IV. Home
La
quinta cosa straordinaria che avvenne a Newcastle fu la vista di un
tramonto.
Erano
scesi da un autobus semi vuoto, nonostante quella fosse una zona
fortemente
turistica, così diceva la guida; ma era autunno, bassa
stagione, e c’era anche
un po’ di freddo. Avevano trascorso i venti minuti
d’autobus discorrendo sul da
farsi, tutti e due dando occhiate a turno al foglio con
l’indirizzo; avevano tenuto
una breve (e, nel caso di Hermione, nervosa) conversazione su quello
che
avrebbero trovato, e poi si erano accontentati di guardare gli scenari
mozzafiato fuori dai finestrini. Vegetazione verde smeraldo, oceano
spumeggiante su interminabili chilometri di sabbia, tinta del dorato
più scuro
dal sole che calava.
Ma
fu solo quando scesero dall’autobus che rimasero inchiodati
dallo spettacolo
che si svolgeva dall’altro lato della strada, oltre la
spiaggia, oltre il mare.
Il
sole si era tuffato nel mare, un semicerchio grande e giallo
all’orizzonte.
Quello non era un classico tramonto dai toni vaniglia e giallo
pastello: quello
era il sogno di un pittore, un drammatico spruzzo di colore sulla
calotta del
cielo, un’opera impressionista prodotta dal Caso e superiore
a qualsiasi mano
umana. Epici gialli e vivi arancioni davanti a loro, le poche nubi
scure,
marroni, celavano misteri di vividi rossi. E su, ancora più
in alto sopra le
loro teste, iniziava a calare luminoso il cobalto della prima sera.
Rimasero
pietrificati loro malgrado, vinti dalla grande magia naturale.
‹‹Guarda
là,›› disse Ron, vagamente trasognato.
Trovò la sua mano, e la tenne forte
nella sua.
‹‹È
incredibile.››
Rinunciò
a scattare una fotografia. Era un ricordo da affidare solo alla
memoria, perché
ingiallisse, invecchiasse con loro, diventasse ancora più
bello. E non c’era
pellicola per catturare l’esplosione di colori dentro di lei
quando Ron la
baciò davanti a quell’orchestra guidata dal sole,
circondati dalle armonie del
cielo, e degli uccelli in volo.
La
cosa buona di Cora Bay era che consisteva principalmente in una decina
di
strade residenziali e un lungo mare commerciale. Trovarono la via dove
abitavano i Wilkins semplicemente dando un’occhiata ad una
grande mappa
turistica.
Era
una via di media lunghezza a più o meno un chilometro e
mezzo dalla spiaggia.
Davanti ad ogni casa del quartiere c’era un ampio giardinetto
d’ingresso con
l’erba alta e verde brillante e un basso steccato dipinto di
bianco. Le case
erano perlopiù bianche, di legno, creature uscite da libri
degli anni ’20, a
due piani, tutte con la loro veranda ammobiliata, e il numero civico
scritto in
corsivo su una bella piastrella di ceramica bianca. C’erano
fiori e palme e il
frinire di insetti notturni e una gran pace.
‹‹Io
non me ne andrei se fossi in loro,›› disse Ron,
guardandosi attorno.
‹‹T’immagini
se lo dicessero anche loro?››
E
se
davvero non se ne fossero voluti andare? E se si fossero affezionati
alla loro
vita australiana? Ecco un’altra delle considerazioni che non
aveva fatto prima
di spedirli in capo al mondo. Sarebbero voluti ritornare alla vecchia,
piovosa
Inghilterra, e alla loro ordinaria casa in mattoncini rossi nella
suburbia
tranquilla di Oxford?
Ron
le strinse la mano. ‹‹Ehi, stavo
scherzando,›› disse.
‹‹Io
no,›› replicò Hermione.
‹‹Lo capirei. Mi
chiedo…›› abbozzò, non
sapendo
esattamente come continuare, ‹‹mi chiedo se forse
non è meglio lasciar stare. E
se sono più felici così? Guarda, hanno tutto qui.
Scommetto che hanno una vita
molto più tranquilla e felice di quella che avevano prima
-››
‹‹Ma
non hanno te,›› ribatté Ron.
