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Autore: Kimmy_90    14/08/2011    1 recensioni
[Sequel de "I Frutti dell'Oblio"]
Un battito dopo l’altro, ed uno ancora per abitudine.
Fame, bisogno, bisogno e fame. Non erano quelle le giuste parole. Le parole non dovevano far parte del suo mondo, assai superiore a questo.
Non importava.
Un battito dopo l’altro, avrebbe aspettato. Ancora ed ancora.

Chi è tua madre?, aveva chiesto Obito.
Kushina si era drizzata tutta, prendendo un paio di centimetri nella sola estensione della colonna vertebrale. Aveva levato il mento e aveva risposto con inaudita sicurezza: "Io non ho madre".
Minato aveva sentito un moto di comprensione per l’altra, la quale, a quanto pareva, come lui era orfana di un genitore.
Ma poi Obito era andato avanti, mantenendo una voce insolitamente salda: "Chi è tuo padre?"
E lei: "Io non ho padre."
Minato aveva osservato la bambina gonfiarsi, impettirsi, senza riuscire a capire il perché di tale atteggiamento.
Tu, cittadino, sei figlio del passato e padre del futuro. Apprendi e insegna, non dimenticare mai. Vivi il presente costruendo dalle macerie del passato: ciò che fai appartiene ai tuoi figli, ciò che sei lo devi ai tuoi avi. Sii un buon figlio, sii un buon avo."
[ Warning: "inversione generazionale"]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kushina Uzumaki, Nuovo Personaggio, Yondaime | Coppie: Minato/Kushina
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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- Questa storia fa parte della serie 'Cristallo di sale'
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1bis






(1) – [ Dei neri bianchi, dei bianchi neri ]






Controlla sempre che le tue scarpe siano intere, prima di uscire, e usa solo calzature comode, con cui puoi fuggire senza rischiare d’inciampare.

Non uscire mai con un bagaglio più pesante di quello che puoi trasportare in corsa, e se proprio devi differenzia il carico, in modo da poterti liberare di una parte di esso per non essere impedito nei movimenti.

Appena uscito, annusa l’aria: se c’è un incendio, si sente. Controlla il vento, osserva la corrente dei passanti, scegli il tuo percorso cercando di evitare le zone di rischio.

Cammina sempre in mezzo alla gente, ma non andare mai dove ci sono masse troppo dense.

Evita come la peste i vicoli ciechi, controlla sempre con gli occhi dove sono le strade laterali, quanto è lungo il quartiere che stai attraversando, identificando sempre almeno due vie di fuga.

Guai a dimenticarsi la piastrina d’identificazione, o all’ufficio di igene, quando ti farai male, avranno difficoltà ad aiutarti.

E quando cammini, oltre a guardare bene dove vai, osserva gli occhi della gente. Gli occhi, dice sempre l’Anziano Kankuro, sono lo specchio dell’anima: studiali, ed imparerai a riconoscere un guerrigliero senza averne mai visto uno.

Non abbassare mai la guardia. Sii vigile.

E se hai anche il minimo sospetto, allontanati.




Minato si sporse dalla porta di casa ed iniziò il suo piccolo rituale di preparazione: anzitutto si flesse, passando le mani sugli stivaletti di cuoio e tela verificando che fossero tutte intere - ok, c’era un buchino all’altezza della caviglia, ma non era affatto un problema, si convinse. Inspirò, rialzandosi in piedi.

Non aver ascoltato la radio lo faceva sentire indifeso: di solito quello era il primo modo per sapere se era successo qualcosa di importante - così, invece, non ne aveva idea. D’altronde, se sua madre aveva spento la radio probabilmente non era successo niente – passavano decine e decine di giorni senza che succedesse niente.

Guardò a destra e a sinistra, nella strada polverosa, scrutando le espressioni delle persone che vi camminavano: taluni assorti, altri distratti. Le parole che l’Anziano Kankuro predicava in continuazione gli erano ben piantate in testa: gli occhi sono lo specchio dell’anima - eppure Minato non era affatto convinto di saper vedere negli occhi della gente. Si limitava ad osservare e basta, cercando di capire dall’eventuale cruccio sul volto degli adulti e dei bambini se arrivavano da una zona disastrata o qualcosa del genere - ma la verità era che non riusciva assolutamente a distinguere il cruccio generico, mattutino, della vita, da quello di chi aveva appena assistito ad un incendio o, addirittura, un pestaggio a cielo aperto.

Dilatò le narici, sperando che almeno l’odore dell’aria gli potesse portar consiglio.

