Capitolo 20
«Non stai dicendo sul serio, no, non può essere» continua a mormorare come un sermone Emily.
Siamo ancora nella sala d’aspetto, insieme a molti componenti del
branco di La Push. Dai loro volti si capisce quanto soffrono per le
condizioni del nonno, ma il medico è stato chiaro, purtroppo:
è in coma, e non sanno se e quando ne uscirà.
Se penso già al fatto che non vedo mia madre da anni, e non so
minimamente che fine abbia fatto, non oso pensare cosa farò se
anche Charlie dovesse andarsene.
Lui è l’ultima persona che mi lega a lei, il mio unico
contatto, la mia ancora nei momenti di sconforto. So che sta male,
forse più di me, ma non posso fare a meno di essere egoista.
Sono orribile, mentre lui sta in quel letto freddo e non familiare, io
penso che debba guarire per alleviare le mie sofferenze, per non
perdere anche quel pezzetto che fa parte della vita umana di mia madre.
Porto le mani a coprire il volto, mentre i singhiozzi mi scuotono il corpo.
«Sono un mostro».
«Perché dici questo, Nessie?» mi domanda Emily,
abbracciandomi. Mi lascio cullare dalle sue braccia esili, mentre
un’ombra si staglia davanti a me.
«Nessie, non dirlo mai più. Tu non sei un mostro» sibila Jake, avvicinandosi sempre più.
Sollevo di poco il capo, notando che si è inginocchiato ai miei
piedi. Afferra le mie mani, scostandole dal mio viso, guardandomi con
una serietà che mai ha sfiorato il suo volto.
«Ti prego, non pensarlo mai più». Stringe più
forte la presa, e con uno strattone, mi attira a sé,
avvolgendomi nelle sue braccia forti e muscolose.
«Mi dispiace…» sussurro con la bocca che preme sulla
sua t-shirt. Mi aggrappo a quel morbido tessuto, con una forza tale che
potrei anche strapparla, se facessi più pressione con le mie
dita.
Scosto di poco il capo, notando Emily sorridere, nonostante le lacrime
che solcano le sue guance ambrate, tipiche della tribù di La
Push. Si alza, facendomi un gesto con la mano, e si dirige verso Sam,
che sta discutendo con il dottore che si occupa di Charlie.
Quil ed Embry cercano di confortare Sue, che non smette più di singhiozzare.
Tutta la tensione che ho accumulato in questi anni sembra essersi dilagata in questo luogo.
«Hai chiamato i Cullen?» mi chiede Jacob.
Diniego con il capo, lasciandomi accarezzare dalle sue mani grandi, seduti nelle sedie più distanti dagli altri.
«Non dovremmo dir loro quello che abbiamo scoperto?» incalza lui con le domande.
Già, oltre alla tragedia che vede protagonista Charlie, persino questa nuova e sconvolgente verità.
Mia madre è stata adottata.
Se l’avessi scoperto in circostanze diverse, magari me ne
avrebbero parlato, sarei scoppiata a ridere, denigrando la notizia.
Perché avrei ritenuto folle chiunque avrebbe fatto un minimo
accenno o avrebbe dato conto a questa scoperta.
Eppure, qui in ospedale, senza lasciar spazio a dubbi o menzogne, ecco
che questa verità viene a galla, facendomi tremare come non mai.
Nonostante Emily continua a ripetersi che non può essere vero,
io comincio ad assimilare e far mia questa inaspettata notizia.
Adozione… non ho mai pensato a mia madre come una figlia adottata, come un essere estraneo anche a Charlie.
Perché a questo punto, quell’uomo disteso nel lettino, non
è più mio nonno, ma un uomo che non ha nulla a che vedere
con le mie origini.
«Tu dici che dovremo dirlo anche a loro?» gli rispondo di rimando, chiudendo gli occhi.
In questo momento vorrei solo correre via, lontano da tutto e tutti,
magari nella radura in cui mi ha portato mio padre diverse volte.
Lì, soltanto in quel luogo, io mi sono sentita in pace, con nessun pensiero angosciante a sfiorarmi la mente.
Invece mi trovo qui, in un ospedale, con un nonno che non risulta
davvero tale, una famiglia con cui non riesco più a dialogare
senza scatenare una lite, un vampiro che si intrufola nei miei sogni
ogni qualvolta lo desidera, e un migliore amico che sembra nascondermi
certi suoi sentimenti.
«Beh, Nessie, non è una cosa che
puoi nascondere ai tuoi familiari. Credo che debbano saperlo,
no?» mi fa notare, asciugandomi con i pollici le lacrime sul mio
viso.