‹‹Considerando
quanto tempo ho trascorso con loro durante questi anni, non farebbe
molta
differenza…››
‹‹Sì
che la farebbe, invece. Sono la tua famiglia, no? Lo sono lo stesso,
anche se
non si ricordano che tu esisti, anche se non sono con
te…››
Senza
nemmeno accorgersene erano arrivati al numero diciotto. Era un bungalow
a due
piani, bianco e simile a quello dei vicini. Il prato era corto e ben
curato, a
differenza della maggior parte degli altri giardini, lasciati in uno
stato di
più allegro abbandono.
‹‹È
proprio ovvio che qui abitano degli inglesi di
mezz’età, vero?›› E le
veniva
anche un po’ da piangere. Era reale adesso: era davanti alla
casa in cui
abitavano i suoi genitori. Li aveva trovati.
‹‹Cosa
facciamo adesso?››
‹‹Bè,
entriamo, no?››
‹‹E
come facciamo?››
‹‹Ron,
onestamente, non è che se
non hai la
bacchetta in mano ventiquattro ore su ventiquattro allora non sei
più un mago.››
Lo
sentì borbottare qualcosa mentre s’infilava alla
chetichella nel corridoio
erboso al lato della casa e se ne andava nel retro. C’era
lì una porta bianca,
che, a giudicare dalla vista oltre la zanzariera, era la porta
d’accesso alla
cucina dal giardino del retro.
‹‹
Alohomora,››
bisbigliò Hermione puntando la bacchetta alla serratura. La
porta s’apri
dolcemente.
‹‹
Lumos››.
Dentro
era un’abitazione ariosa, con grandi stanze e pochi muri
separatori. Cucina e
soggiorno erano un unico, grande ambiente, separato solo da un paio di
scalini;
il mobilio scuro era sparso ma bello, i libri abbondanti ovunque, e
appesi ai
muri c’erano quadri che ritraevano tramonti e spiagge e
riproduzioni di
fanciulle polinesiane di Gauguin. Era tutto molto ordinato, lindo e
pulito.
‹‹Bella
casetta,›› disse Ron, aprendo il frigo.
‹‹Guarda, ci sono dei budini al
cioccolato -››
‹‹Ron…››
Era
strano essere nella casa dei suoi genitori: era come essere nella casa
di due
estranei. C’erano quadri che non conosceva alle pareti, sulle
mensole c’erano
delle fotografie di loro due in spiaggia. Sembravano più
abbronzati, e molto
felici: sua madre aveva tagliato i capelli in un caschetto alla moda,
suo padre
aveva scoperto una predilezione per le camicie hawaiiane. Varie foto li
ritraevano a delle allegre cene in spiaggia; in una erano insieme in
uno stadio
di rugby, con le magliette della nazionale australiana.
‹‹Se
la sono passata bene,›› commentò Ron,
che l’aveva raggiunta e stava mandando
giù a cucchiaiate un budino.
‹‹Cerca…
cerca qualcosa, dei fogli, qualcosa che ci dica dove sono
andati,›› disse
Hermione, allontanandosi in fretta dalla mensola delle fotografie,
cercando di
nascondere a Ron il fatto che gli occhi le si erano riempiti di
lacrime. ‹‹Un
dépliant…››
Salì
le scale; controllò i cassetti delle tre camere da letto,
chiedendo mentalmente
scusa per l’infrazione alla loro privacy, e lo studio, e, per
sicurezza, anche
i bagni. Nella cesta delle cose da lavare intravide una delle gonne
preferite
di sua madre, comprata in Francia qualche anno prima… poi
corse nel guardaroba
della camera matrimoniale, e vide i vecchi vestiti della madre, e
alcuni dei
nuovi… tanti abiti estivi, cappelli di paglia, borse da
mare… un paio di
camicie hawaiiane del padre. In Australia i Granger avevano scoperto i
verdi, i
gialli e gli arancioni. L’odore era diverso, non era
l’ammorbidente che aveva
sempre conosciuto; annusando un foulard di seta che penzolava dalla
tasca di
una giacca sportiva, si accorse che sua madre aveva cambiato il suo
profumo di
riconoscimento per qualcosa di più leggero e fruttato.
‹‹Ehi,
Hermione!›› sentì chiamare Ron
dabbasso.