Sapeva di terra. Era un buon odore, odore di pulito e di vita che freme.

Di ordine disordinato, come quello dei boschi - ma i boschi hanno tutt’altro odore, si ripeteva il bambino. Eppure...

Sistemandosi i legacci della piccola sacca che portava in schiena, prese a camminare, infilandosi in una zona di vuoto che s’era creato fra i passanti.


Konoha, città sede del governo della Magna Regio in cui erano confluite Ignis Regio e Ventii Regio solo sei anni dopo l’anno zero, era un ammasso di costruzioni nuove e vecchie che si ergevano su strade delle più svariate dimensioni: dagli immensi viali che portavano ai palazzi del governo sino alle stradine strette fra due case del secolo precedente - anfratti in cui si rischiava di restare incastrati, letteralmente. Era un posto affollato, nelle cui vie si riversavano persone di ogni genere, età e provenienza. Per quanto enorme, non era affatto una città sporca: aveva un discreto sistema fognario magistralmente occultato, acqua corrente alle fontanelle, ai bagni pubblici e agli istituti d’igiene. Dove le cose dovevano essere pulite, erano immacolate, disinfettate in continuazione: per il resto, c’era ancora l’antica cultura contadina, dell’una e dell’altra Regio, a far sì che la popolazione prestasse massima attenzione alla pulizia minima, al vago ordine, alla disciplina necessaria ad evitare epidemie dovute al lerciume o al riunirsi sconsiderato attorno ai malati. I continui incendi e devastazioni dei secessionisti non riuscivano a renderla sporca: semmai disordinata. La solerzia inarrestabile dei cittadini faceva sì che le zone colpite venissero risanate a tempi record, dato che ognuno collaborava a renderle ripresentabili: ciò nonostante, nell’incedere, era bene verificare che per terra non ci fossero vetri, frammenti, legni, pezzi d’assi bruciati.

L’aria, così, o sapeva di terra, o sapeva di pioggia, o sapeva di fuoco.


Minato avanzava in mezzo alla gente, attenta, tutta, a non creare calca ove non fosse necessario: almeno un metro e mezzo fra ognuno, se non di più. Era un traffico possente, attento, coordinato, di persone: ogni tanto compariva un carretto al traino, ma mai nulla di più pesante di un centinaio di chili. Negli ultimi vent’anni avevano fatto la loro comparsa oggetti come le biciclette e i motocicli, sino ai quadricicli: erano però, tutti, stati confinati alle zone periferiche, e venivano usati per gli spostamenti nella campagna, negli spazi aperti, al pari di cavalli o carri – oggetti troppo pericolosi, dalle città erano stati banditi prima ancora che qualcuno osasse usarli.

Perché in fondo, il popolo del vento e il popolo del fuoco erano abituati da sempre muoversi a piedi.

Minato si guardava attorno, cercando con lo sguardo l’edificio della Scuola a cui era stato assegnato in quei giorni - H04A: rosso acceso, come un faro in mezzo alle costruzioni bianche e beige. Difficile da non notare, come tutti gli altri, del medesimo colore.

L’idea arrivava dalla cultura del deserto, dei bianchi, del vento: gli edifici scolastici erano rossi per essere riconosciuti subito dai bambini, che dovevano arrivarci anche da zone lontane. Nel sistema della Magna Regio, la ragione era doppia: i bambini cambiavano in continuazione edificio, anche nello stesso giorno, rigorosamente da soli: avere un colore di riferimento li aiutava a non perdersi.

Minato iniziò a deviare.


***


Il rappresentante dei bianchi si passò la mano sotto il naso, scuotendo lentamente il capo.

Era un ragazzo grosso, alto, forse troppo giovane, pensò Sakura.

L’anziana si sistemò sulla sua poltrona, disposta, assieme alle altre, in cerchio. Il ragazzo era in mezzo.

Accanto a lei, due poltrone più in là, c’era Kankuro: levando gli occhi su di lui, in tralice, poteva vederne il volto stanco ed assorto, basso, meditabondo. Sakura scostò lo sguardo, senza nemmeno più cercare di intuire i pensieri sfuggenti del vecchio, che conosceva sin troppo bene.

Tutto il consiglio sembrava arrendevolmente atterrito. Sconsolato, gli uomini e le donne che lo componevano si scambiavano occhiate perplesse, domandandosi la stessa cosa.

Era quello lo scotto?

O era solo l’inizio?

"Siediti, amico mio. Ora ne discuteremo." mormorò una donna: il rappresentante annuì, avviandosi greve al suo posto.

