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Autore: Dark Magic    25/08/2011    8 recensioni
Storia ambientata dieci anni dopo gli eventi di Breaking Dawn. La famiglia dei Cullen viene distrutta da una tragedia che è stata pianificata ancor prima della nascita di Isabella Swan. Nuovi misteri, eventi ed esseri soprannaturali sconvolgeranno il mondo degli attuali immortali. Una nuova era dove i Volturi non risulteranno più il clan più potente, ma solo il braccio di esseri che agiscono all'oscuro persino degli immortali stessi.
Genere: Avventura, Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Successivo alla saga
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22

Scomparsa

Capitolo 22

In un'altra occasione avrei apprezzato il paesaggio che scorre come un film davanti a noi. Avrei assaporato quella straordinaria sensazione che crea il vento ogni volta che sferza i miei capelli, facendoli ondeggiare come un mare in tempesta.
Sì, sicuramente avrei gradito di più.
I miei piedi non toccano neanche per un misero istante il terreno, come se avesse paura di una mia fuga improvvisa. Le braccia mi tengono strette al suo corpo, proprio come una principessa avvolta nella morsa protettiva del suo principe.
Peccato che lui non sia il mio principe, ma mio padre.
Un papà che adesso sta fuggendo dalla mia e dalla sua famiglia come un ricercato.
«Credo che sia meglio fermarci» mormoro con la voce attutita dalla stoffa della sua camicia. La sua presa si rafforza, ma evita di rispondermi.
Non sposto lo sguardo verso il suo viso, non ce n’è bisogno. So per certo che non ascolterà il mio consiglio.

Beh, Renesmee, cosa ti aspetti? Non sarebbe tuo padre se non fosse così testardo.
Dietro di noi posso avvertire il fruscio degli alberi prodotto dagli altri che ci stanno inseguendo un centinaio di metri più in là.
Un sorriso fugace attraversa il mio volto, una consapevolezza si fa strada in me, qualcosa che avrei già dovuto intuire.
Mio padre è uno dei vampiri più veloce della storia, forse il migliore, e per quanto gli altri possano starci dietro, mio padre presto riuscirà seminarli.
Sì, papà sembra essere della mia stessa opinione, perché il suo sorriso compiaciuto è tutto un programma.
E il fatto che adesso si sia diretto a nord, verso il confine con il Canada, ne è un esempio.
Attraversa senza esitazione i ruscelli d’acqua, fiumi, persino laghi di dimensioni abbastanza considerevoli. Ed io, come un koala, mi accoccolo meglio, sfregando il naso contro il tessuto sottile.
È strano vedere mio padre indossare camicie scure, addirittura nere, eppure eccolo qui, simile ad un demone oscuro, con quei capelli scompigliati dal vento che non fanno altro che donargli un’aria tetra, lugubre.
Proprio come i vampiri delle leggende raccontate dagli esseri umani.
Già, questa versione dark non l’ho mai notata. Che debba cominciare a farci l’abitudine?
