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Autore: Lady Snape    17/08/2011    3 recensioni
Dal secondo capitolo: "Era appeso. L’elenco, la classifica generale degli eredi di L era appesa in bacheca. I ragazzini si accalcavano tutti intorno ad essa per leggere il proprio nome, la propria posizione e il voto ottenuto. Un giudizio scritto era invece consegnato personalmente da Roger; erano segnati dei consigli da seguire per migliorare i propri risultati, quali erano i difetti e quali i pregi di ognuno e ognuno di loro poteva decidere se renderli pubblici o no.
Near si avvicinò alla bacheca, provando a mettersi sulle punte dei piedi. Allungò il collo, ma non vedeva ancora nulla. Mello, invece, preferiva restare incollato alla parete opposta. La sua espressione era quella di uno che non sa se buttarsi dal ponte oppure no. Temeva di leggere un meccanico “2” accanto al suo nome e di vedere sopra il suo quello del rivale. Questa volta non era una delle prove sceme di Roger, era qualcosa che aveva portato con sé la ragazza con i capelli neri, quella che gli rivolgeva quei sorrisi irritanti."
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: L, Mello, Near, Nuovo personaggio, Watari
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Mello's Revenge'
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            L’autunno da quelle parti era molto strano. Il giorno prima era stata una pessima giornata. Dopo il pomeriggio burrascoso in compagnia di Mello, J affrontò suo fratello per telefono, parlando dannatamente in codice. Era irritante non poter comunicare come persone normali, ma L in quel momento aveva parecchio da fare con il caso Kira. J seguiva la vicenda da lontano, con tutte le precauzioni possibili; non sapeva, però, cosa accadeva in Giappone, chi stesse lavorando con lui, a parte Watari, e chi fossero i sospettati. Le notizie che Quillsh le passava erano davvero risicate e si trattava perlopiù di dati sintetici, giusto per avere una visione generale di quello che stava accadendo. L’unica cosa che aveva notato di strano durante la telefonata era uno strano rumore metallico, quasi una catena che veniva trascinata; suo fratello era il tipo di persona da fare cose parecchio strane, ma una catena poteva significare che era attaccato a qualcosa … o a qualcuno.

< Ho allucinazioni auditive o sento uno strano rumore? > chiese, sapendo che L avrebbe risposto a sua discrezione. Era estremamente capriccioso, aveva l’indole di un bambino e come un bambino dovevi adularlo se volevo ottenere qualcosa da lui; in quel momento la ragazza non aveva voglia di metter su un teatrino di moine per tirargli fuori la verità.

< Qui c’è gente che lavora, mi sembra ovvio! > non voleva rispondere dettagliatamente e di certo non poteva, ma J dedusse che sì, quel rumore non l’aveva immaginato e che era qualcosa attinente all’indagine.

< Spero per te che, nonostante ti sia incatenato a qualcosa, riesca farti una doccia ogni tanto. Sei particolarmente vergognoso in fatto di igiene … e non posso venire certo io a ficcarti in una vasca a forza! > ecco, l’aveva detto.

L era peggiorato nel tempo e a niente erano valsi l’appellativo di “Pulcioso” e “Puzzone” l’ultima volta che si erano visti, risalente ormai a parecchio tempo fa. Allora il caso Kira era già nelle sue mani, ma agiva senza mostrarsi a nessuno. Poco tempo dopo si era palesato alla Polizia Giapponese ed erano terminati i loro incontri. Erano abituati a non vedersi per mesi, a farsi giusto qualche telefonata per la voglia di sentire la voce dell’altro, perché non potevano parlare liberamente di niente.

Le mancavano quei loro rari momenti di intimità che appartenevano solo a loro, che rimarcavano il loro legame, rimasto unico per molto tempo e con il mestiere che L aveva scelto non c’era speranza di fare amicizia con qualcuno. Quando suo fratello era impegnato con un caso, non c’era nessuna possibilità di passare un po’ di tempo con lui, come quello straccio di famiglia che erano.

Da parecchi anni il bagno era l’unica stanza in cui erano solo fratello e sorella, anche se gli argomenti delle loro conversazioni erano spesso cruenti: si passava da casi del presente e del passato, con spargimenti di sangue spesso e volentieri, ai progressi di J con le pistole e la sua mira o in combattimento, oltre che ai suoi risultati accademici, che di cruento avevano poco, ma mettevano in agitazione la ragazza, che si vedeva paragonare a L e ai ragazzi della Wammy’s House, tutti geni senza precedenti, anche se, effettivamente J non era certo infondo ad un’ipotetica classifica. “Buon sangue non mente” aveva detto Watari una volta ed L sapeva che era la verità.

