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Autore: suni    23/08/2011    1 recensioni
"Verrà persino Oliver. Ci saremo proprio tutti quanti,” continuò a blaterare, sperando di riuscire in qualche modo a ridestare il suo interesse. Ce la fece, ma non nel modo che aveva sperato.
George infatti aggrottò la fronte, con una scintilla di collera nello sguardo.
“Ma davvero?” commentò, con un'allegria fittizia e malevola. “Questa sì che è una sorpresa
meravigliosa, Ron,” aggiunse, prima di voltarsi verso la stanza vuota, nello sgomento del fratello, per alzare la voce. “Ehi! Andiamo a cena fuori con la squadra, domani sera!” annunciò. Apparentemente, rivolto alla porta della camera da letto.
Ron deglutì in un silenzio pesante e scomodo.
George finse di ascoltare attentamente, percependo solo, ovviamente, quello stesso silenzio. Poi si strinse nelle spalle, con aria fatalista.
“Forse non vuole venire,” ipotizzò caustico.
Rom emise un altro respiro lungo, più tremulo, dominando un qualcosa che gli pungeva la gola e gli faceva venir voglia di prendere a calci una sedia, o magari la gamba del tavolo.
“Ok, messaggio ricevuto,” replicò, a disagio e un po' rabbioso. “Tutti quanti quelli che sono ancora vivi.” Strinse le labbra. “Non è divertente,” aggiunse a mezza voce.

[Pre-Georgelina]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Weasley, George Weasley, Harry Potter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Lentamente, ma la storia arriva. E' solo che la sistemo nei ritagli di ritagli di ritagli di tempo e, beh, non sono granché strutturata nella mia suddivisione degli impegni.
Qui ci troviamo alle prese con una bella arrabbiatura, una serie di supposizioni, una ferma ed "eroica" presa di posizione ed un album di nostalgia.


3.



Ron ci stava mettendo una vita.

Una volta George era capace di passare nove ore di fila alla cassa dei Tiri Vispi senza annoiarsi per un solo istante. Arrivavano le sette e mezza di sera senza che nemmeno se ne accorgesse.
Adesso gli bastava stare lì per dieci minuti, dover rispondere gentilmente alle domande dei clienti e sorridere loro con cortesia, per avere voglia di vomitare o di scagliare maledizioni tutt'intorno.
Quel mattino se ne stava impalato dietro il banco, con un piede che tamburellava lievemente per terra a velocità più che sostenuta, allo stesso ritmo con cui lui mordicchiava l'interno del proprio labbro con accanimento e lanciava di tanto in tanto qualche mezzo sorriso più torvo che amichevole alla clientela. Quando Ron gli aveva chiesto di sostituirlo, prima di uscire, si era poi soffermato a guardarlo dalla soglia con vaga perplessità, stupito di quell'atteggiamento nervoso da parte della bolla di apatia che era diventato suo fratello.
Nei quattro giorni precedenti, in effetti, George non era sceso in negozio nemmeno per errore. Non sapeva che idea si fosse fatto Ron in merito: forse una ricaduta – ricaduta dove, poi? Lui non era uscito da niente e perciò non poteva ricaderci dentro, al limite poteva giusto sprofondare ulteriormente – oppure si era detto che aveva un po' di luna di traverso, abbastanza plausibile visti gli sbalzi d'umore improvvisi – sebbene sempre compresi tra l'apatico e il disperato – da lui manifestati in quei due anni. La terza possibilità era che Ron avesse effettivamente imbroccato l'ipotesi corretta, cioè che la visita di Angelina Johnson non fosse stata propriamente un toccasana e, con insperata saggezza o più naturale istinto di conservazione, si fosse esentato dal fare domande. Mezz'ora prima si era limitato a bussargli alla porta affermando che c'era un problema con un fornitore e doveva assolutamente uscire un attimo: ed ora eccolo scomparso, lasciandolo in mano a scoccianti clienti rumorosi, inutilmente allegri e fastidiosamente ridanciani.
