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Autore: monochrome    14/08/2011    2 recensioni
Albina Severi, Al per gli amici, stronza megalomane per tutti gli altri, ha poche certezze, certezze che l'aiutano a mantenere quella sicurezza di sè di cui fa sfoggio ogni giorno, quell'arroganza e quel sarcasmo che la contraddistinguono. Ma poi, piano piano, senza rendersene conto, si cresce, le situazioni cambiano, i rapporti cambiano e le certezze cadono una ad una.
***
Dal capitolo 7:
«Diamine Al! Sei così dannatamente fragile! Ti atteggi da dura, ma sei porcellana finissima che può rompersi alla prima caduta. Come potrei farti questo?»
Deglutii.
Non sapevo che dire, non sapevo che diavolo fare. Sapevo che avevo ancora voglia delle sue labbra e nessuna intenzione di rinunciare alla mia indipendenza per nessuno al mondo. Mattia sembrava il ragazzo perfetto per me, perfetto per darmi affetto e ricevere il mio, senza obblighi o etichette di sorta. Perché avrei dovuto rinunciarvi? Perché avrei dovuto lasciarlo andar via? Cosa mi tratteneva? Forse la consapevolezza che non sarebbe mai stato solo e unicamente mio?
Aderii nuovamente col mio corpo al suo, alzandomi in punta di piedi per sfiorare col mio respiro le sue labbra gonfie.
«Sono io che voglio farlo»
Fu lui a far combaciare le nostre labbra, gentilmente.
Mi vidi costretta a tirargli i capelli per fargli aprire quella dannatissima bocca!
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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All my Certainties

Shelly-Ann Fraser




Mi rassettai la gonna un'ultima volta davanti allo specchio, tentando di lisciarla e tirarla giù a coprirmi un po' più le gambe. Mi mordicchiai un labbro, nello studiare la mia figura allo specchio. Mi girai, facendo tintinnare la cintura dorata che portavo sui fianchi. Infine annuii: gonna di jeans, canottiera blu, golfino marrone aperto sul davanti, stivaletti del medesimo colore e accessori in oro era un perfetto abbinamento per uscire con Mattia.
Afferrai il cappotto blu, la borsa abbinata e uscii dalla camera a passo spedito. Lanciai uno sguardo raggiante a mia madre che, in salotto, davanti alla tv, mi rispose con uno sbuffo e un'occhiata perplessa.
Sbuffo e occhiata perplessa?
Mio dio, ero completamente impazzita?! Tornai di corsa in camera, lanciai gli stivaletti da qualche parte, la gonna sopra una lampada e chissà dove finì la canottiera in quella smania di togliermi di dosso quei vestiti orribili. Come avevo solo potuto pensare di mettere il naso fuori dalla camera conciata in quel modo?!
Presi in considerazione di indossare un vestitino grigio e nero in stile impero, semplice, carino, né troppo lungo né troppo corto. Lo stavo indossando, quando mi resi conto che sembrava stessi andando a un funerale. Serviva qualcosa di brioso porca miseria!
E allora cercai golf e magliette allegre, vivaci, di colori sgargianti come il rosso, l'arancione, l'azzurro o il verde e fu allora che arrivò quella consapevolezza: ero una persona estremamente triste. Non avevo un solo capo che variasse dai neutri toni del nero, grigio, blu, bianco e marrone. Forse avevo una gonna rosa antico da qualche parte ma...
Mi lasciai cadere sul letto, sconsolata, con in mano solo due stupidi cardigan neri. Perché non ne avevo mai comprati di... che diavolo ne so, fucsia?!
Mia madre era comparsa sulla soglia di camera mia, con quel suo sopracciglio alzato e un'espressione dubbiosa che esprimeva a pieno il mio pensiero principale: cosa diavolo ci si mette ad un primo appuntamento?
«Si può sapere cosa stai facendo Albina?»
Cosa diavolo stavo facendo? Non lo sapevo nemmeno io. Improvvisamente non ebbi più molta voglia di uscire.

«Sei in ritardo» constatai, quando alle quattro e sette Mattia mi raggiunse davanti alla biglietteria del cinema.
