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Autore: Federico    14/08/2011    1 recensioni
Salve, gente! Scommetto che è passato tanto di quel tempo che non vi ricordate più di me.
Sono proprio io, Federico, e dopo vari anni di inattività sono tornato con questa nuova fic, diretto sequel di "Nel regno di leggende".
Molti millenni fa, in un'oscura palude greca, si svolge un combattimento titanico fra un mostro e un eroe, ma qualcosa non va come dovrebbe...
Nel 2010 si rinuniscono per un programma televisivo tutti i protagonisti della raccolta "Nel regno delle leggende".
Fanno appena in tempo a conoscersi che subito il Governo americano li convoca: c'è bisogno della loro esperienza con i mostri per investigare su misteriosi avvenimenti in Grecia dietro cui potrebbe celarsi una creatura antichissima e pericolosa.
Fra amicizie e rivalità, inseguimenti, cruente battaglie e losche mire, i nostri eroi dovranno scoprire il segreto del mostro, e prepararsi a una battaglia per la salvezza della razza umana...
Avvertenza: nei primi tre capitoli della fic non ci sono personaggi di "Naruto", ma è necessario leggerli per comprendere la trama.
Nel primo sono presenti celebri personaggi della mitologia greca, non di mia invenzione.
Leggete e recensite, mi raccomando, e spero che vi piaccia.
Genere: Azione, Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sulle tracce dei mostri'
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Spazio autore

Nebula216: Grazie, sono molto felice che ti piaccia, spero che continuerai a seguire e commentare fedelmente.

Ti devo chiedere una cosa: per caso avevi già letto le mie ormai vetustissime storie Il terrore dei boschi solitari e Nel regno delle leggende?

Potrebbero piacerti, sia perchè trattano la prima di creature magiche vere e proprie, mentre la seconda della criptozoologia, inoltre consiglio vivamente a tutti di leggerle per comprendere meglio le vari allusioni presenti in Lerna (anche perchè i protagonisti sono gli stessi di Nel regno delle leggende).

Grazie di tutto, anche di aver inserito la storia fra quelle seguite.

 

Convivenza forzata

 

Mentre il piccolo aereo noleggiato dal Governo sfrecciava nei cieli azzurri che sovrastavano il Mediterraneo lucente e l’Ellade riarsa dal sole, sull’aereo si cominciavano già a delineare i primi abbozzi di simpatie o antipatie personali fra i vari membri del gruppo.

Temari non cessava di parlare e di lisciarsi lascivamente i capelli cercando, talvolta in modo alquanto brusco, di recuperare il suo ragazzo dal stato di semicoma indotto da musica a palla nelle orecchie e lunghe ore di volo monotono.

Kiba, pur rispondendo a monosillabi e frasi elementari quando interpellato, passava il tempo soprattutto con il suo cane, carezzandogli il bianco pelo arruffato in ogni direzione, allungandogli di tanto in tanto un osso di gomma ormai bavoso e parzialmente masticato e parlottando a bassa voce in tedesco.

Poco più avanti sedevano i due tenebrosi, Sasori e Hidan, il primo sprofondato nella lettura di un libro sugli Artropodi dalle figure a colori ben evidenti che avrebbero dato i brividi a più di un aracnofobico, il secondo continuamente scosso da leggeri invisibili spasmi dei muscoli delle mani, come se smaniasse di impugnare un’arma; l’entomologo aveva un’aria più fredda e distaccata, come se non si curasse del mondo esterno alla sua ristretta nicchia di studi, il texano invece gettava intorno occhiate quasi allucinate e aveva la fronte costantemente imperlata di un sudore freddo, dovuto forse al contatto così stretto e inusuale con gente di tutt’altra risma, decisamente meno votata all’azione pura e brutale, ma la sostanza non cambiava: ambedue ti infondevano nell’anima una sensazione di gelo e di paralisi quando ti scrutavano fissamente con i loro occhi ampi e chiari.

Tale era l’aura di mistero che li accompagnava che perfino Kisame, dopo aver tentato vanamente di assillarli con la sua bonomia, aveva dopo un paio d’ore rinunciato a comunicare e si limitava a cercare di individuare i delfini che saltavano fra le onde dal finestrino o a controllare l’ora nervoso.

Naruto e Sasuke, sedevano accanto, come insieme erano sempre stati, e come unite erano state le sorti delle rispettive famiglie sin dai tempi del loro sbarco nelle Americhe; il moro surfava su Internet grazie a un portatile, attrezzo forse stonato per un cowboy ma altamente necessario, mentre il biondo leggeva pensoso, sfogliando velocemente le pagine di Miti, leggende e creature fantastiche del Nuovo Mondo e di un paio di altri libri sui mostri e sulla mitologia, eredità di famiglia, che si era portato al seguito, alla ricerca di informazioni sul nemico.

I due si sentivano costantemente addosso il fardello di uno sguardo ostile, e altrettanto provava Kabuto; se per quei due contadinotti l’occhialuto laureato aveva avvertito un’istintiva repulsione, per i ragazzi delle Pianure lo avevano subito individuato come perfetto esempio di intellettuale arido, supponente e schifiltoso, di quelli che preferirebbero morire di fame che spalare letame per mangiare.

Era quindi comprensibile che sovente Kabuto volgesse indignato la chioma argentea e ascoltasse trasognato il suo mentore discettare con quell’altro scienziato della domenica.

Sì, perché da un’ora buona ormai Orochimaru e Kabuto, dopo essersi scambiati i soliti falsi, inevitabili salamelecchi che gli studiosi si rendono, riverenze che di solito corrispondono antifrasticamente ad espressioni assai più grezze e triviali di confutazione, stavano avendo un’animata discussione sul mito dell’Idra.