«Edward, fermati!» urla il nonno, ma mio padre non sembra voler sentire ragioni.
«Andate via, non si fermerà finché non saremo lontani da voi» rispondo loro. Mi basta alzare la voce di poco, loro sentiranno comunque.
«Edward non si ricorda di te, Nessie, non possiamo lasciarvi andare in giro da soli. Guarda anche i suoi occhi: è affamato. Non lo vedi?». Zio Jasper prende la parola, cercando anche di scatenare una qualche reazione su papà, ma lui non demorde. Sento il suo petto vibrare, un ringhio tenta di fuoriuscire, ma resta incatenato, proprio come la bestia da cui ha origine.
In lontananza, vedo le luci della città, probabilmente Seattle, a giudicare dall’afflusso di palazzi e grattacieli. Luci colorate si alternano sullo sfondo magico che ci propone questa notte di luna piena.
Rosse, gialle, verdi, blu… una miriade di colori vivaci irradiano calore ed energia, ed è lì che mio padre si sta dirigendo a grande velocità. Sa benissimo che lì la scia da seguire sarà più difficile.
Si ferma di colpo, in cima ad un precipizio. Ormai la foresta è giunta al termine. Una strada di periferia spunta ai piedi di questa grande scarpata.
«Adesso li mettiamo alla prova». Detto questo, si lancia nel vuoto, atterrando come niente fosse sulla strada poco illuminata. Le case ai lati sembrano deserte, come se non vi abitasse nessuno.
Si tratta di una zona residenziale, una sorta di ghetto. Sono edifici malconci, color rosso-mattone, con scale antincendio che scricchiolano ad ogni minimo rumore, balconi piccoli e ristretti, con ringhiere arrugginite dalla pioggia tipica di questo stato.
I portoni d’ingresso sono grandi, alti e con vetri impolverati, altri invece dipinti da scritte con bombole spray.
Papà mi poggia a terra, tenendomi comunque per mano, e insieme entriamo in un vicolo buio, stretto tra due palazzine. Non so che intenzioni abbia, ma non appena lo vedo saltare su una scala antincendio, il pensiero più logico che mi possa venire in mente è quello di nasconderci qui.
Niente di più errato.
Si avvicina a una finestra aperta, entra ed esce dopo pochi secondi, con in mano alcuni vestiti. Sono anonimi, dall’odore nauseabondo.
Mi porge un cappotto marrone, pesante, con qualche strappo qua e là. Lo guardo schifata, mentre diniego con il capo.
«Che ne dovrei fare di questa cosa
Lui inarca un sopracciglio, sorridendo di sbieco. Me lo getta addosso. «Secondo te?»
Socchiudo gli occhi, sospettosa, mentre allontano quello straccio, gettandolo per terra. «Illuminami, perché proprio non ci arrivo»
Lui abbassa il capo, soppesando la scelta di quale di quei indumenti indossare. «Dobbiamo confondere le nostre tracce, non basta essere in mezzo a tanta gente. Bisogna quantomeno mitigare i nostri odori. Per i vampiri risulta facile rintracciare una scia, perciò dobbiamo indossare questi per evitare che il nostro odore venga riconosciuto».
Incrocio le braccia al petto, sbuffando per le sue idee stupide.