Lui non diede il minimo segno di aver notato quella precisazione, né di essere dispiaciuto o di aver perlomeno tentato di recuperare il ritardo. No, lui era arrivato tranquillo, tanto calmo che sembrava emanare profumo di rose dai pori, senza nemmeno una piega su quella sua dannata camicia a righine azzurre e i suoi stupidi capelli acconciati con quel look falso spettinato da spocchiosi.
Presi un bel respiro: ero troppo acida persino per i miei standard. La ricerca del vestito perfetto mi aveva innervosita oltre misura. Primo, perché improvvisamente nessun capo riposto nella mia cabina guardaroba sembrava starmi bene; secondo, perché io non ero il tipo che si provava cinque abbinamenti maglietta-calzini diversi per poi rendersi conto che tanto i calzini, con gli stivali, nessuno li avrebbe visti. Ma in quell'ora di puro delirio li avevo voluti abbinati e la cosa mi irritava al solo pensiero. Visto e considerato, però, che io non mi irritavo mai da sola, l'unica spiegazione possibile a quel mio improvviso sragionare era Mattia. Ecco, in quel momento avevo deciso che Mattia mi irritava enormemente.
Mi irritava il suo sguardo caldo, mi irritava il suo dannato ciuffetto ondulato, mi irritavano le sue labbra, il suo naso perfetto, mi irritava la sua camicia e il modo in cui faceva risaltare i suoi occhi. Mi irritavano persino le sue scarpe, delle dannatissime converse blu. Perché cavolo si era messo delle converse blu? E perché cavolo mi stava fissando con quell'occhietto critico e le mani nelle tasche dei jeans?
«Sei venuta di corsa?» domandò, scettico.
Scossi la testa.
«In vespa.» risposi, piatta e, forse, visibilmente irritata.
«Ma eri andata a correre.» continuò, e questa non era una domanda.
Sbuffai, incrociando le braccia sotto il seno, ormai spazientita.
«Mattia, il primo passo per conoscermi è sapere che anche se dalla vittoria dei cento metri in piano potesse dipendere la soluzione all'atroce dubbio sul vero orientamento sessuale di Clooney, e io lo do per gay, io non correrei. Io non corro. È roba da narcisisti e masochisti!»
Per poco non gli ringhiai contro. Oh, quanto ero nervosa. E il suo sorriso di scherno decisamente non aiutò.
«Ok» disse solo, accondiscendente. «Visto il tuo odio per i velocisti, la prossima volta evita di vestirti come Shelly-Ann Fraser. Specialmente a un appuntamento.» Sottolineò quella parola, non so se per darmi fastidio o perché fosse risentito dal mio abbigliamento. Alla fine, avendo constatato che mi facevo schifo con tutto, avevo convenuto che, schifo per schifo, tanto valeva vestirmi con i pantaloni della mia tuta della Nike, una canottiera e un golfino aperto sul davanti.
Alzai un sopracciglio, a mo' di sfida. Poi però rinunciai, pensando che mi sarei solo incazzata di più, e lui solo divertito ulteriormente. In ogni caso, perdevo io.
«Che film vorresti vedere?»
Ci voltammo entrambi verso il tabellone dei film in programmazione, fra i quali risaltavano i classici titoloni iper pubblicizzati e spuntavano qua e là locandine di film che non avevo nemmeno mai sentito nominare. Mi chiesi come avessi fatto a non aver nemmeno mai visto il trailer di quello Shelter, di che diavolo parlasse e perché cavolo avrei dovuto volerlo vedere, visto che l'unica pubblicità che si faceva era la locandina e faceva schifo pure quella.
Lui fece spallucce.
«Beh, dopo Avatar, James Cameron è una garanzia.»
Mi voltai ad osservarlo, scettica. Volevo capire se fosse serio o meno, ma non notai quel suo dannato ghignetto strafottente, quindi immaginai che ci credesse davvero. Mi prese una tristezza immensa.
«Di riciclaggio e perdita di tempo.» borbottai, a completare la sua frase.
Mi guardò anche lui, inarcando un sopracciglio. Sorrise a mezza bocca e mi sentii rimpicciolire sotto quel ghigno maledettamente malefico.
