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Autore: Dk86    24/08/2011    5 recensioni
“Sappiamo tutti perché siamo qui, no?”.
A quelle parole seguì un lungo silenzio.[...] Solo Kurt scattò in piedi a sua volta, una luce spiritata negli occhi. “Lycra!”, esclamò.
Altro imbarazzante momento di silenzio. “Che?”, domandò Finn, la fronte corrugata.
“Mi servirà della lycra. Tanta lycra. Ho già delle idee meravigliose per i costumi, e…”, rispose Kurt, prima di essere interrotto da Puck.
“Ehi, frena! La lycra è da gay!”, esclamò. “Io voglio qualcosa di molto più cazzuto, una cosa alla Ghost Rider!”.
“Certo, Puckerman, perché pelle nera e borchie non sono
per niente omosessuali…”, rispose Kurt con un ghigno.
“No, no, sentite!”, intervenne di nuovo Finn. “Non è questo il punto! Insomma, possibile che nessuno qui pensi che quello che ci è successo sia totalmente assurdo?”.
Puck fissò l’amico. “Certo che lo penso… Mi hai preso per uno stupido? Ma per quanto possa sembrare assurdo, è quello che ci è successo: quel fumo tossico di ieri ci ha dato dei superpoteri, bello”.

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WhatIf/AU ambientata dopo l'episodio 2x20. Come se la vita delle Nuove Direzioni non fosse già abbastanza bizzarra...
Genere: Azione, Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO SECONDO – HUMAN BEHAVIOUR



“Cosa c’è, Rachel? Non puoi parlare?”, domandò Brittany aprì la capiente borsa rosa confetto appoggiata sulla poltroncina accanto alla sua e ne estrasse una lavagnetta magnetica e un pennarello rosso. “Li avevo preparati stamattina nel caso fossi diventata qualcosa che non poteva parlare, ma forse è meglio che li usi tu”.
Rachel accettò gli oggetti con circospezione. Si pulì le guance lucide di lacrime con il dorso della mano, tirò su col naso un paio di volte e poi scrisse una sola parola, con lentezza.

Grazie

Brittany si chinò in avanti, gli occhi stretti, come se leggere quelle sei lettere le richiedesse un tremendo sforzo mentale. “Oh, prego, figurati. Però ora dimmi cosa c’è che non va. Cioè, scrivilo”.
Qualche secondo dopo, Rachel le tese di nuovo la lavagnetta.

L’incidente di ieri mi ha tolto la cosa più bella che avevo

“Vuoi dire che non puoi più mangiare latticini?”, domandò Brittany con aria stupefatta.
Rachel la fissò a bocca spalancata; se non altro più che depressa e prossima al suicidio ora sembrava sconvolta, il che si poteva considerare un passo avanti.
“Non credo che riuscirei a sopportare il pensiero di non poter più mangiare della fonduta”, spiegò la bionda subito dopo.
Rachel alzò gli occhi al soffitto, cancellò la frase precedente con il taglio della mano – impiastricciandosela di rosso fino al polso – e poi scrisse:

Non posso più cantare, Brittany

Cantare era sottolineato almeno tre volte.
“Questo vuol dire che posso avere i tuoi assoli?”, domandò Brittany speranzosa. Rachel sembrò pronta a scoppiare di nuovo in lacrime, così l’altra si affrettò ad aggiustare il tiro. “No, scusa, fai finta che non abbia detto nulla. Comunque, perché non puoi cantare? Ti è venuta la voce da uomo a causa del gas di ieri? Perché a uno dei miei Mini Pony una volta è successo”.
Rachel impiegò almeno cinque minuti per scrivere la risposta, e si dovette fermare a metà per soffiarsi vigorosamente il naso. Quando mostrò la lavagnetta a Brittany, la sua superficie era ricoperta di minuscole lettere rosse.

