Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: AmieBruce    21/08/2011    3 recensioni
salvee! questa è la mia prima ficci ed è un po' originale infatti ci sono dei personaggi diversi!è sempre ambientata ad hogworts, e ci saranno diverse avventure fra i personaggi!
Spero vi piaccia e spero recensite in motli!
Baccciii!
AMIE BRUCE
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

 

 

 

LA STORIA DI AMIE

- complicazioni parte II-

 

 

 

 

 

[Daniel]
Appena le nostre labbra si toccarono fu fuoco, nel ghiaccio. Dovevo dimostrarle che non era Chyfoschi. Infatti, ci riuscii, a dimostrarlo, ma non pensai che, dandole la prova che ero io, sarei finito nei guai. Lei si allontanò dicendomi di essere un bastardo. Il primo, oltretutto. Tentai di fermarla, ma fu tutto inutile. Vederla andare via, così, piangendo, era una tortura, per me. Il giorno dopo avremmo avuto una lezione comune, per sei mesi. Appena mi vide, cambiò direzione, e si mise seduta accanto ai fratelli. Litigò anche con Chyfoschi, a giudicare dalle voci che circolavano in corridoio, e, secondo tali, gli aveva ammollato uno schiaffone sulla guancia.. Tre giorni dopo, non ressi la situazione, e decisi di parlarle. Era il primo giorno di vacanza. Si stava dirigendo verso il corridoio. 

  • Amie, aspetta. Lasciami spiegare, parlare, non lo so...

Si girò. Un'immenza lama mi trafisse il cuore.

  • No. Non c'è niente da spiegare. È stato tutto fin troppo chiaro. Tu sapevi quello che provavo, te lo ha detto Harry. E te ne sei fregato.

Era vero. Non sapevo come ribattere, non c'era niente da ribattere.

  • Io l'ho fatto solo perché... volevo averti solo per me. Mi dava fastidio che stessi con gli altri. Ma non volevo arrivare fino aquel punto. Harry mi aveva avvertito. Aveva cercato di farmi ragionare. Ma non gli ho dato ascolto...
  • Perché non mi ha detto nulla? Perché ha permesso tutto ciò?
  • Ragiona. Se ti avesse detto tutto, come avresti reagito?

Ci pensò un secondo. Se la sarebbe presa. Molto, a giudicare dal suo viso.

  • Ecco. Invece, Harry, voleva che smettessi gradualmente. Per non farti stare male... ma non ci sono riuscito. E poi, quando mi avevi detto che i baci non ti bastavano più....

Chiuse gli occhi dal dolore e si morse il labbro.

  • Quando ti ho visto con quel bastardo... ti giuro, non ci ho visto più... non ho pensato alle conseguenze del mio gesto.

Sembrava che stesse capendo. Sperai con tutto me stesso di sì. Non sopportavo più questa situazione. Faceva male. Male da morire. Poi, come se si fosse resa appena conto di come mi guardava, spostò lo sguardo. Sconsolato, lo abbassai anche io. Qualcosa di rosso, una goccia di sangue, cadde dal soffitto. Alzammo gli occhi. Fu orrendo. Lei si mise una mano sulla bocca, cercando di soffocare un urlo. Mi strinse il braccio e si allontanò. Guardai la sua mano stretta a me, e pensai a quanto mi sarebbe mancata. Sperai di riuscire a farmi perdonare. Poi, si staccò subito. Corse via. Forse a chiamare qualcuno. Io rimasi lì. Come uno scemo.
Appena tornò con la professoressa, sembrava aver pianto. Davvero, non riuscivo a vederla così. E pensare che fu tutta colpa mia. La Mc Granitt ci mandò a chiamare dei professori. Riaffrontai l'argomento. Sembrava evitare qualsiasi discussione con me. Cercò di cambiare argomento, e, quando la rimbeccai, lei mi disse tutto in faccia.

  • Sparisci dalla mia vita. Non voglio più avere niente a che fare con te.

Fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso. Nessuna parola avrebbe potuto fare più male. Mi arresi. Avevo capito il messaggio. Non volevo pesarle. Cambiai strada e andai a cercare Lennox. Una volta trovato, lo condussi sulla scena del crimine, dove c'era un povero ragazzo massacrato. Mutilato. Squarciato. Fatto a brandelli. Amie corse in bagno.



