venti metri più sotto.

Il vento gelido gli feriva le mani e gli mozzava il fiato in gola. Il senso di vertigine lo assalì, una sensazione ad un tempo di gioia e nostalgia che lo riempiva di un sottile e piacevole terrore.

Ricacciò indietro quei sentimenti.

Tra i sacchi d’immondizia, sotto la scala di sicurezza di ferro, scorse i corpi bianchi. Immobili in pose innaturali, fissavano il Cielo con sguardo vuoto. Occhi vitrei, ogni alito di vita era fuggito dall’orrore di quella  esecuzione.

Alis provò una fitta di dolore.

Una mano fragile si tese in un gesto istintivo, a voler sfiorare quei volti così simili al suo.

Poi quel richiamo.

-Alis.

Era stato solo un lungo sussurro al suo orecchio…

Un corpo snello e muscolo si strinse a lui, una mano artigliata e gelida si posò sulla sua gola inerme mentre l’altra lo cingeva posandosi sul petto per fermarne ogni via di fuga. Per un istante ebbe paura, ma le mani che lo trattenevano non erano  ostili e lo sfioravano con gentilezza, nascondendo la propria capacità mortale dietro un carezza soffice e attenta.

Alis si abbandonò contro il corpo di Shadya chiudendo gli occhi.

-Mi hai disubbidito.- Le labbra rosse sfioravano appena la pelle del ragazzino mentre mormoravano quelle parole- Non devi mai disubbidirmi, Alis.

Shadya sentiva sotto la mano il calore della sua carne, il pulsare del suo sangue nelle vene del collo. Avrebbe potuto squarciargli la gola in un istante e vederlo morire dissanguato tra le proprie braccia.

Era una cosa molto eccitante.

Ma non desiderava ucciderlo.

Gli piaceva molto di più tenerlo così. Stretto a sé, senza possibilità che volasse via, le ali prigioniere dei suoi artigli assassini.

-Lo hai fatto anche l’altra volta e hai visto cosa è successo.- continuò il demone nello stesso tono, affondando il volto nei capelli biondi.

-Volevo vederli.- ammise Alis riaprendo gli occhi sui corpi abbandonati in strada.

-Perché?

-Sono i miei fratelli.

-Sono solo angeli!- ribatté con un ringhio di disprezzo Shadya.

Alis si voltò, gli artigli del demone continuavano a rimanere posati sulla sua gola indifesa, ma lui non aveva paura; gli occhi blu sostennero quelli bui e profondi dell’altro: Anch’io sono un angelo.- mormorò soltanto.

Gli artigli si strinsero di più, affondando leggermente nelle carni bianche: Tu sei mio!- sibilò rabbiosamente Shadya.

Lo sguardo di Alis si fece dolce: Si, Shadya, io sono tuo.- ammise con semplicità.

Il demone parve calmarsi, i muscoli si rilassarono e lasciò andare la gola dell’altro per accarezzargli con delicatezza i capelli di seta: Non devi farlo, non devi chiederti di loro; io non ti lascerò andar via.- mormorava lentamente.

-Non voglio andar via, Shadya.

Gli artigli si ritirarono di scatto, così come erano apparsi ed Alis si ritrovò stretto nell’abbraccio del demone: Allora non cercarli più.- concluse.

-Io…- Alis esitò, poi si fece coraggio e riprese con voce strozzata- Io mi chiedevo solo se tu li risparmieresti se fossi io a chiedertelo.

-Tu non devi chiedermi mai una cosa come questa, Alisiel.- sibilò con cattiveria Shadya.

Quel nome da solo bastò a far rabbrividire Alis, che si strinse contro di lui nascondendo il volto contro il suo petto: Non chiamarmi così!- lo implorò- Io sono Alis! Tu mi hai chiamato Alis quando sono nato ed io mi chiamo così! Non m’importa degli angeli,- continuò singhiozzando- uccidili se vuoi, ma non lasciarmi di nuovo!

 

-E’ davvero un bel cucciolo di angelo.

Shadya si voltò con uno scatto, ringhiando come un cane che difenda il proprio territorio, e l’altro demone si ritrasse ridendo.