Una volta veder ridere le persone, scoprirle allegre e provocare la loro ilarità era stato uno dei grandi piaceri della vita di George Weasley. Ce n'erano molte, per la verità, di cose che George Weasley aveva adorato, ma quel riuscire a divertire il prossimo era stata una delle più soddisfacenti. I Tiri Vispi erano nati per quella ragione e nei primi tempi dell'esistenza del negozio – quando aveva avuto due proprietari – l'ilarità della clientela era stata la ragione principale per cui fosse bello passare la giornata lì dentro. Adesso, potendo, George avrebbe volentieri strappato i denti a tutta quella gente che esibiva irragionevoli sorrisi e ghigni entusiasti.
Fece un cenno meccanico affermativo ad una giovane mamma che si dirigeva verso di lui con l'aria di voler palesemente chiedere informazioni.
Mi dica, signora,” le propose laconico, senza la benché minima traccia di disponibilità.
La donna dovette sembrare un po' destabilizzata dal suo tono di voce disinteressato, perché esitò per qualche secondo. Nella mente di George si formulò l'idea vaga di sorriderle incoraggiante, ma il solo pensiero gli faceva quasi venire da urlare.
Io... Mio figlio mi ha detto che vendete delle nuove Puffole, diverse, e sa... Ne voleva una.”
George la osservò vacua. Una Puffola. C'era gente che riusciva ancora a considerare importante una Puffola. Gente che non aveva capito un emerito accidente di quel che era successo negli ultimi dieci anni. Gente che non aveva sepolto nessuno. Gente che avrebbe volentieri preso a calci, e chissenefrega che non fosse colpa loro se erano stati fortunati – e lui no.
Le Puffole sono nell'espositore in fondo al negozio sulla sinistra. Le ultime arrivate sono quelle nella parte destra, divise dalle altre,” annunciò sbrigativo, senza minimamente mostrare l'intenzione di farle strada.
Ah. Va...va bene. Grazie,” mormorò infatti la donna, prima di voltargli le spalle con un sorriso smorto. George seguì senza badarvi la sua traiettoria verso le Puffole, arricciando le labbra. Non vedeva l'ora che Ron tornasse, così non avrebbe dovuto sopportare ancora quella gente che di fatto non sopportava, con cui era indistintamente furioso. Perché era così che aveva passato gli ultimi giorni, lui che da mesi non riusciva praticamente a provare nient'altro che una piatta, soffocante e tormentosa nostalgia: da quando Angelina era entrata in Gemelleria, poche sere prima, George era disperatamente incazzato. Era così furibondo che gli tremavano le ginocchia, e non sapeva nemmeno il perché. Continuava a girare per casa come un pazzoide, i pugni serrati, una rabbia inarrestabile che rotolava nello stomaco, e guardava le foto di Fred. Pensava che il suo gemello era morto ingiustamente, e si arrabbiava da urlare – era sempre stato arrabbiato per la morte di Fred, insieme all'essere disfatto dal dolore per la sua perdita, ma questa volta era solo una marea di collera violenta a riempirlo - e Angelina Johnson che se ne veniva lì come se niente fosse – ed era così furioso che avrebbe preso a testate una finestra fino a spaccarla – e Lee non gli aveva nemmeno detto niente per avvisarlo – e gli veniva voglia di dar fuoco a qualcuno da quant'era incazzato. Odiava tutti quanti. Fred era morto e per quanto lo riguardava l'intera specie umana poteva estinguersi tra atroci sofferenze. Possibilmente il più in fretta possibile.
