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Autore: Saretta L Lawliet    19/08/2011    2 recensioni
La mia pistola era carica e senza sicura. Avrei potuto ucciderlo da un momento all’altro, eliminare per sempre la minaccia di Kira dal mondo…
“Un attimo…” pensai colta da un fremito di terrore “… Non posso ucciderlo. Mi metterei al suo stesso livello. Non posso. Non posso farlo”.
Eppure la tentazione c’era.
Genere: Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: L, Light/Raito, Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Io ti proteggerò

IO TI PROTEGGERO’!

 



L era lì, in piedi, sotto la pioggia. Lo sguardo perso nel vuoto, i pensieri rivolti chissà dove. Non riuscivo a smettere di osservarlo. Così assorto com’era, con un velo di malinconia in volto, mi appariva più dolce di sempre. Non volevo mi vedesse; desideravo lasciarlo lì, nella sua solitudine; se era salito fin là su un motivo ci doveva essere e nelle mia mente immaginavo che preferisse non essere disturbato, neppure da me. Ma lui si accorse della mia presenza e mi fece cenno di andare nella direzione in cui si trovava. Il cuore mi batteva all’impazzata mentre percorrevo quei pochi metri che ci separavano. Non appena fui abbastanza vicina mi accorsi che i suoi abiti avevano cambiato colore per via della pioggia: la sua consueta maglia bianca era diventata grigia ed i jeans da azzurro chiaro erano divenuti blu scuri.
“Sara, senti le campane?” Mi disse.
Io che non potevo udire nessun suono risposi con una punta di stupore: “Ma che dici, L? Io non sento niente”.
“Oh, è un peccato che tu non riesca a sentirle. Pensavo che almeno tu potessi riuscirci. Sei sempre stata l’unica a capirmi veramente. In quei momenti in cui nessuno sembrava essere in grado di intuire il significato profondo delle mie idee tu eri sempre lì a far chiarezza con gli altri. Una sorta di interprete della mia mente. Credevo che fosse quasi incredibile che esistesse una persona così al mondo: una persona che sembrava scelta per me in tutto e per tutto...” In quell’istante, da che si trovava girato di spalle, spostò velocemente la testa verso di me. Il suo sguardo non era più perso nel vuoto ma rivolto dritto in direzione dei miei occhi. Quasi mi spaventai, perché raramente mi aveva scrutato in quel modo. Cominciai a chiedermi che cosa stesse passando realmente nella testa di L. Una sorta d’ansia mi pervase. Potevo sentire i battiti del mio cuore fin nelle tempie ed una goccia di sudore venne giù dalla mia fronte nonostante la pioggia battente. Se non fosse che una cosa del genere non avrebbe mai potuto realizzarmi, ebbi la sensazione di poter udire anche il pulsare delle vene di L. Ad un tratto lo vidi sospirare. Non dovetti attendere molto per ascoltare ciò che aveva ancora da dirmi.
“… Sì, io non te l’ho mai detto, ma è dal primo momento che ti ho incontrata, quando eravamo bambini e vivevamo all’orfanotrofio di Londra prima e alla Wammy’s house poi, che ti considero speciale e mi spiace di rivelartelo soltanto adesso, solo ora che la mia vita sta per volgere al termine”
Mi sentii mancare il respiro dall’emozione, ma al tempo stesso la preoccupazione per la sua morte mi diede la sensazione che la terra sotto i miei piedi stesse per sprofondare. Non potevo credere a ciò che avevo appena ascoltato. La mia voce rispose tremante “Solo ora che la mia vita sta per volgere al termine? Ma che dici, L? Perché parli in questo modo?” In quel momento oltre all’agitazione mi pervase anche una punta di rabbia nel vederlo così rassegnato. Lo afferrai per un braccio come per scuoterlo “Non puoi gettare la spugna in questo modo! Sei il più grande detective che il mondo abbia mai visto! Sono sicura che sconfiggerai Kira. Tu stesso mi hai detto che ti manca solo un tassello per risolvere il puzzle. Non puoi pensare una cosa del genere proprio adesso che…”
 
