Libri > Black Friars
Ricorda la storia  |      
Autore: whatashame    14/08/2011    2 recensioni
Il sole pallido di un autunno inoltrato brillava fra i tetti delle case, tra i comignoli anneriti e le pietre scure, affacciandosi a scaldare la città. Lontana, la campana di San Petronio scandiva con i suoi rintocchi lenti la terza ora, mentre l'acqua dei vicoli saliva a spirali dalle strade confondendosi con l'odore di spezie delle cucine, in elaborati miscugli di vapore e spidocchiare di donne. Una vecchia serva intonava una preghiera nel suo latino personale e a quel canto facevano eco, fra risatine di scherno, una canzonaccia licenziosa nel colorito linguaggio del popolo, il rimestio soffuso di stoviglie nei secchi e lo sciabordio di stracci e sapone nei mastelli.
(personaggi:Axel Vandemberg, Eloise Weiss, Julian Lord, Belladore.)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
rose



Black Friars

Personaggi: Axel Vandemberg, Eloise Weiss, Julian Lord, Belladore.

Rating: arancione

Contesto: Black Friars, L'Ordine della Spada.

Genere: malinconico, introspettivo, song fic.

Avvertimenti: one-shot, ooc, missing moment.

Link alla canzone: http://www.youtube.com/watch?v=AjTY8ildtFU&feature=related




Premessa


La storia è un missing moment tra il capitolo quinto e il sesto. Racconta di quando Axel Vandemberg entra in camera di Eloise e, approfittando del sonno della ragazza, controlla che non abbia segni di morsi sul corpo. Ci troviamo in quella famosa camera degli ospiti, qualche ora prima che il sole forte di mezzogiorno svegli la nostra protagonista.


La fanfic è stata scritta per il contest “rosa-rosae” indetto da Mirya. Per la sua stesura mi sono ispirata alla “foresta di simboli” dell'età di mezzo, che associava la rosa bianca alla verginità, alla consacrazione, alla purezza e alla Madonna. La rosa rossa invece, sempre nell'immaginario medievale, aveva tutt'altro significato: era il simbolo di Eva e del peccato. Axel regala una rosa bianca alla sua bella, mettendosi in ginocchio, io invece, nutrendo uno scarsissimo amore per le rose e i fiori in genere, ho accostato la rosa rossa a Belladore, il personaggio più odiato e oscuro del libro, pensando anche che la leggenda vuole che la rosa nasca “pura” e senza spine, riempiendosene solo dopo la cacciata dall'Eden, per ricordare in eterno le dolcezze perdute. Per eventuali delucidazioni rimando alle note finali.











Whisper'd in the sounds of silence






L'amore non è più di moda: i poeti l'hanno ucciso.
Ne hanno scritto così tanto che la gente non ci crede più.
Ciò non mi sorprende: l'amore vero soffre, e lo fa in silenzio.

Solo gli emarginati lo piangeranno, perché solo degli emarginati è il lutto.
Oscar Wilde, Il razzo illustre







Il sole pallido di un autunno inoltrato brillava fra i tetti delle case, tra i comignoli anneriti e le pietre scure, affacciandosi a scaldare la città. Lontana, la campana di San Petronio scandiva con i suoi rintocchi lenti la terza ora, mentre l'acqua dei vicoli saliva a spirali dalle strade confondendosi con l'odore di spezie delle cucine, in elaborati miscugli di vapore e spidocchiare di donne. Una vecchia serva intonava una preghiera nel suo latino personale e a quel canto facevano eco, fra risatine di scherno, una canzonaccia licenziosa nel colorito linguaggio del popolo, il rimestio soffuso di stoviglie nei secchi e lo sciabordio di stracci e sapone nei mastelli.

Dentro la residenza gentilizia della reggenza di Aldenor le ombre erano padrone e i pesanti broccati delle tende schermavano il lucore mattutino. Qualche moccolo di candela bruciava ancora, impregnando l'aria dell'odore di cera d'api che andava a confondersi alle tenui fragranze dei sacchetti di lavanda e petali di rosa appesi alle pareti.

Julian Lord, spossato dalle incombenze matricularum e dalle vessazioni di columnae e anziani, era mollemente appoggiato alla parete di un corridoio e cercava un attimo di requie riposando le spalle contro il muro, mentre aspettava che Jordan, intento a procacciare biscotti e frutta secca per due, tornasse finalmente dalla spedizione nelle dispense.