[Amie]
Non sopportavo la vista di così tanto sangue, e né di un ragazzo come me, ridotto a quel modo. Era orribile. Fui costretta ad andarmene. Di corsa. Scappai in bagno, e mi gettai nella vasca da bagno. Aprii l’acqua calda, caldissima, così da eliminare ogni ricordo. Non ce la facevo più. E adesso si aggiungeva anche questa. Oddio. Basta. Ero solo una povera quindicenne cresciuta troppo in fretta. Avevo sbagliato. Tutto. Non dovevo lasciarmi andare in questo modo a soli quindici anni. Non dovevo fidarmi di nessuno. Chyfoschi aveva ragione: ero una troia. Ma non lo feci di proposito. Io amavo quello sconosciuto, che poi si rivelò Daniel, rompendomi il cuore. Credevo fosse vero amore. Lo desideravo. Era come un mio bisogno. Quindi decisi di farlo per la prima volta con lui. Aveva conquistato la mia fiducia. Se mi avesse veramente voluto bene, avrebbe impedito tutto questo. Potevo anche giustificarlo per i baci, per gli appuntamenti nello stanzino (che altra scelta aveva? La nostra era una situazione complicata) ma per avermi strappato la verginità, che non riavrò mai più, no. Non potevo perdonarlo per questo. Io mi ero concessa come segno del mio amore per lui. A lui importava soltanto portarmi a letto. Mi immersi per l'ultima volta nell'acqua. Poi, uscii dalla vasca. Mi vestii. Ancora avevo il succhiotto sul collo, quasi sbiadito. Lo coprii con la mano. Non volevo avere più niente a che fare con lui. Anche se questo faceva male. Non riuscivo a pensare di rimanergli lontana, mi veniva un vuoto al cuore immenso. Anzi, la situazione, da quando scoprii che era lui, peggiorò. Adesso che sapevo che chi mi procurava quelle sensazioni, degne del vero amore, era lui, stargli lontana significava farmi del male. Tanto male. Non riuscivo a sopportare la lontananza. Ma dovevo riuscirci. Asciugai i capelli. Non ci sprecai molto tempo: erano un caso disperato, e, oltratutto, non mi servivano a niente. Appena uscii da lì, mi trovai Daniel difronte, facendomi spaventare.

  • Daniel...! Santo Iddio... non hai ancora capito?
  • Sì, ho capito, ma non mi arrendo.
  • Bhé, dovresti. Dimentica quella notte. Fai finta che non sia successo niente. Fingi di non conoscermi nemmeno. Io con te ho chiuso, definitivamente.

Si avvicinò e mi prese i polsi, costringendomi a guardarlo.

  • Senti, ascoltami un attimo, mentre facevamo l'amore, hai sussurato “Daniel”. Credo significhi pur qualcosa, no?

Davvero avevo detto il suo nome? Non me lo ricordavo. No, era tutto un tranello, per farmi ricadere nella trappola. Tolsi le mani dalle sue, e lo guardai con sfida.

  • Le parole hanno un loro significato ben preciso. Impara ad usarlo. Noi abbiamo fatto sesso, solo ed esclusivamente sesso. Che è ben diverso dal fare l'amore. Quindi, chiama ogni cosa col nome appropriato.
  • No, Amie, e lo sai anche tu. Il nostro non era solo...
  • Ascolta, io voglio dimenticare questa storia. Voglio dimenticare te. Quindi vattene.

Sbuffò. Parlare di quella notte faceva malissimo. Anche io credevo di aver fatto l'amore. Ma, sentirmi dire di aver fatto solo sesso, era come ricevere una pugnalata. E me la stavo dando da sola. Ma era la verità: avevo sprecato la mia occasione più grande, il più grande gesto d'amore, per puro e semplice sesso. Per soddisfare i desideri di un coglione. Più ci pensavo, più mi arrabbiavo, e il mio odio cresceva. 

  • E pensare che avevi detto di amarmi...

Dissi più a me stessa che a lui.

  • Amie, non sono state parole al vento. Veramente provo questo sentimento, per te.
  • Non ti degni neanche di pronunciarlo...- Gli dissi stizzita.
  • Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo...

