IO
TI PROTEGGERO’!
L era lì, in piedi, sotto la pioggia. Lo sguardo perso nel vuoto, i pensieri rivolti chissà dove. Non riuscivo a smettere di osservarlo. Così assorto com’era, con un velo di malinconia in volto, mi appariva più dolce di sempre. Non volevo mi vedesse; desideravo lasciarlo lì, nella sua solitudine; se era salito fin là su un motivo ci doveva essere e nelle mia mente immaginavo che preferisse non essere disturbato, neppure da me. Ma lui si accorse della mia presenza e mi fece cenno di andare nella direzione in cui si trovava. Il cuore mi batteva all’impazzata mentre percorrevo quei pochi metri che ci separavano. Non appena fui abbastanza vicina mi accorsi che i suoi abiti avevano cambiato colore per via della pioggia: la sua consueta maglia bianca era diventata grigia ed i jeans da azzurro chiaro erano divenuti blu scuri.
“Sara,
senti le campane?” Mi disse.
Io
che non potevo udire nessun suono risposi con una punta di stupore:
“Ma che
dici, L? Io non sento niente”.
“Oh,
è un peccato che tu non riesca a sentirle. Pensavo che
almeno tu potessi
riuscirci. Sei sempre stata l’unica a capirmi veramente. In
quei momenti in cui
nessuno sembrava essere in grado di intuire il significato profondo
delle mie
idee tu eri sempre lì a far chiarezza con gli altri. Una
sorta di interprete della
mia mente. Credevo che fosse quasi incredibile che esistesse una
persona così
al mondo: una persona che sembrava scelta per me in tutto e per
tutto...” In
quell’istante, da che si trovava girato di spalle,
spostò velocemente la testa
verso di me. Il suo sguardo non era più perso nel vuoto ma
rivolto dritto in
direzione dei miei occhi. Quasi mi spaventai, perché
raramente mi aveva scrutato
in quel modo. Cominciai a chiedermi che cosa stesse passando realmente
nella
testa di L. Una sorta d’ansia mi pervase. Potevo sentire i
battiti del mio
cuore fin nelle tempie ed una goccia di sudore venne giù
dalla mia fronte
nonostante la pioggia battente. Se non fosse che una cosa del genere
non
avrebbe mai potuto realizzarmi, ebbi la sensazione di poter udire anche
il
pulsare delle vene di L. Ad un tratto lo vidi sospirare. Non dovetti
attendere
molto per ascoltare ciò che aveva ancora da dirmi.
“…
Sì,
io non te l’ho mai detto, ma è dal primo momento
che ti ho incontrata, quando
eravamo bambini e vivevamo all’orfanotrofio di Londra prima e alla Wammy’s
house poi, che ti considero speciale e mi spiace di rivelartelo
soltanto
adesso, solo ora che la mia vita sta per volgere al termine”
Mi
sentii mancare il respiro dall’emozione, ma al tempo stesso
la preoccupazione
per la sua morte mi diede la sensazione che la terra sotto i miei piedi
stesse
per sprofondare. Non potevo credere a ciò che avevo appena
ascoltato. La mia
voce rispose tremante “Solo ora che la mia vita sta per
volgere al termine? Ma
che dici, L? Perché parli in questo modo?” In quel
momento oltre all’agitazione
mi pervase anche una punta di rabbia nel vederlo così
rassegnato. Lo afferrai
per un braccio come per scuoterlo “Non puoi gettare la spugna
in questo modo!
Sei il più grande detective che il mondo abbia mai visto!
Sono sicura che
sconfiggerai Kira. Tu stesso mi hai detto che ti manca solo un tassello
per
risolvere il puzzle. Non puoi pensare una cosa del genere proprio
adesso che…”
Amavo
L da sempre: io avevo circa due anni
più di lui e mi ricordo ancora quel giorno in cui Watari lo
portò all’orfanotrofio
di Londra; sembrava così spaesato e triste. Si era
accovacciato come suo solito
fare con le lacrime agli occhi in un angolo del grande salone in cui
noi tutti
bambini giocavamo quando non avevamo compiti da fare. Vedendolo in
quello stato
mi ero avvicinata a lui con l’innocenza e la dolcezza che
solo un ragazzino di
quell’età può avere.
“Perché
sei triste? Qui sono tutti
simpatici, sai? Ecco, tieni il mio fazzoletto. Era della mia mamma. Ti
rivelo
un segreto: lei ora non c’è più
però sono sicura che non smette mai di
guardarmi da qualche posto nel cielo. Vedrai che anche la tua
starà insieme
alla mia. Anzi, sono certa che hanno già fatto
amicizia”. Mi ricordo che L
prese in mano il pezzetto di stoffa, si asciugò le lacrime e
poi abbozzò un
mezzo sorriso. “Ecco, visto? Già va meglio, vero?