Un suono di passi decisi e allo stesso tempo leggeri risuonò sul legno del pavimento, strappandolo da fantasie di dolci e leccornie. Il ragazzo alzò gli occhi, portandoli sulla figura imponente e regale che si muoveva sicura, senza accorgersi del suo pubblico ammirato: quando camminava, Axel Vandemberg lo faceva sempre a testa alta, impettito e fiero. Forse era la linea di sangue ad imporglielo, o le rigide lezioni di portamento inflitte ad ogni rampollo di nobile schiatta, o forse era solo il suo modo di farsi spazio nella vita.

Mentre camminava era di una bellezza feroce e selvaggia, il volto una maschera di ardore e dignità, il mento sollevato e la grazia elegante di chi affronta il mondo col cipiglio deciso di un campione da poema antico.


Julian guardò il Duca della Chiave, l'eroe dello Studium, avvicinarsi ad una porta di palissandro e allungare con movimenti controllati la mano pallida e forte verso la maniglia.

Un istante dopo era sparito dentro la stanza.




***






Axel Frederich Vandemberg chiuse la porta dietro di sé e rimase un momento sull'uscio, lasciando che gli occhi si adattassero alla penombra di quel piccolo ambiente. Da sotto gli scuri tirati, attraverso le impannate, filtrava la luce adamantina del sole come da una spessa coltre di nubi, avvolgendo la camera degli ospiti in un opalescente candore e proiettando complessi giochi d'ombra sulle stoffe di porpora liquida che scendevano dalle pareti. Uno specchio a muro gli rimandava indietro l'immagine capovolta di un ragazzo biondo dall'alto della cornice di rami e foglie in ferro battuto.

Al centro della stanza, accanto ad un leggio e ad un piccolo inginocchiatoio, c'era un letto a baldacchino con le cortine aperte, che ricadevano morbide attorno alle colonnine di legno, ricreando una notte artificiale con ricami di stelle e pianeti.

Su quel letto, sdraiata e inconsapevole del suo sguardo indiscreto, riposava una ragazza, spossata da mille esperienze vissute lontano da lui.


Eloise.


Come un burattino tirato da fili sottili, irresistibilmente attratto da quella fanciulla distesa fra lenzuola candide, Axel si avvicinò con movimenti lenti e misurati, il rumore dei suoi piedi assorbito dai tappeti spessi.

Pochi passi tra loro, ma sempre troppi.


Eloise.


Era stanca, con gli occhi cerchiati da segni violacei. Non era un sonno sereno il suo, vegliato dalle figure sinistre e grottesche che ornavano le pareti; il respiro rapido e spezzato, la mascella contratta, poteva sentirla digrignare i denti.

Si era mossa nel sonno, aveva scacciato le coperte nell'inquieto agitarsi di quelle ore fatte per i sogni, aveva gettato sul pavimento i cuscini in una piccola corte di piume e lino bianco e la trapunta era intrecciata attorno alle sue gambe nude, in un groviglio di preziosa mussola ammonticchiata ai suoi piedi.


Aveva le labbra socchiuse e i riccioli scuri le ricadevano scomposti attorno al volto, neri sulla federa bianca. Una ciocca ribelle a sfiorarle dispettosa la guancia.


Eloise, sei bellissima.


Il viso esangue e ultraterreno non era più quello di una bambina. Non era più miele quello che le imbrattava la bocca, non era più pioggia quella che le bagnava le guance, e lo sapevano entrambi. Le labbra gonfie e di un rosso cupo che sembrava risplendere nel biancore alabastrino del volto, il corpo snello e gracile avvolto in una camicia da uomo dalle maniche lunghe che celava crudele quella donna tanto amata ai suoi occhi.

Una vista che gli era preclusa.


E ciliege, e glicine, e sole e neve.


Eloise.


Axel si lasciò cadere in ginocchio accanto al letto, senza osare nemmeno lasciarsi sfuggire un gemito.


Eloise.


Come se avesse potuto percepire la sua presenza oltre quel velo di incoscienza regalatale dall'abbandono dei sensi, la ragazza si mosse, allungando verso di lui una mano, con il palmo in alto, in una resa inconsapevole. L'altro braccio, però, era contro il suo petto, a difenderne la parte più preziosa anche nell'immobilità del sonno. Gli donava l'accesso ma era sempre troppo bisognosa di proteggersi per lasciarsi andare del tutto.