‹‹Che
c’è?››
‹‹Ho
trovato qualcosa!››
Avrebbe
studiato volentieri il guardaroba per ore, catturando piccoli dettagli
di
quell’anno dalle loro tasche, dal loro nuovo stile
d’abbigliarsi, ma raggiunse
Ron al piano inferiore. Era in mezzo al salotto, tra il grande divano
ad elle e
il tavolino da caffè che teneva alto un foglio in cartoncino
leggero.
‹‹Stanno
guardando le stelle,›› disse, passandole il
foglio.
Astronomical
Society of Queensland
Fin
dagli albori
della nostra civiltà, siamo stati catturati e stregati dal
fascino eterno dei
cieli. Nell’era moderna…
E
più giù:
In
collaborazione
con l’Alice Springs Astronomical Society (ASAS) siamo lieti di annunciarvi il nostro nuovo
progetto di osservazione
amatoriale dei cieli. Con le tecnologie dell’osservatorio di
Alice Springs, in
un luogo del tutto privo di inquinamento luminoso vicino agli ambienti
mozzafiato di Ayers Rock, invitiamo i nostri soci a partecipare alle
visite a
tema astronomico organizzate in collaborazione con l’agenzia
di viaggi Northern
Dreams per i seguenti giorni:
13-14-15
febbraio
20-21-22
marzo
10-11-12-13
aprile
24-24-26
aprile
(e
questo era cerchiato) 15-16-17-18
maggio
28-29-30-31
maggio
12-13-15
giugno
Per
ulteriori
informazioni telefonare a (02) 34428491, dalle ore 16.00 alle ore 19.00.
‹‹L’avrei
dovuto immaginare,›› disse Hermione, con un mezzo
sorriso. ‹‹Incredibile quanto
ci si scordi dei dettagli, dopo un po’… Mio padre
è sempre stato un
appassionato di astronomia…››
Era
un po’ strano e un po’ triste pensare che i suoi
genitori erano vivi e vegeti e
al sicuro e che probabilmente se la stavano spassando dietro ai loro
telescopi
del tutto ignari che a casa loro la figlia che non ricordavano di avere
stava
desiderando ardentemente che fossero lì. Prima si era
chiesta seriamente se non
fosse il caso di girare i tacchi e lasciarli alla loro felice vita in
Australia, in quel bel bungalow con i loro amici e la loro vineria, mai
come
allora Hermione provò una fitta di bruciante nostalgia dei
loro abbracci. Voleva
sua madre. La voleva come una bimba di quattro anni col ginocchio
sbucciato. La
voleva lì e la voleva subito. Voleva le braccia forti del
padre attorno a sé,
dannazione, voleva stare sulle sue ginocchia.
Per un momento desiderò che fossero lì e le
rimboccassero le coperte.
Si
stava comportando da bambina. Il mistero era stato risolto, i genitori
erano
stati ritrovati, anche se a un centinaio di chilometri più a
nord del previsto.
La loro missione era terminata, andava tutto bene. In capo a due giorni
li
avrebbe abbracciati di nuovo. Se l’incantesimo fosse andato
bene (ma non aveva
il coraggio di pensare all’altra possibilità).
‹‹Un
altro successo per la squadra,››
decretò Ron con un mezzo sorriso.
Quella
sera Hermione decise di bandire la malinconia. Sì, stare in
casa dei genitori
era un po’ forte per i nervi, ma che senso aveva essere
tristi? La ricerca era
finita ed ora era arrivato il momento di celebrare il successo.
Chiusero
tutte le finestre e tirarono le tende per accendere le luci. Cenarono
insieme
in cucina e stapparono una bottiglia di vino, e per un po’
sembrò che fosse
calata attorno a loro una sensazione di quieta contentezza, come se
avessero
riacquistato una sincera allegria. Guardarono metà di una
cassetta, lessero
qualche foglio della rivista dell’Associazione Espatriati
Inglesi a cui i
Wilkins erano abbonati. L’atmosfera serena non
durò a lungo. Erano successe
tante cose quel giorno, non solo negative; era possibile, forse, che
quel
tramonto l’avesse scossa?
Ron
aveva riso e sorriso quella sera, ma quando l’energia
celebrativa iniziò a
calare scivolò in una delle sue fasi taciturne.