Nel locale non c’erano che creature infernali.

Un limbo d’Abisso ai confini del mondo umano, loro non si accorgevano nemmeno della sua esistenza quando passavano troppo indaffarati accanto a quello squallido bar di periferia. Ma ai demoni divertiva imitare gli umani e quello era un buon posto per incontrarsi.

Shadya ed Alis sedevano ad un vecchio e sudicio tavolo nell’angolo più nascosto del locale. Alis se ne stava posando il capo sulle braccia, incrociate sul piano di legno scheggiato; era una macchia di luce in quell’oscurità di tenebra e questo faceva di lui una candela per gli esseri che si aggiravano nella penombra carica di odori. Shadya però era al suo fianco, accarezzando distrattamente i capelli di seta ed aspettando che i suoi singhiozzi soffocati si spegnessero. Chiunque osasse incrociare i suoi occhi riceveva uno sguardo di sfida che avrebbe fatto gelare il sangue nelle vene a qualunque essere, di qualunque genia.

Ma erano pochi a provarci.

Del resto lui era l’Ammazzangeli. Shadya, il “Cacciatore”. Una creatura che Lucifero in persona aveva plasmato, il suo cane da caccia personale. Era spietato, lo muovevano la fame e l’istinto di uccidere, nient’altro trovava posto nella sua mente. Cacciava angeli, un assassino perfetto, seguiva le sue vittime, aspettando, colpendo con rapidità e ferocia dal buio. Era l’incubo di un momento che si fissava nell’eternità della fine.

E tutti sapevano di Alis.

Shadya aveva trovato e massacrato un’intera squadra di Custodi, da solo. Ma non si era accorto dell’uovo se non una volta che tutto era finito.

Un uovo.

Il demone ricordava con una precisione disarmante quel giorno.

Il globo morbido, trasparente, sospeso tra i filamenti di vetro di quella strana pianta che gli angeli usavano per poter riprodurre la propria specie. Nel liquido amniotico dormiva una creatura piccola e bianca, con le ali candide che la avvolgevano protettive in una nuvola di piume fragili. Lui si era avvicinato, leccando via dagli artigli il sangue ancora fresco dell’ultima vittima.

Quella creatura.

Un cucciolo di angelo.

Si era avvicinato con precauzione, qualcosa lo disorientava.

Poi aveva avvertito l’amore che circondava quel globo di limpido, l’amore di coloro che avevano custodito ed atteso quella creatura fino a quel momento, parlandogli della meraviglia del mondo, di quanto sarebbe stato stupendo scoprirlo con i propri occhi.

Shadya aveva desiderato uccidere il cucciolo.

Sbranarlo, mostrargli l’orrore del mondo.

Poi aveva udito la canzone e si era fermato.

Era il cucciolo.

Cantava la gioia di venire al mondo, rispondeva all’amore di chi lo aveva protetto con il proprio amore, chiamava i nomi di coloro che lo avevano accudito.

Una gioia che Shadya non conosceva, un amore che non poteva provare…

Sedette davanti all’uovo.

Attese per quasi sei giorni prima che si schiudesse. Poi il cucciolo d’angelo scivolò tra le sue braccia tese, le piume delle ali schiacciate ed arruffate dal liquido amniotico.

Per sei giorni aveva cantato.

Il potere di Shadya lo toccò nello stesso istante in cui lo fecero i suoi artigli pronti ad ucciderlo. Ma Alis continuò a cantare e nel suo canto lo chiamò.

Anche se non conosceva il suo nome.

Allora Shadya aveva preso con sé il cucciolo d’angelo e ne aveva fatto il proprio cucciolo.

Non c’era demone all’Inferno che non conoscesse questa storia e, quindi, si tenesse ben alla larga da Shadya il Cacciatore e dal suo cucciolo di Custode.

-Alis.- Shadya si piegò in avanti, a sussurrargli all’orecchio sfiorando la sua pelle come faceva sempre. Alis aprì gli occhi ma non si mosse- Non devi avere paura, Alis, io non ti lascio da solo, anche se mi hai disobbedito e mi hai fatto arrabbiare.- mormorò piano il demone.