Stamattina mi sono svegliata come al solito di buon mattino per i miei vocalizzi pre-colazione. Però quando ho emesso il primo acuto, ho fatto esplodere il vetro della finestra di camera mia, la lampada a forma di pastorella che avevo dalla prima elementare e due dei piatti commemorativi appesi in corridoio, senza contare che ho fatto partire gli antifurti delle auto di mezzo isolato… Per fortuna i miei papà sono a una convention di appassionati di “Priscilla, la regina del deserto”, ma senza la mia voce come posso esprimere il mio enorme talento?

Al tutto seguiva uno sgorbietto sghembo che nelle intenzioni dell’autrice doveva essere una faccina triste.
Ci volle un po’ prima che il cervello di Brittany riuscisse a inerpicarsi in mezzo a quella foresta di lettere, ma alla fine la ragazza annuì. “Ok, credo di avere capito… Iniziavo a temere che una fatina ti avesse portato via la voce, e in quel caso sarebbe stato davvero un guaio. Sono anni che ogni settimana mando un’e-mail alla fatina dei denti per farmi restituire i miei incisivi da latte, ma lei non risponde mai!”. Brittany rimase qualche secondo in silenzio, forse in onore della propria dentatura perduta, poi riprese. “Comunque, hai scritto che cantare ha fatto esplodere tutte quelle cose… Ma hai provato a parlare?”.
Gli occhi di Rachel si sgranarono, e cancellò come una furia la lavagnetta.
In effetti no…
“Allora prova!”, la invitò Brittany. “E non preoccuparti per me, ho la soluzione perfetta”. Le orecchie della ragazza iniziarono ad accartocciarsi come fiori che avvizziscono a mille volte la velocità normale, finché non vennero assorbite dalla testa, lasciando dietro di loro soltanto pelle liscia e rosea.
Rachel spalancò la bocca, per poi richiuderla subito. La riaprì, diede un leggerissimo colpo di tosse, si schiarì la gola e poi bisbigliò. “Uno due tre, prova… Ehi, è vero, posso parlare!”. Alzò gli occhi verso Brittany, che in quei pochi secondi era riuscita a distrarsi; il suo sguardo vagava nel vuoto, seguendo le particelle di polvere che galleggiavano nei raggi di sole mattutino che entravano dalle finestre dell’auditorium. “Brittany, posso parlare!”.
“Cosa?”, urlò lei in risposta. “Non riesco a sentirti!”.
“Oh, per l’amor del cielo…”, borbottò Rachel. “Le orecchie, Brittany! Fatti ricrescere le orecchie!”. E si indicò le proprie, per rendere più chiaro il messaggio.
“Già, esatto, non riesco a sentirti!”, ripeté Brittany annuendo con foga.
Rachel sospirò e mise di nuovo mano alla lavagnetta.

FATTI RICRESCERE LE ORECCHIE!

