Questa storia è stata ispirata
al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi
non mi appartiene. Dopo
poco, come previsto, morirono le persone che mi erano vicine.
Morì
Kevin, morì Marvin, entrambi in una sparatoria. Alla morte
del
secondo inizialmente mi comportai come gli altri si aspettavano da
me: ero mogio, non mi andava di uscire, ma poco dopo mi resi conto
che questo tipo di atteggiamento non mi era naturale, era come una
recita. Nonostante tutto io stavo bene, per me era normale, non c'era
nulla di nuovo, nulla di doloroso. Ecco,
è qui che la gente mi ha definito inumano. Fastidioso,
non trovi mio caro lettore? Eppure non reagivo, non facevo nulla per
dimostrare il contrario. Anche
io venivo spesso definito così anche se per ben altri
motivi, ma
pareva che a B quella definizione desse più fastidio che a
me. Alla
fine io mi ci ero abituato, non potevo fare molto per evitare di
essere chiamato così, perciò tendevo ad ignorare
in silenzio i
commenti negativi. Ma
in effetti ignoravo quasi tutto ciò che mi accadeva intorno
osservando silenziosamente e senza intervenire. Giorno
dopo giorno osservavo nuove persone morire, vedevo immagini con nomi
che mi obbligavano ad osservare, un secondo prima potevo vedere, un
secondo dopo tutte le informazioni sparivano. Perché? Grazie
ai miei occhi potevo vedere i nomi degli esseri umani, solo di
quelli. Quando una persona muore cessa di essere un essere umano, non
è più nulla se non un corpo senza vita, fermo,
immobile. So
che questo va contro ogni morale, da ragazzino mi veniva sempre
ricordato che bisognava avere rispetto per i morti, ma alla fine
preferivo avere una mia idea, non seguivo quasi mai ciò che
mi
veniva detto dagli altri, di solito annuivo per cercare di
rassicurare i miei interlocutori, ma quasi mai prendevo sul serio le
loro parole. A
qualsiasi essere umano sembrerò un mostro, un essere davvero
spregevole, ma mio caro lettore, non interromperai la lettura per
questo? È proprio adesso che viene il bello. Passavo
le mie giornate vedendo sempre più persone morire, vedevo
spesso
maltrattare i cadaveri degli avversari del mio clan e forse proprio
per questo ho sviluppato una grande insensibilità alla
morte: sapevo
che tutti gli esseri umani prima o poi sarebbero morti, sapevo che la
stessa sorte sarebbe toccata alle persone cui potevo voler bene,
sapevo che la stessa sorte sarebbe toccata a me. E
poi in fin dei conti una persona che muore è una persona che
smette
di soffrire. Non
mi interessava di vivere a lungo, ma solo abbastanza per fare
ciò
che desideravo. Uno
come me non si poteva di certo permettere di morire in maniera
banale, no? Ma
l'unico modo per stabilire la mia morte era il suicidio, ma uno
semplice non andava bene, troppo scontato per uno come me e poi non
sarebbe servito a niente. Il
tempo passava parecchio lentamente, ma comunque non si arrestava e
quando ebbi 18 anni decisi finalmente di abbandonare il clan mafioso.
Se speravo che dopo tutto quel tempo avessero un po' di fiducia nei
miei confronti mi sbagliavo di grosso dato che di solito un clan non
lo si può abbandonare se non rischiando la propria vita. Decisi
di servirmi di un trucchetto: fingere di morire, in fin dei conti ero
un bravo attore. Andai
da Rodd pallido in volto, con gli occhi stravolti, sudando freddo. “Ehi,
Beyond, che diavolo ti prende?!” chiese quello tra il
divertito e
lo spavento. “S-sto
per morire...” balbettai prima così piano che non
riuscì a
sentirmi e poi lo urlai con aria terrorizzata. “Ti sei visto
allo
specchio?”. Eh
già. Loro non sapevano che io ero l'unico di cui non
riuscivo a
vedere la durata vitale, quindi poteva andare bene così. Come
previsto Rodd mi disse di non preoccuparmi, che mi avrebbe protetto
lui utilizzando i suoi uomini e finsi di credere alle sue parole,
così uscii come al solito per recarmi in una di quelle zone
malfamate e comprare il sostentamento. Mi aveva accompagnato uno di
quei tipi che in sostanza non servono a nulla, solo a svolgere
qualche commissione ed ero tranquillo dato che avevo scelto io quella
persona: non importava dopotutto che qualcuno fosse presente, in
fondo quel tipo sarebbe morto quel giorno stesso a giudicare dalla
sua durata vitale. Mi
tallonava con aria sospettosa mentre io passeggiavo tranquillamente
per la strada. Ogni tanto mi voltavo a guardargli sulla testa, ma
sembrava che la sua vita non si accorciasse mai. Strano. Continuavo
a camminare e dopo aver preso ciò che dovevo comprare
cominciai a
tornare al covo. Perché
non moriva? Improvvisamente
un pensiero improvviso e chiaro, come un fulmine durante una notte
senza luna. Non
moriva perché sarebbe stato assassinato e il suo assassino
non aveva
ancora deciso di ucciderlo. Il
suo assassino ero io. Esitavo,
in fin dei conti non avevo mai ucciso prima di allora, anche se
ancora avevo la spiacevole sensazione di essere stato io a fare fuori
Any, ma ciò era impossibile, non potevo essere impazzito
fino a quel
punto. Eppure
pareva che fosse così. Ma
come potevo ucciderlo? Insomma, avevo un coltello con me, ma lui
aveva una pistola, avrebbe potuto difendersi anche meglio di me. Improvvisamente
mi rivolse la parola chiedendomi il perché mi doveva
accompagnare. “Vedi,
io non sono un assassino e non riuscirei a difendermi. Pare che oggi
debba morire, ma servo ancora all'organizzazione, non posso andarmene
già.” “Beh, non che ci voglia molto a
usare una di queste...”
