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Autore: Sunset on Mars    25/08/2011    0 recensioni
"A volte non è importante avere un posto dove andare, a volte devi solo scappare."
Mars, una ragazza come tante, si sente soppressa dalla città in cui vive e un giorno sceglie di iniziare una nuova avventura con due amici: prendere un aereo per l'America. Non sa cosa l'attende dall'altro capo del mondo, se ha preso la decisione giusta e cosa comporterà tutto questo...
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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A volte non è importante avere un posto dove andare, a volte devi solo scappare.
 
Ecco cosa facevo. Scappavo. Aprii la porta di casa e la chiusi alle mie spalle. In una mano la custodia della chitarra e nell'altra un vecchio zaino in cui tenevo qualche foglio, una penna e qualcosa da mangiare. Non credevo mi servisse altro, non mi serviva altro. L’ira mi accecava, nelle mie vene scorreva l’adrenalina. Cominciai a correre giù per la strada, attraversai il centro e mi diressi verso il mare. Non ricordo bene quando smisi di correre, e ricordo ancora peggio il momento in cui capii di fare una cazzata, fatto sta che arrivai nella spiaggia, uscii la mia chitarra acustica e cominciai a suonare qualcosa. Erano le nove di sera quando riaccesi il cellulare. Nessuna chiamata. Ecco, quello fu il momento in cui capii che non sarei tornata a casa.


Era un Sabato sera. Notte, ormai.
Ero sdraiata sulla schiena, la chitarra alla mano, guardavo il cielo e pensavo a cosa avrei fatto. Non riuscii a chiudere occhio, ma la notte passò velocemente. Fu strano. Mi svegliai insieme al sole quella mattina, era fantastico.
Che cosa avevo fatto? Avevo preso le mie cose, ero andata via senza una ragione.
Mi accorsi solo in quel momento della determinazione delle mie scelte. Non ero tornata a casa, non avevo fatto nessuna chiamata. Non avevo paura. Sono pronta, mi ripetevo. Sono pronta a cambiare, sono pronta ad andare avanti, ad affrontarla come viene, questa vita. Sono abbastanza cresciuta per questo.
Diciassette anni quasi del tutto andati via, ideali e sogni in una mano, ingenuità nell’altra. Matura, si, mi credevo matura. Ma ero davvero pronta a lasciare tutto? Ero pronta a non tornare più in casa? Ero capace di cavarmela da sola? Ormai ero decisa, ma un velo di rimorso mi attraversò la schiena in un brivido. Pensai a tutto quel che avevo, a tutto quello a cui tenevo. Poco, era vero, ma non sembrava importante ora. Non volevo tornare a casa.
Avevo finito di sistemare le poche cose che avevo, e mi sedetti sulla spiaggia. L’aurora era ancora limpida nel cielo. Sentii dei passi, ma non ci feci caso.
 “Ehi?”
Saltai quasi in aria. Fui sorpresa da quel ragazzo che mi si avvicinava sicuro. Sorpresa, non impaurita. Aveva un viso familiare e parlare con lui quel giorno mi sembrò la cosa più naturale del mondo.
“Ehi.”
“Non credevo ci fosse qualcuno a quest’ora, da queste parti. Credevo davvero di essere l’unico.”
“Credevi male.”
Sentii i suoi occhi penetrarmi l’anima, tanto che dovetti spostare lo sguardo. Mi scrutava, cercava in me qualcosa. Mi aspettavo una sua domanda, da un momento all’altro. Infondo era normale che gli venisse qualche dubbio su chi ero o cosa ci facevo lì. Ma mi sorprese ancora. Quel silenzio che prima mi angosciava ora mi faceva sentire stranamente al sicuro, come non mi sentivo da tempo. Nessuna domanda sfiorò le sue labbra. Volse lo sguardo all’orizzonte e sorrise mesto.
“E’ bellissimo, questo posto. Mi sorprende ogni volta che lo vedo. E’ calmo, sai? Anche in piena estate, è difficile che le grandi famiglie o le comitive di ragazzi passino di qui. Forse è per questo che mi piace, lo sento mio fino in fondo. E credo sia per questo che vederti qui mi ha sorpreso molto.”
Non risposi a quelle parole. Conosceva quel luogo come le sue tasche, sapeva che non c’ero mai stata. Pensai al giorno prima, ricordai di avere sceso delle scale quando ero troppo stanca per camminare ancora. Nulla che mi avesse attirato in quel posto.
Passarono pochi minuti di silenzio prima che ci decidessimo a parlare. Il tempo sfuma i ricordi, e non ho memoria di cosa successe quel giorno. Ricordo solo che parlammo a lungo, ma mai mi chiese perché ero in quel luogo, e lo stesso feci io. Ma sapevo che era diverso. Glielo leggevo negli occhi chiari.
 