Amavo L da sempre: io avevo circa due anni più di lui e mi ricordo ancora quel giorno in cui Watari lo portò all’orfanotrofio di Londra; sembrava così spaesato e triste. Si era accovacciato come suo solito fare con le lacrime agli occhi in un angolo del grande salone in cui noi tutti bambini giocavamo quando non avevamo compiti da fare. Vedendolo in quello stato mi ero avvicinata a lui con l’innocenza e la dolcezza che solo un ragazzino di quell’età può avere.
“Perché sei triste? Qui sono tutti simpatici, sai? Ecco, tieni il mio fazzoletto. Era della mia mamma. Ti rivelo un segreto: lei ora non c’è più però sono sicura che non smette mai di guardarmi da qualche posto nel cielo. Vedrai che anche la tua starà insieme alla mia. Anzi, sono certa che hanno già fatto amicizia”. Mi ricordo che L prese in mano il pezzetto di stoffa, si asciugò le lacrime e poi abbozzò un mezzo sorriso. “Ecco, visto? Già va meglio, vero? Dai andiamo a giocare! Ho un sacco di cose da farti vedere!” Percepii all’istante che si stava fidando di me e da quel giorno non smise mai di raccontarmi ciò che provava, cosa che feci anche io con lui, nemmeno quando ci trovavamo a centinaia di chilometri di distanza. Ci furono infatti degli anni in cui rimanemmo a lungo distanti. Spesso non sapevo neppure in che Paese si trovasse, eppure non potevamo fare a meno l’uno dell’altra. In realtà avevo sempre creduto di essere per lui come una sorella. Da un momento all’altro mi aspettavo che mi raccontasse di qualche bella tipa conosciuta chissà dove. Invece non mi aveva mai parlato di altre ragazze. Non credo neppure che ne frequentasse, se non per motivi prettamente di lavoro. Io come lui lavoravo nell’ambito dell’investigazione, ma per via della mia conoscenza dell’italiano, mia lingua madre, e della mia arguzia, mai poderosa come quella di L, mi era stato proposto di entrare a far parte di uno dei corpi della polizia italiana. Avevo accettato. Ero riuscita a rivedere L, a guardarlo nuovamente negli occhi, solo un anno prima, quando anche l’Italia aveva dato l’ok per collaborare al caso Kira. Ovviamente lui aveva chiesto all’istante di me in quanto parlavo correttamente l’italiano, il giapponese (che proprio il ragazzo dai capelli nero corvino mi aveva insegnato quando eravamo ragazzi), nonché l’inglese: avrei potuto essere un ottimo ponte fra il mio governo e quello del Giappone nel corso delle indagini. E anche quando accadde che, per via delle continue e ripetute morti, lo Stato italiano decise di abbandonare la sua collaborazione a livello ufficiale, io rimasi ugualmente nella squadra per dare una mano ad L. Sapevo che restandogli accanto rischiavo la vita ogni giorno, ma non potevo fare a meno di rimanergli vicino, e poi ero convinta del fatto che anche lui avesse bisogno di me, non soltanto a causa del caso da risolvere, ma soprattutto a livello umano. Lui, quello che tutti conoscevano al quartier generale col nome di Ryuzaky, appariva davanti ai suoi sottoposti come una persona priva di vita sociale (ed in effetti lo era) e di legami affettivi con il prossimo, ma in realtà dietro quella sua corazza autorevole c’ero io, l’unica a conoscere, insieme a Watari, la sua vera identità. Quando ci trovavamo in compagnia di altre persone durante le indagini, soprattutto quando Light Yagami era presente, si mostrava ancor più duro con me che con il resto dei membri della squadra. Lo faceva per proteggermi; io lo sapevo. Non voleva rivelare a nessuno che io ero il suo punto debole, che se avessero colpito me, quella a cui poteva voler bene almeno come ad una sorella, sarebbe crollato come un castello di carte.    
 