Andava a ondate. Ogni tanto quell'arrabbiatura nuova scemava e si spegneva nello solito, uggioso sfinimento. Lo riprendeva l'apatia, tornava la sensazione dell'annegamento, il panico immotivato del dover sopravvivere malgrado l'assenza Fred – qualcosa di impossibile, di troppo brutto per accettarlo. George si sentiva quasi meglio, quando ricadeva nel suo stato abituale: calmo, silenzioso, si rannicchiava a letto e rimaneva lì ad aspettare che le ore passassero senza più nessun pensiero preponderante: ma bastava che sentisse un rumore – cosa decisamente frequente, a Diagon Alley e particolarmente sopra quel deposito di esplosivi legali che era i Tiri Vispi – e il sussulto lo ributtava nell'ira. Faceva paura. Impossibile smettere.
Ron scelse quell'esatto istante per rispuntare dalla porta del negozio, trafelato e un po' inquieto.
T-tutto bene?” boccheggiò, raggiungendo il fratello dietro il banco.
No, è esplosa una parete,” replicò George infastidito, sensazione amplificata dal successivo modo in cui Ron, sgranati gli occhi, si guardava intorno allarmato. “Certo che va tutto bene, cosa vuoi che succeda? Questo è un negozio, non un dannato campo di battaglia,” aggiunse con un tono che voleva essere distaccato e che suonò più che altro aggressivo.
Ron spalancò la bocca, esterrefatto, ma George non gli diede il tempo di formulare una risposta: voltò i tacchi e lo piantò lì, tornandosene nel beato isolamento del suo alloggio al piano di sopra.


Hermione, naturalmente, era già seduta al tavolino quando Harry, spalancata la porta dei Tre Manici, si guardò intorno alla ricerca della sua testa ricciuta. Stava sfogliando un libro spesso e apparentemente vecchio con espressione accigliata, e il sorriso che Harry lanciò nella sua direzione passò interamente inosservato – da parte di lei, ma non delle altre due ragazze sulla stessa traiettoria, che sorrisero entrambe in risposta. Harry si schiarì la voce e si incamminò verso l'amica con espressione di circostanza finché non le ebbe oltrepassate entrambe.
Ciao, Hermione,” esordì, appoggiando la mano sulla sedia di fronte a quella di lei.
Harry!” trasalì la ragazza, prima di ricambiare il suo sorriso chiudendo il manuale. “Non ti ho sentito arrivare.”
Lui ridacchiò, sedendosi.
Me n'ero accorto. Ron?”
Hermione emise uno sbuffo.
Immagino stia chiudendo al cassa o qualcosa del genere,” spiegò, spiccia.
Harry scrollò la testa, rubandole un sorso di Burrobirra. L'amica gli scoccò una scherzosa occhiataccia cui lui replicò con un'angelica alzata di spalle.
Che c'è? Non sono stato io,” si difese, spalancando gli occhi in un modo che ricordava un po' Luna.
Hermione levò lo sguardo al cielo, con un'espressione di condiscendenza un po' guastata dal suo evidente sorriso represso.
Naturalmente, Harry,” concordò scettica. “E io non ti sto affatto per scagliare una fattura,” aggiunse, con una smorfia troppo poco minacciosa.
Non...lo faresti mai,” ribatté Harry, con l'aria di non essere affatto sicuro di quel che stava dicendo. Ridacchiarono entrambi. “Mh,” aggiunse, intanto che faceva segno a Rosmerta di portare un boccale anche a lui, “Ron ti ha detto della cena?”
Hermione annuì noncurante.
Dopodomani, andrete a cena con il resto della squadra di Quidditch, non si sa ancora dove... cercherò di farmene una ragione,” scandì in rapida successione, come se fosse stata una battuta malamente mandata a memoria. Sospirò. “Ron me l'avrà ripetuto sei volte.”
Harry rise piano.
Credi che ne abbia già parlato con George?” s'informò Harry cauto.
Hermione spalancò gli occhi con un'eloquenza di cui gli sfuggirono i sottintesi.
Non sono sicura che lo farà.”
Perché non dovrebbe?” chiese Harry perplesso, aggrottando la fronte.