A vederlo da dentro, il consiglio sembrava un’opera di alta civiltà. Così credevano loro e così avevano pensato quando avevano gli avevano dato vita, assieme agli altri organi di governo e rappresentanza: nella sala circolare si riunivano un centinaio fra uomini e donne, distribuiti fra figli del vento e figli del fuoco, fra giovani e anziani, chiamati a prendere le decisioni più importanti per la Magna Regio.

Massima e continua istruzione, massimo sforzo richiesto nel condurre il proprio ruolo: vicinissimi alle figure dei Philosophi e dei consiglieri del vento, eppure così lontani.

A Sakura bastava vedere i volti di tutti gli altri per sentire, nel profondo del suo cuore, che nulla il consiglio aveva a che fare con il fu Summus Globus.

Un Philosophus non avrebbe mai dedicato il minimo sconforto per l’assassinio di tre persone qualsiasi.

Un Philosophus non si sarebbe mai trovato ad affrontare situazioni del genere, sia per interesse, sia per realtà dei fatti: il secessionismo era cosa nuova.

L’anziana intravide con la coda dell’occhio Kankuro levarsi lentamente e faticosamente in piedi, per prendere parola.

Il consiglio tacque.

"Amici."

Kankuro aveva scavalcato i cent’anni.

Aveva una voce greve e potente. A stento si reggeva in piedi, poggiato al manico della sua poltrona, ma quando parlava, pareva tuonare con il fiato di un uomo senza età. E Kankuro parlava, in continuazione. Non si sarebbe mai zittito. Nessuno doveva zittirsi, sosteneva.

"Ormai siamo in pochi a ricordare la quantità di vittime che l’insana guerra fra il vento ed il fuoco mieteva senza motivo alcuno."

Sakura socchiuse gli occhi, le labbra sottili e rugose strette fra loro.

"Non è questo un buon motivo per pensare che qualche bianco morto ogni tanto sia trascurabile." continuò l’anziano. "La vita dei bianchi emigrati a Konoha sta diventando insostenibile, rischiosa addirittura per il resto della popolazione, dato che molti di loro rinunciano a recarsi negli uffici di igene, ed iniziano a mancare i Medicus disposti ad andare casa per casa, rischiando a loro volta. La produzione inizia a subire le perdite dovute agli anni di moderata ma inarrestabile distruzione ‘dimostrativa’. Non abbiamo il confronto con i neri emigrati a Suna per il semplice fatto che il deserto non è di semplice abitazione, e quindi ha attirato pochi di loro – ma oramai è sicuro che i fronti secessionisti sono sia bianchi che neri. Non importa chi ha iniziato, le pressioni aumenteranno. Abbiamo trattato. Abbiamo provato. Abbiamo smesso di combatterli per evitare perdite inutili, ma non sta funzionando. Giorno dopo giorno sfioriamo il limite della Politelia, perdendo di vista ogni singolo comandamento istituito. La gente ha paura. La paura genera mostri."

Come Gaara.

"La Politeia sta diventando carta straccia. Siamo in stallo. Ed io per primo non so più che fare."

Nessuno sapeva, nemmeno lontanamente, cosa fare.

"Quindi, Amici, con il cuore che urla amara sconfitta, vi pongo un triste quesito: cosa potrebbe succedere se chiamassimo l’Esodo?"

L’Esodo.

Sakura riaprì gli occhi, privata del fiato da quella parola.

"E’ esso veramente una soluzione? Potrebbe diventarlo? O sarà l’ennesimo tampone?"

L’anziana si alzò in piedi, lenta.

"Da un lato ne vedo un modo per proteggere i cittadini, dall’altro temo gli effetti. Ma non ho più idee, amici – devo averle finite, oramai. Siamo a un limite, prima che la pressione dei secessionisti diventi esplosione, dobbiamo fare qualcosa."

Sakura inspirò, attendendo.

"Ho finito." concluse Kankuro.

Lei espirò lentamente, e in un sibilo tagliente dichiarò, solenne: "L’Esodo, Mai."





***



Dodici bambini in fila si flessero in un piccolo inchino, rivolto ad un uomo che aveva tutta l’aria di essere un insegnante. La palestra dell’H04A era piccolina, forse un centinaio di metri quadri riservati al ciclo d’istruzione inferiore, l’A, che comprendeva bambini fra i sette ed i nove anni. Le ore di allenamento, soprattutto, li vedevano mescolati completamente senza alcuna distinzione d’età: spesso, poi, bambini e ragazzini del ciclo A e B si ritrovavano insieme. Ci si mescolava e rimescolava, nello stesso giorno, ogni dieci giorni, nei mesi.

