Fanfic su attori > Altri attori/film
Ricorda la storia  |      
Autore: Marguerite Tyreen    19/08/2011    1 recensioni
[Richard Harris]
La casa era scivolata finalmente nel sonno. Nella noia delle sue giornate di convalescente non faceva che aspettare quel momento, per riempire un vuoto o perché solo nel buio e nella pace i mille visitatori della sua mente avevano ragione di esistere.
Con la luce, al contrario, assumevano trasparenti evanescenze di fantasma [...]La sua stanza si trasformava improvvisamente nel più splendido dei teatri e i pochi mobili che la riempivano in una folla di spettatori pronti ad applaudirlo.
E lui, alto, affascinante, con gli occhi blu che fiammeggiavano al bagliore delle luci del palcoscenico, diventava un meraviglioso Amleto, carico di passione e di forza espressiva...
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Pianosequenza'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Angolo autrice e desclaimer:
 
Essendo una “malata” di cinema (oltre che di letteratura), non mi risulta difficile scrivere di esso. Su come lo faccio… beh, non garantisco nulla. ^^’
Ad ogni modo, essendo questo raccontino nato in una notte in cui la Musa ha avuto la gentilezza di ispirarmi e non abbandonarmi fino alla fine, mi sembrava doveroso pubblicarlo.
Anche perché è dedicato a uno dei miei ‘amori’ cinematografici, al grande attore irlandese Richard Harris (Limerick, 1930 – Londra, 2002), il primo Silente, per intenderci, ma mi sembra superfluo rimarcarlo ^^.
Per la biografia, vi viene in aiuto la sempre utile Wikipedia, qui. Per tutto il resto, ho messo nelle note quello che credevo fosse meno risaputo.
Mi scuso in anticipo per il mezzo delirio che ne è venuto fuori e ringrazio chiunque abbia il coraggio di arrivare fin qui e – chissà – di andare oltre.
Un bacione a tutti, in ogni caso!!!
Marguerite

 
Con questa mia storia, pubblicata senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere delle persone citate, né offenderle in alcun modo. Al contrario, il mio vuole essere solo un modesto e deferente omaggio.


 

 
 
 

To Richard, of course
 

 

I wonder what the Actor is thinking tonight [1]





 

Londra 1982 – Apollo Theatre
 
Soltanto un momento eppoi il bordeaux del pesante sipario si sarebbe alzato, lasciandolo di fronte al pubblico. O piuttosto, vi avrebbe lasciato il suo personaggio, la maschera dietro alla quale, per le esigenze di scena o della vita, si nascondeva il vero Dickie.[2]
Dickie, che ancora recitava Shakespeare in solitudine, nel buio delle sue notti.
Dickie, che talvolta veniva percorso da un brivido di paura, prima di salire sul palco.
Ma quella sera, per loro, sarebbe stato soltanto King Arthur[3]. Avrebbe donato il suo volto e il suo talento a quel ruolo, per renderlo un poco meno astratto di qualche parola scritta su un copione.
Le luci si sarebbero abbassate e, come per incanto, sarebbe comparso sul palcoscenico, accolto da qualche sussurrato commento, da qualche respiro appena trattenuto. Eppoi, magicamente, si sarebbe instaurato il patto. Loro avrebbero acconsentito a seguirlo nella finta realtà, nella nebbia e nel fumo di una storia che, per qualche ora, sarebbe stata la loro vita, la sua vita.
Lui, invece, li avrebbe presi per mano e condotti fin sull’orlo dell’abisso che separa la verità dall’immaginazione. Li avrebbe tenuti legati a sé con un gesto, una parola, avrebbe sfondato la quarta parete – la più ardua – fino a far credere loro che tutto sarebbe stato autentico, fino a credervi a sua volta.
Sarebbe andata così, anche quella sera, come quelle che l’avevano preceduta, come quelle che sarebbero seguite, senza che nessuno si domandasse a cosa stesse davvero pensando, lui, dietro alla sua maschera. Ed egli si sarebbe inevitabilmente ritrovato, alla fine, seduto da qualche parte, davanti al fumo di una sigaretta, davanti ad un bicchiere di whisky a chiedersi come fosse riuscito a smarrirsi nel labirinto della propria arte e a mescolare, ancora una volta, le luci e le ombre delle umane passioni. Magari a chiedersi anche il perché, lui che aveva sempre tenuto gli attori in così poco conto. Lui che aveva definito la recitazione come un atto istintivo e nemmeno troppo complesso.
Non sottovalutava il proprio talento, al contrario. Ma forse gli anni passati a farsi entrare il “Metodo” [4] fin sotto la pelle, fin nelle fibre dell’animo, a plasmare il proprio viso fino a renderlo lo specchio di emozioni che non gli appartenevano, a limare quel suo accento di ragazzo irlandese, non erano riusciti a portargli via la spontaneità di un Amleto interpretato – per gioco, per passione o per disperazione – su quattro assi di legno.
Eppure, doveva esserci una ragione se, prima di ogni replica, di ogni ciak, parte del suo sangue, del suo soffio vitale si trasfondeva nel personaggio; se per mesi non riusciva a condurre la propria esistenza, ormai intrecciata a doppio filo con quella di Arthur, di Cromwell oppure di un immaginario ufficiale sudista.[5]
Come doveva esserci una ragione se il cartellone affisso all’ingresso dell’Apollo Theatre ostentava a grandi lettere il suo nome.
Poteva dirsi arrivato: la gente si sarebbe ricordata di lui, un giorno, di Richard Harris. Ma, mai come ora, egli sentiva affiorare dietro quel nome – e non senza una nota di rimpianto – soltanto quello che era stato.
Soltanto Dickie, il ragazzo di Limerick, che recitava Shakespeare su quattro assi di legno. Quello che, a volte, si dimenticava di essere, ma che ancora continuava a seguirlo.
 