Eloise.


Una sensazione che lacerava in due, lasciando senza fiato e con la gola gonfia di parole non dette.

Axel avvicinò le dita, dolci e leggere come petali di fiori freschi, a quel corpo morbido e profumato. Sfiorò con mani tremanti la pelle chiara, invitante, accarezzò il calore sotto i suoi polpastrelli, li fece scorrere sulla carne alabastrina e sottile dei polsi dove è più vivo il pulsare ritmico del cuore. Una carezza necessaria e dolce, un moto struggente di tenerezza e voluttà.


Le nocche corsero a tracciare la linea perfetta del collo e poi, in punta di dita, la mano scivolò sulla piega del gomito e risalì fino ai palmi.

Un tocco gentile e delicato, per tutte le parole non dette, un'impalpabile sfiorarsi per lenire tutte le ferite inferte, il devoto affetto di un reo impenitente in ginocchio, indegno di quel contatto strappato all'oblio del sonno.


Eloise.


Posò le sue labbra sulla pelle dolce, spazzando via il ricordo di baci troppo leggeri, prepotente la lingua guizzò sulla cute del polso, senza domandare il permesso. Succhiò piano, lasciando scorrere il miele fra i denti, con un gesto di ingannevole carezza segnò quello che non gli apparteneva, geloso anche di quel confine inesistente d'aria che lo separava dal suo corpo.


Eloise, sentirti lontana mi fa male.


Quella pelle eburnea all'improvviso si fece di un bianco abbacinante, così intenso da far male. Non poteva più guardarla, non ci riusciva. Distolse lo sguardo e reclinò il capo serrando forte le palpebre. Le ciglia, come una cortina impenetrabile di pizzo nero, scesero a velare il lampo di dolore che gli attraversò gli occhi. Li chiuse Axel, e dietro il suo rifugio, nell'azzurro chiaro di iridi che tutti ritenevano affidabili, si aprirono labirinti di specchi e scale e cripte e sottopassaggi.

Ma continuò a vederla, a vedere lei, perché anche avere gli occhi chiusi fa male quando piccole punte di spillo iniziano a premere sulla superficie di quella fitta trincea di ciglia ombrose.


Eloise.


Riaprì gli occhi e li fece scorrere sulla stanza e sulle suppellettili, sul baule basso e traforato, sui preziosi intarsi dello scrittoio, sui ricami turchini dei cuscini e sulla cassapanca chiusa, legno delle foreste del nord e ferro delle fucine di Madeiran.

Contemplò per un attimo le pergamene per gli appunti, il calamaio aperto e la piuma d'aquila abbandonata al suo triste destino, i volumi preziosi della libreria, collezione di generazioni di Vandemberg, e i sacri versi volgari delle pagine sul leggio. Le parole di una preghiera in opulente lettere d'oro.


Eloise.


Qui se’ a noi meridïana face

Di caritate; e giuso, intra i mortali,
Se’ di speranza fontana vivace.

Donna, se’ tanto grande e tanto vali,

Che, qual vuol grazia e a te non ricorre,
Sua disïanza vuol volar senz’ali.

La tua benignità non pur soccorre

A chi domanda, ma molte fiate
Liberamente al domandar precorre.


Lo sguardo tornò febbrile alle pareti, alle cangianti stoffe leggere, agli arazzi che scendevano dall'alto. Misteriosi riti druidici, celebrati nelle brume dei boschi, al cospetto di presenze mistiche, di elfi, di fate; invocazioni, e l'occulto, le rune, i tarocchi, le streghe.


Eloise.


Sul tavolino basso sotto alla finestra c'era un vaso di vetro spesso e opaco. Una rosa rossa al suo interno.


Una rosa pretesa ed esatta, un capriccio, uno fra i tanti di una donna morta, che continuava a tessere le sue oscure e inintelligibili trame.


Non c'era acqua nel vaso e quella rosa stava dando il suo addio alla vita. La corolla era dischiusa, segno che non era più fresca e aveva quasi perso il profumo. Si era aperta rivelando per un solo attimo il suo splendore, esalando il suo respiro dolciastro e il suo muto grido di agonia. In quel momento poteva solo ricordare ciò che era stata e non era più.


