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Autore: CieloSenzaLuna    26/08/2011    3 recensioni
Siamo pedine di un oscuro, infinito gioco. E siamo i cattivi.
Sono Kima Vilvet. Ho quattordici anni e i capelli rossi.
La vita è cattiva con me, ed io imparerò a domarla.
Sono cresciuta nella superstizione, quando io ero superstizione.
Ignorance. Perchè c'è qualcosa che Kima non sa.
Ignorance. Perchè c'è qualcosa che noi non sappiamo.
Genere: Avventura, Dark, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Fede, perché c'è sempre.
E a Choco.



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DODICI – IL PIANO.
Mentre sfrecciavamo sulle strade nere ed asfaltate e la sciarpa che portavo mi svolazzava di fianco e i capelli giocavano col vento, mi tenevo stretta a Francis, pur sentendo il bisogno di starne alla larga. Ero imbarazzata, decisamente poco a mio agio – non ero abituata a stare a così stretto contatto con qualcuno. In quel modo, poi – e sentivo il cuore battere, piccolo e pulsante, folle, tra il mio corpo e il suo.

Inizialmente andammo davvero veloci e, anche se mi sfuggivano gridolini striduli o lo pregavo di rallentare, lui non poteva udirmi, così decisi che serrare le palpebre forse ci avrebbe aiutato a non fare incidenti e pregai in silenzio affinché non ci sfracellassimo da qualche parte.

Francis comunque dimostrò di avere un grande controllo della vettura e dei suoi passeggeri (o così almeno sperai), e poco più di un’ora dopo ci fermammo ad un piccolo centro di servizio lungo la strada. Ne approfittammo per cenare; Francis lasciò la moto sul retro dell’edificio, poi mi condusse all’interno. Entrando, alcuni graziosi tavoli imbanditi con colorate tovaglie e tanto cibo ci diedero il benvenuto. L’impatto con l’aria calda che galleggiava attorno a oggetti e persone quasi mi tolse il respiro.

Ordinammo due polpettoni caldi e chiedemmo di farci portare qualche focaccina al formaggio e da bere.

<< Com’è che vivevi intrappolata nell’Ottocento? >>, fece d’un tratto lui, con molto poco tatto. Immaginai che sarebbe stato meglio abituarsi fin dall’inizio al suo modo di fare; infondo avremmo dovuto trascorrere molto tempo fianco a fianco.

Lo fulminai con lo sguardo. Lui non alzò nemmeno gli occhi dal piatto che ci avevano portato: stava morendo di fame.

Immaginai fosse in attesa di una risposta; pensai di dirgli che in realtà nell’Ottocento la vita non era come quella che facevo al villaggio, che era tutto diverso e la gente era diversa, che non c’erano le televisioni e un sacco di altre cose, nell’Ottocento, ma poi avrei cominciato a snocciolare fatti storici e lui si sarebbe annoiato – non era tipo da star ad ascoltare una lezione di storia di quelle che mi faceva mia madre a casa.

A pensarci, non mi sentivo affatto brava a interagire con la gente normale, di quella che viveva nel mondo fuori dal mio. Nel mondo vero.

Scrollai le spalle e mi limitai a rispondere alla sua domanda: << Più lontano stai dai Cacciatori, più lontano stai dai guai, no? >>

<< Sicuro. Pensa che sono tre mesi che scappo da loro... e in effetti devo dire che sono stato vicino alla morte più di una volta >>, bofonchiò, leccandosi dalle labbra il formaggio fuso e dolce rimasto.

Aveva una voce ruvida e calda, così bassa che sembrava nascere da qualche parte tra le costole e rimbombare nella cassa toracica per poi far prendere forma alle parole pronunciate.

<< E questo non ti turba? >>

Mi chiese cosa intendessi.

<< Esser stato più volte sul punto di morire, dico >>.

<< Mm... no. Non credo >>. Lasciò la frase in sospeso e continuò a masticare. Io non avevo molta fame; la consapevolezza di essere in mezzo a così tante persone, chiassose e rumorose, seguita dal profondo senso di disagio che mi stava invadendo, mi toglievano la fame.