Cambiare era il diktat.

Cambiare aula, insegnante, materia, compagni, edificio, istituto: tre volte al giorno, con rotazioni mensili, con laboratori a latere: cambiare. Mai abituarsi allo statismo.

Mai.

"Buon giorno."

"Buon giorno." risposero i dodici in coro.

"Presentiamoci."

Minato si fece avanti, in testa: era arrivato per primo. Arrivava sempre per primo. Non lo faceva nemmeno intenzionalmente, anche quando era convinto di essere a rischio di ritardo, scopriva di essere arrivato per primo.

"Il mio nome è Minato Namikaze. Ho otto anni e tre mesi. Sono portato per le mutazioni, ma non ho ancora sviluppato alcun potere."

E a ruota gli altri.


***


Sakura aveva novantotto anni. Era più debole di Kankuro: la sua voce era un soffio, dolce e fragile, che raramente trovava parola in consiglio. Aveva già dato, pensava: toccava agli altri. Alle nuove generazioni. Dobbiamo lasciarli fare, noi abbiamo fatto moltissimo.

Erano almeno tre anni che Sakura non prendeva parola.

"Non faremo vincere i secessionisti. Non faremo vincere che vuole tornare al passato, chi divide. Non ci divideremo. Non lo posso permettere, Amici."

Kankuro parlava con l’amaro tono della sconfitta.

Sakura mormorava con lo sconforto del guerriero ferito.

"Pensate a dove siamo arrivati, a cosa abbiamo fatto. Abbiamo ancora molto, troppo da fare: la verità è che il secessionismo è il primo grande ostacolo che abbiamo incontrato dall’anno zero. Ma non il più grande in assoluto. Oggi sappiamo affrontare i problemi coscienti della loro esistenza, e questo ci è di grande aiuto. Amici, quasi ottant’anni fa distruggevamo un sistema malato che era durato nei secoli, ora abbiamo solo piccoli focolai di 'guerriglieri' che invocano una recessione, prima ancora di una secessione. Possiamo affrontarli. Se vi state chiedendo se magari non sia più giusta la divisione dei bianchi dai neri, ricordatevi questo: sino a dieci anni fa i bambini iniziavano a dimenticare il significato di questa distinzione, e ben ricordo che c’era un periodo in cui era persino difficile spiegarla loro. Oggi tutti la conoscono benissimo, solo per causa di questi movimenti e dei loro assassinii. E’ chiaramente ed evidentemente un ostacolo, Amici, che dobbiamo scavalcare."

Il rappresentante dei bianchi scuoteva lentamente la testa, coprendosi gli occhi con la mano destra. Sakura ne notò il movimento con la coda dell’occhio, e gli si rivolse, materna: "Ragazzo, non ti svilire. Se si svilisce il consiglio, la Regio è finita."

Quello, levandosi in piedi, attese di poter prendere parola. L’anziana gliela cedette con un cenno del capo.

"Anziana Sakura, da che sono nato ho visto le cose solo andar peggio, questa è la triste realtà della mia gioventù. Ho studiato il risorgimento che voi avete costruito, e l’ho visto crollare davanti ai miei occhi. Io sono della generazione che da piccolo non conosceva la distinzione fra i bianchi ed i neri, io sono della generazione che l’ha tristemente dovuta imparare e si è trovato, a Konoha, a rinsaldare quei vecchi legami per causa del pericolo, del sangue, del fuoco e dei morti. Io per primo non tollero chi si macchia di questi atti, ma, non trovando soluzione alcuna, vedendo le cose crollare in questo modo, mi domando: non vivrei forse più serenamente a Suna? Non vivremmo più serenamente nella terra che ha dato origine alla nostra gente, piuttosto che qua? Che male c’è, in fondo?" Espirò, tornando a sedere. "Ho finito."

"Ragazzo, ci sono bambini e tuoi coetanei che non sono né figli del vento né figli del fuoco, ma solo della Magna Regio, la progenie mista. I tuoi antenati sono venuti qua spinti dal clima migliore, e come potremmo biasimarli? E’ stato grazie all’unione che abbiamo concluso la guerra, condividendo la terra e giacimenti. Tu potrai anche essere pronto a tornare a Suna, ma lo sono, gli altri? E non avrebbero forse diritto di adirarsi, loro? E dalla violenza dei secessionisti non troveremmo forse la violenza di chi viene diviso? E gli amici, e i parenti? No, ragazzo. Non può funzionare. Non è giusto."