«Devo supporti una fan di Cameron?» domandò.
Improvvisamente non seppi cosa diavolo rispondergli. Avevo paura della sua reazione. Se avessi acconsentito che il regista di Avatar era un genio assoluto, sarei andata ad affogarmi nel lavandino più vicino e non credevo di essere fisicamente capace di inserire nella stessa frase le parole “Cameron” e “talento”, a meno che non fossero divise da una montagna di negazioni e improperi vari. Ma ero convinta che, se avessi espresso la mia opinione, me ne sarei enormemente pentita. Già me lo vedevo schizzare di corsa verso la biglietteria per comprare due biglietti per Sanctum 3D -e se c'era una cosa che detestavo era il 3D! Che inutile spreco di soldi! Oh sì, sarebbe stato capace di offrirmi anche il biglietto pur di sottopormi a quella tortura. E io gli avevo anche rivelato che non correvo. Una lumaca mi avrebbe staccato senza problemi.
«L'unico Avatar che merita di essere visto è La leggenda di Aang, l'ultimo dominatore dell'aria. Ho odiato Pocahontas da bambina e il mio giudizio non è cambiato. Però almeno lei cantava.»
borbottai, scrutando attentamente ogni suo piccolo movimento. Se avesse mosso un solo singolo passo verso la biglietteria, sarei stata pronta a scaraventarlo al di là della balaustra, sui gonfiabili per bambini del piano di sotto. Alzò gli occhi al cielo, in un moto di silenzioso divertimento dissimulato. Mosse le dita della mano sinistra dentro la tasca dei jeans. Che stesse afferrando il portafoglio? O magari io ero solo paranoica? Beh, i paranoici avevano sempre avuto ragione, a parer mio. E San Potter e Samvise l'Impavido ne erano dimostrazioni sufficienti. «Scommetto che questo film lo troveresti interessante» rispose, malizioso.
Rimasi a bocca aperta, indecisa se arrossire -il mio corpo decise per me: avevo raggiunto in tempo record una colorazione tendente al violaceo- o indignarmi.
Rise, e mi ritrovai ad odiarmi per aver rabbrividito a quel suo gesto.
«Hai l'aria di una a cui piacciono le grotte e le catastrofi naturali.»
Fu gentile a tentare di farmi riprendere dallo shock. Ma non lo avrei mai ammesso, non con lui.
Ancora un po' mi irritava. Era l'unico che mi costringesse, senza volerlo, a comportarmi come una ragazza. Tirava fuori la parte anche solo vagamente femminile di me, una parte che quasi non sapevo di avere e che lì per lì non volevo conoscere. Mi piacevo come maschiaccio. Ero quasi certa che mia madre mi avesse sottoposta all'operazione per cambio di sesso a mia insaputa.
«Magari morirà qualcuno...» mi ritrovai a pensare ad alta voce, mentre Mattia pagava i due biglietti. Oh sì, mi aveva offerto quella tortura psicologica o, in alternativa, una dormita di un'oretta abbondante.

«Questo film fa schifo.» commentai ad alta voce, dopo appena mezz'ora di visione.
Sentii la risata di Mattia accanto a me ed ebbi l'insana voglia di sentirla ancora. Che diavolo di collutorio usava perché la sua risata suonasse così dannatamente... erotica?
Arrossii al solo pensiero, e ringraziai il cielo che i film si guardassero nel buio più totale.
«Insomma... ma che diavolo ci sono andati a fare in quelle stupide caverne subacquee? E guardarsi un bollettino del meteo prima di andarsi a ficcare in una dannata grotta a rischio frane?»
Sentii qualcuno borbottare contrariato sul mio tono di voce troppo alto, ma me ne fregai. Stavo realmente mettendo in discussione la sanità mentale delle persone. Avevo anche io il mio gusto per l'orrido, ma quel film superava abbondantemente la soglia del sopportabile.
«E poi perchè diavolo non ci può essere mai una dannato posto mortale chiamato Passo dell'unicorno rosa shocking? Mi piacerebbe vedere gente morire per mano di fiorellini colorati per una volta!»