Dai andiamo a giocare! Ho un
sacco di cose da farti vedere!” Percepii
all’istante che si stava fidando di me
e da quel giorno non smise mai di raccontarmi ciò che
provava, cosa che feci
anche io con lui, nemmeno quando ci trovavamo a centinaia di chilometri
di
distanza. Ci furono infatti degli anni in cui rimanemmo a lungo
distanti.
Spesso non sapevo neppure in che Paese si trovasse, eppure non potevamo
fare a
meno l’uno dell’altra. In realtà avevo
sempre creduto di essere per lui come
una sorella. Da un momento all’altro mi aspettavo che mi
raccontasse di qualche
bella tipa conosciuta chissà dove. Invece non mi aveva mai
parlato di altre
ragazze. Non credo neppure che ne frequentasse, se non per motivi
prettamente
di lavoro. Io come lui lavoravo nell’ambito
dell’investigazione, ma per via
della mia conoscenza dell’italiano, mia lingua madre, e della
mia arguzia, mai
poderosa come quella di L, mi era stato proposto di entrare a far parte di uno
dei
corpi della polizia italiana. Avevo accettato. Ero riuscita a rivedere
L, a
guardarlo nuovamente negli occhi, solo un anno prima, quando anche
l’Italia
aveva dato l’ok per collaborare al caso Kira. Ovviamente lui
aveva chiesto
all’istante di me in quanto parlavo correttamente
l’italiano, il giapponese (che
proprio il ragazzo dai capelli nero corvino mi aveva insegnato quando
eravamo
ragazzi), nonché l’inglese: avrei potuto essere un
ottimo ponte fra il mio
governo e quello del Giappone nel corso delle indagini. E anche quando
accadde
che, per via delle continue e ripetute morti, lo Stato italiano decise
di
abbandonare la sua collaborazione a livello ufficiale, io rimasi
ugualmente
nella squadra per dare una mano ad L. Sapevo che restandogli accanto
rischiavo
la vita ogni giorno, ma non potevo fare a meno di rimanergli vicino, e
poi ero
convinta del fatto che anche lui avesse bisogno di me, non soltanto a
causa del
caso da risolvere, ma soprattutto a livello umano. Lui, quello che
tutti
conoscevano al quartier generale col nome di Ryuzaky, appariva davanti
ai suoi
sottoposti come una persona priva di vita sociale (ed in effetti lo
era) e di
legami affettivi con il prossimo, ma in realtà dietro quella
sua corazza
autorevole c’ero io, l’unica a conoscere, insieme a
Watari, la sua vera
identità. Quando ci trovavamo in compagnia di altre persone
durante le
indagini, soprattutto quando Light Yagami era presente, si mostrava
ancor più
duro con me che con il resto dei membri della squadra. Lo faceva per
proteggermi; io lo sapevo. Non voleva rivelare a nessuno che io ero il
suo
punto debole, che se avessero colpito me, quella a cui poteva voler
bene almeno
come ad una sorella, sarebbe crollato come un castello di carte.
“…
Proprio
adesso che ho la conferma di essere importante per te, L. Non
puoi!”
Non
sapevo se arrabbiarmi ancora di più o se mettermi a
piangere. Alla fine le
lacrime scesero dai miei occhi indipendentemente dalla mia
volontà.
Un
abbraccio improvviso mi lasciò senza parole, soprattutto
perché sapevo quanto L
non fosse avvezzo al contatto fisico. “Sei la prima persona
che riesco ad abbracciare
senza avere paura”.
Lo
strinsi più forte che potevo. “Perché
mi dici questo, L? Che ti è successo
quando eri bambino, quando ancora non ci conoscevamo?”.
“Come
fai a capirmi sempre così bene? Mi chiedo come abbia fatto
io a tenerti così
distante da me per tutti questi anni; ma volevo proteggerti, dovevo
proteggerti. Poi quando sei entrata in polizia sapevo che non avrei
più potuto
farlo. Non hai mai smesso di essere così testarda. E scusami
se quando si è
trattato di questo caso ho pensato subito a te, alla tua
collaborazione: sono
stato un egoista a credere che avrei potuto farti correre qualunque
pericolo
pur di averti con me. Perdonami, Sara!...”
“L,
non hai ancora risposto alla mia domanda: che ti è successo
quando eri
bambino?”. Gli domandai sempre stretta al suo petto, il posto
per me più bello
e sicuro del mondo anche in un momento tanto drammatico.
“Sì,
da bambino… Vedi, l’ultima persona che ho
abbracciato è stata mia madre, poco
prima che uccidessero sia lei che mio padre…”
Stava singhiozzando, molto più
forte di quanto non stesse facendo quel fatidico giorno del nostro
primo
incontro. “… E da quel momento ho sempre avuto
paura che chiunque avessi
abbracciato o semplicemente toccato avrebbe avuto un destino orribile.
