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Autore: dalialio    17/08/2011    5 recensioni
Una ragazza entra a far parte della vita degli agenti dell’NCIS. La sua identità all’inizio li lascerà sconcertati, ma poi si abitueranno alla sua presenza.
La protagonista presto scoprirà di aver creato dello scompiglio nelle loro vite, ma grazie al suo aiuto qualcuno riuscirà a chiarire i propri sentimenti.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'She Cαme Into Our Lives And Chαnged Everything'
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Interceding Is Often Hard

Interceding is often hard

 

The Naval Criminal Investigative Service

 



I personaggi presenti nella storia sono tutti di proprietà di Donald P. Bellisario (tranne il nuovo personaggio che ho creato io e che è di mia esclusiva proprietà); questa storia non è stata scritta con alcuno scopo di lucro.


Salve a tutti! Questa è la prima storia che scrivo sull'NCIS (che è decisamente la mia serie TV preferita!!). Vi preannuncio che in questa storia non ci saranno delle indagini su un caso o cose del genere: questa ff parla solo dei personaggi della serie, soffermandosi di più su qualcuno di loro.
La storia è ambientata in un momento indefinito della serie; in futuro, se si faranno riferimenti a degli episodi specifici questi verranno riportati in una nota.
Questo capitolo è un esperimento; ne ho già preparati degli altri, che eventualmente pubblicherò in futuro se la storia stuzzica la vostra curiosità ;) quindi fatemi sapere se la ff è valida per avere un seguito!
A chi volesse avventurarsi nel leggere questo capitolo auguro buona lettura!! :)



Lo stolto cerca la felicità lontano; il saggio la coltiva sotto i propri piedi.