“Eh?”. L’altra aggrottò la fronte. “Ah, vero”. E ai lati della testa i padiglioni le sbocciarono con un leggero pop. “Adesso va meglio… Quindi insomma, riesci a parlare? Meno male!”.
Il viso di Rachel si rabbuiò di nuovo. “Già, ma questo comunque non risolve il problema principale… Se comunque non posso cantare, io…”.
“Non buttarti di nuovo giù!”, esclamò Brittany nel tentativo di scongiurare un’altra crisi di pianto. “Ti ci vuole solo un po’ di pratica, è ovvio!”.
“C-che intendi?”.
“Beh, è ovvio che non abbiamo ancora il pieno controllo dei nostri poteri. D’altronde, li abbiamo ricevuti soltanto ieri… Non so se te l’ho già detto, ma stamattina mentre facevo la doccia sono diventata per sbaglio una giraffa”. E, quasi a voler rafforzare la veridicità del discorso, il viso di Brittany iniziò a plasmarsi in un muso e il suo collo prese ad allungarsi, e ancora, e ancora, e ancora. “Insomma, è qualcosa che fino a ieri non pensavamo nemmeno di poter fare… Cioè, non fraintendermi, ho visto i film degli X-Men insieme a mio fratello quindi sapevo già che i superpoteri esistono, ma chi immaginava che sarebbe toccato proprio a noi?”. Ormai Brittany era una giraffa in tutto e per tutto: si reggeva su quattro sottili e lunghissime gambe chiazzate, la testa a poche spanne dal soffitto dell’auditorium. Nonostante questo, continuava a parlare come se nulla fosse; quando ebbe terminato di parlare, però, si accorse che qualcosa non andava. “Rachel, non voglio che tu ti metta a piangere di nuovo, ma sembra che tu sia diventata minuscola…”.
Rachel non sapeva neppure cosa dire, arrivata a quel punto. “Ehm… Veramente sei tu che… la giraffa…”.
“Ommioddio!”, il grido di sorpresa di Mercedes rimbalzò sulle pareti della sala come un proiettile impazzito. “Che diamine è quella cosa?”.
“Direi che è una giraffa…”, rispose Tina in tono piatto.
“Questo lo vedo, ma che ci fa qui dentro?”.
Rachel si voltò: le due ragazze erano ferme sulla soglia, e fissavano con tanto d’occhi l’enorme animale. “E’… è Brittany”, spiegò con voce debole.
Solo in quel momento le due sembrarono accorgersi della sua presenza. “Ecco di chi era tutta quella tristezza!”, esclamò Mercedes mentre le si avvicinava e le posava una mano sulla spalla con gentilezza. “Stai bene? Scusa se prima non ho notato quanto fossi giù di morale, ma l’umore generale della stanza non era dei migliori, e…”.
“Non preoccuparti, con quello che ci è successo è normale…”, rispose Rachel con un sorriso stentato.
“Piuttosto, perché una giraffa?”, domandò Tina.
“Credo che si sia lasciata prendere un po’ la mano…”.
L’animale sembrò sgonfiarsi e afflosciarsi come un palloncino bucato, e Brittany riapparve al suo posto con l’aria un po’ scossa. “Cavolo, stamattina non ero diventata così alta… Comunque fare la giraffa è davvero fantastico, dovreste provarlo!”.
“Sì, certo, come no…”, rispose Mercedes. “Piuttosto, perché non venite con noi? Ci siamo trasferiti nel laboratorio di chimica, e…”.
C’è anche Finn?”, esclamò Rachel di scatto.
Tina scambiò un’occhiata perplessa con Mercedes. “Calcolando che ci siamo rifugiati lì proprio per evitarlo, direi di no”, rispose quest’ultima. “In effetti non so davvero dove siano andati, lui e Quinn…”.