 
Mars.
 
 
 
 
 
“ E' una follia, è una follia.”
“Non credo che tu mi sia d'aiuto.”
“Pazza. Ci sta di scappare, tutti siamo scappati, ma non puoi farlo per sempre. Presto tornerai a casa.”
“Io in quel buco non ci torno! Senti Erica non farmi arrabbiare, sono in un bar pieno di ubriaconi e questo solo per chiamarti, ti sarei grata se tu cercassi almeno di aiutarmi.”
“Ok, senti, torna a casa eh? Almeno affronta le cose, se non è cambiato niente...troveremo una soluzione.”
“Ok...non prometto nulla però..”
“Ci vediamo alle 5 e mezza davanti casa tua.”
“Ok.. grazie.”
 Mars riattaccò e uscì dal bar.

“Com'è andata?” Christian era fuori ad aspettarla da circa mezz'ora.
“Non lo so. Credo che tornerò a vedere come sono messe le cose. Non penso che rimarrò.”
“Se vuoi ti accompagno.”
“Non c'è bisogno che ti disturbi..”
“Per me non sarebbe un disturbo.. e poi così mi distraggo un po' e sto lontano da questo posto. Dobbiamo starci poco.”

Mars quel giorno non fu facile da convincere. Christian però ci provò comunque e alla fine ci riuscì. Sembrava giusto anche a lui che le cose andassero così. Non voleva che buttasse via tutto, era giusto tornare a casa a vedere come erano andate le cose, a parlare con la madre. Erano le sei quando si decise ad andare. Presero la vecchia punto di Christian che cercò di andare più lentamente possibile. Non ci stesero molto ad arrivare, ma Erica era comunque su tutte le furie per quel ritardo. La cosa sembrò non sorprendere Mars e Christian provò a essere indifferente nonostante i continui sguardi della ragazza.
Ormai si conoscevano da mesi, ma non avevano mai avuto il bisogno di presentarsi ad altra gente. Di solito passavano i loro pomeriggi in riva al mare o su una panchina a parlare. Parlavano di tutto, ed era una sensazione che piaceva ad entrambi, conoscere l’altro come le proprio tasche.
Si erano conosciuti in un giorno come quello, quando, mesi prima, Mars in preda alla rabbia aveva lasciato casa per andare via. Alla fine però era tornata a casa, Christian l’aveva convinta che era meglio così. Fuggire non sarebbe servito in quel momento, ma ora sembrava tutto diverso anche a lui. Si stupiva quando si guardava indietro, accorgendosi di quanto l’amica fosse cambiata in quei mesi. Ora la guardava aprire la porta di quella casa che ormai conosceva bene, si stupiva che la diciassettenne un po’ impaurita dalla vita fosse diventata maggiorenne e decisa di ogni movimento. Due giorni fa aveva lasciato quella casa. Avevano passato quei giorni insieme, come tanti altri, la notte Christian l’aveva convinta a stare da lui. Per lui non era difficile, viveva con due amici che di solito tornavano a casa alle prime luci del mattino. Spesso anche lui lo faceva, ma quel tempo lo doveva trascorrere con lei. Ne aveva più bisogno.


Mars non rispondeva alle provocazioni dell’amica. Battutine e frasi scomode la caratterizzavano quando era arrabbiata, e ora era furiosa, perciò lei non vi diede peso. Entrò decisa in casa posando le chiavi nell’ingresso, aprì la porta del salotto e rimase immobile a guardare un punto di fronte a lei.
“Che succede?” Christian si fece spazio e sbirciò la stanza. Vide subito dei borsoni per terra, accanto c'erano la chitarra elettrica che lui conosceva bene, l'amplificare, qualche foglio e uno zaino. Era senza parole. 
“Ti hanno preparato la roba!” Erica avrebbe fatto meglio a stare zitta. 
Christian le posò una mano sulla spalla, ma Mars si scansò subito. Attraversò il corridoio fino ad arrivare a quella che era la sua stanza, aprì lentamente la porta scorrevole e guardò attentamente quella camera come per l'ultima volta. Era semplice, c'erano un letto, un armadio, una scrivania e una piccola libreria piena di libri. I muri erano pieni di poster, scritte, foto e una bandiera italiana su cui aveva scritto: "This place of ignorance". Le fece un po' strano vederla così.. svuotata. Perché sua madre l'aveva svuotata. Perché da quando era morto suo padre era cambiato tutto. Sentì la rabbia iniettarsi nelle vene, si sentì soffocare dentro quella stanza che spesso le era sembrata l’unico posto davvero suo in quella casa, l’unico luogo in cui poteva essere se stessa senza dar retta a nessuno. Adesso sentiva che tutto questo le stava stretto, lo sentiva estraneo e lontano. Aveva appena realizzato quel che era successo. L’aveva cacciata, la voleva via da quella casa, via da quel posto che era sempre stato suo. Urlò con tutta la voce che aveva in gola, saltò e strappò tutti i poster, tutto quello in cui aveva creduto. La sua A cerchiata, i suoi gruppi preferiti, quei fogli sparsi a terra. Quando si fermò intorno a lei c'erano solo pezzi di carta ormai insignificanti. Non riuscì a trattenere le lacrime, e si stupì di sé stessa e di quella perdita del controllo che di solito sapeva tenere sempre a bada. Questa volta avevano vinto le lacrime, e lei si abbandonò completamente a loro senza provare ad opporsi.
Le ginocchia le cedettero e lei si ritrovò a terra con il capo chino. Lo sguardo rivolto alla bandiera, che ormai giaceva a terra insieme a tutto ciò che aveva avuto il tempo di staccare dal muro. Una figura si distinse dalle altre, un volto sorridente la chiamava silenzioso. Avvicinò la mano a quel viso e lo raccolse. Era il viso di suo padre. Gli occhi sereni, il braccio attorno al collo di lei. Ridevano. Ridevano insieme. Non ricordava più l'ultima volta che aveva riso senza essere ubriaca.
 