-Non lo farò più.- promise meccanicamente l’angelo.

-E non cercherai più i tuoi simili.- aggiunse il demone.

-No, Shadya, non lo farò più.- ripeté Alis nello stesso tono incolore.

Shadya sorrise raddrizzandosi e poggiando la schiena alla sedia: Allora va bene.- sussurrò rassicurante.

-Sei tu l’ammazzangeli?

Shadya si voltò; non aveva mai visto quel demone prima, ma aveva ancora negli occhi la furia della battaglia e gli abiti erano macchiati di sangue. E questo bastava a risvegliare la sua curiosità.

-Ho una notizia che credo t’interesserà.- continuò la creatura appena arrivata.

 

-Aspetterai qui.- ordinò incolore Shadya.

Alis si limitò ad annuire. Stavolta non aveva nessuna intenzione di disubbidire e tutti e due lo sapevano. Guardò il demone allontanarsi in direzione della fabbrica abbandonata e ad ogni passo lo osservava scomparire sempre più tra le pieghe della realtà. Finché non rimase nulla se non una sorda sensazione di orrore.

Alis sedette.

Quello era un covo di angeli. O almeno così aveva detto quel demone nel bar. Lui sentiva solo un freddo brivido corrergli lungo la schiena. L’unico movimento intorno era il grattare delle unghie dei ratti in mezzo alle macerie e ai rifiuti. Il buio cieco delle finestre e delle porte senza infissi gli sembrava lo sguardo vuoto di un teschio abbandonato.

Shadya era un ammazzangeli. Non era facile esserlo: gli angeli non giravano mai da soli, a differenza dei demoni, e questo li rendeva prede difficili. I pochi cacciatori di angeli, che riuscivano a sopravvivere, nel confronto erano però assassini infallibili. E Shadya era uno di loro. Era stato creato solo per quello e solo quello desiderava fare: uccidere. In modo istintivo e brutale, come i grandi felini.

-E’ solo un cucciolo.

Alis sussultò raggelato da quella voce e si voltò di scatto. La freddezza di quei due occhi azzurri lo fulminò inchiodandolo al suo posto.

Il primo angelo lo studiava attentamente, accovacciato su una catasta di rifiuti, le ali candide si spalancavano sulla sua schiena contribuendo ad un’idea di sospensione eterea. Il secondo angelo, però, era così vicino che Alis si chiese come avesse fatto a non accorgersi del loro arrivo: in piedi alle sue spalle, le braccia incrociate sul petto, lo guardava come se si fosse trattato di qualcosa di disgustoso.

-Un piccolo fratello corrotto.- commentò il secondo angelo- Lui è stato chiaro, però: “portatemi il traditore”

-Come vuoi.- concluse brevemente quello ad ali spiegate.

Alis non fece in tempo a realizzare quello che stava accadendo. Il primo dei due angeli piombò su di lui dall’alto e lo scaraventò parecchi metri più in là, contro i resti di un muro di cemento. Stordito e confuso, il ragazzino alzò di nuovo lo sguardo su quelle creature. Quello che lo aveva colpito veniva verso di lui lentamente, tra le mani stringeva una piccola spada dall’elsa d’oro, ma non sembrava troppo preoccupato che lui potesse tentare di fuggire. L’altro rimaneva immobile dove si trovava e si limitava a fissare la scena con sguardo vacuo.

-Pensi che possa essere pericoloso?- domandò l’angelo con la spada.

-Fai in modo che non ci dia problemi.- rispose l’altro come se si fosse trattato di un’autorizzazione.

Alis sentì un freddo gelo penetrargli nelle ossa quando la lama lo colpì. La testa prese a girargli e gli occhi a bruciare come se avesse pianto per ore. Riuscì solo ad abbassare lo sguardo per accorgersi che non c’era nessuna ferita lì dove la spada lo aveva colpito, poi il dolore lo fece svenire.

 

Il loro odore era dappertutto.

Shadya lo odiava. Sapeva di marcio al suo olfatto.