Eloise.


Era appassita e ai suoi piedi stava un piccolo cimitero di petali, caduti fra le pagine di un quadernetto aperto.

Una grafia rapida e convulsa vi aveva copiato i versi di Bernardo, con una crudeltà deliberata che sembrava fatta apposta per lui, anche se dalla sua genuflessa penitenza per chi ruba con la complicità del sonno, Axel non poteva riuscire a leggere.


"Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus”


Rose. Tante rose, rose rosse tutt'attorno. Rose nei vasi, rose nei dipinti. Rose fra le maioliche.


Boccoli biondi su guanciali di seta scura, nera come la morte e la sua non vita, come quei petali nella penombra delle imposte serrate di un cuore che non batte.


Rose fra le lenzuola, rose sulle porcellane, rose nelle miniature.


Il loro profumo dolciastro fra le dita e nei capelli, per nascondere l'odore immondo del sangue.


Rose e marcescenza.


Carezze lievi di labbra su fragole rosse.


Rose. Miasmi di morte ed effluvio di fiori.


Denti di perla serrati su segreti antichi e su oscuri passati.




They call me The Wild Rose

Why they call me it, I do not know



Non ci sono rose selvatiche, le rose sono quelle dei roseti, domate dalle mani degli uomini, unite sul letto di morte dei defunti. Il loro odore pungente a compiere il cerimoniale del trapasso.


Eloise.



Ma dentro i cunicoli della memoria erano altri occhi a ricambiare il suo sguardo, colori impossibili e inumani, che diventavano trasparenti ai raggi di luna, come laghi di montagna. Non ci sono tanti pesci in acque troppo limpide, non c'è vita, e non c'era un cuore a battere sotto i polpastrelli.



I brought her a flower
She was more beautiful than any woman I'd seen
I said, 'Do you know where the wild roses grow
So sweet and scarlet and free?'


Quel fiore lo fissava, ricambiando il suo sguardo, e Axel sapeva bene che quello che gli riempiva le narici non poteva essere il suo profumo, ma il lezzo di memorie lontane, il rancido orribile odore di pelle guasta, di stanze chiuse da troppo tempo, di tristi lettere illeggibili bagnate dalla pioggia.


Era il tanfo della putrefazione, il suo odore, quello che lo colpiva forte come uno schiaffo.


Il puzzo di una creatura infernale che una rosa, quella promessa d'amore, quel pegno di dolce bellezza, l'aveva sempre pretesa.


La cortigiana più famosa della vecchia capitale esigeva un omaggio floreale dai suoi amanti: rose rosse di ogni tipo e varietà.


Un fiore puro e allo stesso tempo un fiore peccaminoso. Scarlatto come il sangue e la passione, fitto di spine, eterno monito di colpe commesse, amaro ricordo di paradisi perduti.


I più bei boccioli dei roseti cittadini, gli esemplari più eleganti delle serre nobiliari venivano ogni volta recisi da mani languide, piegandosi al capriccio infantile di una bambina: la loro crudele morte era presagio di condanna e sventura.


Quella donna perversa rivendicava per sé il piacere di cogliere quel fiore, per la sadica velleità di estirparlo e vederlo marcire sul ciglio della strada, regalando a lei, ed a lei soltanto, la possibilità di catturare per un momento la bellezza in un vaso.




'Will you give me your loss and your sorrow?'
I nodded my head, as I layed on the bed
He said, 'If I show you the roses will you follow
?'



Il lezzo di corolle appassite s'intensificò in tutta la stanza, annichilendo ogni altro profumo.

Era la marcescenza delle rose sfiorite e putrefatte, rosse come il filo di un destino ineluttabile di mere apparenze, raccolte nella sordida alcova di un postribolo di lusso. I loro effluvi coprivano l'odore del sangue, ed erano le immancabili suppellettili degli incontri di una meretrice, su un letto di cuprei drappi di seta indiana dai riflessi cangianti, in cui si confondeva il rosso brunito del sangue rappreso.

La scenografia fatiscente del loro dolore.


As she stared in my eyes and smiled
For her lips were the colour of the roses
They grew down the river, all bloody and wild



Che cos'è l'eternità se non puoi coglierla?