“… Proprio adesso che ho la conferma di essere importante per te, L. Non puoi!”
Non sapevo se arrabbiarmi ancora di più o se mettermi a piangere. Alla fine le lacrime scesero dai miei occhi indipendentemente dalla mia volontà.
Un abbraccio improvviso mi lasciò senza parole, soprattutto perché sapevo quanto L non fosse avvezzo al contatto fisico. “Sei la prima persona che riesco ad abbracciare senza avere paura”.
Lo strinsi più forte che potevo. “Perché mi dici questo, L? Che ti è successo quando eri bambino, quando ancora non ci conoscevamo?”.
“Come fai a capirmi sempre così bene? Mi chiedo come abbia fatto io a tenerti così distante da me per tutti questi anni; ma volevo proteggerti, dovevo proteggerti. Poi quando sei entrata in polizia sapevo che non avrei più potuto farlo. Non hai mai smesso di essere così testarda. E scusami se quando si è trattato di questo caso ho pensato subito a te, alla tua collaborazione: sono stato un egoista a credere che avrei potuto farti correre qualunque pericolo pur di averti con me. Perdonami, Sara!...”
“L, non hai ancora risposto alla mia domanda: che ti è successo quando eri bambino?”. Gli domandai sempre stretta al suo petto, il posto per me più bello e sicuro del mondo anche in un momento tanto drammatico.
“Sì, da bambino… Vedi, l’ultima persona che ho abbracciato è stata mia madre, poco prima che uccidessero sia lei che mio padre…” Stava singhiozzando, molto più forte di quanto non stesse facendo quel fatidico giorno del nostro primo incontro. “… E da quel momento ho sempre avuto paura che chiunque avessi abbracciato o semplicemente toccato avrebbe avuto un destino orribile. Sentivo su di me come una maledizione e non volevo che si ripercuotesse addosso a qualcun altro…” La sua voce tremava. Mi accorsi che la sua stretta intorno alla mia vita si era fatta ancora più forte e pressante. Potevo ascoltare i battiti del suo cuore correre veloci nel suo petto. Ebbi la sensazione di riuscire a toccare la sua anima e tutto il suo dolore.
“… Sai, se ho deciso di diventare il migliore detective del mondo è stato perché volevo acciuffare il loro assassino. E ci sono riuscito. E’ stato proprio il primo caso da me risolto, ma non sono mai stato in grado di ignorare questo mio timore verso il contatto fisico con le altre persone, fino ad ora…” L’emozione cresceva in me. Avrei tanto voluto che pronunciasse quelle parole. Il mio cuore ormai era fuori controllo. Non rispondeva più agli impulsi della mia mente. Non accennava a calmarsi.
“… Con te in questo istante la situazione mi sembra perfettamente invertita: se non ti abbraccio adesso ho paura di non poterlo fare più... E anche qualche altra cosa temo di non avere più tempo di fare…”
Gli rivolsi uno sguardo e così fece anche lui. Fu lungo ed intenso. I capelli bagnati, i vestiti ancor di più, i suoi occhi neri così profondi e pieni di una dolcezza che non gli avevo mai visto.
“Sara, io ti amo. E’ tutta la vita che ti amo, tutta la vita che scappo da te, dal tuo sorriso, dalla tua intelligenza, dalla tua testardaggine e dai tuoi modi di fare a volte da donna e quando vuoi da bambina. Tu sei la mia anima gemella. Se c’è un motivo per cui sono nato, per cui oggi sono qui a risolvere questo caso così assurdo e proprio con te, è perché il mio destino è quello di amarti. Scusa se ci ho messo tanto a capirlo, se me ne sono reso conto solo adesso che temo di perire per mano di Ki…”
“Ti prego, non parlare…” Lo zittii mettendogli il dito indice sulla bocca.
“Non parlare, L…”
Senza che potessimo rendercene conto le nostre labbra si erano avvicinate, sfiorate, toccate. Ci stavamo baciando nel modo più dolce che potesse esistere, come se qualcuno stesse suonando per noi una melodia al pianoforte. Il mondo aveva smesso per un attimo di girare. Non c’erano più paure o casi da risolvere. Anche Kira poteva attendere. Nessuno poteva raggiungerci: ci trovavamo un universo parallelo, nel nostro universo parallelo, quello di L e Sara.
“L…” dissi con un filo di voce, come per evitare che qualcuno potesse sentirmi “… Ti prometto che non udirai più quelle campane. Non sentirai mai più quel rumore assordante che ti ricorda il funerale dei tuoi genitori e che credi che annunci il tuo…”.
 
 
Avevo seguito Sara fin sul tetto del quartier generale. Avevo notato che anche lei stava inseguendo qualcuno. Ryuzaky, per l’esattezza, e mi chiedevo il perché di una cosa simile. Di sicuro sapevo quanto lui la considerasse fuori dal comune a livello di intelligenza nonostante davanti a tutti noi della squadra la trattasse alle volte peggio di Matsuda (cosa che non si meritava affatto), ma non riuscivo a comprendere come mai lei sentisse il bisogno di spiare Ryuzaky. Perché di questo si stava trattando. Forse voleva parlargli in privato, ma anche questo stuzzicava la mia curiosità. Per quale ragione lui avrebbe dovuto dirle qualcosa di particolare rispetto a ciò che anche noi tutti già conoscevamo?
 Chi era questa Sara Torricelli? Ammesso che quello fosse il suo vero nome. Sapevo che lui aveva insistito parecchio per averla con sé al quartier generale. Cosa poteva avere di tanto speciale una come lei? Una donna, per di più. Sicuramente nascondeva qualcosa. Magari in passato aveva già collaborato con lei e pertanto ne conosceva il valore, ma anche Naomi Misori aveva fatto parte del team di L in passato. Eppure ero certo che Ryuzaky si ricordasse a male appena di lei, come di tutte le persone che avevano lavorato per il lui o con lui per risolvere i casi precedenti a quello che riguardava Kira dato che solitamente dava istruzioni esclusivamente per mezzo di un computer. Persino la sua voce risultava distorta per i suoi ascoltatori. No, c’era qualcos’altro sotto, qualcosa che ancora mi sfuggiva, ma forse mi sarebbe bastato arrivare in cima alle scale per avere delle risposte…

 

 

  
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