Ok, è mio padre, ma adesso sta esagerando. Si comporta come se ad inseguirci ci fossero i Volturi, invece che i Cullen!
«È assurdo quello che stai blaterando». Getto un’occhiata sprezzante a quei vestiti, per poi tornare a guardarlo negli occhi. Lui ferma i suoi movimenti, irrigidendosi.
«Perché dici questo?» la sua voce non è mai stata così raccapricciante. Sembra un animale selvatico pronto a sferrare l’attacco decisivo.
«Quelli che ci stanno inseguendo sono la nostra famiglia. Non vogliono farci del male, vogliono evitare che tu ne faccia agli esseri umani. Hai sete, ogni vampiro saprebbe riconoscere questa verità dietro i tuoi occhi neri», lo vedo distogliere lo sguardo, pensieroso.

Perché non capisce che vogliamo aiutarlo? Perché?
Forse Jake ha complicato tutto, ma se riusciamo a convincerlo che lui non vuole farmi del male, forse papà tornerà indietro.
Devo tentare di farlo tornare su i suoi passi, almeno finché non arrivano gli altri. È riuscito a confonderli soltanto con piccoli ma astuti accorgimenti. Il fatto che saltasse anche sopra gli alberi per evitare di toccare il terreno, è uno di questi.
«Non sono la mia famiglia quei vampiri, non ricordo nulla di loro, solo di te porto ancora memoria» sussurra d’un tratto. Il suo viso mostra i segni della sofferenza, le mani poggiate sulle tempie che compiono movimenti circolari, cercando altre informazioni che lo possano aiutare.
Mi avvicino e lo trascino fino a farlo sedere su quell’anonima scala antincendio. Mi accomodo al suo fianco, stringendo le gambe al petto.
«Proprio nulla ricordi di loro?»
Scuote il capo, perdendosi con la mente nell’oscurità della notte. Gli occhi sembrano fissare un punto lontano, e non soltanto dal punto di vista fisico.
«Di me cosa ricordi?» azzardo questa domanda con molta paura, perché so già che probabilmente non ricorda il legame di parentela che ci lega.
Lo vedo riflettere sull’ultima domanda con molta attenzione, poi osserva i palmi aperti delle sue mani.
«Ricordo del sangue… del sangue che ha macchiato le mani tempo fa. Era parecchio, inbrattava anche il pavimento. E ricordo un letto, non uno qualunque… un letto ospedaliero».
Vuoto, o perlomeno è questa la sensazione più vicina al mio stato d’animo attuale.
Il sangue della mamma, il letto sul quale ha dato la vita a me, quel letto dove lei ha cessato di vivere la sua vita umana. Stringo le braccia al petto, scossa e infreddolita.
Sì, in questo momento il gelo sembra avvolgere la mia anima. Dovrei essere felice del fatto che lui ricordi qualcosa, anche se così poco, ma altri ricordi indistinti tornano prepotenti nella mia mente.
Un luogo caldo, assolato. Colori vivaci che si alternano proprio come le luci di questa città, ma un dettaglio importante li rende diversi come contesti.
Nel mio ricordo vi è silenzio, pace, qui in città il rombo dei motori delle macchine, il vociare assordante dei passanti ubriachi, la musica dei locali… tutto contribuisce a rimandare con la mente a tempi passati, quando ancora ero nel grembo di mia madre.
Quella volta, la paura della mamma era divenuta mia, ci eravamo fuse in unico essere quando mio padre pronunciò una frase che credevo di aver sepolto in un angolo remoto della mia mente.

«Dobbiamo tirare fuori quella cosa prima che possa farti del male. Non temere. Non permetterò che ti faccia del male».
Come un flash, la scala antincendio, il palazzo e il mondo circostante svaniscono, sostituiti da una foresta, una sorta di giungla tropicale. Immersa tra i cespugli e palme, osservo una casa bellissima, che si affaccia su una sorta di laguna semicircolare. L’acqua del mare si abbatte sulla battigia, il rumore delle onde mi arriva chiaro, forte. Alcuni gabbiani zampettano sulla sabbia dorata, altri volano in cerca di cibo.
Dalla mia posizione, posso scorgere la finestra sulla cucina. Mio padre tiene per le spalle mia madre, mentre le dice cosa ha in mente di fare.
«Quella cosa?» ripete mia madre incredula. 

Un ramo si spezza fra le mie mani. Non sento dolore, e questo mi stupisce. Avrei dovuto sanguinare, perlomeno, il ramo in questione non è di piccole dimensioni, tutt’altro. Come se non fosse il mio corpo questo, come se in realtà questi ricordi non siano miei, eppure li sento parte di me.
Cerco di avvicinarmi alla casa, desiderosa di abbracciare mia madre, parlarle, anche se si tratta solo di un ricordo o un sogno, non saprei dire esattamente cosa sia, ma all’improvviso tutto svanisce. 
Qualcuno mi scuote violentemente. Sbatto le palpebre disorientata, e nell’oscurità di un posto sconosciuto – o quasi – mio padre mi guarda con freddo distacco, tipico di chi ha bisogno di mantenere la lucidità, di non cedere ad emozioni negative.
«Indossa quel cappotto, forza. Si stanno avvicinando. Dobbiamo allontanarci di qui, attraverso un tunnel sotterraneo. Lì non ci verranno a cercare», mentre lo dice, me lo infila con forza, ed io mi rigiro le maniche troppo lunghe, ancora frastornata. 

Che razza di sogno ad occhi aperti ho fatto? Possibile che io fossi lì quando i miei genitori erano insieme per la luna di miele?
Io dovrei essere dentro la sua pancia, non una spettatrice esterna. Come ho fatto ad osservarli da fuori la casa?
 