Prima
ancora che fosse mezzanotte si accoccolarono insieme sul letto degli
ospiti, e
ascoltarono in silenzio i suoni del giardino. Le davano un leggero
fastidio,
gli insetti col loro frinire. Forse era perché le
ricordavano del loro anno di
campeggio forzato. Aveva scoperto che gli scarafaggi resistevano
davvero a tutte le temperature, e
che i grilli non
avevano paura di entrare nelle tende.
‹‹Potremo
restare qui anche domani,›› disse Hermione. Erano
stesi sul fianco tutti e due,
coi visi vicini sullo stesso cuscino. Le piaceva la sensazione del
respiro di
Ron sulle sue guance. ‹‹Torneranno il diciotto
mattina, suppongo.››
Ron
teneva le braccia sotto il cuscino. Alla luce lunare che proveniva da
fuori le
sue cicatrici erano ancora più evidenti. Sette anni di guai
avevano lasciato i
loro segni su di loro. La competizione su chi ne avesse di
più tra lui ed Harry
era ancora ad esito incerto.
‹‹E
poi…››
‹‹…
dovrò dare un sacco di spiegazioni.››
Ron
abbozzò un sorriso, ma svanì come vapore. Poi si
voltò di schiena, e guardò il soffitto.
‹‹Sto
pensando a quello che hai detto prima,››
sussurrò. ‹‹Quando
hai detto che col tempo ci si scorda
dei dettagli.›› Fece una pausa.
‹‹Mi chiedo…››
Hermione
si sentì gelare. ‹‹Oh, Ron…
io non volevo dire…››
‹‹Il
fatto è che hai ragione,››
continuò Ron, con un tono coraggiosamente
tranquillo, ma Hermione sentiva che la sua mano tremava.
‹‹Prendi lo zio
Bilius… so che aveva una camminata strana, ma non mi ricordo
più come fosse,
capisci?››
‹‹Ron,
tu non dimenticherai
‹‹Significa
tutto,
invece!›› Si agitava nel
letto. Le sue gambe si stiravano, le sue mani non sembravano trovare un
posto
in cui fermarsi. Sul viso gli era calata un’espressione
febbricitante.
Poi
disse piano, ‹‹Scusa. Non volevo
urlare.››
‹‹Io…
capisco… Ron,›› mormorò
Hermione. Si sentì in colpa. Lei aveva ritrovato i suoi
genitori, e Ron aveva perso suo fratello per sempre.
‹‹Grazie
per prima. Per la chiesa,›› mormorò
Ron. ‹‹Mi sono sentito
meglio.››
‹‹Prego,››
disse, banalmente, Hermione. Si sentiva sul punto di piangere, ma non
poteva
cedere quando Ron non cedeva.
‹‹È
che sono così arrabbiato,›› disse Ron,
parlando col soffitto. I suoi occhi
erano diventati lucidi. ‹‹Cerco di non pensarci,
cerco di comportarmi
normalmente,›› continuò, con sempre
maggior foga, ‹‹ma odio tutto questo. Odio
il fatto che non lo rivedrò mai più. La mia
famiglia non sarà mai più la
stessa. Lo vedo, ogni tanto, quando cammino… mi sembra di
vederlo – dannazione,
questo pomeriggio stavo per andare da un tipo solo
perché…›› La sua voce
tremava terribilmente. ‹‹Perché lui?
Un attimo prima c’era Malfoy
lì -››
E
poi aveva iniziato a singhiozzare. L’aveva visto piangere
apertamente per Fred
solo una volta. Fu uno shock, come essere travolti da
un’onda. Aveva letto che
uomini e donne affrontavano il dolore in maniera diversa: gli uomini
razionalizzavano, gli uomini cercavano di distrarsi. Era vero,
l’aveva visto
con Harry e l’aveva visto con gli uomini Weasley e con suo
padre, quando era
morta sua nonna. Ma ora Ron stava piangendo ed Hermione si
sentì totalmente
impotente davanti alla vastità di quel dolore. Cosa poteva
fare, se non
abbracciarlo, tenerlo stretto, fare piccoli versi come se stesse
consolando un
bambino?
I
singulti lo scossero a lungo, e poi parve anche ad Hermione di star
piangendo.
