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Autore: just_silvia    21/08/2011    1 recensioni
Questa è una storia di Licantropi e Mutaforma. Racconta di due famiglie e dei loro rancori...ma sopratutto è una storia d'amore ambientata a Napoli.
Capitolo IV:
È la festa dei diciotto anni di MANUELA RUSSO... la figlia di Don Raffaele, i Mutaforma›› Alessandro rabbrividì.
‹‹Me lo ha detto uno fuori il locale a cui ho chiesto se ti avesse visto... be' ho chiesto di uno scheletro...e lui ha iniziato a fare mille domande su di te...››
‹‹Tu cosa hai fatto?››
‹‹Ho detto chi eri in realtà. Ma era prima che dicesse che fosse la festa dei Russo...››
‹‹Al diavolo. Andiamo, gli altri ci staranno aspettando.››
Il ragazzo cercò di sembrare freddo e distaccato ma la disperazione lo assalì. Perché? Manuela conosceva il suo cognome, forse per questo si era allontanata inizialmente? I dubbi riempirono la testa di Alessandro, pensava alla ragazza ed a come quei baci potessero metterla nei guai. Andare o non andare da lei all’una? Il suo viso però parlava chiaro.
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Alessandro entrato in casa si rifocillò bevendo dell’acqua. Ritornò umano e si mise in tuta. Chiese alla domestica di andare a prendere i suoi vestiti lasciati per le scale a causa della trasformazione. Infine si diresse nella stanza in cui si trovava la madre.
La Signora Virginia Martini in Giordano aveva ancora un bell’aspetto: era sempre stata molto esile, somigliava ad una diva degli anni sessanta. Aveva i capelli chiari che portava sempre raccolti sulla nuca con un fermaglio a forma di fiore, caratterizzati da qualche meches bionda scolorita qua e là. Il naso sottile alla francese e gli occhi azzurri, grandi e luminosi come Alessandro. Era umana al cento per cento.
Qualcosa dentro di lei si era spento però, tanto che se l’avesse vista Don Raffaele non l’avrebbe nemmeno riconosciuta.
Nell’ ultimo periodo era anche peggiorata. Non parlava quasi mai, mangiava sempre meno e non voleva vedere nessuno, tranne la luce dei suoi occhi: il suo amato figlio Alessandro.
Il male che l’aveva colpita era qualcosa di inspiegabile specialmente per il marito, Gennaro Giordano che nella sua felicità vedeva anche quella degli altri.
La donna vedendo entrare Alessandro iniziò a seguire con lo sguardo la sua alta figura, accennando uno spento e lieve sorriso.
Quando Alessandro le si avvicinò, la donna si accorse subito che qualcosa non andava.
Da parte sua Alessandro più si approssimava a lei, più cercava di assumere un atteggiamento sereno, stato d’animo che in quel momento non gli apparteneva per niente.
Il ragazzo le si accostò per darle un bacio e dopo averlo fatto sentì la mano di sua madre bloccare la sua.
‹‹Cosa c’è?››
‹‹Niente di grave, mamma.››
Mentre si allontanava per non destare sospetti, si voltò di nuovo verso di lei, e vide che gli occhi di sua madre erano di nuovo diventati inespressivi, perciò tornò di nuovo accanto a lei.
‹‹A cosa pensi?››
‹‹Cosa c’è che tormenta te, caro?››
‹‹Ma niente, solo un po’ di mal di stomaco...››
‹‹Chiedi ad Irina di cucinarti qualcosa di decente...››
‹‹Va bene,vado di là a studiare.››
‹‹È  veramente tutto?››
‹‹Mamma, Bruno ha litigato di nuovo con uno dei Russo. Sono stufo. Non possiamo stare tranquilli, non so da cosa, da dove e come è iniziata questa rivalità che a me viene così innaturale. Siamo o no famiglie speciali? Non dovremmo far fronte comune?››
‹‹Lo dicevo a tuo padre che un giorno te lo saresti domandato, non sei uno sciocco.››
‹‹Cosa è successo mamma? Perché quest’odio?››
‹‹Nessun odio.››
‹‹NO? Tu come lo chiami il sentimento che prova papà o Bruno? Per te non è giusto che io sappia il motivo di tutto questo?››
‹‹È giusto che tu sappia, ma non cambierà niente...›› iniziò a raccontare in maniera così veloce e decisa da sembrare che in tutti questi anni non avesse voluto fare altro che parlarne con qualcuno.