James Oppenheim








Capitolo 1

In cui una canzone molesta porta ad
una presentazione rivelatrice


Bastò che riferissi il mio nome e le mie generalità alla reception dell’edificio con i muri esterni arancioni per permettermi l’accesso ai piani superiori. Fu più facile di quanto avessi immaginato.
Dopo essere stata sottoposta a un accurato controllo – con tanto di perquisizione, metaldetector e rovistamento nella borsa – la guardia armata mi permise di salire in ascensore. M’informai velocemente riguardo a quale piano dovessi andare e, dopo aver premuto il pulsante corrispondente, le porte fredde e metalliche si chiusero di fronte a me con un suono dolce e l’ascensore iniziò il suo viaggio.
La sala sulla quale si aprirono le porte era davvero grande, con il soffitto alto due piani. Uomini e donne vestiti elegantemente camminavano veloci su e giù attraverso i corridoi formati dalle scrivanie, ordinatamente separate con divisori di metallo. Quasi tutto – separatori, muri, moquette – era arancione, e ciò che non era di quel colore risaltava agli occhi con il grigio metallizzato. Soprattutto la scala sulla destra della stanza e la ringhiera del piano superiore, che circondava l’intero perimetro della sala e si affacciava sul mare di lavoratori seduti al proprio tavolo. La lunga parete alla mia sinistra era tappezzata da foto di facce in bianco e nero, incorniciate in riquadri grigi. Alcune di loro erano barrate di rosso. Era alquanto inquietante.
Mi avvicinai alla prima persona che riuscii a fermare e le domandai le informazioni che mi servivano. La donna m’indicò un punto al di là di un divisorio. La ringraziai e mi diressi verso il luogo che mi aveva mostrato.
Superato il pannello di metallo, tuttavia, non trovai quello – o meglio chi – stavo cercando. Ciononostante, sapevo chi fossero l’uomo e la donna che erano seduti alle rispettive scrivanie, anche se questi non avevano nemmeno l’idea di chi fossi io.
L’inconveniente, comunque, non era un aspetto negativo. Al contrario, avrebbe fatto aumentare l’effetto sorpresa.
Mi avvicinai cautamente alla scrivania della donna. “Mi scusi?”, iniziai. Poi, quando quella alzò lo sguardo, continuai: “È questo l’ufficio dell’agente Gibbs?”.
La donna si accigliò, guardandomi dalla testa ai piedi. Potevo indovinare cosa stesse pensando. Cose del tipo: cosa ci fa un’adolescente qui dentro? E perché chiede di Gibbs?
Nonostante tutto, la donna dai lunghi capelli mori mi rispose cortesemente: “Sì. Chi lo cerca?”.
Non risposi alla sua domanda, ma mi limitai a porgliene un’altra. “È quella la sua scrivania?”, le chiesi, additando il tavolo ben in vista accanto a quello dove si trovava l’altro uomo, che non potevo vedere poiché alle mie spalle.
Lei si accigliò ancora di più e scosse leggermente la testa. “Ehm... no”, disse insicura. “Ma non vedo come questo...”.
Non le lasciai finire la frase. Mi diressi verso la scrivania nascosta da un divisorio di metallo, accanto al tavolo della donna, individuandola – andando per esclusione – come quella che stavo cercando. Ci posai la mia borsa con forse troppo vigore e mi accomodai sulla sedia imbottita piegando lo schienale all’indietro.
Trovai il mio iPod nella tasca dei jeans e m’infilai le cuffie, tanto per ascoltare della musica nell’attesa. Mi misi a canticchiare a bocca chiusa.
Intenta a cercare nel lettore mp3 la canzone che dalla mattina continuava a risuonarmi in testa senza voler smettere – così da cercare di mettere fine alla mia agonia ascoltandola ancora e ancora fino a farmi stufare –, non mi accorsi che l’uomo seduto alla scrivania di fronte, che fino a quel momento non avevo badato minimamente, si era avvicinato a me con espressione sospettosa.
“Mi dispiace disturbarti, ragazzina”, iniziò quello sarcasticamente, costringendomi a togliermi le cuffie e ad alzare gli occhi verso di lui, “ma mi piacerebbe sapere chi sei e perché cerchi l’agente Gibbs”. Piegò la testa da un lato. “Tanto più, non sei autorizzata a spaparanzarti sulla sua sedia e ad abusare dei suoi spazi in questo modo”. Si chinò leggermente in avanti per farsi più vicino. “Si arrabbierebbe molto se sapesse che una ragazzina qualunque sta toccando le sue cose”.
Non riuscii a trattenere una risata. “Ah, non credo che questo accadrà”, esclamai euforica.
L’uomo appoggiò le mani sul tavolo e si allungò verso di me, imitando la mia risatina. “Come fai a dirlo, ragazzina?”.
Se mi avesse chiamata di nuovo ragazzina, gli avrei dato uno scappellotto sulla nuca.
Raddrizzai la schiena, raggiungendo l’uomo, poi abbassai lo sguardo e finsi una risatina divertita. “Lei non sa chi sono io...”. Alzai gli occhi per guardare la reazione del tizio. “...agente speciale Anthony DiNozzo”, conclusi.
Quale soddisfazione vedere la sua espressione sconcertata! Meglio di uno scappellotto. I suoi occhi si spalancarono e la sua smorfia da sfottente sparì in un secondo.
La voce che volevo sentire interruppe la risposta che l'uomo di fronte a me aveva intenzione di darmi.
“DiNozzo!”, urlò da qualche punto dietro di lui.
Tony si drizzò in un istante. “Sì capo!”, esclamò.
La voce si fece più vicina. Ora era alle sue spalle. “Perché stai toccando la mia scrivania?”, gli domandò con tono minaccioso.
DiNozzo tolse le mani dal tavolo, fissando, con la stessa espressione scombussolata, un punto indefinito di fronte a lui. “Niente, capo”, rispose, poi si voltò verso la voce con il palese tentativo di nascondermi dagli occhi grigio ghiaccio che lo stavano fissando.
L’uomo cui appartenevano la voce e gli occhi si spostò di lato e fu a quel punto che mi vide.
Gli sorrisi, contenta di vederlo, e alzai le spalle con aria innocente. “Io gliel’ho detto che andava bene se stavo qua, Jethro, ma il tuo agente non mi ha dato retta”, mi giustificai, usando un tono dispregiativo quando arrivai a dire ‘agente’.
Tony assunse la stessa espressione sconcertata di prima. “La conosci?”, chiese a Gibbs, mentre indicava velocemente ora me ora lui agitando furiosamente il dito.
Jethro mi fissò con sguardo di rimprovero, aggrottando le folte sopracciglia. “Non ti sei presentata?”, mi accusò.
A quel punto, mi alzai lentamente in piedi, feci il giro della scrivania e mi piazzai di fronte a Tony. Allungai una mano verso di lui e alzai il mento, assumendo un’espressione provocatoria come quella che lui aveva usato con me. “Piacere, Amy Steel”, mi presentai quando quello, dubitante, afferrò la mia mano. La sua espressione confusa era uno spasso. Ovviamente il mio nome non poteva suggerirgli nulla.
“Piacere”, mormorò, senza cambiare espressione.
“È mia nipote”, spiegò Jethro.
Tony sciolse la presa dalla mia mano e fissò prima me e poi Jethro con aria confusa. L’unico suono che gli uscì dalla bocca sembrò un urlo a bassa voce che conferì una nota inquietante alla situazione.












*Nota dell'autrice*

Rieccomi qua alla fine del capitolo! :)
Questo capitolo è partito come un'idea strampalata, ma poi, con un po' di buona volontà, sono riuscita a trasformarlo in qualcosa di - almeno credo... :) - leggibile.
Sarei davvero felice se mi lasciaste un commentino per sapere le vostre impressioni, se pensate che possa essere un valido inizio per una long :)
A tutti gli appassionati dell'NCIS mando un bacione! :*
A presto!

Chiara

P.S: per tutti i fan Tiva: se la storia continuerà non sarete delusi! Ho in mente qualche ideuzza... ma per ora non svelo altro! :)
   
 
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