E quella donna aveva la bocca dipinta della stessa tinta vermiglia, sporca dello stessa morte.

Lui avvertiva il fetore di un corpo morto, di un'anima consunta e una coscienza putrefatta, dietro l'odore dolciastro e asfissiante di balsami importati ed artificiali alchimie distillate oltremare.

Era una rosa sfatta di una bellezza stantia, una meravigliosa bellezza congelata nella perfezione di un attimo.


Non preoccuparti Axel, tu non sfiorirai mai.


E la rosa che in quel momento se ne stava orgogliosamente dritta nel suo vaso di vetro spesso e opaco sembrava ricambiare il suo sguardo fiera, bugiarda e superba, spergiura anche sul letto di morte, mentre un pugnale le affondava nel petto e poi nella gola.


He showed me the roses and we kissed
And the last thing I heard was a muttered word
As he stood smiling above me with a rock in his fist



Quella rosa era muta, ma sembrava dire qualcosa nel suo talamo di petali stropicciati. Urlava al mondo la sua crudeltà e la sua perfidia, lei che era nata senza irte spine, di una bellezza sincera e a portata di dita ingenue.



On the last day I took her where the wild roses grow
And she lay on the bank, the wind light as a thief
As I kissed her goodbye, I said, 'All beauty must die'
And lent down and planted a rose between her teeth



Axel, esule errante e ramingo, alzò gli occhi al cielo in una invocazione muta. Le polle chiare con cui osservava il mondo incontrarono però lo sguardo impietoso di volti deformati dal chiarore opalino che scivolava sotto gli scuri, sgusciando fra le trame larghe delle impannate.

Sul muro, proprio sopra la testa della bella dormiente, era appeso un trittico di legno laccato, affrescato a tinte squillanti.

Afrodite, discinta e piangente, lo fissava dal rettangolo a destra, dritto nelle pupille, mentre piangeva sul corpo straziato del giovane Adone, quasi sorpresa di essere colta da un pittore in un attimo tanto privato. Dalle sue lacrime sbocciavano fragili anemoni, dal sangue versato per proteggere l'amore splendide rose rosse, e il pennello era un intruso al suo dolore, guardava sotto la pelle, come il bisturi in un'autopsia.


A fare da contrappunto a quella divina sofferenza c'era, dal lato opposto, il miracolo di Santa Zita, che fra i poveri panni di domestica nascondeva pane trasformato in rose e fiori. Sulla sua testa si spalancavano i petali della Rosa Celeste iscritta nella perfezione del cerchio.


Fra sacro e pagano, in un quadrato perfetto, regnava la disordinata armonia del mondo degli uomini ed una fauna selvaggia di volti straziati, grandi e piccoli, disegnati senza riguardo alcuno per la prospettiva. Al centro sedeva il diavolo, assiso al banchetto di nozze delle sue figlie. L'ultima, la nona, la lussuria, non l'aveva maritata: la offriva a tutti come amante. Dietro la tavola imbandita stavano un liuto e una viella; cembali sonanti e squilli di trombe si alzavano al cielo smeraldino senza sole e senza stelle. Tutt'attorno sfilavano le miserie umane, in un'accozzaglia di volti consunti e braccia e gambe e corpi prostrati, magnifici incubi di pene e peccati: un uomo con posticce penne di pavone moriva soffrendo su un banco babilonese di cilindri chiodati; una donna dal viso di corvo, aveva le dita schiacciate in una morsa; un corpo era squartato da quattro cavalli; mentre una giovinetta con una corona di rose bianche contemplava la scena. Angeli caduti lo fissavano con visi stravolti, nell'angoscia muta di silenzi squarcianti.

L'opera era incorniciata da rose: cespugliose, sarmentose, rampicanti, striscianti, arbusti e alberelli a fiore grande o piccolo, a mazzetti o solitarie. Voleva imprimergli in modo surrettizio e vessatorio la consapevolezza che al mondo non esiste un posto per il perdono.


Guardò di nuovo quella rosa nel vaso. E poi fu un attimo, l'afferrò. Sulla pelle sentì la carezza dei petali.


Eloise con te riesco sempre a fare la cosa sbagliata per i motivi giusti.


Fu un istante, li strappò con le dita crudeli e li gettò a terra con rabbia, ai piedi della donna che amava.