 
 
Quando uscirono di casa pioveva. Mars odiava la pioggia. Era quasi "strano”, di solito quando si è tristi la pioggia aiuta. A lei non piaceva, era inutile, quell’acqua le prosciugava l’anima, le faceva venire voglia di rientrare. Era un po’ come odiava piangere. Era una cosa che non faceva mai, in cui non riusciva nemmeno. A volte ci provava, ma non poteva. Era come se gli occhi si rifiutassero. Adorava quando il cielo era scuro, sul punto di piovere, ma senza pioggia. Quando l'aria era così fredda da far venire voglia di restare in casa. Così sperò in una tempesta. Si, quella sarebbe servita.
Mars e Erica erano sedute nei gradini della porta di "casa". Christian era andato a prendere la macchina, così avrebbero potuto prendere la roba lasciata all’entrata dalla madre.
Le due ragazze restarono così, in silenzio. Non era un silenzio piacevole, ma non era imbarazzante. Era piuttosto necessario, non c'era nulla da dire, ed ogni parola avrebbe fatto male, più male di quanto già faceva quel silenzio assordante. Cominciò a fare davvero troppo freddo per essere Giugno, così Mars aprì la porta ed entrò in casa. Erica non si curava di lei, non si curava della pioggia, accese una sigaretta e le si rivolse con indifferenza. “Non troverai niente.”
“Non cerco niente.”
Entrata in casa aprì il frigo, come per cercare qualcosa da fare nell'attesa di Christian. Non prese niente, non aveva fame.
Alzando lo sguardo notò un foglio attaccato con una calamita. Era piegato e c'era scritto " X MARS"


"Vieni al nostro posto al mare. Stefan."


Non riusciva a capire, Stefan non lo vedeva da circa un anno, quando era andato via dalla città. Era un vecchio amico, un ribelle fuggito per rincorrere i suoi sogni. Lei lo aveva sempre ammirato, non tutti avrebbero avuto il coraggio di fare una cosa del genere, di lasciare la città, di sparire senza dire nulla, con una valigia colma di sogni e fregature. Era una di quelle persone che hanno quel filo di mistero attorno, che non parlano molto, ma quando lo fanno ti lasciano sempre con il fiato sospeso. Stava sempre ad ascoltare e sembrava attento ad ogni piccolo particolare, non dava nulla per scontato. Era stato il suo migliore amico, Mars lo ricordava bene. Ricordava del suo viso ogni dettaglio, e vedendo quel nome sul cartoncino sperava che non fosse cambiato per niente. Doveva aver fatto da poco 20 anni. Chiuse gli occhi e lo rivide sopra un muretto, con un foglio in mano. Aveva la mania di scrivere ogni pensiero, così da non dimenticarlo. Sfoggiava sempre un sorriso beffardo e aveva le mani grandi. Ricordò nel dettaglio l’ultimo giorno che lo vide,  al loro posto al mare. Le aveva lasciato un biglietto sotto casa, quel giorno. Da tempo aveva un comportamento strano.
Ricordò di averlo rivisto, sotto quel muretto, e di essere corsa ad abbracciarlo. Aveva capito.
“Verrò a prenderti” le aveva giurato.
E ora era tornato. Forse voleva mantenere la sua promessa, o forse era tornato per restare, ma ricordandolo ogni dubbio le svanì. Stefan era sempre stato una cometa; prima che tu possa accorgerti del suo passaggio, lui era già andato via.
 