«Cosa credi che servirà saperlo o meno? Rischierei di
turbarli ancor di più. Preferisco tenere per me questa notizia,
se non ti spiace. Ti prego, non dirlo agli altri. Lo sa solo Emily, e
probabilmente lei lo dirà a Sam. Fai in modo che gli altri non
lo sappiano»
Lui annuisce, anche se il suo sguardo dubbioso la dice lunga su come dovremmo agire.
«In fondo non cambia molto, no? Tua madre resterà sempre
figlia di Charlie, e tu resterai sua nipote… non cambierà
il legame che vi unisce, Nessie, non dimenticarlo mai» mi dice,
scostandomi di poco per poter puntare i suoi occhi scuri nei miei.
Vorrei potergli credere, ma sento che qualcosa è pur sempre
cambiato, anche se l’affetto che provo per quell’uomo con
la barba pungente resterà sempre nei miei ricordi, nei miei
momenti di felicità, scolpiti nella mia memoria indelebile.
«È vero, resterà mio nonno, ma ciò non
toglie che mia madre a conti fatti è un’estranea per lui,
così come lo sono io»
Lui sorride, scuotendo la testa. «Secondo te, un uomo che vede
scomparire un giorno sua figlia, anche se adottiva, si comporterebbe
così? Entrerebbe in coma per una ragazza che considera
estranea?»
Mi mordo con forza il labbro inferiore, non sapendo cosa dire. Ha ragione, ha maledettamente ragione…
«Cos’è? Il gatto ti ha mangiato la lingua?» scherza lui, dandomi un buffetto sulla guancia.
Sorrido, inconsapevolmente o meno, e avvolgo in un abbraccio le
ginocchia, dondolandomi sulla sedia proprio come facevo da piccola.
«Oh, finalmente un sorriso! Vedrai che tuo nonno si riprenderà presto, stai tranquilla»
Appoggio il capo sulla sua spalla, sentendo le palpebre chiudersi per la stanchezza.
«Ti voglio bene, Jake».
Lo sento tremare, e poi emettere un sospiro. «A… anche io… ti voglio bene, Nessie»
Mi allontano sempre più da quell’ospedale con la mente,
scivolando nel dolce torpore del sonno, ma riesco comunque ad udire una
voce lontano…
«Ma forse quel “ti voglio bene” che intendi tu, non è quello che intendo io…»
***
Un
odore di legno bruciato mi giunge alle orecchie, destandomi dal sonno.
Mi accorgo di un peso, una coperta poggiata sopra il mio corpo.
Mi trovo distesa su un divano arancio, non uno qualunque, ma quello che
vi è nella casa dei miei genitori… la casetta nel bosco.
Stropiccio gli occhi, mentre la mia attenzione viene attirata da una
schiena, una nuda, vicino al camino, intenta a sistemare i pezzi di
legno.
Sembra non essersi accorto del fatto che io sono sveglia.
«Jacob?» lo chiamo.
Al suono della mia voce, si volta di scatto, sorridendomi gentile. «Vedo che ti sei svegliata…»
«Sì, credo di aver dormito parecchio…» constato, osservando le nubi filtrare i raggi lunari.
È sera, probabilmente anche notte inoltrata. Ed io sono qui, sola con Jake.
«Perché siamo qui?» gli chiedo, esitante. È
da molto tempo che non metto piede in questa casa, probabilmente da un
paio d’anni, ma è molto dura tornare in un luogo in cui la
nostalgia mi getta nello sconforto più totale.
Ed io non voglio sentirmi così, non voglio soffrire più di quanto già non faccio adesso.
«Avevi bisogno di riposare, così ti ho portata qui. I
Cullen non sanno ancora che Charlie è all’ospedale, e
probabilmente non era il caso che lo dicessi io a loro. Tocca a te, no?
Io ti potrò accompagnare, sostenere, ma spetta comunque a
te»
Già… tocca a me dir loro delle condizioni di Charlie. Mi
passo una mano tra i capelli, portandoli indietro. Jacob mi fissa
serio, senza proferire parola.
Lo scuto interdetta, scrollando le spalle. «Beh? Cosa c’è? Perché mi fissi in quel modo?»
Apre la bocca per parlare, ma poi la richiude, scuotendo la testa e sorridendo.
«Parla!» sibilo a pochi centimetri dal suo volto.
«Anche tuo padre faceva quel gesto quando era nervoso. Sai, tua madre lo raccontava…»
«Spesso, lo so» lo interrompo brusca. Non ho bisogno dei
suoi ricordi. So perfettamente cosa mio padre faceva, e cosa raccontava
mia madre.
«C’ero anche io, Jacob. Grazie per avermi rinfrescato il
fatto che ho molto in comune con quel vampiro» sputo sarcastica.
Ci manca solo lui per ricordarmi che mio padre non è qui, ma
chissà dove, a fare chissà cosa, in questo momento.