Mi sussurrava quelle dolci parle, sempre più vicino. Mi amava... e anche io provavo lo stesso. Per un attimo mi dimenticai di tutto. Di nuovo la calamita che mi attraeva a lui, mi spingeva verso le sue labbra socchiuse. Questo mi ricordò tutto. Con tutta la forza di volontà che avevo, lo spinsi via.

  • Daniel, non mi prendere in giro. Tu, come Chyfoschi, hai voluto solo portarmi a letto. E adesso è un altra tattica per farmi ricadere “tra le tue braccia”. Ma, questa volta, non ci casco.
  • Amie, ma come puoi anche solo pensare una cosa del genere? Io ti amo veramente... Il mio scopo non è quello...
  • No. Non è vero. Se mi avessi amato, avresti impedito tutto. Posso anche accettare i baci. Ma l'avermi sverginata, no. Questo proprio no.
  • Ma sei stata tu a chiedermelo...! Se ben ricordi, non volevo. Non in quel modo.
  • Avresti dovuto impedirmelo! Io non sapevo chi fossi. Pensavo di amarti. E pensavo di essere contraccambiata.
  • Ma infatti è così, Amie.

Non volevo più discutere. Basta. Con tutto. Me ne andai, stando attenta a non passare dal luogo dell'omicidio.

  • Dove vai? Aspetta. Non ti lascerò finché non chiariamo.
  • Non c'è niente da chiarire.
  • Invece sì.

Alzai gli occhi al cielo e sbuffai. Camminavo a passo veloce, lui mi stava dietro.

  • Potresti almeno rallentare? Non riesco a parlarti così.
  • E, secondo te, perché non rallento?!

Dopo qualche secondo, anzi, qualche frazione di secondo, rise. Di cuore. Una furia omicida, mi avvolse il cervello. Mi girai di scatto e gli andai incontro. Ero furiosa. Gli puntai l'indice al petto.

  • Non mi sembra una cosa da ridere, anzi. Sei solo un deficiente che si diverte alle spalle delle persone per soddisfare i propri desideri erotici.
  • Ma lo sai che quando ti arrabbi, sei ancora più stupenda?

Fece, avvicinandosi e sorridendomi. Poi alzò lo sguardo, cambiando improvvisamente espressione.

  • Bhé, che c'è? Ti sei zittito? Grazie a Dio...!

Allora mi girai e tentai di rimettermi in marcia, ma lui mi bloccò il braccio.

  • Ferma.

Disse con voce dura e guardando dritto davanti a sé.

  • Che ti prende? Senti, se vuoi farmi spaventare, ci stai riuscendo. E, lasciami, cazzo!

Non si mosse. Continuava a guardare fisso nello stesso punto. Poi, mi oltrepassò, sporgendosi all'angolo. Improvvisamente uscì fuori una farfalla blu, un Morpho Peleides o morfo comune. Ci fece sobbalzare enrambi.

  • Bene, sei hai finito di prendermi per il culo con una stupida farfalla, io me ne vado.

E camminai velocemente dalla parte opposta. Salii le scale, che si muovevano a loro piancimento, quindi dovetti sbrigarmi per andare in Sala Comune. Daniel cercò di seguirmi, ma le scale si spostarono, lasciandolo là.



[Daniel]
Decisi di andare anche nel bagno dei Prefetti, e aspettare che uscisse. Dopo circa tre quarti d'ora, aprì la porta. Appena mi vide sobbalzò. Cercai i parlarle, di farle capire. Ma sembrava non volesse capire, lei per prima. Allora, tentai il tutto per tutto: le presi le mani, costringendola a guardarmi, e le dissi che, quella notte, mentre facevamo l'amore, lei aveva sussurrato il mio nome. Mi disse, con sfida, che non era amore, ma sesso. Puro sesso. Ci rimasi malissimo. Era una pugnalata. Se mi avesse piantato una spada nel petto, avrebbe fatto meno male.

  • No, Amie, e lo sai anche tu. Il nostro non era solo sesso...

Provai a farla ragionare. Lo sapeva anche lei.

  • Ascolta, io voglio dimenticare questa storia. Voglio dimenticare te. Quindi vattene.

Poi sussurrò:

  • E pensare che avevi detto di amarmi...
  • Amie, non sono state parole al vento. Veramente provo questo sentimento, per te.
  • Non ti degni neanche di pronunciarlo...- Mi disse stizzita.
  • Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo...