“Non mi direte, professore, che ci credete sul serio? Non mi stupirei se fosse tutta una stupida montatura, che so, una trovata pubblicitaria o per qualche programma o film”.

“Devo però ricordarle, esimio collega, che per quanto incredibile possa sembrare, il filmato è stato dichiarato genuino da innumerevoli esperti degni di fede e assolutamente al di sopra di ogni sospetto”.

“Così, cosa potrebbe essere quest’Idra di cui si favoleggia, se non un vecchio mito pagano?”.

“Anch’io fino a ieri la ritenevo una storia dai puri connotati simbolici, ma forse dovremmo ricrederci. Antichi commentatori raccontano che forse l’Idra era un grosso serpente (sulla cui identificazione cerco umilmente di pronunciarmi nel mio ultimo libro), a cui poi poeti e mitografi hanno aggiunto nove, dieci, cinquanta, cento, mille o centomila testa per conferire una maggior

dignità all’impresa di chi lo aveva massacrato. Inoltre è anche assai credibile l’ipotesi per cui l’Idra rappresenterebbe la Palude Lernea, le cui infinite diramazioni sembravano rinascere più numerose dopo ogni tentata bonifica, i cui miasmi erano mortali come un soffio velenoso. Inoltre non scordiamoci che Robert Graves…”.

“Ah! Con tutto il rispetto, non gli presterete davvero fede? E’ stato ampiamente sconfessato”.

“Sì, forse alcune delle sue tesi erano un tantino estreme, ma almeno aveva il coraggio di staccarsi dalla solita tradizione accademica. Dicevo, secondo lui può darsi che le teste del mostro rappresentassero un collegio di sacerdotesse dedite al culto della Grande Dea, cancellato da rudi invasori quali il nostro amico Eracle”.

“Non li sopporto più, Sasuke” fece Naruto, scompigliandosi i capelli in preda all’emicrania.

“Non ti preoccupare, fra un paio d’ore saremo in camera e ce ne libereremo, almeno per un po’”.

***

Proprio mentre il gruppetto scendeva dall’aereo in un campo erboso a poca distanza dall’albergo in cui sarebbero stati alloggiati, un secondo veicolo scese rombando sulla pista improvvisata.

“E questo da dove sbuca?” si chiese Kiba dandosi da fare per trattenere Akamaru.

Senza dire una parola, un ampio sorriso stampato sul ghigno solitamente cupo, Hidan penetrò nel ventre dell’aeroplano e qualche istante dopo ne trasse fuori con l’ausilio di una passerella un mastodontico fuoristrada nero dalle forme imponenti e dalle gomme rinforzate.

“Ehi yankee, ti rendi conto di quanto hai fatto spendere ai contribuenti USA per tirarti dietro quel catorcio?” gli fece notare Shikamaru leggermente piccato per quello spreco di pubblico denaro.

“Questo catorcio, signorino kiwi-so-tutto-io, ha morso per dieci anni la polvere nei deserti del Messico e il fango nella giungla portoricana, quindi è una macchina rispettabile! Non c’è mostro, mutante o alieno di sorta che debba temere! Ora, chi vuole salire a bordo? Offro uno strappo!”.

Pain, Sasori, Kiba, Naruto e Sasuke accettarono, pur se controvoglia e guardandosi continuamente dal compagno di viaggio così inquietante e alle volte strambo, mentre i due neozelandesi e Orochimaru e Kabuto preferironosfruttare un’automobile inviata dagli organizzatori della trasferta in terra greca e guidata da Kisame, i primi per godere qualche momento di intimità, il paleontologo per questioni di decenza personale e il quarto per devozione verso il suddetto.

“Tu, tedesco, vedi di tenere a freno quel cane; e un bel bestione, lo ammetto, ma non vorrei che facesse qualcosa di avventato” sbottò Hidan girando le chiavi nella toppa.

“Akamaru è più buono di quel che sembri” replicò il giovane mentre l’altro schiacciava l’acceleratore con il piede.

Arrivati all’hotel, si recarono direttamente a cena: erano troppo stanchi per visitare il laboratorio da campo ad esso adiacente allestito da un team di scienziati greco-americani.

A parte qualche veloce scambio di opinioni fra il serafico Naruto e il suo compare e le ormai consuete, inevitabili battute del vasto repertorio del dottor Hoshigaki, erano tutti più intenti a tagliare porzioni e a masticare che a intavolare una civile conversazione.

Poi, ciascuno dritto in camera sua: bisognava riposare, se davvero il giorno dopo sarebbero iniziate le indagini che forse gli avrebbero portati a scontarsi con una creatura mitologica e spaventosa.

E così, fra quelli che si fissavano e si strofinavano languidi e desiderosi, quelli che dormivano come sassi e quelli che leggevano o elaboravano essi stessi pubblicazioni future, c’e n’erano un paio che, presa in prestito una macchina, si erano recati a un museo nei dintoni poco prima che chiudesse.

In una magazzino prossimo a essere svuotato si poteva osservare, dietro uno spesso vetro, una pelle di leone di taglia imponente, di un colore a metà strada fra quello del grano maturo e quello del pelo di un orso, la criniera che spuntava come un fiore fulvo sul collo, appesa per le zampe vuote a un chiodo, sotto la dicitura in greco e inglese: “Pelle di leone scoperta in un tempio a Nemea, ritenuta anticamente la leonté di Eracle”.

“Vista da qui, parrebbe di un leone delle caverne, date le dimensioni” commentò impassibile Pain.

“Credo che ai tempi di Eracle fossero già estinti da qualche millennio, doc” replicò Kisame,

“Già. Ma credevamo fino a ieri che anche l’Idra fosse un mito…Domani andremo in quella maledetta palude, se esiste ancora, e scopriremo finalmente se ci hanno imbrogliato o no”.

  
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