Era come entrare in una tana abitata da luridi animali carnivori, che avessero lasciato i resti delle proprie prede ad imputridire nell’umidità e nello sporco.

Erano Ishim.

Lui sapeva bene che ogni classe di angeli aveva un proprio odore e avrebbe riconosciuto quello tra milioni di altri. Era l’odore della morte dalle ali bianche.

Gli piaceva uccidere gli Ishim.

Non era facile come con gli altri.

Se erano più di due diventava molto pericoloso. Loro erano forti, e furbi. Bisognava essere più furbi. Ucciderli un po’ per volta, non farsi vedere. Se ti attaccavano tutti insieme, eri finito.

Sul pavimento i topi correvano lontano quando lui passava, quelli più grossi sembravano impazzire ed aggredivano i più giovani facendoli a brandelli.

Shadya non ci faceva caso.

Lui li stava cercando…

Ne sentiva la presenza, ma non come di solito. Non sapeva dov’erano. Quanti erano…Se c’era anche un capo…

L’odore del sangue lo distrasse un istante. Una macchia scura sul pavimento dove gli angeli avevano combattuto contro quel demone al bar.

E lui era ancora vivo.

Come era riuscito a scappare?

Uno straccio di bianco.

Un’ala.

Un corpo accasciato dietro una colonna.

Era strano. Si avvicinò piegandosi sul corpo: quello era morto già da un po’. Avevano lasciato lì il cadavere, ma di solito non lo facevano. Aveva uno squarcio nero su di un fianco, regalo del suo avversario.

Che però era fuggito.

Gli Ishim non lasciavano impunita la morte di un fratello. Come era riuscito a fuggire?

-Non lo ha fatto.

Shadya si voltò con un ruggito disumano. Gli artigli scattarono immediatamente ed affondarono inesorabili nella carne dell’angelo. Lui e il demone si fissarono in silenzio.

-Tu sei il Cacciatore.- sussurrò l’angelo. Tre paia di ali candide si spalancarono sulla sua schiena mentre uno sguardo di fiamma sosteneva quello di tenebra oscura di Shadya- Finalmente ti abbiamo trovato.

Con un movimento così veloce da essere quasi invisibile si tirò indietro di parecchi metri, rimanendo sospeso a mezz’aria davanti all’altro. Sul petto la ferita provocata dagli artigli di Shadya colorava di scarlatto la casacca nera, ma l’angelo non sembrava accorgersene. Dall’oscurità intorno a loro uscirono in silenzio i suoi compagni.

Shadya li vide e seppe che era la fine.

Acquattandosi come un gatto, balzò in avanti per attaccare l’angelo che aveva ferito. Gli altri si slanciarono in avanti a loro volta.

 

I due angeli lo stavano portando da qualche parte. Ma dove?

Alis non vedeva chiaramente mentre veniva trascinato dai suoi carcerieri lungo pavimenti sudici e neri. Gli occhi gli bruciavano ancora e la testa gli pulsava dolorosamente. Era rinvenuto quando il secondo dei due angeli gli aveva sussurrato qualcosa all’orecchio. Una frase che non aveva capito ma che suonava come un ordine cui la sua mente intorpidita aveva risposto riprendendo una vaga coscienza del mondo intorno.

Qualcuno aveva aperto una porta, una luce artificiale e bassa lo ferì come se fosse stata la luce del sole di mezzogiorno. C’era una voce che chiedeva qualcosa. Una voce calda, rassicurante, che aveva qualcosa di autoritario ma smorzato da una tranquilla e rassicurante pacatezza. Uno dei due angeli rispose, poi Alis sentì di nuovo il secondo angelo sussurrare quella frase e all’improvviso fu capace di aprire gli occhi e tirarsi faticosamente in piedi.

Erano all’interno di un edificio semidistrutto, la prima cosa che Alis vide fu il corpo dell’angelo accasciato al suolo, uno squarcio nero lungo un fianco. Poi i suoi occhi furono catturati dalle fiamme che ardevano nello sguardo di quello che gli stava davanti.

Sei ali.

Un serafino.