<< Cioè, se uno deve morire, poi... >>, aveva continuato Francis, senza che io riuscissi ad ascoltare la valanga di frasi che succedettero quelle sei parole.

Insomma, c’era così tanta gente in quella sala, e io non ero mai stata circondata da così tante persone tutte in una volta. D’un tratto l’enorme sala rettangolare sembrò rimpicciolirsi, fino a schiacciare tutti i corpi presenti, l’uno contro l’altro.

Cominciai poi, con un po’ di paranoia, a chiedermi se mi stessero guardando; i miei capelli rossi attiravano troppo l’attenzione? Cosa ne avrebbe pensato la gente? Stavano parlando di me?

Mi guardai intorno; tanti bambini ingoiavano le loro bistecche o piagnucolavano; i genitori parlavano a bocca piena; alcuni battevano con fare irritato la suola delle scarpe sul pavimento, come se spettasse loro un’infinita attesa prima dell’arrivo di un cameriere. Una coppia, accanto a noi, mangiava avvolta da un silenzio deprimente. Più in là, un omaccione dall’aspetto inquieto pareva alzare troppo la voce; si lamentava della sua zuppa.

<< Ma mi stai ascoltando o no? >> fece poi Francis, facendomi riportare lo sguardo al nostro tavolo. Il suo piatto era vuoto; il mio ancora pieno per metà. Alcune patatine fritte galleggiavano nell’olio del polpettone, come piccole barchette alla deriva. << Che hai? Ti senti bene? >>

Probabilmente mi stava fissando da un pezzo. Lasciai che le premure che mi stava rivolgendo il mio compagno di viaggio riecheggiassero per un po’ tra i nostri corpi.

Dal canto mio, comunque, lo privai di risposta. Sapevo che avrebbe voluto udire una qualsiasi mia parola, tanto per smettere di allarmarsi; voleva che gli rispondessi che sì, tutto andava bene; voleva smettere di preoccuparsi – credo che la gente si senta meglio, senza preoccupazioni –; il fatto è che nulla andava bene. Era come se la Terra il quel momento avesse cominciato a girare dalla parte opposta a quella abituale, e io mi trovassi a correre nella direzione inversa, cercando di aggrapparmi al pezzo di mondo che avevo conosciuto fino a quel momento.

Buttai lo sguardo oltre i vetri delle finestre incastrate nelle pareti. Il buio stava fuori ad attendere, bussando insistentemente per entrare nella stanza ed invadere tutto ciò che fosse capitato a suo tiro. All’esterno aveva avvolto ogni cosa nel suo manto di velluto nero ormai da un pezzo.

Accarezzando i vetri con lo sguardo, notai che erano appannati; ogni minuto, migliaia di respiri umani si scontravano sul vetro, cancellando qualsiasi traccia del paesaggio esterno, che diventava man mano più opaco, fino a scomparire sotto lo strato di condensa. L’aria della tavola calda stava diventando opprimente; era intrisa dei fiati di tante persone, che espiravano ed inspiravano senza sosta, facendo innalzare e abbassare ritmicamente i petti coperti.

Avvertii un leggero senso di nausea. Cominciò a girarmi la testa, in modo diverso da come aveva fatto per la vicinanza di una strega.

<< Ehi, stai diventando pallida... più del normale, almeno >>.

Subito dopo sentii la stretta di una mano – probabilmente quella di Francis – sul braccio, e venni trascinata fuori dal locale. Il tuffo all’aria aperta mi riempì i polmoni di aria pura. Respirai lentamente.

Francis sospirò dal sollievo: << Credevo saresti svenuta o avresti vomitato o qualcosa del genere >>.

Mi strinsi nel cappotto lungo.

<< Ora stai meglio, vero? >>

Annuii, e notai la sua espressione rilassarsi e i muscoli distendersi.

<< Bene. Ma che avevi? >>

Rimasi un attimo a pensarci, poi gli sussurrai, inquieta, come se fosse un segreto da non divulgare: << Deve essere stata tutta quella gente >>.

<< Non è che magari soffri di claustrofobia? >>, fece, quasi non mi avesse udita.

Scossi il capo.