La gola le faceva male.

Esausta, ritornò a sedere, levando la mano per far intendere che aveva finito.

Kankuro la osservò muoversi, esausta.


Come erano arrivati fin là?

Perché non riuscivano a uscire da quella situazione?

I giorni e gli anni erano passati, i giorni e gli anni passavano. Presto avrebbero lasciato la Regio, ma l’avrebbero lasciata in condizioni che non li confortavano nemmeno un po’: lo spetto della guerra alitava su di loro, la realtà di quel terrorismo infame si parava davanti ai loro occhi.

E tutto, purtroppo, dava la pessima idea che avrebbe potuto degenerare da un momento all’altro.



***


Corsero: in testa il professore, e loro, dodici, dietro – in fila indiana.

Dovevano essere quindici, di regola, ma i figli dei bianchi si facevano vedere sempre più di rado: continuamente bersagliati dai secessionisti, i genitori non avevano tanto paura di far metter loro piede nelle scuole, quanto piuttosto di doverli lasciare liberi di camminare per città da una lezione all’altra, lasciandoli alla mercé dei secessionisti.

Tre bambini erano rimasti feriti, e due uccisi, nell’ultimo anno.

Minato osservò i compagni, notando, con svilito disappunto, che di bianchi non c’era traccia alcuna. Era prevedibile - anzi, ormai era assodato - ma spesso ci sperava.

La paura generata dai secessionisti ormai vinceva sul diritto e dovere all’istruzione.


Strano, pensava spesso, che neri fossero in realtà coloro che avevano la carnagione lattea, mentre i bianchi, invece, avevano il volto scuro, color mattone, o addirittura ebano, tendenti al nero. Chissà se anche gli altri ci facevano caso, o lui solo passava il tempo a far pensieri del genere.

Passava la vita ad apparire pensoso, sempre intento a srotolare qualche ragionamento che non riusciva a chiudere completamente.











________________________________________________



[NDA]

Dunque. Sottolineo che è pienamente voluta la discronia delle generazioni - adesso abbiamo minato, sasori e compagnia, mentre i vecchi sono sakura e kankuro. Anzi, non ho scelto Minato come personaggio principale per caso.

Fra l’altro nei FdO avevo detto che dovevano essere tre titoli con naruto-sasuke-sakura. Sakura qui è importantissima, ma ho deciso di dedicarmi a Minato, che era cosa più giusta... vabè.


Ho sistemato un po’ note ed avvertimenti:

• OOC per onestà, anche se l’intenzione è mantenere i caratteri loro, purtroppo qui la storia è talmente diversa che non possiamo permetterci nemmeno una lontana simmetria con il manga. Anzi, di stravolgimenti ce ne sono a bizzeffe. Vorrei specificare, però, che cerco comunque di mantenere fede ai CARATTERI intrinsechi dei personaggi.

• "nuovo personaggio" fra i pg segnalati per il semplice fatto che sto finendo le comparse / i pg, quindi potrebbero comparire estranei. Mi spiace.

• otherverse: diciamo che l’ho messa per tre giorni e poi l’ho tolta quando ho capito cosa volesse dire xD però rimarco un AU violentissimo.


@wari: grazie per la recensione :) tranquilla per Ipotesi Gaia xD ahah xD minato è un pg che mi piace molto, ora che un po’ si è capito che personaggio era.

putroppo sta tendendo, molto, allo storiografico - mi rincuora vedere che secondo te i pensieri di Minato sono ben inseriti, io non dico di far fatica, ma ‘sento’ che la narrazione va lenta a causa di questa descrizione della società, molto difficile da fare. Mi piacerebbe soffermarmi sui cambiamenti - qui ho dato un abbozzo di sistema scolastico, ma non riuscirò a far vedere tutto quello che vorrei.... cercherò di farcela.


Devo ammettere che scrivo un po’ con il cuore in mano. Forse questa volta i riferimenti non sono affatto difficili da trovare con il ‘mondo reale’, anzi. Mi ci sono buttata a pesce. Perchè quando un sistema così alienante viene a cadere, iniziano a insorgere problemi di altro genere - problemi più simili ai nostri. E loro, ad esempio, il terrorismo non se lo sono mai sognati. Addirittura avevano vincolantissimi patti su come andava condotta la guerra, figurarsi se qualcuno si sognava di dar battaglie interne.

Adesso cambia.


Gente, sono confusa.

rimarco la natura di sfogo di questa storia.

allaprossima.



   
 
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