Ebbe paura e non fu in grado di muovere un passo o girare oltre lo sguardo, così fu solo una consapevolezza istintiva a dirgli della presenza degli altri intorno a loro.

-E’ un cucciolo.- mormorò di nuovo quella voce rassicurante e Alis si rese conto che apparteneva al serafino.

L’angelo che lo aveva svegliato intervenne quietamente: Tu avevi chiesto il traditore, Rasiel, e noi te lo abbiamo portato.

-Io non credo che sia davvero un traditore.- interloquì un’altra voce da un punto alle loro spalle.

Rasiel non rispose. Guardò Alis come se volesse leggerne le profondità con quel solo sguardo.

-Tu sei l’angelo che si accompagnava al Cacciatore?- domandò infine.

-Si.- rispose timidamente Alis.

-Lo hai un nome?

-Alis.

-Alis?- ripeté Rasiel senza capire.

Il ragazzino fece un respiro profondo, poi mormorò a mezza voce: Alisiel. Ma lui mi chiama Alis e a me piace di più.

-Il Cacciatore ti chiama “Alis”?- domandò il serafino- Come ti sei trovato con lui?- indagò quindi.

-E’ stato lui a trovare me. Quando era ancora nell’uovo.

-Ha rubato un uovo di angelo?!- esclamò quello che lo aveva risvegliato.

-Oramai non è più un problema, ora dobbiamo risolvere una questione più importante.- ribatté con pacatezza Rasiel- Dobbiamo decidere delle sorte di questo piccolo fratello, giudicare se ha tradito o no.

Ma Alis non li ascoltava più: Che vuol dire che non è più un problema?- sussurrò con un filo di voce.

Ma nessuno si degnò di rispondere.

Terrorizzato, angosciato per qualcosa che aveva solo la sensazione dovesse essere accaduto, si voltò febbrilmente guardandosi intorno.

E trovò ciò che cercava.

Gli angeli accanto a lui riuscirono ad afferrarlo prima che potesse gettarsi verso il corpo riverso a terra, in un bagno di sangue e in mezzo ai cadaveri degli Ishim che aveva abbattuto prima di venire ucciso a sua volta.

-Che significa questo tuo comportamento?- ruggì Rasiel e il suo tono aveva smesso di essere rassicurante.

Ma ad Alis non importava mentre tentava di divincolarsi dalla stretta dei suoi carcerieri.

- Lo avete ucciso!- gridava disperato- Avete ucciso Shadya!

Rasiel lo afferrò per un braccio strattonandolo violentemente e strappandolo così alla presa dei compagni: Ti ha dunque sedotto fino a questo punto?- domandò con voce terribile. La sua mano corse a spalancare la porta di ferro che aveva accanto ed Alis vide una stanza priva di finestre prima di essere gettato contro il pavimento umido- Pensavo che essendo così giovane fosse ancora possibile salvarti!- continuò Rasiel mentre insieme ad un gruppo dei suoi entravano nella stanza e chiudevano la porta dietro di loro- Hai idea di quale sia la punizione per chi tradisce Dio?

-Io non L’ho tradito!- giurò con enfasi Alis.- E’ stato Lui a darmi a Shadya, io ho fatto solo quello che Lui voleva!

Rasiel parve rimanere fulminato a quella affermazione, i suoi occhi sgranati fissarono Alis come se volessero incenerirlo: Usi il nome che quell’infame ti ha dato, rinnegando il nome impostoti per volontà di Dio, dici che Lui ti ha dato ad un ammazzangeli…! Sei pazzo o sei corrotto fino al punto di credere alle assurdità raccontateti da quel demone?

-Lui non mi ha mai detto niente del genere…- ribatté Alis.

-E allora come sono arrivate simili idee alla tua bocca?

-Perché…io sto bene con Shadya.- rispose in tono flebile il ragazzo- Lui è sempre stato gentile con me ed io gli voglio bene!