Mentre mi chiedo tutto ciò, mio padre mi trascina dentro l’edificio. Si avvicina ad armadio vecchio e lo apre. Rimango sorpresa nel notare un passaggio segreto all’interno di esso.
«Come facevi a sapere che c’era questo passaggio, questa scorciatoia segreta?» gli chiedo mentre ci inoltriamo per queste scale che scendono sempre giù. Sembra un vecchio tunnel, di quelli realizzati dall’uomo, ma non avrei mai sospettato questo nascondiglio. 
«Questi edifici sono molto vecchi. Sono stati costruiti sotto dei tunnel creati durante la guerra di secessione. Li usavano per sfuggire all’esercito nemico, un tempo. Adesso rappresenta la via di fuga per i criminali che sono andati a scuola», e mi schiaccia un occhio con fare complice. Fa per procedere, ma io mi blocco come una statua.
Prima o poi questa fuga deve volgere al termine. Anche se lui non vuole avere niente a che fare con loro, non posso fuggire ed assecondarlo. Devo farlo ragionare, prima che ci trascini entrambi chissà dove. 
«Non m’importa se ricordi solo me, dobbiamo tornare dagli altri. Quanto ancora dobbiamo scappare? Ti sei diretto verso il Canada, hai attraversato il confine perché credevi che i fiumi e le grandi foreste ti fossero d’aiuto, ma poi hai pensato bene di tornare indietro, a Seattle, dove nascondersi tra gli umani e far perdere le tue tracce è ancor più facile…», non riesco a continuare, il suo sguardo duro e i denti serrati mi fanno desistere dall’andare avanti.
Si appoggia alla parete, dove una vecchia lampada da miniera riflette il suo bagliore pallido e letale.
«Forse saranno anche i miei familiari, ma come ti ho già ribadito, non ricordo nulla di loro, proprio niente. Il tuo viso, invece, mi ricorda qualcosa, sento di averti già incontrata da qualche parte, forse lo sei sempre stata… intendo una costante della mia vita. Sento che tu mi puoi aiutare, mi puoi far ricordare ogni cosa del mio passato, e non riesco a farlo se quel licantropo ti ronza intorno», conclude, scricchiolando la mascella per lo sforzo immane. Tenta di controllare la sua rabbia, la delusione e l’impotenza che prova nel non sapere nulla di ciò che era. 
«Possiamo parlare quanto desideri, ma non c’è bisogno di fuggire da loro. Possiamo benissimo tornare indietro e tutto si risolverà, ma devi aver fiducia in me». Lo supplico con lo sguardo e appoggio una mano sulla sua spalla, in attesa di un suo cenno affermativo, che dopo mille ripensamenti avviene.
Mio padre ha deciso di tornare. 
«Bene, sono contenta che finalmente tu abbia capito. Però tu non devi temere quel licantropo. Si chiama Jake, eravate amici, lui ha condiviso delle battaglie con te. È molto protettivo nei miei confronti perché è il mio migliore amico, a lui confido molte cose, è parte di me, come lo sei tu», gli spiego sorridendo gentile.
So che non devo forzarlo, ed è per questo motivo che tengo a spiegargli le parentele o i legami di amicizia che lo legano a noi.
Sembra riflettere sulle mie parole, ma non accenna a muoversi. 
«Quindi… mi stai dicendo che non voleva farmi del male? Quello che ho visto è stato frutto della mia fervida fantasia?» mi domanda con voce calma, piatta, senza alcuna inclinazione.
Vorrei potergli dire che sì, è stato frutto della sua fantasia, ma sotto quella pelliccia Jacob ha nascosto del rancore profondo, almeno quanto il mio.
Alle volte lo ha odiato molto, forse più di me, per il male che mi ha inflitto con la sua lontananza.
Più di una volta l’ho sentito imprecare a bassa voce quando i ricordi della mia infanzia sono tornati a galla.
«Vedi… Jake non vuole vedermi soffrire e…» 
Lo vedo digrignare i denti e poi sbuffare esasperato, passandosi una mano tra i capelli. «Lo hai già detto. Dimmi qualcosa che non so…»

Tu sei il mio papà. 
Vorrei dirgli questo, ma le parole mi muoiono in gola. È così difficile avere una conversazione con lui? Prima ero la sua bambina, adesso non so neanche se ho il diritto di definirmi tale.
Dischiudo le labbra, ma un frastuono assordante mi fa desistere.
Papà si avvicina a me, stringendomi nel suo abbraccio e sfreccia veloce attraverso il tunnel, lontano dalla nostra famiglia. 
«No! Dobbiamo tornare indietro, non possiamo scappare via così. Loro non ti faranno del male» urlo, dimenandomi tra le sue braccia.
Qualcosa nella sua espressione muta, gli occhi diventano simili a ghiaccio nero, un pozzo oscuro di tenebra infinita.
«Non sono quelli che tu definisci “famiglia”. C’è qualcun altro che ci insegue, o forse è meglio direqualcos’altro» la sua voce è un sussurro, un’arma affilata che serpeggia silenziosa in questo tetro sottopassaggio. 