Iniziai a ripeterglielo, avvicinandomi sempre di più. A circa due centimentri, o meno, dalle sue labbra, la calamita che mi attraeva a lei si fece sentire, le mie labbra ardevano. Ma lei mi allontanò. Mi disse di non prenderla in giro, che io, come Chyfosci, volevo solo una cosa. Come poteva anche solo pensarlo? Io l'amavo davvero. Lei se ne andò a passo veloce. Io la seguii, solo che, correndo, non riuscivo a concentrarmi per parlarle bene. Quando glielo feci notare, lei mi rispose:

  • E, secondo te, perché non rallento?!

Questo mi fece ridere. Che caratterino... era irresistibile. Lei si girò con fare minaccioso, e mi puntò l'indice al petto, battendocelo ad ogni parola.

  • Non mi sembra una cosa da ridere, anzi. Sei solo un deficiente che si diverte alle spalle delle persone per soddisfare i propri desideri erotici.
  • Ma lo sai che quando ti arrabbi, sei ancora più stupenda?

Le risposi avvicinandomi ulteriormente e sorridendole, senza prestare ascolto agli insulti che mi aveva appena lanciato. Poi sentii dei rumori. Alzai lo sguardo, di scatto. Misi a fuoco il corridoio, niente. Forse stava dietro l'angolo...

  • Bhé, che c'è? Ti sei zittito? Grazie a Dio...!

Mi disse girandosi e cercando di andare verso la curva a sinitra: da dove proveniva il rumore.

  • Ferma.

La presi per un braccio, impedendole di andare avanti.

  • Che ti prende? Senti, se vuoi farmi spaventare, ci stai riuscendo. E lasciami, cazzo!

La lasciai, la superai e mi sporsi all'angolo, aspettandomi di trovare chi sa chi. Invece, qualcosa mi venne addosso, facendomi sobbalzare, ma era solo una farfalla. Blu, per la precisione. Lei, incazzata nera, se ne andò dalla parte opposta. Io la seguii, ma lei salì le scale, che si spostarono lasciandomi lì, mentre lei se ne andava senza di me.
Quella farfalla non fece che venirmi in testa, non facevo che pensarci. Una farfalla nei corridoi della scuola... c'era qualcosa di strano.


[Amie]
Tornando in camera, vidi, di fronte alla Signora Grassa, Mrs Purr, la gatta di Gazza, il nostro custode. Era intenta a scrutarmi con quegli occhi maligni e rossi, quando notai un particolare bizzarro: aveva un cappello. Uno di quei cappelli della divisa, che nessuno metteva, quelli da mago. Mi girai un secondo perché sentivo dei passi dietro di me (sicuramente era Daniel che mi aveva raggiunto) e poi, tornai a fissare la gatta. Ma quella era scomparsa. Volatilizzata nel nulla.

  • E la prossima volta aspetta le persone che ti stanno parlando...

Mi disse raggiungendomi.

  • Tu non sei una persona e non mi stavi parlando.
  • Mi odi, non è così?

Quella domanda mi coglieva impreparata. Che avrei dovuto rispondere?No, sono follemente innamorata di te, ma sono troppo orgogliosa per ammetterlo persino a me stessa. O: Sì, ti odio, ma ti amo, anche. Optai per una balla.

  • No, non ti odio. Perché per odiarti dovrei calcolarti, e tu non sei degno neanche della mia attenzione. Sei... vediamo,inesistente. Ecco. La parola giusta. Inesistente.
  • Non puoi pensarlo veramente, Amie. Tu mi amavi, fino a qualche giorno fa. Hai amato prima me, come Daniel, e poi me, come il Ragazzo dello Stanzino. Ma resta il fatto che mi hai amato per mesi. Così come io ho amato follemente te. Ed è stata questa consapevolezza che mi ha spinto a fare quel che ho fatto. Non può finire tutto così. Se lo pensi davvero, allora significa che sei stata tu la prima a non amare me...

Quelle parole bruciavano. Eccome, se bruciavano. Fin nel profondo dell'anima. Io non lo pensavo realmente, ma era giusto così. Lui mi aveva fatto questo, anche se sembrava pentirsene, e io dovevo avere un po' di dignità. Insomma, non potevo essere quella che ci casca sempre, quella che perdona. No. Non era giusto. Anche se dicendogli quelle cose lo facevo stare male, ci stavo male anche io. Forse, persino più male di lui.