Per un attimo Alis fu convinto che Rasiel lo avrebbe ucciso tanta e tale era la sua rabbia alle parole del ragazzo. Poi però lo vide riprendere il controllo delle proprie emozioni, ma questo fu meno tranquillizzante di quello che sperava. Adesso negli occhi del serafino brillava una determinazione cieca e fredda, come se avesse preso una decisione che, per quanto dolorosa, era l’unica possibile. Alis lo vide fare un cenno a due degli angeli che aveva accanto e quelli si mossero con rapidità e sicurezza. Il ragazzino fu tirato in piedi e uno dei due angeli gli legò strettamente i polsi, mentre l’altro faceva passare l’estremità più lunga della stessa corda intorno ad un tubo metallico appeso di traverso al soffitto.

-Non volevo certo arrivare a questo,- stava intanto affermando Rasiel con voce incolore- ma tu non mi lasci scelta. Hai tradito Dio, ora ti do l’ultima possibilità di pentirti e chiedere il Suo perdono.

-Ma io non ho fatto niente.- sussurrò Alis pallido per la paura.

-Alisiel, mi hai costretto ad ucciderti!- ruggì Rasiel muovendo un passo verso di lui.

I due angeli tirarono la corda ed issarono il corpo fragile del ragazzino a pochi centimetri dal suolo.

Ora il volto di Rasiel era così vicino che Alis sentiva il suo respiro caldo sulle guance: Sei già dannato, lo sai questo? Hai determinato la tua caduta con le tue stesse mani: sei diventato il compagno di una creatura infernale, di un assassino della tua stessa gente! E dici di non aver fatto nulla!

-Shadya non ha mai fatto niente contro di me.- rispose Alis con le lacrime agli occhi.

Le dita di Rasiel si tesero davanti al corpo sospeso, un cono di luce brillante investì Alis e gli strappò un grido di dolore, mentre le ali bianche comparivano sulla sua schiena e si abbandonavano senza forza lungo i fianchi. Rasiel non gli permise di svenire, afferrandolo per i capelli lo costrinse a sollevare il volto e a fissarlo negli occhi.

-Hai disonorato queste ali! Hai disonorato la tua stessa essenza! Sei un demonio anche tu ora, e peggiore di quello a cui hai venduto la tua fede!

Quando Rasiel afferrò le sue ali per strapparle, Alis pensò che quello era molto peggio che la morte.

Un dolore così forte da impedirgli anche di gridare gli trapassò l’anima stessa e lo gettò in un istante infinito di angoscia ed orrore. Sentiva il cuore scoppiargli nel petto e le lacrime che i suoi occhi versavano affondare con crudeltà nella carne e trafiggerlo.

Lui non Lo aveva tradito! Non Lo avrebbe mai tradito!

Perché ora Dio lo puniva per qualcosa che non aveva fatto?

“Dio mio, mio Signore, io Ti appartengo oggi come sempre. Non farmi questo, per pietà!”

Fu il suo ultimo pensiero cosciente.

 

Shadya sentiva la voce come se provenisse da un luogo lontanissimo.

E forse era davvero così.

L’ultima cosa che ricordava era che aveva ucciso quegli Ishim. Ma loro erano troppi.

Avrebbe voluto avere il tempo di sentire il sapore del sangue, leccarlo via dagli artigli. Ma erano proprio troppi.

E la loro stupida trappola aveva funzionato.

Sciocco.

Troppa fretta. Troppa.

Alis era rimasto fuori. Ma cosa avrebbe fatto senza di lui.

Aveva voglia dell’odore di Alis.

Cos’era quella voce?

Un canto. Un canto bellissimo.

Lo aveva sentito altre volte. Un’altra volta. Da un uovo. Da un cucciolo d’angelo.

Il grido di dolore di quell’anima non era un sogno!

Shadya spalancò gli occhi.

Intorno a lui i corpi senza vita degli angeli, davanti a lui altri Ishim. Di quelli che erano sopravvissuti.

E quel grido nelle orecchie.

Alis!

Shadya ringhiò il proprio odio. Un ringhio basso, sommesso, gli angeli se ne accorsero ma non lo credevano davvero possibile e così, quando si voltarono, non erano pronti.

Shadya leccò il sangue dagli artigli, il sangue di Ishim aveva un sapore migliore. Soprattutto quando sopravvivevi ai loro agguati. Le ferite sul suo corpo non lo preoccupavano, gli ci sarebbe voluto molto tempo per guarire ma lo avrebbe fatto.

