14
– Goodnight, travel well
And all that stands between the souls
release ?
This temporary flesh and bone
We know that it's over now
La
pioggia scendeva torrenziale da nuvole nere come
il petrolio, il vento soffiava forte, ululando tra le foglie
dell’albero che
vedeva fuori dalla finestra.
Buffo come il tempo rispecchiasse il suo umore, per una volta. Da
bambino, le
prime volte che sua madre lo picchiava, quando desiderava di morire,
c’erano volte
in cui pregava almeno per una buona tempesta. Sperava si scatenasse
così
potente da rimbombargli nel cervello e spegnergli a forza i pensieri,
le
lacrime, il desiderio di morte che gli assorbiva mente e corpo. Ed ora
eccolo
lì, semplice. Si preparava forse la tempesta migliore degli
ultimi anni, a
giudicare dal nero minaccioso che incombeva sulla città.
Sua madre non era tornata a trovarlo, ma non era quello il problema.
Era
impegnata, non si aspettava una sua visita, nulla di nuovo, no.
La cosa che lo infastidiva al momento era se stesso, in effetti, come
da
diciassette anni a quella parte. Lo tormentava quel desiderio che gli
scivolava
tra neurone e neurone da ormai qualche giorno - più o meno
da quando era stato
ricoverato, in effetti – ed era la speranza che Robert si
facesse vivo. Anche
solo per un secondo, per insultarlo, picchiarlo, quello che voleva.
Sognava
solo una possibilità di spiegargli i motivi che avrebbero
portato al loro
distacco totale in un futuro ormai schifosamente prossimo. E si odiava
perché continuava
a desiderarlo quando sapeva bene che Robert non sarebbe passato, aveva
di
meglio da fare e quasi sicuramente nemmeno sapeva che fosse in ospedale.
Ecco, appunto, non sa che sei in
ospedale, altrimenti figurati se non passerebbe.
Dio, quella voce. Lo stesso tono derisorio che continuava a ripetere le
stesse
cose piene di speranza nonostante avesse più volte cercato
di sopprimerlo. Le
speranze non esistevano per le persone come lui che semplicemente non
le
meritavano.
---
Aveva
girato circa dodici ospedali, eppure non vi
era traccia di un paziente di nome Jude Law. Ed era più che
certo che non ci
fossero errori, Jude non era poi un nome così comune.
Probabilmente il suo Jude era
l’unico Jude della città se
non dell’intero Paese.
Si risedette in macchina, lasciandosi andare contro il sedile del
guidatore. Cazzo,
se c’era qualcosa che non mancava in quella città
del cavolo erano gli
ospedali.
Ne rimanevano otto. Solo otto fottuti ospedali. E se non
l’avesse trovato? E se
quella puttana – perché di una puttana si
trattava, non aveva intenzione di
addolcire i toni, per niente – della madre avesse fornito un
nome falso?
Dannazione.
Ed ora ci si era messo anche il tempo, a rompergli le palle. Era zuppo,
ma al
momento non c’era cosa che gli fregasse di meno.
Prese a sberle il volante, anche se in effetti avrebbe preferito
prendere a
sberle se stesso. Era una persona inutile. Completamente. E se
c’era una cosa
che odiava era proprio non essere di nessun aiuto, diamine.
Mise in moto.
Otto ospedali.
***
“Scusi,
può ripetere?”
“Stanza 221.” Sillabò
l’infermiera, come se stesse parlando ad un idiota. Beh,
in effetti al momento ci andava parecchio vicino. “Sicuro di
stare bene?”
“Mai stato meglio, grazie.”
Aveva corso per tre piani, prima di pensare anche solo a dare un senso
logico
alla cosa. Si fermò al centro del corridoio, guardando i
numeri sulle stanze.
413.
Cazzo, era sul piano sbagliato.
Rifece la strada al contrario, fermandosi a quello giusto, stavolta.
Trovò la 221 in un batter d’occhio e ne spinse la
porta lentamente,
terrorizzato da cosa avrebbe potuto trovarci dietro.
La prima cosa che vide fu la gamba ingessata. Strinse i pugni,
continuando
nella sua esplorazione e salendo con gli occhi verso il viso del
ragazzo.
Gli occhi. I suoi.
“Grazie a Dio.” Lo abbracciò,
fregandosene altamente.
---
Un
miraggio.
Era stato questo quello a cui aveva pensato appena quella massa
disordinata di
capelli corvini gli era capitata nel campo visivo.
Una visione.
Stava sognando.