  • So io cosa provo...

Dissi combattendo con me stessa. Pronunciare quelle quattro parole, fu la cosa più dolorosa e difficile che abbia mai fatto. Però non ebbi il coraggio di guardarlo negli occhi. Quando alzai lo sguardo, lui mi guardava con un misto tra il deluso e l'arrabbiato. Poi sbuffò.

  • Bene, se è così me ne posso anche andare.

E se ne andò scuotendo la testa. Mi veniva da piangere. Volevo corrergli dietro, impedire che se ne andasse. Ma non potevo. Aspettai che entrasse nel quadro, osservando quel panorama così bello. Le montagne bianche, il lago ghiacciato. Poi, guardando in basso, notai un corvo. Mi fissava. Era inquetante. Gracchiò e volò via. Ma aveva qualcosa che non andava... portava un cappello a cilindro. Sto diventando pazza... pensai tra me e me. Tornai al quadro.

  • 'Sera, Amie... parola d'ordine?
  • 'Sera, Signora... allora... Burrobirra.
  • No, tesoro. L'hanno cambiata stamani...
  • Ah. Io non ne sapevo niente...
  • Niente parola, niente ingresso, mi spiace. Anche Daniel non ne sapeva nulla. L'ho mandato da un professore. Vacci anche tu.
  • Grazie.

Andai a cercare qualcuno. Per il corridoio incontrai Daniel, che non mi disse una parola. Mi ignorava toralmente. Stava andando nella direzione opposta, quindi aveva saputo la nuova parola d'ordine. Decisi di ignorarlo anche io. Ci stavo così male...

  • Professoressa Umbridge, non riesco ad entrare nella Sala Comune, mi potrebbe dire la nuova parola d'ordine, per favore?
  • Signorina Bruce, è tutto oggi che vado a sbandierare ai quattro venti parole d'ordine, adesso basta. Vada a chiederlo a qualche altro alunno o professore.

Mi cinguettò. Proprio non la sopportavo. In un paio di mesi già si era impossessata della scuola. Ci aveva proibito praticamente tutto. Il coprifuoco era spostato alle nove. Non potevamo portare accessori sulla divisa, e altre regole del genere. Me ne andai stizzita. Corsi verso Daniel, sperando che non fosse entrato.

  • DANIEL!!!

Urlai, vedendolo entrare. Si girò e, appena mi vide, la sua espressione cambiò. Anche se i suoi occhi brillarono, il suo viso divenne ancor più deluso. Apettò che lo raggiungessi.

  • Che c'è? Dimenticato qualche insulto...?
  • Dan, senti, come puoi pretendere che io non mi arrabbi dopo quello che mi hai fatto? Comunque, non ti ho chiamato per ricominciare la discussione, ma per la nuova parola d'ordine.
  • Ovviamente. Io sono... come hai detto? Inesistente.
  • Ragazzi, ci diamo una mossa? Io sono scomoda così, ed ho freddo...!

Ci Incoraggiò la Signora Grassa. Daniel mi fece segno con la mano di entrare.

  • Prima le donne...

Mi disse amareggiato, deluso e leggermente arrabbiato. Lo oltrepassai a testa bassa e sussurrando un “grazie”. Mi sentivo infinitamente in colpa per quello che gli avevo detto. Avrei voluto rimangiarmi tutto, abbracciarlo e, finalmente, viverlo. Ma non potevo, per la mia dignità. Non potevo farmi prendere per il culo in questo modo. Non era giusto nei miei confronti. E questo lo doveva capire.

  • Senti, Amie, sappi solo una cosa: quello che ho fatto lo rifarei cento, mille, diecimile volte. Sono riuscito a stare così con te, come mai più riuscirò a stare.

Non era pentito. Era... soddisfatto. Non ci potevo credere...

  • Daniel, ma è sbagliato...! Saresti riuscito ad ottenere questo e molto di più solamente parlandomene, invece di ferirmi in questo modo. Come puoi... Se solo mi avessi amato davvero... io non riuscirei... Tsz... sei senza cuore...!

Me ne andai indignata. E affanculo alla parola d'ordine. Andai da Anita. 