Hermione socchiuse le labbra per rispondere, ma all'ultimo sorrise in direzione della porta ed Harry si voltò meccanicamente indietro alla ricerca della sagoma del suo migliore amico, che trovò puntualmente svettante sopra le teste degli altri avventori.
Ciao, ragazzi,” esclamò Ron raggiungendoli, si chinò a schioccare un bacio sulla fronte ad Hermione e strinse cameratesco la mano di Harry. “Passato una buona giornata?”
Non male, se non consideriamo che mi è esplosa la scrivania. Incidentalmente,” si affrettò a precisare Harry cogliendo lo sguardo sospettoso di Ron che, dai tempi della guerra, aveva sviluppato la tendenza a vedere cospirazioni ovunque.
Anche io tutto a posto,” confermò Hermione. “In negozio?”
Ron storse il naso, scontento.
Strano,” borbottò.
Chi?” chiese Harry perplesso, mentre Hermione si corrucciava pensosa.
George,” sospirò Ron.
Oh, gli hai detto della cena?” ripeté Harry di getto.
Amico, io a quella cena non ce lo porto.”
L'altro lo osservò allibito, con vaga contrarietà, e si voltò in cerca dell'appoggio di Hermione, che pareva però straordinariamente moderata, cauta.
Cosa succede con George?” chiese Harry prendendo un respiro profondo. Training autogeno, la via dell'eroe.
Ron scosse il capo, intanto che Rosmerta, saggiamente, veleggiava verso di loro con non una ma due burrobirre.
E' nervoso. Lo sento che cammina avanti e indietro sopra la mia testa per tutto il giorno. Di solito non si alzava quasi dal letto,” sbuffò Ron, scambiandosi con Hermione un'occhiata che lasciava intendere come avessero già affrontato l'argomento. Poi tornò a voltarsi verso Harry. “E ti dirò, ieri l'ho lasciato un momento da solo in negozio e quando sono tornato mi ha dato una rispostaccia che non me l'aspettavo,” continuò a spiegare, ingoiando un sorsata di bevanda ben abbondante, indice sicuro della sua agitazione.
Molto cattiva?” s'informò Harry perplesso. Non era abitudine di George investire le proprie energie nel comunicare con la gente, nemmeno con cattiveria. In effetti, non le impiegava per niente.
Molto lunga,” lo contraddisse Ron sintetico.
Hermione si schiarì la voce.
A quanto pare era una frase articolata,” intervenne esplicativa, in soccorso dell'amico. “Soggetto, verbo, complementi vari e alcuni segni d'interpunzione diversificati,” precisò gravemente.
Harry si domandò fuggevolmente se fosse normale, una conversazione del genere fra tre ventenni. Si rispose che no, non la era, e la cosa non gli creava il minimo problema. Non più.
Ma dai,” commentò sorpreso. Le ultime volte che aveva parlato con George, sempre che “parlato” fosse il corretto lemma verbale da utilizzare in quel caso, si era trattato di brevi e impacciati monologhi – suoi – seguiti da impercettibili monosillabi – di George.
Sì. E poi è agitato. Batte i piedi per terra, si morde le guance. Ieri si è strappato una pellicina dall'unghia,” continuò Ron con aria molto seria. “Penso non stia molto bene.”
Quella frase conclusiva fu seguita da un duplice sguardo vitreo, assolutamente privo di qualunque barlume d'espressione da parte di Harry e Hermione. Ron arrossì dalle parti della collottola.
Intendo, peggio del solito,” puntualizzò.
Ah, ecco,” commentò Harry a mezza voce, mentre Hermione scrollava pazientemente i riccioli crespi. “E' successo qualcosa?”
Io penso che sia per via di Angelina Johnson,” annunciò Hermione con sicurezza. “E' andata a trovarlo a casa l'altra sera e, indovina, è proprio da allora che si comporta così,” proseguì, osservando il viso di Ron con attenzione.
Il minore dei fratelli Weasley annuì con uno sbuffo.
