Fanfic su artisti musicali > Jonas Brothers
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Autore: u n b r o k e n    15/08/2011    5 recensioni
Delilah è una ragazza bellissima ma con un oscuro passato alle spalle che tutti tentano di scoprire non appena arriva a Los angeles. Kimberly è sua cugina,dolce simpatica e sempre gentile innamorata del suo migliore amico Nicholas che sfortuntamente per lei è gia fidanzato. Nick e britney formano una bella coppia,se non fosse che lui è decisamente troppo umano per una tipa come lei. Intanto Kevin è stanco di lavorare in una concessionaria di auto con suo padre e cerca qualcosa di più dalla vita,e trova la felicità nella sua fidanzata danielle.Joe frequenta l'università solo per poter andare via di casa ed avere indipendenza ma è completamente rapito dall'alone di mistero che avvolge delilah. che cosa succederà quando la vita di questi sei ragazzi si intreccia?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pilot
Dicono che gli occhi sono lo specchio dell’anima; che se guardi davvero negli occhi di una persona riesci a vedere tutto ciò che c’è dentro di lei: i suoi pensieri, le sue paure più profonde, le sue debolezze.
Io non lo so se è vero. Ma se è così allora nella mia anima non c’è niente: perché nemmeno io riesco ad attraversare i miei occhi, superare quella barriera invisibile, quello specchio ghiacciato che li rende sempre così tetri ed inquietanti. Guardando un paio di occhi come i miei non penseresti mai che un’anima così possa provare dei sentimenti, perché degli occhi così non posseggono un’anima. Ovviamente, tutto nel concetto degli occhi che rispecchiano l’anima.
Ma se non fosse così? Se gli occhi fossero tutto il contrario di ciò che sta all’interno? Se anche la mia natura, per quanto glaciale e da brividi fosse solo una copertura? E se sotto ci fosse qualcosa di più?
 