E non piangeva per Ron: piangeva per Fred, perché era vero,
era una tragedia,
una grandissima tragedia e non l’avrebbe mai più
rivisto. Si era portato
nell’oltretomba il suo umorismo e un pezzo
dell’anima di tutti i Weasley, e di
Harry, e della sua stessa anima. Aveva avuto solo vent’anni,
ed era morto per
un’esplosione. Il suo assassino era stato un pezzo di pietra,
non un
incantesimo, e non c’era nulla che potessero fare.
Solo
quando Ron ebbe smesso di piangere gli tolse le mani dal viso, e lo
guardò,
intensamente, come aveva fatto lui prima dopo la chiesa. Anche al buio
era
chiaro che i suoi occhi erano arrossati. Lo baciò. Poteva
sentire il sale delle
lacrime di Ron e le piccole cicatrici del suo viso sotto i
polpastrelli. Iniziò
disperato e crebbe in intensità, finché non
divenne caldo e poi bollente e
quando Ron le prese la vita Hermione seppe che aveva funzionato, che
era giusto
così.
‹‹Hermione…››
gracchiò Ron.
‹‹Sì?››
‹‹Non…››
cercò di dire, affannato, posando le labbra sulla sua
mascella, sul suo collo,
‹‹non voglio che… non voglio che
tu… insomma, per pietà… dovrebbe
essere
diverso…››
Sarebbe
dovuto essere felice, sarebbe dovuto essere diverso. Non poteva negare
di aver
immaginato quel momento come una felice scenetta bucolica, da qualche
parte
attorno alla Tana. Il problema era che in quelle scene Fred era sempre
vivo, e
non era morto nessuno. Voldemort era miracolosamente scomparso da solo,
e tutto
era ritornato a posto e lei e Ron si erano messi insieme e, dopo molti,
appropriati mesi, in un felice mese estivo, era semplicemente successo,
in
mezzo ad una soleggiata radura, come in qualche fantasia da figli dei
fiori.
Lei avrebbe provato un po’ di dolore, ma sarebbe stato tutto
a posto; Ron
sarebbe stato un amante affettuoso e sereno, e sarebbero tornati alla
Tana con
uno stupido sorriso sui volti e fili d’erba nei capelli,
lieti e gai.
Ma
Fred era morto, e
A
settembre lei sarebbe ritornata ad Hogwarts, e lui, chissà
(non aveva ancora
deciso, ma aveva fatto capire che non
sarebbe ritornato a scuola). Non c’era tempo. Era evidente,
cristallino ormai,
che quell’elusivo momento felice andava costruito. Non
c’era niente da
aspettare, anzi, aspettare non
aveva
senso. Era solo uno spreco di tempo, ed erano giovani per
così poco, no? Ogni
ora era vitale, così importante…
‹‹Questo
non ha nulla a che fare con la
pietà,›› disse Hermione, sentendosi
così vicina
al dire, semplicemente, che lo amava, e che lo amava da tanto tempo.
Poteva sentire
il respiro di Ron sulle sue guance, così caldo…
‹‹Ti
amo, sai,›› gracchiò Ron.
‹‹Lo
so,›› bisbigliò Hermione, scoprendo
che la sua voce era diventata lacrimosa. E
senza dire un’altra parola decise che avrebbero costruito il
loro momento
felice. Non serviva una Tana assolata, un’estate senza fine;
erano
sopravvissuti, erano vivi, erano insieme. Cos’altro serviva?
Quelle erano
fantasie, e questa era la vita vera.
Davanti
agli occhi grandi di Ron cominciò a svestirsi. Lo
baciò di nuovo, piano,
teneramente, dandogli il permesso di toccare il suo corpo. Era tutto
molto
nuovo. Sentiva una serie di scariche elettriche nelle vene. Le sue dita
sembravano toccare di più, come se altri nervi si fossero
risvegliati. La pelle
nuda di Ron era come nuova. Inesplorata.
Era
un po’ imbarazzante, pensò Hermione, quella storia
dell’andare da amici a, bè,
amanti. Era come se il Ron e l’Hermione di sette anni prima
fossero lì nella
stanza a guardarli e chiedersi cosa diavolo stessero facendo; la loro
veneranda
Amicizia era seduta nella poltrona davanti al letto domandandosi quando
esattamente ci fosse stata la svolta che li aveva portati a quel
momento.
Hermione non aveva le risposte a nessuna di quelle domande, e dopo
qualche
istante non le importo più. In quel momento, erano troppo
vivi per preoccuparsi
degli spettri.