Qualcuno tentò di tirarmi dei pop-corn, con una mira talmente pessima che beccarono un malcapitato a tre posti da me che mi stava incenerendo con lo sguardo. Se possibile, dopo che si era tramutato in un bersaglio, mi guardava pure peggio.
E quel deficiente di Mattia continuava a ridere. Ero per caso l'unico essere pensante in quella sala?
«L'unica cosa di cui mi rammarico è che ancora non sia morto quel cretino di John» disse poi, quando si fu ripreso dalle convulsioni da risata. Ma non aveva abbandonato il sorriso. Non sapevo se essere contenta del fatto che lo divertivo: non mi ero mai considerata il pagliaccio di corte. Nel mio immaginario ero sempre stata il consigliere bastardo che alla prima occasione ammazza il sovrano e lo rimpiazza. Era una vita sfigata quella del sovrano.
«L'unica cosa di cui mi rammarico è che mi sia lasciata convincere da te a entrare in questa sala. I dieci euro peggio spesi della mia vita. Peggio di quando, da bambina, buttai metà dei miei risparmi in una stupida fontana perché volevo che mia madre mi preparasse il tiramisù per cena!»
Il tizio che aveva tentato di colpirci coi pop-corn, questa volta andò pericolosamente vicino all'orecchio di Mattia.
Sentii un «Qualcuno vorrebbe seguire il film», dalle file in fondo, ma non ci badai troppo. Mi girai, irritata, a scrutare la sala. Nessuno poté vedere il mio sguardo minaccioso, ma avrebbe fatto desistere quell'imbecille dal tiro al pop-corn.
«Che diavolo ve ne frega» borbottai «Tanto si salveranno tutti alla fine! Alla faccia di quella sfigata di Judes che è già morta nella grotta satanica.»

Se ci ripenso ora, non riesco a ricordare la fine di quel film e non credo reggerei l'ennesima visione. So che mi persi a studiare il profilo di Mattia, ad un certo punto, quando il terrorista armato di cibarie varie rinunciò alla sua causa di prenderci in pieno e io mi decisi a chiudere il becco.
Mi ero ritrovata a pensare, con mio sommo imbarazzo, che non mi sarebbe dispiaciuto nemmeno un po' se quel ragazzo si fosse girato e avesse annullato ogni distanza fra di noi. Provavo un insano desiderio di mordicchiargli quelle labbra sottili, che lasciava socchiuse nel guardare il film con incredibile attenzione. Possibile che non avesse sentito il mio sguardo su di lui?
Che cavolo! Mi sentivo un'allupata pazzesca e lui faceva la parte del ghiacciolo!
Sprofondai nella poltrona del cinema fino alla fine del film, chiudendomi nel mio mutismo, in un'incredibile imbarazzo e, soprattutto, nel mio risentimento. Da quando in qua i ragazzi si facevano tanti scrupoli, porca miseria?
Erano quasi le sei e mezza quando uscimmo dal cinema. Il massimo contatto che avevamo avuto era uno stupido sfioramento di dita e avevo ritratto la mano, decisamente di cattivo umore. E poi prendere la mano alla gente è una cosa che detesto. Un po' perché non mi significa nulla di particolare. Né vicinanza né altro. Sarà che nelle prove antincendio alle elementari ci facevano tenere tutti per mano, ma davvero, non riesco a capirne il gesto. E poi perché solo il pensiero di non poter muovere una mano in caso di necessità, perché bloccata da quella enorme e magari pure sudaticcia di qualcuno, mi uccide. Sono una gesticolatrice di professione, non posso limitare il mio estro in questo modo!
Parlammo, certo, mentre mi riaccompagnava alla vespa. Un po' del film, ma visto che mi ero persa la fine per frenare i miei bollenti spiriti, mi ritrovai incapace di argomentare efficacemente la mia affermazione “Uno dei film peggiori che abbia mai visto (a metà)”.
Buttammo là qualche stronzata su altri film che ci avevano ucciso con solo i primi dieci minuti di visione, roba come Black Sheep o Pomodorini Assassini, delle perle della comicità involontaria. Senza parlare poi dello Star Wars turco, che avevo visto una sera insieme a Marco e dal quale non ci eravamo più ripresi a causa degli improbabili suoni assordanti e i droidi-frigoriferi.