<< E allora cosa? >>, domandò, con un filo d’impazienza nella voce.

<< Te l’ho detto. E’ colpa della gente >>.

Alzò un sopracciglio e si ricompose, indossando di nuovo il suo fare serio. Rovesciò il capo all’indietro, osservando lo strato denso di tenebra sopra le nostre teste.

<< Comunque, senti, prima stavo cercando di parlarti di una cosa, ma mi sa che non hai sentito mezza parola >>.

Scossi il capo, mortificata.

<< Non sei di molte parole, eh? Prima, al tuo villaggio, mi sembravi più reattiva >>.

“Prima, forse, mio caro, ero ancora a casa, al sicuro, in un luogo del quale ho fatto mio rifugio, che ho imparato a conoscere e in cui sono cresciuta per tutti questi anni. E ora arrivate tu e la tua insolenza e mi portate in un posto pieno di gente – io non ci so fare, non so proprio come si fa, con le persone –, e io la gente non so neanche bene come si comporta, e non so chi diavolo sei tu. Per di più non mi conosci nemmeno; perché dovresti giudicarmi? E come ti permetti di immaginare, anche solo lontanamente, di conoscermi?” Ecco, avrei voluto fargli un discorso del genere, però non lo feci; non risposi; c’era qualcosa in quel ragazzo che mi inquietava, come se i miei sensi di strega mi dicessero di sfuggirgli.

<< Comunque. Ho un piano >>, disse, seriamente.

Lo guardai, aspettando che proseguisse.

<< E dai, voglio vederti esultare! >>, fece, sfoggiando la sua fila di denti dritti, incastrati tra due labbra sottili in un sorriso fintamente allegro.

Alzai le sopracciglia e, con un tono di voce sarcastico, feci: << Oh. Yuppie >>.

Lui cominciò a ridere, poi tirò fuori un pacchetto di sigarette dalla tasca dei jeans, lo aprì e se ne fece scivolare una sulla mano. Schioccando le dita una piccola fiamma gialla vibrò sul suo mignolo, che avvicinò alla sigaretta appoggiata tra le labbra, accendendola.

<< Non è meglio se prima di accendere una fiamma guardi se c’è qualcuno, eh? >>

<< Sì, forse >>. Menefreghista.

<< E non sapevo che fumassi >>, dissi, prima di poter frenare le parole.

Lui alzò le spalle: << Lo faccio ogni tanto. Comunque ci sono un sacco di cose che non sai di me, ragazzina >>.

Sbuffai.

<< Senti, evita di chiamarmi così, per favore >>.

Facendo finta di non sentirmi, continuò il suo discorso: << A proposito del mio piano, ora che me lo chiedi... >>

<< Io non ti ho chiesto proprio niente >>, sibilai a denti stretti.

<< ...ho pensato ad ogni cosa. Mio padre mi ha lasciato dei soldi, e con quelli possiamo prenderci una camera per stanotte da un tipo che mi hanno consigliato. Affitta camere per la notte in un paese qua vicino, e con lui i prezzi si possono trattare. Possiamo fare un tentativo. Poi sarà meglio muoversi il più in fretta possibile, per confondere i Cacciatori con le nostre tracce. Taglieremo la regione da nord a sud, spostandoci di città in città. I soldi che ho dovrebbero bastarci per un po’ >>.

<< Ne ho qualcuno anche io >>.

<< Ottimo >>, disse, soffiando fuori una nuvoletta di fumo. << Procederemo velocemente. Il Consiglio, inoltre, ha indetto un’assemblea speciale, senza dire dove si terrà. Ultimamente la situazione è critica, ma non credo tu ne sappia molto, essendo stata tagliata fuori dal nostro mondo fin da quando eri bambina >>.

<< Ma che ne sai tu? >>, lo interruppi, infastidita dalle sue parole – seppur vere.

<< Ho chiesto. E la gente, al tuo villaggio, parla >>.

<< Male, suppongo >>. Sospirai.

Buttò il mozzicone a terra e lo schiacciò con la punta della scarpa, poi mi guardò negli occhi; vidi il suo sguardo addolcirsi. Evidentemente provava pena per me.