J aveva preso come una missione occuparsi di lui, tanto era inutile sperare che iniziasse a comportarsi come una persona normale, semplicemente perché non lo era affatto. Erano anni che non mangiava più come tutti i comuni mortali, ma si ingozzava di dolci; non c’era speranza di farlo vestire in modo più decente; sull’igiene però non si poteva appellare a niente e a nessuno, così J aveva preso l’abitudine di andarlo a trovare con un vassoio carico di qualunque cosa dolce le venisse in mente, da usare come esca, per avere il permesso di buttarlo sotto la doccia e occuparsi di lui.

La cosa che entrambi amavano particolarmente era il momento dello shampoo. Quale fosse la ragione precisa, non sapevano dirlo, ma L si rilassava sotto il tocco delle mani di sua sorella e J forse godeva di quel momento così personale, in cui suo fratello diventava estremamente dolce.

< A volte penso di mollare tutto. > disse una volta il ragazzo, mente la testa insaponata gli dava un’aria particolarmente infantile. Giocava con la schiuma e faceva le bolle come un bambino di cinque anni, quei cinque anni che non aveva mai vissuto < Ce ne andremmo via, io e te … lontano da tutto il chiasso dei casi e dei malviventi … vivere normalmente, un lavoro normale, una casa … chissà, potremmo aprire una pasticceria! >

Ciò che seguì fu un altro pessimo gioco infantile, che produsse l’allagamento del bagno della camera d’albergo dove alloggiava L.

            Andar via, vivere normalmente. Non erano cose possibili, nemmeno lontanamente. L aveva la sua missioni e J era pronta a succedere a Quillsh. Perché doveva essere lei il nuovo Watari? Era semplice trovare le ragioni. Era abituata a trattare con persone con una mente particolare e riusciva a trovare il modo giusto per non indispettirle, dato che, nella maggior parte dei casi erano estremamente infantili e suscettibili.

Near, ad esempio, era il tipo di persona che preferiva i silenzi e in quei silenzi comunicava molto di più delle mille parole complesse che era capace di snocciolare. Quando parlava era freddo, una macchina in azione, mentre la sua calma proverbiale era estremamente comunicativa. Bisognava imparare il significato dei suoi gesti, come la sua abitudine di arrotolarsi una ciocca di capelli su un dito, che non era altro che un modo come un altro per rassicurarsi da solo. J lo aveva notato e aveva provato un grande tristezza: non sapeva quale fosse la sua storia, perché fosse alla Wammy’s House, ma era certa che lo avrebbe tenuto d’occhio.

Mello era esattamente l’opposto, ma non era la persona più sicura del mondo. Aveva sviluppato un complesso d’inferiorità notevole che, mescolato al suo scarso autocontrollo, risultavano distruttivi.

            J sospirò. Si chiedeva perché tutto dovesse essere così complicato, perché avessero alimentato quella strana guerra per la successione di L, quando c’erano altri grossi problemi da risolvere. Era scesa in uno dei salotti che venivano destinati agli incontri con gente che proveniva da fuori e veniva a far visita all’istituto per qualche ragione. Il sole era già alto. Era metà mattina e non pareva per niente che il giorno prima si fosse scatenata una tempesta nella regione. La ragazza era parecchio stanca; quella notte non aveva dormito molto. Aveva discusso molto con Roger di Mello e non erano arrivati a nessuna conclusione, se non a considerare che forse non sarebbe mai stato lui il successore tanto agognato proprio per le sue pessime reazioni. Aveva pensato allo sguardo disperato del ragazzo ed aveva convenuto che non era giusto averlo illuso in quella maniera per tanto tempo. Lei non era esattamente dello stesso parere del direttore, ma pensava, e suo fratello era in parte d’accordo con lui, che insieme, Near e Mello, sarebbero stati imbattibili. Si sdraiò sul divano e prese tra le mani un libro che non riusciva ancora a finire, visti gli impegni che aveva. Non ci volle molto e le parole lasciarono il posto ai sogni.

 

            Mello era diventato veloce nell’uso delle stampelle. Meno di mezza giornata era bastata a capire come salire e scendere le scale. L’unico problema era che risultava abbastanza faticoso. Matt lo aveva aiutato la sera prima, dato che era mortalmente stanco, quanto meno gli apriva porte, rubinetti, armadi, pareva un maggiordomo! Averlo sempre intorno non era molto piacevole: si sentiva osservato, anzi controllato dall’amico. Era arrivato addirittura a provvedere alla sua colazione portandogli il vassoio della mensa riempito in maniera inverosimile. Sapeva che lo stava facendo per il suo bene, ma stava risultando parecchio irritante e non aveva voglia di prendersela con lui.