Arrivai alla mia moto con la voglia di andarmene tendente allo zero meno e una voglia di baciarlo tendente ad infinito. Sembrava avessi capito i limiti, finalmente.
Tirai fuori il casco dal bauletto sotto il seggiolino, giusto per non stare ferma come un'idiota a guardarlo. Aspettavo solo di sentirlo avvicinare appena. Eppure lui se ne rimaneva là, mani in tasca, sguardo penetrante e labbra socchiuse. Se non fossi stata incredibilmente insicura, gli sarei saltata letteralmente addosso. Invece aspettavo che fosse lui a fare qualcosa, perché io, in quanto a esperienza, ero ai livelli di un'odierna dodicenne. Deprimente, lo so, ma era una delle poche volte che ero riuscita ad arrivare in fondo all'uscita senza mandare a quel paese qualcuno.
Beh, Mattia ci sarebbe andato molto vicino, se non si fosse deciso alla svelta a chinarsi. Sapevo per esperienza che essere presi a randellate con un casco non era un'esperienza piacevole ed ero certa che lui non avrebbe voluto provare.
E poi finalmente, lo vidi sorridere, appena. Era un mezzo sorriso il suo, non strafottente, ma incredibilmente carino. Lo avrei definito dolce.
«Allora ci salutiamo qui...» disse appena e io feci spallucce, per dissimulare.
«Grazie del film»
Successe tutto velocemente, eppure lo ricordo ancora come un momento infinito. Mattia mi si avvicinò, appena, riducendo la distanza fra di noi e chinandosi appena per arrivare alla mia altezza. Chiusi gli occhi e, istintivamente socchiusi le labbra.
Lo sentii poggiare la sua mano destra sul mio braccio e il mio cuore per poco non tentò di tuffarsi nel mare dei suoi occhi, piuttosto che rimanersene al sicuro nella mia cassa toracica. Che cuore ingenuo e avventato!
Sentii le labbra di Mattia sfiorarmi una guancia, prima di spostarsi verso il mio orecchio.
Il suo sussurro mi diede il colpo di grazia.
«Grazie a te, Fraisier»
Quando riaprii gli occhi, umiliata e incazzata l'ennesima volta, lui si stava già dirigendo verso la macchina.
Deglutii, ricacciando indietro un pizzicorio agli occhi incredibilmente fastidioso. Strinsi il laccetto del casco in modo spasmodico.
Che diavolo avevo fatto di male, per meritarmi uno stupido bacio sulla guancia? Persino Lorenzo con me era più affettuoso di quel bipolare di merda!
Realizzai che gli avevo lanciato il casco solo quando vidi quella pseudopalla volare a mezz'aria e colpirlo dritto a una spalla. Il mio subconscio, probabilmente, aveva mirato alla testa, ma, conoscendomi, era già tanto che lo avessi colpito.
Si girò, massaggiandosi la spalla, a metà fra l'incazzato e il sorpreso. Non capita tutti i giorni che uno stecchino ti tiri un casco verde mela.
«Si può sapere quale diavolo è il tuo problema?!» urlai, e non me ne fregava nulla che tutto il parcheggio potesse sentirmi.
«Quale diavolo è il tuo di problema! Io non ti ho mai lanciato un casco!» urlò di rimando, optando per l'incazzato. Gli avevo fatto male e non poteva fregarmene meno. Anzi, ero incredibilmente contenta. Ad aver avuto un altro casco lo avrei rifatto. Ancora e ancora.
«È vero! Tu non hai fatto niente! Tu sei solo entrato di prepotenza nella mia vita! Ti sei solo finto un professore! Mi hai solo insultata allo sfinimento perché volevo renderti impossibile uscire con me! Mi hai solo portata a vedere uno dei film più brutti di questi ultimi tempi!»
Stavo urlando cose senza senso, me ne rendevo conto. Davvero. Ma giuro che non riuscivo a smettere. Lo odiavo. Era entrato nella mia vita e poi se ne andava così, come un idiota, dieci secondi prima che stessi per cedere. Anzi, ero già ceduta, ma era troppo scemo per rendersene conto.