«È inutile che tentate di scappare, non siamo dei novellini da seminare quando volete» una voce gutturale penetra nei miei pensieri e anche in quelli di mio padre, che mi stringe più forte, sibilando di continuo come un animale in gabbia.
Ma chi diavolo è? Perché riesce ad entrare nelle nostre menti e parlarci come niente fosse?
Una risata maschile e beffarda irrompe di nuovo, provocandomi un moto di stizza.
«Smettila di ridere a squarciagola! Non so chi sei e non m’interessa. Lasciaci in pace!».
Un silenzio raccapricciante è quello che segue le mie parole. Passano secondi, minuti o forse ore, prima che la sua voce bassa e stranamente melliflua ritorni. «Non ti stai domandando che fine hanno fatto i Cullen e il cagnolino?»
Il respiro si blocca per un istante, le mie dita si chiudono a pugno, stringendo la camicia di papà, poi il cuore riprende a battere come un treno in corsa. «Fermati».
Mio padre mi lancia un’occhiata incredula, come se le mie parole fossero chissà quale eresia, ma non accenna a rallentare la sua corsa folle. «Ti prego, fermati» lo supplico.
Non so cosa i miei occhi stiano trasmettendo, ma sicuramente è un dolore che lui non riesce a sopportare. Si ferma in un attimo, i miei piedi toccano nuovamente il suolo. Stringo le braccia al petto, in un chiaro segno di protezione verso la minaccia che ci sovrasta con la sua indole malvagia. 
Il suono regolare di alcuni passi ci mette in allarme, l’essere è alle nostre spalle e cammina con tranquillità, come se non avesse paura di noi.
E probabilmente è così.
Papà si volta arricciando il labbro superiore e mostrando una fila di denti bianchissimi, un ringhio basso prorompe dalla sua gola.
Un’ombra scorgo dietro l’angolo, finché una parte dei suoi vestiti viene illuminata dalla luce fioca della lanterna lì vicino. 
Indossa un cappotto scuro, forse nero, molto lungo, quasi a sfiorare le caviglie.
Il suo volto rimane nella penombra, ma alcuni tratti del viso s’intravedono nonostante la poca luminosità di questo cunicolo. Poggia il capo sulla parete rocciosa, inclinandolo. Incrocia sia le braccia che i piedi, in una posa degna di un uomo che incute potere, forza e anche intelligenza.
«Direi che le mie parole abbiano sortito l’effetto desiderato» e sorride debolmente. 
Lo fisso con astio. «Dove sono i Cullen e Jake?»
Lui distoglie lo sguardo, palesemente divertito dalla situazione. «Potrei anche dirvelo, ma dubito che possano comunque comunicare con voi. Dicono che i vampiri non dormono mai, non è così?» nota il mio sguardo confuso e scoppia a ridere, sfacciato. «Si dia il caso che li ho mandati a nanna per un po’. Non che io abbia paura di loro, sia chiaro, ma non voglio interruzioni mentre porto a termine il mio compito»