Probabilmente non avrei dovuto farla salire. Ma lei mi ha detto che si erano già visti e...”
Perché avrebbe mentito? L'avrà incontrato. A volte George mangia fuori,” intervenne Harry, cui l'ex compagna di squadra sembrava tutto fuorché una contafrottole. Era decisamente una ragazza troppo forte per aver bisogno di nascondersi dietro le bugie.
Sì, ma vederla in casa loro...” insistette nervosamente Ron.
Sua,” lo corresse Harry, fermo. “Quella è casa sua. Come Grimmauld Place è casa mia. Ci vive da solo, o mi sbaglio?”
Harry lo sapeva, cosa significasse convivere con il lutto. Sapeva benissimo quante balle ci si possa raccontare e quanti palliativi si inventino per non affrontare il dolore. Per esempio tuttora, trascorsi quattro anni, non era del tutto convinto che cadendo oltre il Velo si morisse veramente. Aveva semplicemente deciso di smettere di chiederselo. Persino dopo aver visto lo spettro di Sirius una impercettibile vocina nella sua testa aveva ipotizzato che magari era diverso da Lily e James, magari era solo incastrato, magari c'erano forme diverse di manifestazioni psichiche, magari... Tutte sciocchezze. Era pericoloso rimanere troppo attaccati ai morti. Bisognava cercare la forza di guardare oltre, anche quando sembrava di morire a propria volta per il dolore.
Certo, quello di George era un caso particolare. Aveva perso il proprio gemello.
Lo so che ci vive da solo, ma abitavano lì insieme e lei era la ragazza di Fred!” si spazientì Ron, nervoso.
Non pensi che potrebbe addirittura fargli bene?” domandò Hermione con lentezza, meditabonda. Prese fiato sistemandosi i capelli, mentre coglieva i loro sguardi posarsi su di lei. “Era sua amica, no? E lui ha reagito. È la prima volta da un sacco di tempo che George reagisce a qualcosa,” rammentò loro, lucida e razionale.
Probabilmente lo ha sconvolto. Ti rendi conto che potrebbe peggiorare ancora?” la riprese il fidanzato.
Peggiorare rispetto a cosa?” chiese Harry, più propenso ad appoggiare la tesi di lei che quella di lui per esperienza personale.
Beh, ultimamente stava meglio,” bofonchiò Ron senza troppa convinzione. “Usciva, ogni tanto.”
Probabilmente perché il suo stesso corpo si annoia,” ipotizzò Hermione, mesta. “Non parla mai con nessuno. Sembra che non si accorga nemmeno di cosa lo circonda.”
Sai che l'ho notato anch'io, questo?” intervenne Harry di slancio, annuendo. “Sembra che non sia lì. È vero che esce un pochino, ma sembra... sembra diventare come...trasparente.”
Ron sembrava sempre più inquieto. Voltava gli occhi dall'una all'altro, quasi febbrilmente.
E quindi?” azzardò.
Forse ne ha bisogno, di un trauma,” disse Hermione, cauta. “Forse gli farebbe bene.”
Ron s'incupì ulteriormente, amareggiato.
Non accetterà mai di venire a cena. Prima avrei potuto sperare di sfruttare la sua indifferenza per trascinarmelo dietro, ma vi assicuro... Ieri in negozio pensavo avrebbe ammazzato qualcuno.”
Va bene, ragioniamo con calma,” disse Harry seriamente, strappando ad Hermione un sorriso di approvazione. “Cerchiamo di fare un inventario dei mezzi a nostra disposizione e di stabilire la migliore strategia d'azione.”
Musica, per le orecchie della sua migliore amica. Naturalmente, Harry era maturato, era diventato l'Eroe che tutti si aspettavano, il salvatore del mondo magico, ed era determinato a risolvere le cose.
Fu in quello stesso momento che il suddetto salvatore si voltò verso di lei, con l'aria più fiduciosa del mondo, guardandola con evidente aspettativa.