*
 
Limerick, 1951
 
La casa era scivolata finalmente nel sonno. Nella noia delle sue giornate di convalescente non faceva che aspettare quel momento, per riempire un vuoto o perché solo nel buio e nella pace i mille visitatori della sua mente avevano ragione di esistere.
Con la luce, al contrario, assumevano trasparenti evanescenze di fantasma.
Sto impazzendo. Disse a se stesso, cercando di tenere sollevata la schiena con i guanciali. Oppure è colpa di questo isolamento.
Raggiunse con la mano il lume sul tavolino da notte e la copia sgualcita delle tragedie di Shakespeare.
Se si fosse sentito appena un poco più in forze, forse avrebbe potuto mettersi in piedi: l’interpretazione ne avrebbe guadagnato.
Ma la tubercolosi gli aveva, lentamente, corroso la tempra del corpo e messo a dura prova la tenacia dello spirito. Ma, soprattutto, si era portata via assieme ad esse la compagnia e buona parte dei suoi sogni.
Questo silenzio è insostenibile. Rifletté a voce alta, per infrangere la parete invisibile ed opprimente della quiete. Almeno quanto è insostenibile questo anonimato. Chi sono, dopotutto?
Uno degli otto figli di una famiglia troppo travagliata per occuparsi di me solo. Un amico che gli amici dimenticheranno. Una promessa del rugby che non segnerà più un punto.[6] Uno dei mille malati di questa grigia città che ti entra nelle ossa, come la sua pioggia e ti resta appiccicata addosso, come la sua nebbia.

	“ To be, or not to be: that is the question:
Whether 'tis nobler in the mind to suffer
The slings and arrows of outrageous fortune,
Or to take arms against a sea of troubles,
And by opposing end them?”

 
La sua stanza si trasformava improvvisamente nel più splendido dei teatri e i pochi mobili che la riempivano in una folla di spettatori pronti ad applaudirlo.
E lui, alto, affascinante, con gli occhi blu che fiammeggiavano al bagliore delle luci del palcoscenico, diventava un meraviglioso Amleto, carico di passione e di forza espressiva.

	“ To die: to sleep;
No more; and by a sleep to say we end
The heart-ache and the thousand natural shocks
That flesh is …” [7]

Un accesso di tosse lo colse, costringendolo ad interrompere la battuta. Forse avrebbe fatto meglio a fermarsi, per quella sera.
Ma, quando uscirò di qui, farò in modo che si ricordino del mio nome.
Chiuse il libro e respirò profondamente. Fuori, la pioggia aveva ripreso a cadere insistente su Limerick.
Non è difficile sognare d’essere attori, qui.
 