  • Anita, qual'è la nuova parola d'ordine?
  • W.M.M.H.
  • W.M.M... che?
  • H. è l'acronimo di: W il Ministero della Magia e la Humbridge... che stronzata... oddio, ti giuro che quella specie di rospo, proprio non la sopporto...

Annuii pienamente d'accordo con lei. Si creò un silenzio un po' imbarazzante, così decisi di romperlo.

  • A pranzo vuoi sederti con me?

Chiedemmo contemporaneamente. Poi scoppiammo a ridere. Sebbene ci stessimo simpatiche, non ci eravamo mai frequetate al di fuori del gruppo.

  • Per me va bene... In Sala Grande alle 13,00... ultima parte del tavolo. 
  • Mi chiese sorridendo.
  • Sì. Lontano da tutti.

Me ne andai fiera di essermi fatta una nuova amica. Prima, sì mi ci sedevo accanto, ma la cosa finiva lì. Qualche chiacchierata. Basta. Sperai che la nostra amicizia potesse continuare.
All'ora di pranzo le raccontai dell'omicidio, del quale non sapeva niente: era rimasta in camera a studiare tutta la mattina.

  • Perché non ti siedi più con noi?

Mi chiese d'un tratto. Non sapevo cosa rispondere. Se le avessi raccontato tutto, lo sarebbe andata a dire a Larry, e sarebbe successa una catastrofe. Ma avevo bisogno di parlarne con qualcuno.

  • Ehm... ho litigato sia con Daniel che con Harry... non mi va proprio di sedermi con loro.
  • Quindi Larry non c'entra nulla?
  • No, no.
  • Pensavo - e pensava - che fosse per la storia di Chyfoschi. Come puoi essere stata con uno come lui...?
  • Lunga storia anche quella.
  • Me la racconterai mai?
  • Forse. Ma non ora. Ho paura che Larry ne venga a conoscenza. E non voglio. Ok?
  • Lo sai che di me ti puoi fidare, vero? Non lo andrei a dire a nessuno, tanto meno a tuo fratello.
  • Sì... ma...
  • Non ti metto pressione. Quando vorrai, me lo dirai.

E mi sorrise. Finalmente avevo trovato un'amica. Vera.





Andammo a studiare – ero rimasta leggermente indietro – sulla riva del lago. La neve bianca dipingeva l'erba verde e fresca alterata solo da qualche foglia arancione restante dall'autunno appena passato. Ad un certo punto, quando alzai lo sguardo dal libro, vidi un maiale con un basco camminare qualche metro lontano da noi. Non lasciava impronte sulla neve, però. Cosa che, qualsiasi animale o cosa, avrebbe fatto.

  • Anita, lo vedi anche tu?

Lei, qualche secondo dopo – sicuramente dopo aver finito di leggere una frase – mugugnò e alzò lo sguardo.

  • Cosa?
  • Lì. C'è un maiale con un basco.

Lei mi guardò come a dire che fossi improvvisamente impazzita. Allora girai lo sguardo, per vedere se fosse scomparso. Infatti, lo era. Mi alzai di scatto, andando nella direzione del maiale, per vedere dove si fosse cacciato. Insomma, in qualche secondo non poteva essere scomparso. Doveva stare lì da qualche parte. Ma non c'era. E non aveva lasciato niente. Nessun'impronta. Nessun segno. Lei mi guardava interrogativa. Sconsolata, la raggiunsi.

  • Ti giuro che c'era. Veramente...
  • Amie, forse sei un po' stanca. La stanchezza giova brutti scherzi...

Annuii confusa ancora da come quel maledetto maiale fosse scomparso.






  • Sai, qualsiasi cosa sia successa tra te e Dan, dovresti perdonarlo.

Mi disse in Sala Comune, qualche giorno dopo. Sedute davanti al camino, ci guastavamo una Burrobirra, mentre al di là della finestra della torre di Grifondoro, un vento gelido ricopriva il castello e le vicinanze. Così come quella bufera distruggeva gli alberi, così la consapevolezza di aver perso per sempre Daniel distruggeva ogni traccia di vita in me. Ma era giusto così. Si era approfittato di me, e adesso ne pagava le conseguenze. Solo che, insieme a lui, le stavo pagando anche io. 

  • Perché mi dici questo? Ti ha detto qualcosa?
  • No, ma lui sta male. Tu stai male. L'unica soluzione, per il bene di entrambi è far tornare le cose come prima. 