La seconda cosa a cui aveva pensato, immediatamente dopo, era
“E’ zuppo, Cristo
santo”.
Poi però lui l’aveva abbracciato e gli era venuto
naturale ricambiare,
respirando a pieni polmoni direttamente dalla sua pelle.
Forse anche i desideri dei ragazzi cattivi si avveravano, ma era sempre
meglio
non sperarci troppo.
---
Robert
Senior entrò nella stanza come una furia,
anche se l’espressione euforica lo smentiva.
Adocchiò il figlio – sapeva di trovarlo
là; da quando aveva scoperto dove era
ricoverato Jude era perennemente in ospedale -, seduto come sempre a
lato del
letto. Un libro tra le mani e un’espressione di sforzo
immane, cercava di
sostenere la testa e impedirle di ciondolare dal sonno.
Era distrutto e si vedeva, ma non aveva la minima intenzione di
riposare.
Non finchè era con Jude, quantomeno, il suo nuovo ed unico
scopo era tenerlo d’occhio.
Quasi non si accorse dell’entrata del padre, nonostante il
baccano, ma sobbalzò
sulla sedia quando l’uomo pronunciò le parole che
non avrebbe mai voluto
sentire in presenza di Jude.
“Maggie è in prigione.”
Controllò che Jude dormisse, lanciò
un’occhiataccia al padre, e lo trascinò in
corridoio. Lasciò la porta appena socchiusa e si
posizionò in modo da vedere
perfettamente il letto all’interno.
“Bè, le congratulazioni?”
“Prima voglio i dettagli.”
“Chiedi pure.” Il Robert anziano si sedette su una
delle sedie di plastica lì
accanto, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e sorridendo come un
invasato.
“Quando è successo?”
“Quando Jude è stato ricoverato, i medici hanno
denunciato quelle decine di segni
che hanno trovato sul suo corpo. Troppi per essere casuali,
è stata la
giustificazione. Hanno aperto un fascicolo in tribunale, l’ho
scoperto per caso,
ma era stato messo da parte per mancanza di prove. Ho sguinzagliato il
miglior
investigatore privato della città dietro a Maggie ed ho
trovato il nome del suo
nuovo fidanzato. Mi sono presentato a casa sua, gli ho chiesto cosa
sapeva –
rimarresti sorpreso anche tu nel sapere quante cose ha spiattellato -,
ho
provato ad intimidirlo – sai che mi riesce bene – e
lui ha acconsentito a
testimoniare ieri in tribunale. Considerando l’aggravante
della gamba rotta,
dei lividi e delle bruciature, ha guadagnato tre anni in cella.
Voilà.”
Robert si lasciò andare appena contro lo stipite,
sospirando. “E’ finita
davvero. Ma cosa faremo quando uscirà?”
Senior si alzò in piedi, senza smettere un secondo di
sorridere, e lo strinse
in un abbraccio.
“Ci penseremo a tempo debito, ma di sicuro vedremo di farle
avere un divieto di
avvicinamento parecchio severo. Non è
meraviglioso?”
“Troppo. Ora bisogna solo spiegare a Jude che quello che gli
ha fatto sua madre
per tutti questi anni non era necessario né tantomeno
meritato.” Sospirò nel cappotto
del padre, chiudendo gli occhi per un attimo. Dio, era finita sul
serio, si
sentiva come se un macigno gigantesco gli si fosse appena sollevato
dalle
spalle.
“Ho la chiave di casa, vado a prendere la roba di Jude e la
sposto nella stanza
degli ospiti.”
L’uomo si dileguò nel corridoio e Robert
ritornò nella stanza. Jude dormiva
ancora profondamente, anche se ogni tanto si agitava per il male alla
gamba. Si
morse un labbro, vedendo una smorfia di dolore nascergli sul viso, e si
chiese
come avrebbe fatto a fargli capire quello che doveva.
Ritornò alla sua sedia, il sonno completamente evaporato.
Era dannatamente
preoccupato per la reazione di Jude alla notizia, ma contemporaneamente
euforico in un modo incontrollabile. L’avrebbe tenuto al
sicuro lui, da quel
momento, l’incubo era finito.
Jude aprì gli occhi improvvisamente, ansimando appena.
“Ehi. Tutto ok?”
L’altro si affrettò a sorridergli, mentre
rincorreva il respiro. “Benissimo,
grazie.”
Robert si permise solo in quel momento di imitarlo e aprirsi in un
sorriso che
andava da un orecchio all’altro. Aveva una voglia matta di
saltare, urlare,
festeggiare. E l’avrebbe fatto, a tempo debito. Con Jude.