Con un po’ di fatica era riuscito a liberarsene e ora vagava per i corridoi e le stanze della Wammy’s House alla ricerca di un posto che non fosse frequentato da alcuno. Non voleva saperne di avere a che fare con nessuno. Al mattino, vedendolo fasciato e armato di stampelle alcuni bambini avevano fatto domande, ma il suo segretario Matt aveva risolto per lui quell’impiccio, inventandosi una scusa abbastanza credibile e scaricando la colpa su Near, responsabile di aver lasciato nel corridoio qualcuno dei suoi giochi per sabotare il suo rivale. Beh, non gli era dispiaciuta come scusa. Aveva osservato di sottecchi il ragazzino accusato, ma questi aveva fatto finta di niente, quasi non fosse stato messo in mezzo alla faccenda.

            Percorse l’ennesimo corridoio e notò una delle porte socchiuse. Filtrava una luce molto forte, probabilmente proveniente dalla grande finestra che si intravedeva dallo spiraglio. Spinse la porta con la stampella e lanciò uno sguardo all’interno. Pareva tutto in ordine, poi notò un piede nudo e affusolato sbucare dal lato del divano. Qualcuno era spaparanzato in quella stanza e il fatto che non avesse notato il suo ingresso significava che stesse dormendo. Lo avrebbe svegliato in malo modo: aveva bisogno di dare libero sfogo alla sua inattività momentanea e obbligatoria. Procedette con cautela, per evitare di rovinare l’effetto sorpresa, ma fu lui ad essere sorpreso.

Era J ad essersi addormentata in quella stanza. I capelli neri erano sparsi su un cuscino rosso che decorava il divano. La sua pelle chiara risaltava in modo violento e il suo volto mostrava una calma assoluta. Le palpebre abbassate e le labbra socchiuse mossero qualcosa nel petto di Mello. Il suo sguardo scese sul suo collo bianco circondato da un laccio nero da cui pendeva una piccola croce dorata. Lo sguardo finì sul suo seno e un po’ il ragazzo si vergognò, ma la trovava una visione irresistibile; la mano della ragazza reggeva a malapena un libro, “Brigth star” di John Keats. Mello posò una delle stampelle e lo sfilò con leggerezza dalle sue mani. Diede uno sguardo veloce alla poesia e ripose il libro sul tavolino lì accanto. J si mosse nel sonno e Mello si bloccò trattenendo il respiro. Era strano come i suoi propositi di svegliarla in malo modo si fossero completamente raffreddati. Era rimasto incantato da quella visione, da quel momento così strano vedere quella persona che gli creava una lunga serie di problemi essere indifesa; non solo, aveva realizzato di esserle assolutamente grato per quello che aveva fatto per lui il giorno precedente, solo non sapeva come considerare quello strano moto del cuore che gli era preso quando l’aveva vista così abbandonata nella quiete del suo sonno, realizzando che era una donna, percependo il suo profumo in modo diverso, giocando con lo sguardo sulle sue curve.

Si sedette per terra, voltandosi verso il suo viso e osservando il ritmico alzarsi e abbassarsi del suo seno. Si lasciò cullare dal calore che emanava e sfiorò la sua mano con un dito.

L’avrebbe fatto, era deciso, probabilmente era stupido, ma voleva … voleva davvero cosa? Ringraziarla? Sì, forse era questo che voleva, quindi si sollevò un po’, si mise in ginocchio e posò le labbra su quelle della ragazza. Fu colpito da quella sensazione, dalla morbidezza, dai respiri e dai profumi che si mescolavano. Premette un po’ di più e si sentì percorrere da un brivido.

            J sentì che qualcosa la stava toccando in modo non esattamente pudico. Qualcuno stava baciando le sue labbra e in quel luogo c’erano solo tanti ragazzini, Roger e le insegnanti. Roger non era di certo, quell’uomo aveva un odore di tabacco estremamente forte, mentre quello che sentiva era un profumo di pulito. Poteva essere qualcuno dei ragazzi. Prima di avere una qualche reazione eccessiva che avrebbe traumatizzato lo strano avventore, socchiuse gli occhi per sbirciare cosa stava accadendo.

Se qualcuno glielo avesse detto, non avrebbe mai creduto che fosse lui, non lui, non poteva essere. Mello, con gli occhi chiusi, teneva ferme con una mano alcune ciocche di capelli biondi che avrebbero solleticato il suo volto. Era molto preso da tutta quella situazione, tanto che sentì la sua lingua darle un tocco leggero, come se volesse saggiare il sapore delle sue labbra. Aveva quasi quindici anni e quello che stava accadendo era quasi prevedibile. Gli ormoni li avevano anche i geni.