...Alis!

Lui lo chiamava.

Non aveva mai sentito tanta paura nella sua voce. Tanto dolore.

Spalancò la porta di ferro con rabbia. Rasiel si voltò, lasciando andare il corpo esanime di Alis, che ricadde sospeso alla corda. Quella vista ebbe su Shadya un effetto peggiore di qualunque droga.

Il demone fissò come inebetito il volto pallido ed immoto del ragazzino, prima che la sua rabbia trovasse sfogo tutta in una volta. Dimentico della battaglia già combattuta e delle ferite già subite, piombò in mezzo agli angeli come una furia assassina, il suo tormento feroce fu gridato al cielo mentre gli artigli affondavano inesorabili. Li uccise tutti senza pietà e senza gioia, solo il dolore del corpo di Alis sospeso nell’aria, lontano dalle sue mani. Rasiel fu l’ultimo a morire, ma questo non bastò a dargli il tempo di fuggire.

Sfinito, Shadya sollevò gli artigli estraendoli dal cadavere sfigurato che era stato il capo degli Ishim. Il demone era coperto dalla testa ai piedi di sangue e gran parte di esso gli apparteneva, il primo scontro lo aveva davvero stremato al limite delle sue capacità di resistenza, ma la voce di Alis, la paura ed il tormento di Alis, lo avevano richiamato lì.

Ed ora il suo cucciolo aveva ancora bisogno di lui.

Tirandosi in piedi arrancò lentamente verso la figura fragile sospesa al soffitto e tagliò la corda, accogliendo il corpo tra le braccia tese come tanti anni prima aveva fatto con un fagotto di piume e boccioli di rosa. Le ali bianche pendevano inerti dalla schiena, dove si apriva una brutta ferita.

Delicatamente Shadya sollevò il volto pallido accarezzandolo con i micidiali artigli.

…Aveva ucciso così tanti angeli da sapere.

Da sapere fin troppo bene…

Il respiro di Alis era solo un soffio sottile e presto si sarebbe spento.

Shadya raccolse da terra un vecchio cappotto appartenuto ad uno degli Ishim e vi avvolse Alis, adagiandolo poi al suolo.

Forse un modo c’era. Ma come poteva chiederglielo?

-Alis.- sussurrò come faceva sempre.

Un tremito debole scosse le membra delicate e gli occhi di mare si aprirono lentamente, febbricitanti.

-Sei vivo.- soffiò piano Alis.

-Mi hai disubbidito di nuovo.

-No,- sorrise l’angelo- stavolta no.

Il volto di Shadya si fece più vicino mentre lui si piegava a parlargli: Stai morendo, Alis.- gli disse solo.

Lui annuì: Non potrò tornare. Quando sono piccoli come me non li fanno tornare.- ricordò- Io sono solo un Custode.

-E non hai nemmeno un’anima da custodire.

-Questo non è vero.- rise sommessamente Alis- Io ti ho fatto tornare indietro, ti ho salvato. Un’anima l’ho custodita: la tua.

-Alis, non voglio che tu vada via. Io non ti lascerò andar via.- mormorò Shadya con fermezza- Tu appartieni a me.

-Si, Shadya. Io appartengo a te.

-Dimmi che vuoi restare.- ordinò il demone.

-Non posso.

-Dillo.

-No, non posso.- ripeté con calma l’angelo.

-C’è un modo.- suggerì Shadya.

-Lo so.

-Fai la tua scelta, Alis.

L’angelo non rispose. Il suo sguardo si spostò sul soffitto immobile sopra di loro.

-Hanno detto che io ho tradito Dio, ma non è così.- cominciò in tono appena udibile.- Che avevo causato la mia caduta, che ero un demonio per aver accettato la compagnia di chi uccideva la mia stessa razza. Ma tu sei sempre stato gentile con me, mi hai sempre protetto…

S’interruppe. Forse alla fine una decisione l’aveva pur presa.