“Non sono sicuro di poter stare qui…”. Finn teneva gli occhi bassi, e il suo volto era rosso dall’imbarazzo.
“Non preoccuparti, questo bagno non lo usa più nessuno da quando qualcuno ha messo in giro la voce che sia infestato dai fantasmi… Così Figgins ha fatto passare una circolare che vieta agli studenti di entrarci”, rispose Quinn in tono piatto.
“Ed è vero? Cioè, che ci sono i fantasmi?”.
“Boh. Ma almeno non rischio di trovare coda quando devo usare il bagno”.
“Capisco…”. Finn sollevò con lentezza la testa. “Perché c’è un distributore di gomme proprio qui dentro?”.
Quinn scosse la testa e sospirò. “Quelle non sono gomme, Finn”.
“Oh!”, esclamò lui stupito. Qualche secondo di silenzio. “Oooooooh”.
“Ti dispiace se veniamo al dunque?”, domandò Quinn; la ragazza era appoggiata contro la parete di fondo, le braccia incrociate e uno sguardo duro nei freddi occhi azzurri.
Finn sentì più di un brivido attraversargli la spina dorsale. “C-certo”. Il ragazzo fece per avvicinarsi, ma riuscì a fare un paio di passi prima di incontrare una coltre di freddo quasi tangibile e si bloccò.
“Dobbiamo trovare un modo per convincere gli altri”, continuò la ragazza. “Non riescono a guardare la situazione con sufficiente lucidità, è ovvio… Li hai sentiti, no, parlare di superpoteri e supereroi? Mai sentite tante sciocchezze tutte insieme in vita mia”. Quinn scosse la testa, quasi per riprovazione nei confronti del resto delle Nuove Direzioni.
“Già, in effetti…”, iniziò Finn, ma Quinn lo inchiodò con uno sguardo. “Non. Ho. Finito”. Il ragazzo fece un paio di passi indietro e iniziò seriamente a meditare di trovare riparo dietro uno dei lavandini.
“Dobbiamo trovare un modo per liberarci di queste… cose”, disse la ragazza, sottolineando l’ultima parola con non poco disgusto.
Finn aggrottò la fronte. “Liberarci? Intendi che dobbiamo rinunciare ai poteri?”.
“No, che dobbiamo venderli su eBay… Certo che dobbiamo liberarcene!”.
“Ok, ma come? Tutto quello che sappiamo è che è stato quel fumo di ieri a darceli, ma può benissimo essere che domani spariscano da soli, o che…”.
“Già, ma se non succedesse?”. La freddezza con la quale Quinn aveva pronunciato le frasi precedenti stava iniziando a mostrare piccole crepe. “Se dovessimo conviverci per tutta la vita? Ci hai pensato?”.
“Adesso ne stai parlando come se fossero una malattia…”, cercò di intervenire Finn, ma lei lo interruppe di nuovo.
“Ma lo sono! Non sono… normali! Apri gli occhi, Finn: non esistono persone che possono congelare le cose o volare o diventare invisibili!”. La mano della ragazza corse alla piccola croce d’oro che le pendeva dal collo. “Inizio a pensare che Dio mi abbia voltato le spalle…”.
“Senti, io non è che ne capisco granché ti religione… Voglio dire, ti ricordi com’è andata con il toast al formaggio con la faccia di Gesù, no?”. Probabilmente Finn stava tentando di tirarla su di morale, tentativo che non andò a segno. “Ma da quello che mi è parso di capire, si dice che Dio spesso metta le persone alla prova… perciò non può essere che stia facendo proprio questo?”.
Quinn non rispose; chinò la testa, e iniziò a piangere. Le lacrime, mentre le scivolavano lungo le guance, si cristallizzavano e andavano a infrangersi sul pavimento. “Se così fosse, Dio sarebbe davvero crudele…”, mormorò fra un singulto e l’altro.
Finn si avvicinò e la strinse a sé, facendo la massima attenzione a non stritolarla: era come abbracciare una statua di ghiaccio, ma il ragazzo – nonostante i brividi – non si tirò indietro. “Mi dispiace, io…”.
Quinn sollevò lo sguardo arrossato; la durezza di un paio di minuti prima si era sciolta del tutto, lasciando il posto a una disperazione fredda e profonda. “Io ho sopportato molte cose, Finn: la gravidanza, l’essere sbattuta fuori di casa, non essere più nei Cheerios, il non aver vinto il titolo di regina del ballo e che una volta tu mi abbia mollata per Rachel Berry… Ma da quando mi sono svegliata stamattina, non sento più niente dentro di me. Solo freddo”. La ragazza affondò il volto nel petto del fidanzato. “Posso sopportare un sacco di cose… Ma non posso sopportare il pensiero di non provare più amore per te. Soprattutto perché ricordo perfettamente com’era, ma non riesco più a sentirlo”.
Finn continuò a stringere Quinn senza dire una parola finché la ragazza non ebbe smesso di singhiozzare. “Forza, andiamo a cercare gli altri”, suggerì poi. “Loro sono liberi di fare ciò che vogliono, ma è giusto che sappiano qual è il tuo… il nostro punto di vista sulla questione”. Anche se io non sono affatto sicuro di voler rinunciare alla mia forza, pensò un po’ contrariato. Insomma, durante il mio ultimo campionato l’anno prossimo, con un potere del genere potrei essere il miglior quarterback degli ultimi… vent’anni, almeno!
Quinn sollevò la testa a fissarlo – le lacrime gelide le avevano lasciato delle scie brillanti sulle guance – e annuì debolmente. Beh, in fondo è un problema che posso affrontare in un secondo momento, pensò Finn, mentre si preparava a uscire con circospezione dal bagno per ragazze quasi-infestato. Per ora l’importante è riuscire a far stare meglio Quinn. Spero che anche Rachel abbia smesso di piangere, però…