«E quale sarebbe il tuo compito, sentiamo!» ruggisce mio padre. Mi avvicino a lui, tentando di trattenerlo per un braccio, ma con la schiena mi fa indietreggiare, in un chiaro segno di tenermi a debita distanza da quella figura malvagia.
Lui sospira, abbassando il capo e scuotendolo con fare rassegnato. Con una leggera spinta si scosta dalla parete, avanzando lentamente e con fare svogliato verso di noi. Mio padre, teso, non accenna a perdere un solo movimento di quell’essere, nell’attesa di poterlo cogliere in fallo. 
I suoi occhi sono scuri, neri come quelli di papà. Eppure delle macchie rosse qua e là donano al suo sguardo un aspetto sinistro, lugubre. I suoi capelli sono biondo-cenere, abbastanza corti. È di bell’aspetto, nonostante tutto. È alto, più di papà, la corporatura è un po’ meno pronunciata di quella di zio Emmett.
Solleva il braccio, fino a quando l’indice della sua mano destra non tocca la parete. «Edward Cullen, non fai altro che provocare danni e guai ai tuoi simili» comincia, senza guardare mai in viso l’interlocutore. «Più di una volta sei stato una spina nel fianco per parecchi di noi; non è il caso che tu ci dia un taglio?» e gli lancia un’occhiata eloquente, come se mio padre dovesse essere a conoscenza dell’argomento. 
Non riesco a vedere l’espressione di papà da questa posizione, ma di certo deve essere frastornata almeno quanto la mia, se non di più.
L’essere si acciglia un po’. «Ah, capisco. Immagino sia opera di Nigel se il caro Edward Cullen ha dimenticato ogni cosa… ora si spiega perché avvertivo quello strano vuoto» riflette tra se e se, non curandosi momentaneamente della nostra presenza. 
Nigel? Chi è Nigel? Quello che ha cancellato i ricordi di papà?
Forse se riesco a rintracciarlo, papà potrà riacquistare i suoi ricordi, non dovrà sforzarsi se riusciamo a convincerlo a restituire il suo passato.
«Chi è Nigel e dimmi dove posso trovarlo!» gli ordino. Lui mi guarda come se fossi matta, ma resta ammutolito per un po’.
Quando riprende a parlare, il suo tono è chiaramente derisorio e ilare. «Tu credi che se io sapessi dove si trova lui e il resto della sua squadra, perderei tempo con te?» 
«Non sei un suo compagno? Non stai con lui?» gli domando sospettosa.
Lui accenna una smorfia risentita, «non mi confondere con quel branco di inetti. Io non sono loro compagno, né mai lo sarò in futuro. Non si sono neanche resi conto che Edward Cullen» e lo indica con un cenno svogliato della mano, «si è involontariamente reso utile per me».
In un lampo lo vedo sfrecciare davanti a me, sferrando un pugno nello stomaco di papà, che finisce atterra, con il fiato corto, e mi sussurra: «un bello smacco per il potente Sebastian, non trovi?» 