-Ho paura, Shadya.- mormorò terrorizzato- Ho paura dell’oscurità che mi attende in ogni caso da qui in poi.- Si voltò a guardare il demone e chiese soltanto- Tu sarai con me sempre, vero?

Era un bambino e lo sarebbe rimasto in eterno, qualunque scelta facesse la sua anima non sarebbe mai potuta essere davvero contaminata dalle tenebre. Shadya sollevò una mano per accarezzargli la guancia, ma quando si rese conto che era ancora un artiglio la ritrasse senza sfiorarlo.

Come se all’improvviso si vergognasse di quello che era.

-Oh, non importa, Shadya.- affermò quietamente Alis- Lo so già quello che pensi. - Con un respiro profondo riprese fiato- E tra poco importerà ancora meno.- sorrise debolmente- Lo sai, gli angeli non mi piacciono più così tanto come prima, non sono stati gentili con me. Forse è davvero colpa mia, però.- s’interruppe di nuovo, un’espressione di una dolcezza che solo lui riusciva ad avere nello sguardo blu- Lui mi ha dato a te, io non lo so il motivo ma va bene lo stesso. Se io me ne vado, chi sarà il tuo Angelo Custode?

Shadya si levò in piedi raggiungendo i corpi abbandonati al centro della stanza, uno di loro era ancora vivo. Lo afferrò per il bavero della casacca e se lo trascinò dietro mentre tornava verso Alis.

Negli occhi del cucciolo d’angelo leggeva un terrore senza eguali, ma Alis non disse nulla e lasciò che Shadya gli s’inginocchiasse al fianco.

-Alis, bevi ed io sarò con te per sempre.- promise.

Gli artigli si mossero con una velocità sorprendente e tagliarono con un unico colpo secco la gola dell’angelo che aveva trascinato fin lì. Un fiotto di sangue rosso brillò macchiando Alis. Il ragazzino esitò. Poi, lentamente, si sollevò sui gomiti, chinando il volto sulla gola scoperta dell’angelo e bevve il sangue caldo.

Alis sentì il dolore per la ferita sciogliersi in una nuova sensazione. Un gelo freddo penetrò nelle sue membra e lo lasciò intorpidito e solo. Era come se all’improvviso fosse stato strappato a quanto aveva di più caro al mondo.

La voglia di piangere lo prese nella sua morsa.

Disperatamente le sue mani brancolarono cercando un sostegno, mentre respingeva da sé il corpo dell’angelo che aveva ucciso. Sentì che qualcuno lo abbracciava, sentì il tocco di dita artigliate che sfioravano i suoi capelli.

Era Shadya. Ma adesso le sue labbra sulla pelle non erano più così fredde ed il suo corpo emanava un calore tranquillizzante. Alis rimase stretto a lui piangendo. Aveva paura di dover aprire gli occhi per scoprire la verità della propria scelta. Paura di vedere quell’angelo morto.

Paura di vedere con gli occhi di un demone.

-Alis, io sarò con te per sempre.- tornò a ripetere Shadya, rassicurante.

Ora dalla sua voce era sparita quella nota di freddo metallo che aveva sempre udito e che lo spaventava così tanto.

“Dio, l’ho fatto davvero?! L’ho fatto davvero?!” domandò disperato.

Ma sapeva che non avrebbe più trovato conforto in Lui: ciò di cui Rasiel lo aveva accusato era infine compiuto.

Alis aprì gli occhi. Le tenebre non erano fitte come ricordava. Non c’era pace nel suo cuore, anche se aveva scelto si sentiva svuotato e fragile. Senza nessuno in cui confidare. Senza più la sicurezza di un Amore che lo custodisse e guidasse.

E che infine lo attendesse alla fine della strada.

-E’ tutto diverso ora.- mormorò guardando il mondo per la prima volta- Cosa sarà di me, adesso?

Sentì la voce di Shadya sussurrargli all’orecchio come faceva sempre, un sussurro tenero, caldo: Io ti proteggerò e ti sarò accanto per l’eternità. Tu sei il mio angelo custode, ricordi Alis?

 

 

Le Ali dell’Angelo                                                                                                                                                         

MEM. 2002

 

 

 

  
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