Sapeva bene che il giorno dopo lei non li avrebbe neppure visti, calpestandoli sotto la suola delle scarpe, senza nemmeno accorgersene.


Le scagliò addosso ancora un ultimo sguardo strano. C'era dolore, cautela, odio e rabbia in quello sguardo, ma anche qualcosa di talmente complesso da non potersi decifrare.

Quello sguardo era una verità. Una versione della verità, un piccolo parziale frammento di una verità più grande e più vera, ma era vero anche lui.


Eloise, questa è la vita, non serve strappare le pagine.




***






Jordan si stava godendo le amorevoli cure di mamma Mc Rae decisamente troppo a lungo, pensò Julian mentre reprimeva un profondo sbadiglio. Sbatté più volte le palpebre lottando contro l'istinto di dormire in piedi, magari appoggiato alla pietra fredda, mentre un rumore di cardini poco oliati informava le sue orecchie che il secondogenito dei Vandemberg riemergeva dalla piccola porta, volgendogli la schiena e ignorando per la seconda volta la sua presenza.


Julian lo fissò per un attimo.


L'abbigliamento prezioso ma dimesso che Axel aveva scelto per stare in casa dava alla sua figura il fascino del momento rubato all'intimità del condottiero stanco, che toglieva la cotta di maglia tra un duello e l'altro. La camicia di fine batista abbandonata fuori dai pantaloni, disegnava leggera la curva delle spalle imponenti e il calco perfetto dei muscoli delle braccia, risaltando il collo elegante e la testa eretta, mentre il padrone di casa tornava sui propri passi, lasciando dietro di sé solo un guizzo nelle fiammelle delle candele ed il suono sommesso dell'incedere di chi procede sempre sicuro.


Julian Lord guardò imbambolato il corridoio deserto, poi si staccò dal muro e si arrese alla prospettiva di dover strappare Jordan dalle amorevoli cure della terribile Isobel.


Per un attimo, Axel Vandemberg era stato ai suoi occhi soltanto un uomo che chiudeva una porta su intensi ricordi e assordanti silenzi.


Sembra che a volte non conosca altra parola che Eloise.







§§§






Note:


1. L'ambientazione della fic. è medievale, e tutti i riferimenti letterari, pittorici, architettonici e storici non sono assolutamente frutto della mia fantasia ma appartengono alla storia umana. Io mi sono solo presa la libertà di affastellare tutte le mie (scarse) conoscenze in merito in un unico racconto... o meglio in un'unica stanza, non per farne un accurato “tema storico”, ma per cercare di ricostruire un po' dell'atmosfera del libro, e ovviamente anche per creare una cornice adeguata all'immagine di “rosa” che ho scelto.

I sacchetti profumati appesi ai muri, le impannate alle finestre, le cortine con disegni astrali, il leggio di legno, le stoffe alle pareti invece dell'intonaco, il cerchio come perfezione divina ed il quadrato come imperfezione umana, etc, sono tutti elementi caratteristici dell'età di mezzo, anche se i riferimenti non sono sempre precisi (ad esempio la mussola nel medioevo non esisteva) e potrei aver fatto parecchi errori non essendo né esperta di storia né esperta di arte.


2. Del mito di Adone, credo esistano versioni con piccole varianti: la maggioranza racconta che le rose nacquero dal sangue del giovane morente, altre dal sangue della dea feritasi nel tentativo di salvarlo dal cinghiale... io ho scelto quel che mi faceva più comodo!


3. La storia di S. Zita (copio e incollo da internet): “questa santa nasce come generosa e povera domestica della ricca famiglia Fatinelli. Un giorno decise di portare del pane avanzato, rubandolo dalla dispensa, ai poveri. I suoi padroni però la sorpresero e, convinti di un tentativo di furto, le ordinarono di mostrare quanto nascondeva sotto il grembiule. Zita rispose semplicemente: "Rose e fiori". E furono proprio rose e fiori che uscirono dalla sua veste sorprendendo tutti i presenti. Questo miracolo viene ricordato ogni anno ad aprile, trasformando la piazza di S.Frediano e le vie limitrofe in un enorme giardino colmo di piante e fiori”.


4. Il ripetersi incessante del nome Eloise non è altro che la “messa in pratica” di quella bella frase del mitico Julian (non per nulla è uno dei personaggi della fic) “a volte sembra che non abbia nemmeno una parola se non Eloise...”.