Ecco gli svantaggi di un padre vampiro: quando si innamora, i figli vengono al secondo posto. Inutile sperare di cambiarlo.
«Forse è meglio che lo contatto io, allora…»
dichiara, poi osserva il mio sguardo truce e si corregge. «Si, lo
contatterò io. Evitiamo una strage in famiglia».
Evito di rispondere al suo ultimo commento pungente, e scosto le
coperte. Sono ancora vestita come prima, perciò sarà
meglio andare ad indossare qualcosa di nuovo.
Mi avvio verso la cabina armadio, quella che mia madre guarda sempre
con occhio critico e incredulo. Apro l’anta dove si trovano i
miei e prendo un paio di jeans e una maglia di lino.
Dopo qualche minuto, entrambi corriamo in direzione della villa Cullen, senza parlare.
Arrivata davanti all’ingresso, mio nonno si appresta ad aprirci, dopo avermi lanciato uno sguardo di rimprovero.
Sicuramente è infuriato del fatto che non mi sono fatta sentire per tutta la giornata.
Lo sorpasso senza guardarlo negli occhi, anche se so di aver sbagliato.
Non voglio dare loro spiegazioni di quello che faccio. Sono adulta
ormai, e gli unici che avrebbero dovuto avere voce in capitolo sono
andati via.
Non possono proprio obbligarmi a comportarmi come una nipote modello,
anzi, l’unica nipote per… si, per l’eternità.
«Qual buon vento ti porta da queste parti, Nessie?» mi
riprende zia Rose. Rare volte l’ho vista arrabbiata con me, e
questa è una di quelle.
Mi volto nella sua direzione, deglutendo e cercando una risposta da
maschiaccio degna delle mie, ma lei è più veloce di me.
«Non ti sforzare di trovare qualche patetica scusa. Con me non
attacca. Ti rendi conto che è da questa mattina che non chiami?
So che eri da Charlie, o almeno è quello che sappiamo che fai da
un po’» e incrocia le braccia al petto, restando ai piedi
delle scale, con lo zio Emmett dietro di lei, che cerca inutilmente di
calmarla.
«Voi non siete i miei genitori, non pot…» ma vengo interrotta.
«Sempre la solita. Ripeti fino allo sfinimento che non siamo i
tuoi genitori, che non possiamo prendere il loro posto e sai una
cosa?» sibila zia Alice, comparendo dietro di me, con sguardo
duro, «noi non vogliamo essere i tuoi genitori. Non vogliamo
prendere il loro posto. Vogliamo esserti vicino, proprio come dovrebbe
fare una famiglia. Ma tu non vuoi una famiglia… non è
così?» conclude, abbassando lo sguardo.
Stringe i pugni, mentre, come un lampo, compare Jasper, che
l’avvolge tra le braccia, guardandola preoccupato. Lei scosta le
braccia con forza, dirigendosi come una furia verso il piano superiore.
Jasper non dice nulla, mi guarda, avvertendo le mie emozioni. Sale alla
sua velocità le scale.
E l’ultima cosa che sento sono un singhiozzo soffocato e una
finestra che si apre. Poi due figure si allontanano velocemente.
Jacob è dietro di me, il nonno e la nonna sono alla mia destra.
Non oso guardarli, ancora una volta li ho delusi con il mio
atteggiamento.
«Siamo venuti per un motivo preciso, Carlisle. Litigare è
l’ultima cosa che ci serve, in questo momento» dice Jake,
rompendo quell’atmosfera di tensione che si è venuta a
creare.
Mio nonno si avvicina a noi, mentre io sprofondo nel divano del
salotto, cercando di trovare il coraggio di pronunciare quelle parole.
«D’accordo, diteci cosa ti porta qui. Con Nessie ne
discuteremo dopo…» sbuffo alle sue parole, ma non rispondo.
«Ecco, noi stamattina siamo stati da Charlie e…»
Interrompo Jake con un gesto della mano, facendogli segno di sedersi.
«Charlie si è sentito male questa mattina, l’abbiamo
portato in ospedale»
«Cosa?» sussurra il nonno, strabuzzando gli occhi. Mia
nonna comincia a singhiozzare, mentre Emmett si avvicina per farle
forza e sorreggerla.
Zia Rose resta lì davanti, senza muoversi. Nei suoi occhi scorgo un lampo di comprensione per me.
«Come sta, adesso?» domanda Emmett per tutti.
«Lui è…» ma vengo interrotta dallo squillo di un cellulare.
Subito il nonno lo sfila dalla tasca, accigliandosi. Lo fissa per
diversi secondi, mentre continua a squillare. Mia nonna si avvicina,
fino a sfiorargli il tessuto del maglione.