Scossi la testa. Volevo spiegarle la situazione, ma non lo avevo fatto con nessuno, tranne che con Harry. Con lui mi veniva spontaneo. 

  • Anita, capiscimi. Mi ha illusa, mi ha fatto credere cose che in realtà non esistevano, solo per... ottenere una cosa. E Harry non ha impedito niente.
  • Cosa puà essere di così tanto grave?

Nella testa mi risuonavano le parole che mi aveva detto la prima sera ad Hogwarts.

Non dovresti darti così, sai? Va a finire che ne soffri.

Santa Anita. Parole sagge. Ma non potevo non farlo. Era una necessità. Lui dentro di me era una necessità.

  • Un giorno ti spiegherò.

Lasciammo correre quella discussione così, terrorizzate dall'idea di poter distruggere quel rapporto che stavamo costruendo con fatica e necessità. 



[Daniel]
Appena se ne fu andata, girandomi le spalle, come se non fossi nessuno, tirai un calcio al muro. Volevo distruggerlo. In quel calco misi tutto me stesso. Come se volessi scacciare tutti i miei pensieri. Invece il risultato fu solo un gran frastuono e un buco nel muro. Possibile che non capiva? Uscii dalla Sala Comune un'altra volta. Quello spazio era troppo chiuso, mi sentivo mancare l'aria. E, poi, sapere che lei stava a pochi passi da me, era una sensazione orribile. Percorrevo il corridoio con passi veloci, scaricando tutte la furia su quel pavimento di marmo, che altra colpa non aveva apparte quella di avermi visto camminare per ben due anni, tra vittorie e sconfitte. Un piccolo colpo all'altezza del petto mi fece istintivamente portare le mani in avanti trattenendo quel qualcosa che mi era venuto contro. Appena realizzai chi fosse, lascia la presa, colto alla sprovvista. Senza sapere neanche perché, controllai che nessuno ci avesse visto. 

  • Daniel, certo che i tuoi modi potrebbero anche essere più garbati.

Mi disse Melanie Owen stizzita, alzandosi da sola dopo che l'ebbi fatta cadere. Melanie era la mia ex. Un anno più grande, Corvonero. Fisico che sembrava essere stato scolpito nel marmo da Michelangelo in persona. I suoi capelli castani le incorniciavano il volto pallido, ornato da labbra rosse ed occhi verdi. Era ancor più bella dell'anno passato. 

  • Melanie - dissi a mo' di saluto - felice di rivederti.

Il mio tono era distaccato. Non avevo nessuna intenzione di parlare con lei. Se ne accorse. 

  • Sbaglio, o hai fretta? Sono ben sette mesi che non ci vediamo, e tu mi scarichi così?

Erano passati veramente già sette mesi? Feci un breve calcolo mentale, cosa che a lei era riuscita senza troppi sforzi. Astuzia degna di un Corvonero. La squadrai. Le sue gambe esili e perfette, risaltavano alla luce arancione delle torce appese alle pareti, coperte solo da una gonna a metà coscia blu. La scollatura del golfino lasciava scorgere il solco tra i seni, decisamente più prosperi rispetto a qualche mese prima. Sul suo viso era dipinta un'espressione di sfida.

  • Mi sei mancato, sai?

Disse avvicinandosi e continuando a guardarmi negli occhi, suadente. Mise la sua mano sul mio braccio e tentò di avvicinarsi ulteriormente. Io distolsi immediatamente lo sguardo dal suo, senteno gli occhi bruciare, e la scansai senza troppi indugi. 

  • Mel, da quel pomeriggio sono cambiate tante cose...

Le dissi facendole capire che mi riferivo al pomeriggio quando lei mi aveva lasciato per stare con un altro. 

  • Lo vedo...

Disse rimettendo la mano sul braccio e tastando i muscoli tesi alludendo al cambiamento che aveva avuto il mio corpo.

  • Io non sono più il tuo burattino.