In effetti, dopo essere stata accompagnata nel laboratorio di chimica da Mercedes e Tina, Rachel aveva iniziato a sentirsi un po’ meglio, soprattutto dopo che gli altri membri delle Nuove Direzioni avevano iniziato a condividere i racconti sulle loro personali disavventure mattutine con i superpoteri.
“Continuo a pensare che sia incredibile che riusciamo a tenerli sotto controllo così bene”, concluse Artie dopo aver raccontato di come aveva inavvertitamente ribaltato il tavolo della colazione con la telecinesi, per fortuna mentre i suoi non stavano guardando. “Voglio dire, abbiamo queste capacità da quanto, dodici ore? E il massimo che ci è successo è qualche incidente di poco conto”.
“Parla per te”, lo rimbeccò Rachel un po’ piccata. “Io non posso cantare, non mi sembra affatto un ‘incidente di poco conto’!”.
“Ok, con questo siamo alla ventiquattresima volta in cui ce lo ricorda negli ultimi quindici minuti”, disse Santana.
“Venticinquesima, in effetti”, la corresse Lauren.
Rachel riassunse la sua tipica espressione da diva offesa. Faceva piacere che – voce a parte – la ragazza fosse tornata quella di sempre… Quantomeno faceva piacere a lei. “Beh, nel caso ve ne foste dimenticati, le nazionali sono fra due settimane, e senza i miei assoli le possibilità si piazzarci anche solo fra i primi dieci sono meno di zero…”.
I membri delle Nuove Direzioni si guardarono l’un l’altro, fra il nervoso e lo sconfortato: in effetti, per colpa dei bizzarri avvenimenti delle ultime ore, si erano del tutto dimenticati che di lì a poco li aspettava il viaggio a New York. Rachel aprì di nuovo la bocca, molto probabilmente per ribadire il suo punto di vista per l’ennesima volta, quando Kurt – che fino a quel momento aveva continuato a scarabocchiare quelle che erano senza dubbio idee per dei costumi da supereroe – batté un pugno sul bancone. “Siamo dei completi imbecilli”, disse, gli occhi sgranati da un’improvvisa consapevolezza.
“Già, è quello che stavo cercando di…”.
“Zitta, Rachel, non parlo di quello”. La ragazza mise su un’espressione offesa ma comunque fece ciò che le era stato detto. Tutti gli altri presenti invece fissarono Kurt con aria smarrita. “Oh, dai, non ditemi che ci sono arrivato soltanto io!”, rispose lui aggrottando la fronte. E fu come se una lampadina si fosse accesa contemporaneamente sopra la testa di ognuno: dieci sgabelli strisciarono all’indietro all’unisono e il gruppo si mosse come un sol uomo in direzione della porta del laboratorio… rischiando di travolgere Finn e Quinn che invece stavano facendo proprio in quel momento il loro ingresso. Rachel, ovviamente, nel vedere i due insieme si rabbuiò un’altra volta.
“Oh, eccovi!”, iniziò Finn. “Vi abbiamo cercato dappertutto! Quinn e io dobbiamo parlarvi di…”.
“Puoi farlo mentre andiamo, coso?”, lo interruppe Puck.
“Andiamo? E dove?”.
“All’ospedale”. Sam scosse la testa. “E’ incredibile, come abbiamo fatto a dimenticarci completamente del professor Schuester?”.






Ed ecco il secondo capitolo! In realtà avrei voluto/dovuto aggiornare settimana prossima, visto che adesso sono a Londra in vacanza… Ma insomma, ho il computer, ho la connessione, ho qui il file della storia, quindi ho detto “Perché no?”. E così, ecco qua! Le risposte alle recensioni le ho già postate in precedenza, ma ci tengo a ringraziare anche chi ha messo la storia nelle seguite, ovvero Ainwen, Falketta, RedScar e _Layla_, e a Diamonice, che addirittura l’ha messa fra le preferite! Grazie mille! E se volete lasciare una recensione, io non potrò che esserne felicissimo.
Al prossimo capitolo, allora!
Davide

  
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