disse prendendo in mano la sua pistola. Non
ci potevo credere! Quel tipo era davvero talmente stupido da offrirmi
così l'occasione per ucciderlo? Lui non sospettava
minimamente che
potessi fargli qualcosa, e per questo prima di agire stetti qualche
secondo in silenzio per poi sorridere con aria di sfida:
“Davvero?
Io non ne ho mai tenuta una in mano, mi faresti provare?”
“Ma
come, in mezzo alla strada?” chiese lui ridendo, per mia
fortuna
l'aveva preso come un gioco. “Sì, tanto qui non
c'è mai nessuno e
poi è pure notte! Mirerò a quel bidone
lì in fondo, vediamo se
sono capace.” dissi ancora. Pochi
secondi ancora. Cinque. Mi
passò la pistola. Quattro. La
puntai contro il bidone. Tre. Cambiai
improvvisamente mira. Due. Un
colpo partì verso di lui e lo prese in pieno petto. Uno. Cadde
a terra con un tonfo e l'espressione di chi non si è reso
conto di
ciò che è accaduto. Zero. Spirò. Questa
poi. Un omicidio compiuto non per volontà di compierlo ma
perché
era destino. In effetti se non lo avesse fatto sarebbe dovuto tornare
al covo senza aver risolto nulla. È proprio vero che in
queste
organizzazioni si entra col sangue e si esce allo stesso modo. Rimasi
qualche secondo immobile a fissare quel corpo. Non provavo terrore o
angoscia ma semplice curiosità. Ero riuscito ad impedire a
una
persona di compiere tutte le sue azioni future, con un semplice gesto
e qualche secondo di tempo, ero riuscito a cancellare una vita umana. Sfregiai
quel volto con un coltello, lasciando dei disegni che avevano
l'aspetto di vari oggetti, in modo da renderlo irriconoscibile da
subito, poi, facendo attenzione a non lasciare impronte, lo caricai
nell'auto che avevo comprato due anni prima e cominciai a guidare. Semplice
il mio piano, vero mio caro lettore? Mi
sentii liberato di un peso, ma non era finita lì. Portai la
mia auto
dal lato opposto della città per poi darle fuoco, in questo
modo
avrebbero creduto davvero alla mia morte anche senza trovare il mio
cadavere. Mi
fermai, scesi, cosparsi il veicolo di benzina presa dal serbatoio con
un tubo e poi accesi un piccolo pezzetto di paglia che gettai sul
cofano. Dopo
pochi secondi tutto divampò e non potei evitare di sorridere
vedendo
come una piccolissima scintilla potesse causare un grande incendio. Conosci
i tarocchi, mio caro lettore? Chi non li conosce crede che la carta
della morte abbia valenza negativa, ma in realtà
è il contrario e
sai perché? Perché
ogni fine è anche l'inizio di qualcos'altro. La morte indica
il
cambiamento, positivo o negativo che sia. Bene,
per me quell'incendio aveva la stessa identica valenza di quella
carta. Nella
notte la luce era ancora più intensa e io la fissavo come
incantato
mentre un sorriso malvagio si dipingeva sul mio volto. Dopo
poco mi voltai e abbandonai quel luogo desolato a piedi. Probabilmente
mi sarei procurato una nuova auto, anche vecchia andava bene,
l'importante era portare a compimento il mio piano. E
magari elaborare un modo per causare qualche guaio ad L. Non
avevo deluso le sue aspettative: ero diventato davvero un assassino,
adesso lo sapevo con certezza mentre la faccenda di Any era ancora
avvolta nel mistero. E
poi L era uno che amava le sfide, potevo non accontentarlo? Si
trattava di me dopotutto, l'unico amico che avesse mai avuto. Avrei
dovuto informarmi un po' di più sul suo conto per sapere con
certezza come era diventato in tutto quel tempo il mio avversario
prima di andare avanti. Di
certo non mi ero dimenticato della promessa che avevo fatto. Purtroppo
già era giunta l'ora di abbandonare nuovamente il
quadernetto, ma
sarei tornato presto. Adesso
ne avevo la conferma: B era un folle, un pazzo che aveva ucciso solo
perché era stato stabilito che sarebbe andata
così, ma in fin dei
conti aveva tutte le motivazioni per poter impazzire davvero anche se
non quelle per essere un serial-killer. La
linea che separa la giustizia dal crimine è quasi invisibile
dopotutto. ______________ Authoress' words Caspita! Non mi ricordavo fosse così il
capitolo! Però mi piace! Bene, basta dire cretinate, sono in
bilico su un'altalena e rischio di buttare giù il pc e me
stessa, quindi vi saluto e non aggiungo altro. A domenica! Any