Sentivo
su di me come una maledizione e non volevo che si ripercuotesse addosso
a
qualcun altro…” La sua voce tremava. Mi accorsi
che la sua stretta intorno alla
mia vita si era fatta ancora più forte e pressante. Potevo
ascoltare i battiti
del suo cuore correre veloci nel suo petto. Ebbi la sensazione di
riuscire a
toccare la sua anima e tutto il suo dolore.
“…
Sai,
se ho deciso di diventare il migliore detective del mondo è
stato perché volevo
acciuffare il loro assassino. E ci sono riuscito. E’ stato
proprio il primo
caso da me risolto, ma non sono mai stato in grado di ignorare questo
mio
timore verso il contatto fisico con le altre persone, fino ad
ora…” L’emozione
cresceva in me. Avrei tanto voluto che pronunciasse quelle parole. Il
mio cuore
ormai era fuori controllo. Non rispondeva più agli impulsi
della mia mente. Non
accennava a calmarsi.
“…
Con
te in questo istante la situazione mi sembra perfettamente invertita:
se non ti
abbraccio adesso ho paura di non poterlo fare più... E anche
qualche altra cosa
temo di non avere più tempo di fare…”
Gli
rivolsi uno sguardo e così fece anche lui. Fu lungo ed
intenso. I capelli
bagnati, i vestiti ancor di più, i suoi occhi neri
così profondi e pieni di una
dolcezza che non gli avevo mai visto.
“Sara,
io ti amo. E’ tutta la vita che ti amo, tutta la vita che
scappo da te, dal tuo
sorriso, dalla tua intelligenza, dalla tua testardaggine e dai tuoi
modi di
fare a volte da donna e quando vuoi da bambina. Tu sei la mia anima
gemella. Se
c’è un motivo per cui sono nato, per cui oggi sono
qui a risolvere questo caso
così assurdo e proprio con te, è
perché il mio destino è quello di amarti.
Scusa se ci ho messo tanto a capirlo, se me ne sono reso conto solo
adesso che
temo di perire per mano di Ki…”
“Ti
prego, non parlare…” Lo zittii mettendogli il dito
indice sulla bocca.
“Non
parlare, L…”
Senza
che potessimo rendercene conto le nostre labbra si erano avvicinate,
sfiorate,
toccate. Ci stavamo baciando nel modo più dolce che potesse
esistere, come se
qualcuno stesse suonando per noi una melodia al pianoforte. Il mondo
aveva
smesso per un attimo di girare. Non c’erano più
paure o casi da risolvere.
Anche Kira poteva attendere. Nessuno poteva raggiungerci: ci trovavamo
un
universo parallelo, nel nostro universo parallelo, quello di L e Sara.
“L…”
dissi con un filo di voce, come per evitare che qualcuno potesse
sentirmi “… Ti
prometto che non udirai più quelle campane. Non sentirai mai
più quel rumore
assordante che ti ricorda il funerale dei tuoi genitori e che credi che
annunci
il tuo…”.
Avevo
seguito Sara fin sul tetto del
quartier generale. Avevo notato che anche lei stava inseguendo
qualcuno.
Ryuzaky, per l’esattezza, e mi chiedevo il perché
di una cosa simile. Di sicuro
sapevo quanto lui la considerasse fuori dal comune a livello di
intelligenza
nonostante davanti a tutti noi della squadra la trattasse alle volte
peggio di
Matsuda (cosa che non si meritava affatto), ma non riuscivo a
comprendere come
mai lei sentisse il bisogno di spiare Ryuzaky. Perché di
questo si stava
trattando. Forse voleva parlargli in privato, ma anche questo
stuzzicava la mia
curiosità. Per quale ragione lui avrebbe dovuto dirle
qualcosa di particolare
rispetto a ciò che anche noi tutti già
conoscevamo?
Chi era questa Sara
Torricelli? Ammesso che
quello fosse il suo vero nome. Sapevo che lui aveva insistito parecchio
per
averla con sé al quartier generale. Cosa poteva avere di
tanto speciale una
come lei? Una donna, per di più. Sicuramente nascondeva
qualcosa. Magari in
passato aveva già collaborato con lei e pertanto ne
conosceva il valore, ma
anche Naomi Misori aveva fatto parte del team di L in passato. Eppure
ero certo
che Ryuzaky si ricordasse a male appena di lei, come di tutte le
persone che
avevano lavorato per il lui o con lui per risolvere i casi precedenti a
quello
che riguardava Kira dato che solitamente dava istruzioni esclusivamente
per
mezzo di un computer. Persino la sua voce risultava distorta per i suoi
ascoltatori. No, c’era qualcos’altro sotto,
qualcosa che ancora mi sfuggiva, ma
forse mi sarebbe bastato arrivare in cima alle scale per avere delle
risposte…