Hermione?” domandò spronandola.
Oh, beh... Questa, poi.


La foto era luminosa come lo sono soltanto i ricordi migliori. Le quattro sagome sembravano annegate nella luce del sole, circondate da raggi graziosi che facevano quasi rilucere il muretto di Hogmeade su cui erano appollaiate, fianco a fianco, abbracciate. Lee, all'estremità destra, ridacchiava sventolando la sciarpa di Gryffindor mezza attorcigliata intorno al suo collo. George accanto a lui omaggiava l'obiettivo di smorfie particolarmente riuscite. Poi c'era lei, che sorrideva allegramente alzando gli occhi al cielo e cercava di tenere fermo sia lui che Fred, che dall'altro lato sghignazzava beatamente e sembrava molto impegnato, insieme al gemello, nel tentativo di farla cadere per terra. Un pomeriggio di gita ad Hogsmeade, al tempo della scuola; quando lei e Fred uscivano insieme da poco.
Angelina guardava la fotografia con la mano premuta sulla bocca, gli occhi umidi di lacrime.
L'istantanea successiva ritraeva lei e il suo ragazzo da soli, mentre passeggiavano mano nella mano sul sentiero del villaggio. Ricordava il momento in cui George l'aveva scattata, proclamando che era una prova per documentare la loro melensaggine. Soffocò un singhiozzo.
La foto successiva nel suo mazzetto di ricordi datava uno o due anni dopo: una merenda alla Tana nel momento in cui la situazione del mondo di fuori cominciava seriamente a precipitare. C'erano loro tre seduti a tavola davanti a tazze di tè fumante: George sbranava un muffin con aria estremamente concentrata e un mezzo sorriso di pura soddisfazione, mentre Fred la stuzzicava a colpi di cucchiaino. Lei stava ridendo. Rideva sempre, con quei due: non divertirsi di qualunque cosa era impossibile, in loro presenza, perché il loro entusiasmo per la vita in tutte le sue forme risultava sempre altamente contagioso.
Un'altra foto, un altro pezzo: George seduto sul bordo del letto, con la testa fasciata all'altezza dell'orecchio mozzo, e lei che gli porgeva un vassoio colmo di biscotti. Questa l'aveva scattata Fred.
Angelina ricordò com'era stato orrendamente preoccupato: aveva visto benissimo che il fratello era vivo, non era ferito mortalmente eppure, per tutto il tempo che erano durate la visita e la medicazione di George, Fred non aveva fatto altro che scalpitare come un ossesso, con le lacrime agli occhi. Sembrava quasi che fosse lui a soffrire il male di quella ferita dolorosa. Poi, appena lo avevano lasciato entrare a vedere il fratello, la sua faccia si era trasformata e Fred aveva cominciato a ridere e scherzare, immerso nella necessità di fare tutto quanto era in suo potere per alleviare la sofferenza del gemello e distrarlo. Era così che succedeva: se uno dei due aveva un qualunque cruccio, l'altro raddoppiava se stesso per colmare lo squilibrio, e in quel modo erano quasi invincibili. Quasi.
Oh, Fred!” singhiozzò Angelina a mezza voce, la mano ancora davanti al viso. “Perché sei finito sotto quel maledetto muro?” domandò al vuoto, la voce rotta dall'emozione.
Scoppiò in un breve pianto, stringendo le sue povere fotografie in grembo.
Ci aveva messo due anni per elaborare quella perdita, ma adesso che avrebbe potuto piangerla liberamente, senza più il peso opprimente della ferita che andava cicatrizzando, non riusciva a smettere di pensare a tutto il resto, a quel che la morte di Fred aveva provocato. Lee e la sua malsana iperattività, lei e la sua lunga fuga, e George. George che era un morto che camminava, che non aveva più spazio per nessuno. Era così triste che le mancava il fiato per smettere di singhiozzare, mentre sperimentava con più chiarezza il dolore pungente del senso di colpa.
   
 
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