<< Non importa >>, dissi, alzando i pollici. << E’ tutto okay >>.

Tacque per un attimo, poi ricominciò a parlare: << Beh, se vuoi ti faccio una piccola lezione di attualità. Ti va di tornare dentro? >>

Sì, sarebbe stato meglio. Anche perché cominciavano a battermi i denti a causa del freddo.

Accomodati al tavolino, chiamò un cameriere e fece sbarazzare; ordinò due caffè. Ammucchiò bicchieri, tovaglioli, briciole e il vasetto di viole tutti contro il muro, sul lato sinistro del tavolo. Tirò fuori una penna da chissà dove e levò in un gesto veloce il tappo, cominciando a scarabocchiare sulla tovaglia di carta bianca e rossa, come se gli avessero dato il permesso.

<< Allora, stammi a sentire >>, mormorò, disegnando un grande triangolo al centro del tavolo, << qui ci sta il Governo >>, e indicò la punta. Tracciò una linea poco sotto e scrisse una parola in maniera illeggibile << qui i Cacciatori. E qui noi. O almeno, quelli che rimangono di noi >>. Disegnò una fiamma proprio in fondo alla piramide, quasi sulla base. << Come vedi, non è che siamo proprio i meglio considerati. Poi ovviamente ci sono anche le streghe Indaco, che però si alleano col Governo e aiutano i Cacciatori a scovarci >>.

<< Streghe Indaco? >>, sussurrai, confusa. Supposi di essermi persa un pezzo.

<< Non sai chi sono? >>, fece lui, con una smorfia. << Dicono siano creature dall’aspetto fragile e indifeso, che però posseggono un enorme potere, addirittura superiore al nostro. Sono solitarie, e vengono chiamate “le eremite” >>.

<< Come quei frati che viaggiano soli nei boschi? >>.

<< Sì, è da lì che viene il termine. Vivono sole, senza Alleate... o Alleati >>. Si schiarisce la gola e continua: << Come noi domiamo il fuoco, loro sono legate alle acque. Infatti, di solito, le poche volte che qualcuno ne vede una, si scorgono vicino a laghi o fiumi, o sulle rive dei mari e degli oceani. E’ lì che passano la loro lunga esistenza – vivono molto più di un qualsiasi essere umano e di chiunque di noi. Dicono siano le creature più antiche presenti sulla Terra; non hanno alcuno Spirito a trattenerle, come noi. Sono libere, come animali selvatici, e vivono soltanto nella natura >>. Ormai il discorso aveva appassionato entrambi, e Francis ne parlava con enfasi, chino verso di me, come se fosse un cantastorie alle prese con la sua fiaba da narrare. Riprese: << Che io sappia, non stanno mai in città. Non si adattano alla società, non si amalgamano alla massa come facciamo noi per non essere notati. Loro sono così rare, potenti e lontane da tutto che non temono nemmeno di essere trovate dai Cacciatori, anche perché la maggior parte di loro ha rinunciato ormai da tempo a scovarle, essendo così inafferrabili. Si mimetizzano, le Streghe Indaco, e dicono abbiano una meravigliosa voce che riesce ad incantare chi le ascolta e a piegarli al loro volere >>.

Annuii, tutta presa. Quindi non eravamo i soli? C’erano altri simili a noi, di un’altra “specie”.

<< Sai una cosa? >>, continuò Francis, giocherellando con una forchetta. La stava fondendo; riscaldava le mani tanto da farle diventare bollenti, poi modellava a suo piacimento il pezzo di metallo che maneggiava, cioè tutto ciò che ne era rimasto della posata. Spalancai gli occhi. Ma che faceva? Era pazzo? Ecco perché i Cacciatori l’avevano trovato e inseguito con tanta facilità!

Notando il mio sguardo preoccupato, lui aggiunse, sereno: << Mi sto solo divertendo un po’. Però prometto che non darò fuoco a niente >>. Si batté una mano sul cuore in modo solenne, ridendo. Scossi la testa.

Armeggiò ancora qualche secondo con il suo giochetto; quando finì di modellare la forchetta, aprì la mano, facendo comparire al suo posto una minuscola rosellina dai petali color argento – sembrava quasi che avesse preso lacrime di luna e le avesse usate per disegnare la corolla di quel fiorellino.