Sebastian…
Lui lo conosce, sa chi è Sebastian, e cosa ancor più terrificante, lui sa che io ho già conosciuto quella specie di vampiro dagli occhi blu cobalto.
Mio padre si riprende e si volta con l’intenzione di attaccarlo, ma il suo pugno viene bloccato a mezz’aria. Il suo corpo s’irrigidisce, il volto dell’essere si fa più corrucciato, finché la terra non inizia a tremare sotto i nostri piedi.
Trascino mio padre vicino ad una roccia, aggrappandoci insieme.

Ci manca solo il terremoto, accidenti! 
Lui si allontana, mettendo distanza tra noi e se stesso. «Troppo tardi».
Subito dopo la terra sopra di noi si apre lungo una crepa, fino a quando non cede completamente. Comincio a tossire, mentre mio padre senza sforzo e senza dire una parola, mi riporta in superficie.
«Sì, lo penso anch’io, Raze» mormora una voce familiare. Sollevo lo sguardo e i miei occhi s’incrociano con quelli di Sebastian che mi scrutano preoccupati. Poi riporta lo sguardo su quel tizio che a quanto sembra si chiama Raze. 
Quest’ultimo si alza in piedi, battendo le mani sul cappotto nero, poi lancia un’occhiata sprezzante verso Sebastian. «Questo è un capo di qualità, adesso è soltanto un vecchio straccio».
Due figure affiancano Sebastian che, per nulla intimorito, risponde: «avrai altro di cui preoccuparti adesso. Credimi, Raze, tu non sai di cosa sono capace. Ti conviene sparire finché io non perda del tutto il controllo». 
Gli occhi di Raze brillano di un bagliore rossastro. Getta per terra il lungo cappotto, la camicia di seta lascia intravedere i muscoli possenti del petto. «Beh, non è cosa di tutti i giorni imbattersi nell’ira del grande e illustre Sebastian. Ti dispiace se declino l’offerta? Non ho altri impegni per stasera, preferisco restare e farvi compagnia», schiocca due dita e dietro di lui appaiono due bestie simili a lupi, ma con una forma che ricorda l’essere umano. Ringhiano, emettono guaiti da far rabbrividire. «Naturalmente ho portato due amici con me, altrimenti dove sarebbe la festa?» conclude con tono ironico.
Sebastian sospira, mentre con un gesto secco indica me e papà. Subito le due figure incappucciate ci affiancano e ci sorreggono. Mio padre si dimena tra le braccia dell’altro, che prontamente lo libera e corre verso colui che mi tiene per le braccia. Lo guarda in cagnesco, pronto a sferrare l’attacco. 
«Non è il momento di certe scenate, Edward Cullen, porta tua figlia lontano da qui. Non voglio ripetermi due volte» gli dice con voce piatta, sfidando con lo sguardo Raze.
La mano di mio padre s’intreccia con la mia, stringendola forte. I suoi occhi neri e sorpresi fissano il viso di Sebastian. Io abbasso il capo, non appena papà si volta verso di me.
«Mia figlia?» 
Con la coda dell’occhio vedo Sebastian sussultare sorpreso, e voltare lentamente il capo verso papà.
«Sì, tua figlia…» parla lentamente, come se la situazione sembri assurda anche per lui.
«Ma come, Sebastian, non sai che il caro Edward Cullen non ricorda più nulla? Non vi facevo così crudeli» lo beffeggia Raze, sorridendo con malignità. 
«Davvero non ricordi più nulla del tuo passato? Rispondi!» lo incita l’altro con una certa veemenza, avvicinandosi a lui e osservandolo meglio.
«Non ti riguarda la faccenda!» risponde mio padre con disprezzo.
Sebastian posa lo sguardo su di me. È caldo, sa di casa, ma avverto tanta sofferenza per me. Annuisco senza dire una parola. È strano incontrarlo per la prima volta dal vivo proprio in questa situazione. Avrei preferito affrontarlo in un altro momento, ma purtroppo non posso farlo.
La luna gli conferisce un aspetto regale, quasi magico. Il potere che emana non è umano, è quello di un vampiro.
La sua mascella si irrigidisce, gli occhi freddi s’infuocano, i capelli neri vengono travolti da una forte folata di vento. Il corpo diventa una statua, mentre un silenzio cupo scende su di noi. 
«Sebastian, che scenetta commovente, non trovi? Scommetto quello che vuoi che Nigel ha agito su commissione, e credo anche di sapere chi sia stato il mandante di questa sciagura». Sebastian sembra non sentire le parole di Raze, fino a quando non riprende a parlare, «povero Sebastian, ingannato persino dai membri della sua squadra…» ma non riesce più a terminare la frase.
Sebastian incombe su di lui, la bocca aperta sul suo collo, i denti scintillano come un faro nella notte. «Un ultimo desiderio, bastardo?»
Raze non si muove, o almeno sembra così, finché non dice: «si, desidero la tua sofferenza e la tua morte, ma se devo scegliere… beh, la seconda è decisamente più allettante».
Con una mano afferra i capelli di Sebastian, scagliandolo contro un albero ai confini con il bosco. «Che si dia inizio alle danze, cara Renesmee» sorride mellifluo, prima di dirigersi verso Sebastian.

 

Angolo autrice:

Capitolo lunghissimo per i miei standard xD
Ho raggiunto le undici pagine di word. Non è un miraggio, ma il capitolo è più lungo dei precedenti, spero che apprezzerete. In questo capitolo c’è molta azione, e qualche pezzo del puzzle l’ho inserito.
Vorrei approfittare di questo spazietto per pubblicizzare il nuovo gruppo su facebook dove si pubblicizzano le storie di tutto il sito. Trovate molte storie appartenenti a diversi fandom e sezioni originali. Se vi va, potete darci un’occhiata, il gruppo è aperto, i post potete guardarli tranquillamente. Vi sono già parecchi iscritti 
:-)

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