«Dio!» sbottò, muovendo qualche lungo passo nel riavvicinarsi a me. «Non fai altro che lamentarti! Del film, dei soprannomi, della mia camicia! E avrai sicuramente pensato che la mia macchina ha un colore orribile! Cosa diavolo vuoi?!»
Lo incenerii. Cosa diavolo volessi era abbastanza ovvio.
«Volevo che tu mi baciassi, razza di idiota! Adesso voglio solo vedere qualcuno rubarti la tua stupida orribile macchina e investirti!»
Inutile dire che la sua stupida orribile macchina io nemmeno l'avevo mai vista.
Rimanemmo a guardarci in cagnesco per altri momenti interminabili, prima che io distogliessi lo sguardo e cominciassi a camminare verso di lui. No, non stavo camminando verso di lui, stavo correndo verso il mio stupido casco, così avrei potuto lanciarglielo di nuovo, solo che Mattia era in traiettoria.
Lo superai con una spallata, perché volevo fargli fisicamente male. Non credo ci riuscii. Dopotutto ero un fuscello e lui, per quanto longilineo, pur sempre un uomo.
«Al!»
Mi chiamò, ma non mi fermai né voltai. Gli sarei saltata addosso, ma solo perché in quel momento mi ispirava una violenza inaudita. Tirai dritto ed ero quasi arrivata al mio casco, quando mi strattonò il polso destro, ripetendo il mio nome e costringendomi a voltarmi al suo indirizzo.
Sfruttai la sua forza e il suo slancio per assestargli un pugno sulla spalla, ma lui mi ignorò. Senza che me ne accorgessi aveva azzerato la distanza fra le nostre bocche, cominciando a divorarmi le labbra.
Non fu affatto un bacio dolce e nemmeno passionale. Fu violento e struggente. Continuavamo a morderci vicendevolmente, a succhiarci, a cibarci dell'altro.
Fu un bacio rumoroso. Le nostre labbra e le nostre lingue schioccarono più volte, affamate e insaziabili di quel contatto. Ci staccavamo solo quel tanto che bastava per riprendere fiato, ansimando.
Fece scivolare una mano alla base della mia schiena, costringendomi ad aderire a lui con tutto il mio corpo. La sua mano corse su e giù per la mia schiena, provocandomi i brividi, per poi fermarsi sul mio fondoschiena. Aveva pericolosamente lasciato scivolare il pollice oltre l'orlo della mia tuta, lasciando solo le altre dita a contatto con quella parte del mio corpo.
Siccome mi teneva ancora la mano destra bloccata, portai la sinistra ad accarezzargli il collo, infilandola poi fra i suoi capelli ondulati. Continuai a divorargli il labbro inferiore, mordicchiandolo a sangue. Gli scappò un gemito gutturale, roco, incredibilmente eccitante.
Quando si staccò da me, mi protesi, per catturargli nuovamente le labbra, ma lui si scansò quanto bastava per impedirmi di raggiungerle.
Avevamo entrambi il fiatone, le labbra gonfie. Le sue persino sanguinanti. Ero una dannata ninfomane, porca miseria!
«Che c'è?» domandai, anelando un nuovo contatto. Il pollice della sua mano si era spostato pericolosamente dentro l'orlo della mia tuta, lasciando poi le altre dita ad esplorarmi il fondoschiena.
«Non va bene» disse soltanto. Mi corrucciai a quelle parole.
«Che cavolo significa?»
Lui sembrò pensarci un attimo, cercando di trovare le parole. Fece un passo indietro, abbandonando definitivamente ogni contatto con me.
«Conosco le ragazze come te. Volete la storia importante, l'uomo della vostra vita.»
Scosse la testa, di fronte alla mia espressione dubbiosa.
«Non sono quel tipo di ragazzo, Al. Non vado bene per le storie a lungo termine. Non vado bene nemmeno per assicurarti l'esclusiva! Ecco perché non ti ho baciata.»
Mi fece sorridere, perché si stava aprendo, perché era sincero e incredibilmente ingenuo, perché voleva proteggermi, anche se per lui ancora non ero altro che una ragazza con le mutande con le fragole e non ce n'era alcun bisogno.