Per me lei era stata importantissima. La mia prima volta con una ragazza. La prima vera volta. E non la potevo dimenticare. Ma c'era Amie e questo contava di più. Eravamo stati insieme per ben sei mesi e mezzo, trattandomi con una marionetta che ad uno schioccare delle sue dita mi prostravo ai suoi piedi, ignaro di ciò che mi circondava. Io, accecato dall'”amore” per lei, no riuscivo a vedere oggetivamente la situazione. Poi mi aveva lasciato, con una facilità tale da farmi aprire gli occhi. Vidi che mi aveva usato per far ingelosire il suo grande amore Xavier Wondolf, con il quale durò poco più di un mese. La eliminai dalla mia vita. E, finalmente, me l'ero scordata. Solo fino a quel momento. Non rispose, si limitò ad abbassare lo sguardo e a allontanarsi da me di qualche centimetro. Quando lo rialzò, la sua espressione era carica di tristezza e rimorso, gli occhi erano velati da lacrime non ancora tali. Il suo viso somigliava a quello di una cerbiatta, ed i miei ricordi iniziarono a sfociare. La nostra prima notte assieme, quelle che la seguirono, i nostri baci, i nostri sgurdi, ogni momento trascorso insieme. Non riuscii a più a guardarla. Faceva male sia agli occhi che all'altezza del petto. Avevo paura che lei potesse sentire la mia fragilità. E non volevo succedesse. 

  • Daniel, non sai quanto mi dispiace per quello che è successo, ma ti assicuro che mi sono pentita profondamente. Ti prego, fa tornare tutto come prima, non essere rancoroso verso di me. Non fai che farmi soffrire.

Mi costrinsi a guardarla. Le lacrime stavano scendendo piano, segnandole il viso immacolato. Mi guardai intorno, ansioso. Non volevo che nessuno ci vedesse, altrimenti sarebbe scoppiato il putiferio.

  • Mel... ssh... non piangere...

Le dissi premuroso, toccandole il volto con il pollice, asciugandole quelle gocce di cristallo fuso. Facendo questo gesto fui costretto ad avvicinarmi a lei che fraintese e eliminò quella poca distanza che ci separava. Le nostre labbra aderirono proprio come me le ricordavo, perfettamente. Un bacio casto che fece riaffiorare in me ogni ricordo. Le sue lacrime bagnarono il mio viso, in una sensazione di freddo ed umido, come l'inverno appena iniziato. Le mie mani erano ancora sul suo viso e iniziai ad accarezzarla. Mi mancavano quei momenti. Ci stetti malissimo quando mi lasciò. Sono stato giù per interi mesi. Poi, sull'Espresso per Hogwarts, incontrai lei. E Melanie sparì dalla mia mente, completamente. Adesso la testa pulsava, mentre baciavo un'altra che non era Amie. E fino a pochi minuti prima ero intento nel dimostrarle quanto l'amassi. Che stronzo. Solo che Melanie era così. Capace di manipolare tutto e tutti, ed io ci ero ricascato. Fece aderire anche i nostri corpi, eliminando ogni distanza. Labbra di rosa erano sulle mie. Capelli corvini che da tanto non rivedevo erano tra le mie mani. Quando socciuse le labbra, il bacio divenne più passionale, e lei esplorava il mio nuovo corpo, cambiato nel girò d'un'estate. La mano fece scivolare il mio mantello, che cadde a terra.
Tenebre immense immersero il cuore afflitto tra due consapevolezze tali da distruggerlo. La strada più facile e tanto bramata della ragazza dagli occhi di ghiaccio incorniciata da capelli corvini, tornata per lui. O quella più difficile e desiderata della ragazza dagli occhi mare, caldi di una passione e di un amore tale da riuscire a spezzare quel corpo di marmo. 
Alzai lo sguardo, consapevole che nel quale aleggiava un luccichio fiammeggiante, alla ricerca disperata di un posto più intimo. Dietro di noi, il bagno dei Prefetti. 
Nel cuore del mare color giada, si era scaturita una fiamma rossa. All'inizio si trattava di una semplice scintilla, un ricordo riemerso. Poi il fuoco si alimentò diventando un incendio incontrollabile al centro di un mare di giada.

The hell in the paradise.

Dentro il bagno, le luci erano soffuse, lasciando all'immaginazione l'ardito compito di rivedere quel corpo che da tanto non ritoccavo, che sognavo, fino a qualche mese prima. Al quale appertenevo, ed al quale sarei appartenuto sempre. Le slacciai il mantello, senza staccarmi da quelle labbra di rosa rossa, delicate, ma spinose e taglienti. Lo feci scivolare a terra. Velluto nero si stagliava al suolo, flebile, deciso.

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: AmieBruce