Aspettò che riprendesse coscienza della realtà e
recuperasse il fiato,
dopodichè gli porse un bicchiere d’acqua e lo
aiutò a sistemare i cuscini. Si
sedette sul bordo del letto, serio tutt’a un tratto .
“Ho una notizia.”
Jude invece non accennava a voler spegnere la luce del suo sorriso.
“Dimmi.”
---
Non
gli aveva nemmeno chiesto se fosse una notizia
bella o brutta, non ne sentiva la necessità, da Robert
avrebbe accettato
entrambe.
La bocca si stese in una linea, improvvisamente. A meno che non gli
dicesse che
non lo voleva più vedere. Dopotutto avrebbe poi anticipato
le cose solo di
qualche giorno, glielo voleva dire lui stesso, ma gli sembrava di non
trovare
mai il momento adatto. Lui era sempre là, così
gentile, cortese, disponibile in
un modo nemmeno lontanamente immaginabile.
“Bè, ecco…” Robert aveva
preso a giocherellare con le sue dita, facendogli
sentire un improvviso calore alle falangi, come se fosse troppo vicino
ad una
fiamma. Non gli dispiaceva. Proprio affatto. Sperò
terribilmente che
continuasse in eterno.
Quando poi puntò lo sguardo nel suo – gli occhi
scuri carichi di… dispiacere?
Felicità? Sentimenti contrastanti -, non capì
più nulla.
“Jude. Tua madre è stata arrestata.”
No, doveva aver capito male.
“Come, scusa?”
L’altro abbassò lo sguardo e gli lasciò
la mano, facendogli sentire
improvvisamente un freddo glaciale tutto intorno.
“Tua
madre… è in prigione.”
“Che cosa significa? Perché?” si sporse
sul letto, avvicinandosi
inconsciamente. Non capiva.
---
Dio,
quanto era difficile.
Provò ad afferrare il coraggio a due mani, nonostante
continuasse a scivolargli
da qualche parte tra il cuore ed il cervello, dopodichè
riportò lo sguardo nel
suo, credendo per un attimo che fosse un pezzo di cielo.
“Ti ha picchiato, Jude. Per diciassette anni. Questo
è reato. Grave.”
Di nuovo intuì in anticipo la sua reazione. Vide che
cominciava a tremare,
aprendo e chiudendo la bocca senza emettere un suono. Gli occhi erano
spalancati
ed il fiato era di nuovo corto. Attacco di panico.
Si avvicinò immediatamente, pronto a combattere, se
necessario, per lasciare
che lo stringesse e tranquillizzasse, ma incredibilmente Jude non lo
respinse.
Lo strinse invece così forte che temette gli si sarebbe
rotto un braccio, visto
quanto era sottile.
Quella volta era pronto, dopo il primo attacco – che ora
sembrava lontano anni
luce - si era documentato. Avevano lavorato molto, negli ultimi tempi,
su
quegli attacchi, e Jude aveva praticamente imparato a tenerli a bada da
solo,
ma ora voleva esserci e tranquillizzarlo, anticipandogli un minimo di
quella
sicurezza e protezione che gli avrebbe donato, se glielo avrebbe
permesso, per
il resto dei suoi giorni.
Si calmò molto in fretta, considerando
l’entità della notizia, ma Robert non
aveva intenzione di lasciarlo finchè non glielo avesse
chiesto lui
espressamente.
---
Stava
bene in quell’abbraccio. C’era calore,
c’era
sicurezza.
Mamma è in prigione.
Senza di lei sarebbe finito, se lo sentiva, nonostante Robert fosse
là,
presente. Chi si sarebbe preso cura di lui? Vedeva solo un enorme buco
nero,
davanti a sé.
Poi alzò una mano e la portò tra i capelli di
Robert. Era reale.
Davanti a sé c’era lui, fermo poco prima
dell’imboccatura di quel tunnel nero
come la notte.
Robert si sarebbe preso cura di lui.
Era un pensiero egoista, non si meritava nessuno, era una palla al
piede ed ora
aveva preso in mezzo anche qualcuno a cui teneva enormemente, sua madre
non c’era
più e- oddio.
Rafforzò la presa.
Però sentiva che sarebbe stato così, Robert non
gli avrebbe permesso di cadere.
[Chi
non muore si rivede, diceva quello.]
Si.
Già.
Che schifo.
Canzone: The Killers –
Goodnight, travel well.
- G