‹‹Devi sapere che tuo padre e Raffaele Russo, erano grandi amici in passato, essendo cresciuti insieme, hanno condiviso tutto, gioie e dolori adolescenziali. Avevano frequentato le stesse scuole ed entrambi, appena diplomati come “cuochi”, erano stati assunti nello stesso ristorante. Questo, però, non li soddisfaceva, erano desiderosi di fama e soldi, e tuo padre era il più ambizioso tra i due.
Nello stesso periodo la mia famiglia si era trasferita a Napoli da Firenze, lo sai che sei metà fiorentino. Il nonno aveva intenzione di aprire qui una filiale della sua azienda di “Pasta” e di punto in bianco fummo catapultati in questo quartiere. I nostri vicini di casa erano proprio questi due ragazzi, Raffaele e Gennaro, un po’ più grandi di me, quasi ventenni. Io avevo appena sedici anni e si diedero un gran da fare per farmi inserire tra i loro amici.
A mio padre questo faceva molto piacere, Raffaele gli stava molto simpatico, diceva che era divertente ma serio e servizievole, voleva farmelo sposare... ma io ero una ragazzina... non ci pensavo ancora. A tuo padre non andava giù, lo sapevano tutti che era geloso ma più di esserlo di me non sopportava che Russo sposando la gallina dalle uova d’oro, avrebbe potuto ereditare l’azienda di famiglia.
Mi svelarono il loro segreto, dopo lo shock iniziale mi abituai all’idea. Raffaele mi divertiva, spesso sai andavamo fuori città, si trasformava in cavallo, io lo galoppavo per chilometri e chilometri, ridevo continuamente con lui. Tuo padre invece mi faceva paura. Scusa tesoro, non volevo offenderti, la fifa era relativa, ero solo una ragazzina.
Tuo  padre cominciò a corteggiarmi e scommise con tutti del quartiere che mi avrebbe sposato lui e non Raffaele. Non saprò mai se a tuo padre io sia mai interessata veramente, questo dubbio mi seguirà fino alla tomba ma è la mia maledizione per non aver aspettato che Russo uscisse di prigione.
Già, hai capito bene, fu accusato da tuo padre di aver rubato i soldi nel ristorante dove entrambi lavoravano, soldi che non sono stati trovati da nessuna parte naturalmente. Restò dentro per due anni, il tempo per me di diventare maggiorenne e rimanere incinta di tuo padre.
Il nonno ne soffrì molto, nessun Martini ha mai creduto che Raffaele fosse colpevole, io giovane e ingenua rimasi incinta e dovetti sposare Gennaro. Quando Raffaele uscì, andai da lui e quando seppe che mi ero sposata, mi disse che ormai non voleva più vedermi, e promise di vendicarsi.››
‹‹Lo ha fatto?››
‹‹Per ora no. Ma ormai le persone intorno si sono schierate: i mutaforma contro i licantropi più altre persone del quartiere che non conoscono la loro vera natura. Ma il mio errore ne sarà sempre la causa. Come ben sai loro non possono trasformarsi in lupi, è stato tuo padre a mettere questo veto, come pena: la morte›› disse con tono ironico, si capiva che considerava la cosa ridicola.
La donna riprese quell’espressione assente in viso e Alessandro capì che non avrebbe potuto riprendere mai più quella discussione. Le baciò la fronte e si ritirò nella sua stanza. La “tana”, così come la chiamava suo padre. Alessandro quando ci rientrava non la riconosceva perché troppo diversa da quella che lui ogni mattina lasciava nel pieno del caos: la colf la rimetteva in ordine ogni giorno. Alessandro esausto si buttò sul letto e pensò a suo padre, possibile che in passato era stato così vile? Si trasformò di nuovo in lupo, poi si addormentò.
 
Manuela rientrò abbastanza tardi quella notte, in pizzeria c’era stata molta gente. Era tornata da sola perché il padre era rimasto con i ragazzi per una partitina a carte. Di solito anche la ragazza rimaneva insieme a loro ma quella sera aveva uno strano stato d’animo. Decise di fare una doccia e i suoi pensieri ritornarono al discorso di Mimì.