« Delilah Hai preso i tuoi occhiali da vista? E lo spazzolino? E-»
«Sì, mamma» la bloccai con una voce roca e assonnata, e con un grosso sospiro. Seguii con gli occhi i movimenti delle mani di un'hostess che parlava in una lingua che evidentemente non era la sua e tentava di spiegare qualcosa a un anziano signore con un apparecchio acustico. Con la poca pazienza che mi ritrovo,non avrei senz'altro voluto essere nei suoi panni. «Ti troverai bene da zia Violet.» disse lei con tenue sorriso che probabilmente era più per rassicurare se stessa che me. Guardai gli occhi di mia madre che nel frattempo aveva posato una mano sulla mia spalla e lei spezzo bruscamente il contatto visivo guardando la mia valigia. Ero abituata a questo tipo di cose. Ero abituata al fatto che mia madre volesse piangere tutte le volte che mi guardava negli occhi. Gliene avevo fatte passare di tutti i colori a mia madre. Eppure era li a cercare di offrimi una vita migliore. E io ero li incapace di mettere da parte il mio orgoglio per far uscire dalla mia bocca un semplice grazie o per farla un sorriso che sapevo quanto per lei contasse.
«Lo sai che non me ne voglio andare.» mi limitai a dire seccamente alzando le spalle noncurante. Non avevo accettato la decisione dei miei genitori di mandarmi via da san francisco anche se forse la parte più remota di me era a conoscenza del fatto che era la cosa migliore da fare.
«Tu devi andare.» Mio padre chiuse una chiamata sul blackberry e ci raggiunse,guardandomi negli occhi severamente. tutto il contrario di mia madre. «non si discute più su questo punto.» aggiunse affondando le mani nell'elegante pantalone con una piega perfetta. Questo erano i miei genitori, perfetti. E io ero sicuramente un errore di calcolo nella grande equazione della loro vita.
«Mi sento come se la mia vita fosse nelle mie mani,sul serio!» esclamai sarcastica alzando lo sguardo. Odiavo chi doveva scegliere per me.
«Tu non ti meriti la tua vita nelle tue mani considerando quello che ne hai fatto.» rispose mio padre. Cercai di richiamare all'ordine la poca pazienza di cui ero munita e sospirai senza dire una parola. In fondo non lo potevo biasimare, ma non l'avrei mai detto ad alta voce.
«Volo M29 in partenza per Los Angels» Sentii una voce elettronica pronunciare quelle parole e mi alzai afferrando il mio bagaglio. Mi voltai verso i miei, tenendo la testa alta con un’espressione sicura dipinta sul volto. Diedi un’occhiata a mia madre che però mi ignorava, decisamente troppo occupata a strapparsi via un filo fuori posto dalle cuciture della camicetta. Mio padre mi diede una pacca sulla spalla e mi sforzai di sorridergli lievemente.
«Mi raccomando» disse lui semplicemente. Rimasi a guardarlo in faccia con le orecchie tese per cogliere altre sue parole ma non disse più nulla. Annuii in maniera impercettibile mentre finalmente lo sguardo di mia madre si posava sul mio, ma troppo intimidito si spostava verso qualcos’altro sulla mia faccia: non so, forse mi guardava il naso o le sopracciglia, ma sono più che sicura che non avesse il coraggio di guardarmi dritta negli occhi. Nessuno ce l’ha mai avuto, e io non so il perché: e così e basta. Prendere o lasciare: e io ho deciso di fare l’indifferente, visto che questo è ciò con cui devo convivere per il resto della mia vita. E anche se forse a volte è comodo credere che questo accada per via dei miei occhi agghiaccianti, purtroppo sapevo perfettamente che, sempre a causa mia, i miei occhi erano diventati un misto di cattiveria e d’odio, avevano respinto tutta la gente dalle buone intenzioni e adesso non potevo più farci nulla, perché queste erano le conseguenze.
«Vieni qui» udii mentre le labbra di mia madre tremavano a quelle parole che lei stessa era riuscita a pronunciare e che evidentemente stupivano anche lei, e il suo sguardo tetro si affievoliva, addolcendosi sempre di più. Riuscivo quasi a notare un luccichio lontano, fin troppo lontano per essere definito una lacrima vera e propria. Le sue braccia si tesero in avanti e fece qualche passo verso di me, prima di avvolgermi con esse, stringendomi a lei. Questo era il primo vero abbraccio che avevamo dopo tutto quel casino che avevo combinato: era ancora molto lontana, ma rispetto alla situazione in cui ci trovavamo era già un grande passo avanti. Rimasi con gli occhi sbarrati per qualche secondo quando ci staccammo, incredula di ciò che era appena accaduto.
«Vado» riuscii a rantolare con la mia solita voce roca, ma se non fossi così orgogliosa probabilmente ammetterei che stavolta non si trattava del fatto che fossi assonnata perché erano le cinque del mattino. Probabilmente rivelerei che c’era qualcosa all’interno della mia gola che mi impediva di parlare, e che il mio corpo sembrava essersi fatto di gelatina in quell’istante. Strinsi i pugni più forte che potevo e serrai i denti, imponendomi di smetterla. Quella non ero io: quella era la parte di me debole, la parte di me che non riusciva a resistere e che dovevo ricacciare indietro. La parte di me che avevo combattuto così tanto nell’ultimo periodo, quella che adesso doveva sparire e non tornare mai più, perché io ero forte. Vidi i miei annuire piano e senza dire nulla girai i tacchi con un cenno, percorrendo per la mia strada verso il volo M29, che mi avrebbe portata verso la mia nuova vita. Che volessi prenderne parte davvero, non ne ero ancora del tutto sicura, ma si sa, certe cose finiscono per essere più grandi di noi, che lo si voglia o meno.

u n b r o k e n corner :3 

cccciao a tutti! siamo carla e manuela e siamo due semplici ragazze che si sono impegnate tanto per partorire questa storia dal nulla e alle quali farebbe davvero tanto tanto taaaanto piacere se leggeste e recensiste! Non importa anche se dite cose brutte o fate commenti cattivi - okay magari quelli evitateli - però siate sinceri, è questo che vogliamo dire!

ps questa è la nostra Delilah :3 
   
 
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