«Chi è, Carlisle?»
«È Edward» le risponde. Subito mi irrigidisco, e stringo le mani a pugno.
E così mio padre si fa sentire… cos’è? Ha un sesto senso per le disgrazie?
Sa quando accadono e decide di tornare?
«Rispondi, no?» lo incita la nonna, ma dopo un millesimo di secondo, il telefono smette di suonare.
Mio nonno compone il numero di mio padre e resta in attesa. Lancio
un’occhiata a Jake, che mi stringe una mano, aprendo il palmo e
facendomi calmare almeno un po’.
Nel silenzio, scandito solo dal battito del cuore mio e di Jake, unito
ai nostri respiri, un cellulare che squilla fuori dalla villa.
«Questo è il cellulare di Edward…» fa notare
zia Rose, scattando verso l’uscita. Emmett la segue a ruota,
preoccupato per la zia e insospettito da tutto questo. Poi escono il
nonno e la nonna. Jake si alza e trascina fuori anche me, nonostante i
miei occhi parlino chiaro: non lo voglio sentire, né vedere, se
si trova qui.
Nell’oscurità della foresta alle spalle della villa, una
figura sta inginocchiata a pochi passi dal fiume. La luna illumina solo
metà del suo profilo.
I capelli sembrano proprio quelli di mio padre… ribelli come sempre.
Ci avviciniamo cauti, con Jake, il nonno e Emmett davanti, per proteggerci nel caso si trattasse di un altro essere o vampiro.
Dal fitto della boscaglia dietro di noi, due odori familiari giungono alle nostre orecchie.
Zio Jasper e zia Alice corrono verso di noi. Lui teso e preoccupato, lei con la mascella serrata.
Ci sorpassano, fino a raggiungere la figura inginocchiata.
«State attenti» sussurra mia nonna, consapevole che loro possono sentirla anche a quella distanza.
Zia Alice poggia una mano sulla sua spalla, mentre zio Jasper osserva la scena guardingo.
Il cellulare è per terra, che continua a squillare.
La zia lo fa voltare, e ci rendiamo conto che finalmente mio padre è tornato a casa.
Tutti i Cullen, tranne io e Jake, corrono ad abbracciarlo, eppure sento che c’è qualcosa di strano.
Mio padre li osserva in modo strano; tutti, nessuno escluso.
Lo sguardo di Alice si fa vacuo, finché non porta entrambe le mani alla bocca, sino a coprirla del tutto, terrorizzata.
Mio padre si alza, fino ad incrociare il mio sguardo. Infilzo le unghia
nella pelle di Jake, ma non urla, non dice una parola. Sente anche lui
che c’è qualcosa che non va in lui, finché non si
pone a pochi centimetri da me.
«Ti conosco, forse? Hai un volto familiare, ma non mi ricordo di te?» dice, ed io sbarro gli occhi.
Mi accascio a terra, sotto lo sguardo sconvolto di tutti, persino Jake, che boccheggia peggio di un pesce.
Mio padre si prende la testa fra le mani, fino a sprofondare anche lui nel terriccio.
«La mia testa… sta scoppiando. Ho una grande confusione,
ma sento che tu puoi aiutarmi» e punta il suo sguardo sofferente
sul mio, «ti prego… aiutami» e mi stringe in un
abbraccio, poggiando la sua testa sul mio grembo.
La mia mano si muove da sola, finendo tra i suoi capelli, accarezzandoli.
Dovrei odiarlo… odiarlo come mai prima d’ora ho fatto. Lui
mi ha abbandonato, mi ha lasciata sola, e adesso mi chiede aiuto.
Dovrei cacciarlo, allontanarlo da me, urlandogli contro tutto quello che mi sono tenuta per anni. E invece…
«Non temere, ci sono io adesso» e solo in questo momento mi
accorgo delle lacrime che scivolano giù dai miei occhi, bagnando
i suoi capelli.
Angolo autrice:
Già, sembra un miracolo, ma sono tornata.
Mi scuso per non aver risposto a tutte le recensioni, ma questo
significava non aggiornare oggi, perciò ho preferito postare e
non farvi aspettare ancora. Ho risposto a circa la metà, nel
precedente capitolo, martedì risponderò alle restanti.
Sapete che rispondo sempre, perciò vi chiedo scusa.
Spero che questo capitolo vi piacerà e stupirà alla fine, il mio intento è proprio questo. :-P
Per qualsiasi avviso, andate nel mio blog, troverete il link nella mia
pagina autrice, oppure mi potete contattare su facebook, anche
lì metto gli avvisi.
Per ultimo, non meno importante, vi auguro buon Ferragosto anticipato, dato che io non ci sarò in questi giorni.
A presto.