<< Per lei, madame >>, sussurrò, sorridendo. Mi strizzò un occhio: << Profuma anche, sapete, madame? >>.

Fece finta di annusare la sua opera, e si finse estasiato.

Raccolsi la rosellina che pareva d’argento coi polpastrelli. Scottava. La portai al naso e annusai; aveva un sapore amaro e pungente, decisamente poco piacevole. Mi ritrassi con una smorfia, mentre Francis ricominciava a ridere.

<< Metallo bruciato. Molto romantico >>. Questo fu il mio commento, in tono fintamente contrariato. In realtà me la ridevo sotto i baffi.

<< Lo so, lo so >>. Sorrise ed alzò le spalle, come a dire “sono o non sono un gran gentiluomo?”. << Ma comunque, cosa stavamo dicendo? >>

Gli ricordai che doveva raccontarmi qualcosa sulle Streghe Indaco.

<< Ah, sì >>, fece lui, tornando serio. << Conosci la leggenda delle sirene? Ci sono molte storie in giro. Io dico quelle che incantavano i pirati e i marinai che si addentravano nelle acque marine, e cantavano finché essi non venivano divorati dalla follia >>, disse, prendendo toni teatrali.

Feci un cenno col capo, per farlo proseguire. Mi infilai la rosellina in tasca. Arrivarono i due caffè, e cominciammo a sorseggiare le bevande calde. Lasciai che il liquido mi bruciasse la gola e scendesse giù, sempre più giù, nello stomaco. Mi sentii meglio.

<< Ecco, in realtà quelle creature sarebbero state le Streghe Indaco. Loro sarebbero state le vere sirene, secondo la storia >>.

Strabuzzai gli occhi, sorpresa. Ma certo; le descrizioni combaciavano, e messe insieme avevano un senso. Meravigliata, pensai a quanto le leggende e i racconti del passato influiscano ora sul nostro presente, sul nostro essere, sulle nostre vite. Scorsi nella memoria, come pagine di un libro, le immagini che avevo visto su un volume di storia di donne innocenti che in passato venivano bruciate vive; ricordai Clementine, la sua impresa eroica, i suoi figli; i nostri antenati; le Streghe Indaco e le sirene, così vere, ma, al tempo stesso, frutto di immaginazioni di menti fertili. Storie su storie, mescolate e sbriciolate, sbattute le une sulle altre, fino a formare la realtà. Siamo come fili e nodi, agganciati gli uni agli altri nella corsa alla scoperta del nostro passato.

Abbandonai le mie riflessioni per ricominciare a seguire la “piccola lezione di attualità” di Francis, come l’aveva chiamata lui poco prima. Ci lasciammo alle spalle le Streghe Indaco, come quando si va sulla nave e, sporgendosi a poppa, si scorge la scia candida di schiuma che segue la propria imbarcazione, quasi fosse un filo bianco tirato dal motore (non che io fossi mai andata in nave; mia madre mi aveva raccontato una cosa del genere molti anni prima, mentre guardavamo un programma sulle barche a vela alla televisione, e io ne ero rimasta meravigliata).

<< Capirai che per noi è importante sopravvivere. Siamo come animali che vengono cacciati; stanati, inseguiti per tutto il perimetro del bosco, fermati per sfinimento, o uccisi col fucile >>. Sentii Elah sussultare nella mia mente. Era turbata; probabilmente stava ricordando ogni cosa. << Ma ovviamente non siamo animali, non siamo tutto istinto e niente cervello; c’è gente che si è ribellata. O meglio, ci ha provato >>.

<< E cos’è successo a quelli che ci hanno provato? >>

<< Morti, la maggior parte delle volte. Qualche ferito, magari. Loro però non avevano un piano; attaccavano alla cieca, come bestie in gabbia che vogliono scappare. Ecco, io, invece, un piano ce l’ho >>, disse, abbassando di molti toni la voce. << Sai, ho pensato molto, per tutti questi anni. I rivoluzionari e quelli che hanno provato ad attaccare con un vero obbiettivo, erano soli. Erano semplicemente in coppia; Alleato e Alleato. O al massimo, si riunivano in piccoli gruppi di dieci, quindici persone, e cominciavano a combattere contro il proprio Gruppo di Ricerca >>.