«Tu mi hai baciata» osservai, con semplicità.
«Ma non dovevo. Cavolo! Non potevo! Sono un idiota!»
«E io un diavolo tentatore un po' manesco»
Mi avvicinai a lui, perché aveva distolto lo sguardo. Gli presi le mani, anche se odiavo farlo, perché pensai avesse bisogno di uno stupido contatto. Non so perché, ma a volte se ne ha bisogno. Lui continuò a non guardarmi.
«Adoro la mia vita così com'è, amo l'equilibrio che è venuto a crearsi con i miei amici, amo il rapporto che ho con loro. Non voglio legarmi. Non voglio un ragazzo. Non ora almeno.»
Nonostante non mi guardasse, vidi chiaramente che Mattia alzò gli occhi al cielo. Liberò le sue mani dalla stretta delle mie.
«Lo vorrai. Forse non ora, ma lo vorrai.»
«Non sta a te preoccupartene. Se mai capiterà, te lo farò sapere. Magari moriremo prima che arrivi quel giorno.»
Avevo tentato di sdrammatizzare. Lo vedevo struggersi, per quello stupido, esaltante, divino e bellissimo bacio, con quel taglietto sul labbro inferiore e gli occhi così dannatamente azzurri! Non potevo lasciarlo stare così.
E a quel punto mi guardò, mi incatenò col suo sguardo di mare e mi sentii mozzare il fiato.
«Diamine Al! Sei così dannatamente fragile! Ti atteggi da dura, ma sei porcellana finissima che può rompersi alla prima caduta. Come potrei farti questo?»
Deglutii.
Non sapevo che dire, non sapevo che diavolo fare. Sapevo che avevo ancora voglia delle sue labbra e nessuna intenzione di rinunciare alla mia indipendenza per nessuno al mondo. Mattia sembrava il ragazzo perfetto per me, perfetto per darmi affetto e ricevere il mio, senza obblighi o etichette di sorta. Perché avrei dovuto rinunciarvi? Perché avrei dovuto lasciarlo andar via? Cosa mi tratteneva? Forse la consapevolezza che non sarebbe mai stato solo e unicamente mio?
Aderii nuovamente col mio corpo al suo, alzandomi in punta di piedi per sfiorare col mio respiro le sue labbra gonfie.
«Sono io che voglio farlo»
Fu lui a far combaciare le nostre labbra, gentilmente.
Mi vidi costretta a tirargli i capelli per fargli aprire quella dannatissima bocca!











Ok, alcune note di fine capitolo. Shelly-Ann Fraser dovrebbe essere la campionessa 2008 dei 100 metri piani.
Shelter è un film assurdo, che non ho mai sentito nominare, ma che ho trovato fra i film in programmazione nel febbraio 2011.
Non ho mai visto Sanctum 3D, quindi scusate eventuali cazzate scritte, ma io, come Albina, detesto Avatar e James Cameron e questa dannata moda del 3D. Il fatto che mi dimentico sempre gli occhialini a casa e poi al cinema me li fanno pagare ogni volta magari ha incrementato questo mio cieco odio, ma, in generale, lo ritengo solo uno spreco di soldi.
Black Sheep e Pomodorini Assassini sono due film realmente esistenti che vidi con i miei amici: risate assicurate! Esiste anche lo Star Wars turco, che è una cosa davvero allucinante. Non guardatelo mai. O___O
Infine, non ho mai provato a tirare un casco, ma spero faccia male xD


Capitolo a dir poco osceno. Non si può partorire, dopo un mese, una cosa così indecente. Ma fra il Rimini Comics, la partenza per il mare, la programmazione di nuovi cosplay, questa roba è l'unica cosa che sono riuscita a produrre. Sono mortificata, soprattutto perchè... boh, dovrebbe essere abbastanza importante come capitolo. Quindi scusatemi, o almeno provateci.
Ne approfitto per ringraziare di cuore chi ha aggiunto la storia fra le preferite, chi fra le seguite, chi fra le ricordate, chi commenta e chi legge dai meandri più oscuri della terra senza farmi sapere la sua opinione, ma facendomi comunque immensamente piacere.
   
 
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