Il ragazzo si sollevò con delicatezza e solo dopo riaprì i suoi occhi azzurri. Incrociò immediatamente i pozzi neri di J: non si vergognò di quello che aveva fatto, di essere stato scoperto, ma la fissò tranquillo come se quella situazione fosse normale, ovvia, naturale. Solo dopo qualche minuto si voltò e tornò a sedersi per terra. Abbassò lo sguardo, tentando di mettere in ordine i suoi pensieri e non solo quelli.

J continuò a guardarlo, provando a immaginare cosa gli passasse per la mente, poi si sollevò e si accomodò per terra alla sua sinistra.

< Era la prima volta? > chiese in un sussurro, avendo intuito che il primo ad essere sorpreso della situazione era lui.

Mello annuì con la testa. Non aveva mai pensato a questo genere di cose, ma quella situazione era stata peggio di una calamita. Forse ora sarebbe arrivata la ramanzina sul fatto che non si dovrebbero fare queste cose senza il permesso dell’interessato, ma le sorprese di quel giorno non erano finite. J frugò nella sua borsa sul tavolino e tirò fuori una tavoletta di cioccolata. La scartò e gliela offrì.

< Questa dovevo farla recapitare ad L, ma si arrangerà con altro. > e gli sorrise.

Questa volta Mello non odiò quell’atteggiamento così disponibile nei suoi confronti. Ora capiva qualcosa in più riguardo i suoi sguardi, capì che lei lo rispettava davvero come persona, per quanto fosse matto da legare. Prese la stecca di cioccolata e ne morse un po’. Il sapore era amaro, doveva essere fondente, ma allo stesso tempo inondò la sua bocca di calore e piacere. Sorrise deliziato, per la prima volta dopo settimane.

< Ora quando mangerai cioccolata penserai a quello che è successo qui, in questa stanza. > disse la ragazza, lanciandogli un piccolo sguardo di sottecchi per saggiarne la reazione.

< Un rinforzo positivo a qualcosa di positivo? > chiese Mello un po’ scettico.

< Perché no? > fu la risposta di J.

Restarono in quella stanza mangiando cioccolata. La ragazza posò la testa sulla spalla di lui e non dissero più niente.

 

            Era ora di partire. Erano le quattro di notte. Non era il massimo, ma l’aereo per il Giappone era ad un’ora improbabile; doveva vedere Watari. Sistemò le ultime cose nella sua valigia e controllò che il taxi fosse arrivato. Quando aprì la porta della sua stanza, c’era Mello ad attenderla in equilibrio sulle sue stampelle. Aveva lo sguardo basso e un’espressione di pura tristezza.

< Sei venuto a salutarmi? > chiese la ragazza, dopo che il ragazzo aveva passato parecchi minuti senza dire niente < Allora spero di vederti presto. Magari mi chiedono di tornare a breve, magari passo a Natale. > ora sperava di rivederlo quello strano ragazzo, ma soprattutto non voleva vederlo in quello stato, triste o perennemente arrabbiato con il mondo.

< Mi aspetteresti? > fu una strana domanda quella che venne dalle labbra di Mello. Non l’aveva guardata fino a quel momento, solo allora sollevò lo sguardo.

< Cosa vuoi dirmi? > non capiva.

< Tra poco compio quindici anni, ma probabilmente dovrei crescere ancora un po’ prima che tu mi accetti per davvero. >

Accettarlo? Era un discorso strano quello di Mello, ma forse, semplicemente, per la prima volta si era sentito protetto, compreso e … amato. Il primo bacio, il primo amore … si era messa nei guai con quel biondino irrequieto. Si sarebbero rivisti, probabilmente avrebbero lavorato insieme, lo avrebbe anche aspettato come uomo? Forse sì, sentiva una strana predilezione per lui, una strana attrazione mentale.

< Ti aspetterò. Tu fai presto. >

 

 

Note dell’Autore:

Salve ragazzi! Questo è l’ultimo capitolo di questa piccola storia. Spero vi sia piaciuta. Probabilmente ci sarà un seguito, ho bisogno di un po’ di tempo per riuscire a scrivere gli ultimi capitoli. Se tutto va bene, dovrei essere pronta per la settimana prossima. Incrociamo le dita!

Ora vorrei ringraziare per le recensioni: Cristy_ (addirittura tra le storie da ricordare!), orihime02,  Nijinsky. Siete state gentilissime! Le recensioni aiutano chi scrive a mantenere l’entusiasmo!

Ringrazio anche  deathnotelawliet e Momoko Uchiha per aver inserito questa storia nei preferiti: sono stupita!

Un ultimo ringraziamento a nenezebubba che ha inserito questa storia tra le seguite, insieme a orihime02Nijinsky.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e spero seguirete il prosieguo della storia. Il raiting sarà un po’ più alto: un Mello “adulto” è decisamente almeno da raiting arancione!

 

Vi ringrazio ancora tutti, anche coloro che hanno seguito nell’ombra.

 

 

   
 
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