5. Ho usato molte volte espressioni di Virginia per caratterizzare i personaggi, e addirittura intere frasi del libro, come “a volte sembra che non abbia nemmeno una parola se non Eloise...”, “Eloise, sentirti lontana mi fa male” e “Eloise con te riesco sempre a fare la cosa sbagliata per i motivi giusti”.



Fonti:


  1. A. Angela

  2. Il Bel Medioevo di J. Le Goff

  3. Il testo riportato è la celeberrima preghiera alla Vergine di Dante Alighieri, mentre invece la frase è l'altrettanto famosa conclusione de “Il nome della rosa”, di U. Eco. Ovviamente non ho nominato gli autori per non incappare in assurdità temporali etc.

  4. In “Eloise questa è la vita, non serva strappare le pagine” possiamo trovare un richiamo alle parole di J. Morrison. Probabilmente a sua volta le aveva prese da qualcun altro, ma io non saprei proprio dire da chi...

  5. La canzone è “Where the Wild Roses Grow” di Nick Cave.

  6. Il titolo invece è una strofa di “the sound of silence” di P. Simon







Questa fanfic è stata scritta per il contest indetto da Mirya “Rosa rosae”.

Purtroppo, essendo Whatashame il ritratto vivente dell'eterna indecisione (e anche un'ignorante sgrammaticata), non mi sono decisa a scrivere la storia fino a due giorni prima della scadenza. Ergo ho composto il tutto sul block notes che porto nel camice (sembrava prendessi appunti sui pazienti!!!) e poi ho frettolosamente battuto il tutto al pc. Non ho avuto nemmeno il tempo di rileggere prima di inviare... infatti ho combinato un gran casino con i tempi dei verbi, i refusi, la grammatica e un bel po' di altre cose, scrivendo dei piccoli pizzini (per dirla alla Ciancimino) scarsamente legati fra loro. Prima di postare sul sito ho cercato di dare una sistemata almeno alla parte formale della storia (la prof. mi ha dato il via libera... e anche qualche consiglio), per cui sappiate che quello che leggete è piuttosto diverso da ciò che ha letto Mirya (povera!!!) per quanto riguarda la “parte formale” della storia. Per quanto riguarda invece il contenuto, ho apportato un'unica modifica: nel testo c'era un riferimento alla Sicilia e io l'ho eliminato dopo che la prof. mi ha fatto giustamente notare quanto fosse improprio nell'universo di BF .



Grazie a Savannah, o Virginia che dir si voglia, per avermi fatto fare pace con un sacco di cose.

Ossequiosi omaggi alla “Lady Creatrice” anche da parte del mio fidanzato - che non sa cosa sia esattamente una fanfiction e continua a guardare BF a distanza e con un certo sospetto (dato che con alcuni libri io parlo, piango e rido, temo abbia paura del contagio) - per aver regalato al mondo cotanti e cotali personaggi maschili. Grazie tante!!! -.-'


Grazie a Valengel per avermi costretto a continuare a scrivere, quando alle 22 e 18 stavo per mollare tutto...sei stata gentilissima a sorbirti le mie paturnie!


Ma sopratutto grazie a Mirya per aver indetto il contest e per la pazienza...ma anche per avermi spinto a riaprire un libro di storia, per avermi spronato a scrivere qualcosa di diverso da una cartella clinica o dall'elenco della spesa! Prof., sappi che sebbene a scuola facessi parte dei “secchioni”, avevo giurato anche io di non voler più avere a che fare con niente di nemmeno lontanamente somigliante al “vostro” latinorum o alla letteratura. E invece per questo contest ho riaperto addirittura DANTE, il poeta che mi era più antipatico!!! E dirò di più...mi è persino piaciuto!!!

Mi dispiace moltissimo per il fuoco di fila con cui ti stanno bersagliando da un bel po' di tempo a questa parte, ma mi raccomando: non mollare!!! MAI.



Ovviamente consiglio a tutti quelli che passano di qui di leggere anche le altre storie che hanno partecipato al contest...ci sono dei lavori davvero notevoli!!!



Praticamente sono più lunghe le note della storia stessa...


   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Black Friars / Vai alla pagina dell'autore: whatashame