 
Christian era arrivato, Mars non ci pensò due volte prima di uscire. Aveva quella convinzione che non avrebbe più rivisto quella casa, e non vedeva l'ora di lasciarla. Sentiva un peso allo stomaco, ma non le importava nemmeno di questo. Voleva solo andare via da quel posto per sempre. 
Caricarono le cose nel bagagliaio di una punto grigiastra vecchia edizione.
“Dove andrete?”
Mars non si curò della domanda dell'amica e salì in macchina.
“Non lo so, credo da nessuna parte,” Christian cercò di sorridere, come per fingere di avere appena fatto una battuta. Ma non lo era, lo sapeva bene.
“Statemi bene..”
“Ci sentiamo presto Erica.”
Non appena Christian partì Mars gli mise il biglietto sotto gli occhi.
“E' un tuo amico?”
“Diciamo così..”
Lei si limitò a spiegargli la strada e per il resto del viaggio rimasero in silenzio. Erano le nove di sera ormai, non pioveva più, ma ogni tanto si sentiva qualche goccia sbattere contro il tettuccio della macchina.
Quando arrivarono Christian non scese.
“Faccio subito..”
“Ti aspetto,” disse, e mise su un cd anni 70.


Mars scese sulla spiaggia e camminò per qualche metro fino ad una lampadina, era già notte e non si vedeva nulla che non rientrasse nel suo campo di luce. Si sedette sulla spiaggia, appoggiata al muro, e quasi si sorprese della tranquillità che le scorreva nelle vene.
“Ehi” disse.
Dal buio emerse un’ombra di cui si vedevano con chiarezza solo gli anfibi.  Lei allungò un braccio e prese la mano della figura nera, fino a tirarla a sedere.
“Ehi” rispose l’ombra che finalmente aveva un volto.
Quando gli occhi di Mars si abituarono al buio riuscì a distinguere anche i suoi colori.Si fermò a fissarla, come per cercare in quel viso qualcosa di familiare.
Ricordava bene lo Stefan diciassettenne, lo Stefan dell'ultima volta che l'aveva visto. 
Era cambiato davvero. 
Aveva i capelli rosso sbiadito rasati ai lati della testa. Non riusciva a riconoscere i suoi occhi, li ricordava verdi, ma dopo due anni la memoria ti gioca brutti scherzi, o forse c'era solo troppo buio. 
Fisicamente non era cambiato molto, era solo più sviluppato, ma lo stesso di sempre.
Mars si voltò a guardare il mare.
“Come stai?”
“Ho saputo che eri andata via.”
“Sparisci per anni e non mi dici nemmeno come stai?”
“Così ho deciso di chiederti di venire con me.”
Dritto al punto.
“Dove?”
“A Los Angeles.”
“Come?”
“Mi sono stabilito lì, sai? Ho una casa, e anche un lavoro. Io con un lavoro, ma mi ci vedi?”
“No, in effetti no” si lasciò scappare una risata.
“Ripartirò domani. In realtà, non so nemmeno perché sono venuto. Sai, avevo voglia di staccare un po’ la spina, e tornato qui ho ritrovato tutto il mio passato, tutto quello che mi ero lasciato alla spalle. Così mi sono accorto delle cose che mi sono mancate, di questo posto. E non potevo andare via senza un souvenir.”
“Idiota, io sarei il tuo souvenir?”
“Sì, sei il mio passato, e mi sei mancata molto. Sarebbe fantastico averti lì con me, e so che vuoi venire.”
“Non è così semplice..”
“Lo è invece. Ho aspettato i tuoi diciotto anni per tornare, e quando Erica mi ha detto quello che era successo non ho avuto più dubbi.”
Allora lei sapeva.
“Non è facile lasciare tutto, così, di punto in bianco..”
“Domani alle sei sarò davanti al bar.”
“Ho sempre odiato quel bar.”
“Non mi presenti il tuo amico?”
“No.”
“Verrà anche lui?”
“Non so nemmeno se verrò io.”
“Se non ti vedrò, capirò che hai fatto un’altra scelta. Sappi che sei la benvenuta.”
“Idiota.”

Stefan si alzò senza dire una parola e prima che lei potesse accorgersene, era già andato via, sparendo nell’ombra esattamente come era arrivato.
Mars restò a fissare l’oscurità accanto a sé, e desiderò rivedere la figura dell’amico al suo fianco. Desiderò che lui rimanesse. Si sentì terribilmente egoista per questo, ma sapeva che non avrebbe potuto fare altrimenti. Le era mancato, e rivederlo gli aveva fatto riaffiorare tanti ricordi. Voleva tenerlo con sé.
Non sentiva più i passi di Stefan sulla sabbia, doveva andare.
 
  
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