“‹‹... E poi quello non è roba per te.››
‹‹Come sarebbe?››
‹‹Quello è uno dei Giordano..››.
‹‹Giordano, Quei Giordano?››
‹‹Sì, l’originale, figlio unico di Gennaro, Mr Licantropo… ma poi dico io tanti bei ragazzi nella pizzeria, ti vuoi mettere proprio nei guai?››
‹‹Ma quando mai. Io ci ho pure litigato con quello. Te lo stai inventando tu. E poi anche se fosse papà non avrebbe nulla in contrario, non gli piacciono queste cose…››
‹‹Tuo padre no, ma Diego sì.››”
Cercava di auto-convincersi che non era proprio il suo tipo.
“Sarà sicuramente come me l’ha descritto Martina: traditore e falso. Ma allora perché lei lo amava tanto? Io non mi sarei mai innamorata di una persona così o sbaglio?” bisbigliò tra sé.
Quello che la ragazza non riusciva a spiegarsi era il perché di tanto interesse, perché quel ragazzo, per cui doveva provare una naturale antipatia, la prendeva a tal punto. Poi pensò al segreto, la sua amica sicuramente non ne era a conoscenza. Uscita dalla doccia, si preparò per la notte, legò i suoi lunghi capelli neri e se ne andò di filato a letto sicura che quella notte non avrebbe chiuso occhio.
 
Iniziò un nuovo giorno e Alessandro fu svegliato dalle urla di Irina, la collaboratrice domestica.
‹‹Signore, il ragazzo scotta. È stato “lupo” tutta la notte, starà male. Avrà la febbre.››
Entrambi si precipitarono nella sua stanza, Alessandro non aveva ancora aperto gli occhi ma sentì la grossa mano del padre appoggiarsi sulla sua fronte.
‹‹Che sei? Un cavallo a papà? Non un lupo…›› commentò il padre. Fu allora che Alessandro riuscì ad aprire gli occhi ed a vedere la figura alta e il volto severo del padre.
‹‹Hai dormito vestito. Non ti sei manco liberato degli abiti dopo la trasformazione›› iniziò con un tono da rimprovero.
‹‹Guarda qui, le scarpe sul letto?›› mentre sfilava la tutta ad Alessandro, ancora lupo, lo osservò come in un incubo. Gli sembrò di essere ritornato a dieci anni prima, quando il padre gli prestava molte più attenzioni. Avrebbe voluto fermarlo in quel momento, ma non ne aveva neanche la forza. Lo mise a letto e Alessandro cercò debolmente di dire: “Non vi preoccupate. Sarà uno stupido raffreddore...” ma gli uscirono solo dei “Wuf, wuf” e nel frattempo il padre già gli aveva messo il termometro in bocca ed in men che non si dica aveva esclamato:
‹‹Cià Uagliò, avviso Maurizio che non vai a scuola, e tu Irì statt’accort’, se la febbre non scende chiamm’ o’ mierc' (ndr: medico). Quell’amico mio.››
Era sparito velocemente sbattendo la porta alle spalle. Irina uscì dalla stanza ma in pochi secondi vi ritorno con un aspirina. Alessandro perse il termometro dalla bocca.
‹‹Alessandro ora devi cercare di diventare “umano” che devi prendere la medicina. Così non so dartela.››
Il ragazzo ci mise più o meno cinque minuti, Irina gli allungò delle mutande, bevve l’aspirina sciolta nell’acqua.
‹‹Irina, per favore non dire niente alla signora e niente medico, altrimenti se ne accorge.››
‹‹Va bene, tu riposa ora›› rispose, allungò la mano verso il termometro e glielo infilò sotto il braccio questa volta.
 
A casa Russo, un campanello insistente svegliò Manuela, che si precipitò alla porta. Era la zia Mimì, che abitava sullo stesso pianerottolo, in vestaglia che la rimproverava.
‹‹Picciré, tuo padre mi ha detto di venirti a svegliare. Devi andare a scuola, sbrigati›› spingendola verso il bagno. Manuela dopo essersi stropicciata gli occhi prese coscienza di tutto e iniziò a prepararsi in tutta fretta. La ragazza si sentiva in colpa per non aver preparato la colazione al padre, come ogni mattina, ma come previsto quella notte aveva avuto difficoltà a chiudere occhio.
   
 
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