*
 
 
Londra, 1982 – Apollo Theatre
 
Si lasciò cadere sulla sedia del suo camerino, nella pausa tra il primo ed il secondo atto. Una sigaretta, un sorso d’acqua, un rapido sguardo al make-up di scena. Come d’abitudine, avevano calcato troppo il trucco sugli occhi.
In sala risuonava ancora lo scroscio degli applausi.
Se solo avessero potuto vederlo quelli della Central School of Drama! Se solo avessero potuto sapere che di quel ragazzo di Limerick, cresciuto tra il verde e la pioggia d’Irlanda, il pubblico avrebbe continuato ad acclamare il nome…
 
*
 
Londra, 1954
 
- Che cosa ci propone, giovanotto?
- Qualcosa da Shakespeare. – aveva risposto, combattendo contro l’accento di emozione che gli incrinava la voce.
Qualche battuta dal Macbeth e subito un sussurro era serpeggiato nella commissione: - Con quale diritto lei ritiene di poter intraprendere questa carriera?
- Lo stesso diritto che avete voi di giudicarmi. – le sue ultime parole in quella sala di audizioni e il secco rifiuto della Central School.
 
*
 
Londra, 1982
 
Forse quel fallimento aveva contribuito a fare di lui l’attore che era diventato. Forse gli aveva permesso di migliorare. Rise appena, tra sé.
L’alba aveva cominciato a striare di viola il cielo e lui era rimasto sveglio tutta la notte.
Il silenzio della sua villa di Londra, in fondo, non era poi tanto dissimile da quello della sua vecchia stanza. Dopo più di trent’anni, ancora combatteva e si arrendeva ai suoi personaggi. Essi avevano bisogno di lui, del suo corpo come cassa di risonanza dei loro drammi, della sua voce di trovatore moderno per riportare alla luce sogni antichi. Sarebbero tornati ancora e ancora l’avrebbero trovato lì, pronto a riceverli.
I suoi colleghi, dopo lo spettacolo, si erano dileguati in una nube di Rolls Royce, giornalisti, fotografi e segretari, con la mente persa ad inseguire chissà cosa e chissà chi.
Richard era tornato a casa, a versasi un calice di vino e ad accendersi un’altra sigaretta, come previsto. Mentre Dickie, invece, nelle pieghe della sua anima, era rimasto a conversare con le sue maschere, come un tempo.
Forse, adesso, si sarebbero chiesti tutti dove fosse finito, cosa avesse fatto, a cosa avesse pensato quella notte. Ma solo lui poteva saperlo.
No, non era per le Rolls, per gli articoli, per il divismo che aveva scelto quel mestiere. Non solo, almeno. Ne era sempre più convinto. Dopotutto, gli attori rappresentavano davvero ben poca cosa, nel corso della storia.
C’era di più in quel groviglio di sentimenti che gli chiudeva lo stomaco prima di entrare in scena. Era il vivere per l’arte e sentirsi vivo per essa. Era, intatto, lo stesso amore per la parola, sul palco dell’Apollo Theatre come su quelle quattro anonime assi di legno.
Era il brivido di sentire il ruolo, il personaggio, sotto la pelle.
Era il fuoco sacro della recitazione, lo stesso che aveva catturato il giovane Dickie e che ora continuava ad intrappolare il divo Harris.
Lo aveva compreso, lo aveva sentito in quel momento, mentre un altro giorno color di viola stava nascendo su Londra.
Sì, doveva esserci una ragione per quella notte passata a meditare. Una ragione per aver desiderato far ricordare il proprio nome.
Ed ora aveva intravisto quale fosse.

 
 

Fine

 


[1]  Il titolo si rifà a quello di una delle canzoni del musical Camelot “I wonder what the king is doing tonight”. Musical appunto interpretato da Richard Harris in una tournèe partita negli anni ’80. Tradotto letteralmente: “mi chiedo a cosa stia pensando l’attore stasera”.
[2] Il soprannome usato in famiglia, almeno secondo la biografia che mi è capitata sottomano ^.^
[3] King Arthur o Re Artù è il protagonista del musical Camelot.
[4] Il “Metodo” è il metodo di recitazione Stanislavskij, basato sulla personificazione e immedesimazione dell’attore con il proprio personaggio.
[5] Il riferimento è a Camelot (v. nota 1) e ai film Cromwell (1970) e Sierra Charriba (1965)
[6] Il riferimento è al sogno del giovane Richard di diventare un giocatore professionista di rugby.
[7] Questo è Shakespeare, l’Amleto, ovviamente. Non è opera mia ^.^
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Altri attori/film / Vai alla pagina dell'autore: Marguerite Tyreen