<< Un momento, un momento >>, aggiunsi velocemente, prima che continuasse. << Cos’è un Gruppo di Ricerca? >>. Cominciavano ad esserci troppi nomi, troppi fatti da ricordare.

Francis si mordicchiò l’interno della guancia. << Ma scusa, nessuno ti ha istruito, per tutto questo tempo? Di solito, i nonni o i parenti da cui si eredita il gene fanno una lezione. Ti spiegano tutto, per filo e per segno, e ti insegnano, anno dopo anno, le tecniche di combattimento, il modo in cui usare la propria energia, eccetera. Insomma, ti fanno una lezione generale, o qualcosa così >>. Alzò un sopracciglio.

Deglutii a vuoto; dov’era stata mia nonna per tutti quegl’anni? Ci sarebbe dovuta essere lei a farmi la lezione generale? Non era morta, o scomparsa, come credeva mia madre. Era viva e vegeta, l’avevo anche vista; e allora perché? Davanti a Francis ero un misto di imbarazzo, vergogna e indignazione. Perché gli altri avevano avuto tutto questo e io no?

Notando che non rispondevo, mi spiegò che un Gruppo di Ricerca è un insieme di Cacciatori che si occupa della singola coppia di Alleati, stringendo le ricerche sulle proprie... prede. Così sarebbe stato più facile occuparsi di tutte le streghe. In modo veloce, spietato e crudele.

Gli rivolsi in seguito un’altra domanda: << A quanti anni i parenti cominciano a spiegarti la cosa? >>

Tentennò un momento.

<< Beh, quando il gene produce i suoi effetti, con il consecutivo mutamento delle cellule corporee; l’interno dell’organismo viene ricostruito interamente, in modo da permettere lo sviluppo di ghiandole sensoriali particolari, di capacità, come dire... insomma, non so con precisione cosa avvenga e quali siano le trasformazioni. In parole povere, comunque, il sangue muta la sua composizione, diventando nero >>, cominciò a riflettere tra sé e sé, << In teoria i bambini hanno cinque, sei anni. A quel punto ci si accorge del fatto che il bambino sia un Portatore dello Spirito, e che abbia quindi il gene e... >>. << Ma scusa, non si capisce dai capelli? >>

Francis cominciò a ridere, e diventai rossa per l’imbarazzo. Dovevo averne sparata una grossa.

<< Ma che dici! Guarda che nel mondo ce n’è, di gente coi capelli rossi... ma mica vuol dire che son tutti Portatori, eh >>. Ricominciò a ridacchiare, scuotendo la testa. Come se avessi fatto la battuta del secolo! Non è colpa mia se
qualcuno certe cose non me le spiega. Me la presi mentalmente con Elah.

<< E che c’entro io? Bella, sappi che non era compito mio. E poi non credevo fossi così ingenua! >>. Cominciò a sghignazzare anche lei.

Sospirai, rossa fino alla punta dei capelli. Ci ripensai, ridacchiando tra me e me; certo che i miei capelli erano rossi!

Dopo qualche minuto il mio interlocutore ricominciò a respirare normalmente – era diventato anche lui rosso, ma per le troppe risate –; aveva trattenuto il fiato, ed ora boccheggiava.

Mi guardò divertito: << Oddio, scusa. Sei troppo forte! >>

Sbuffai, irritata.

<< Ci sono. E dicevo, sì, che ho intenzione di fare una bella sorpresa ai nostri Cacciatori! Organizzeremo l’esercito di Portatori più grande che si sia mai visto. Anche perché non se ne sono mai visti, di eserciti di Portatori. Quindi sarebbe il primo... ma comunque. Già da tempo sto contattando persone che ho conosciuto durante i miei viaggi; stanno spargendo la notizia. Aspetteremo il momento migliore per attaccare, tutti insieme, ma non da un unico fronte >>, si vedeva che andava fiero del suo piano; glielo si leggeva in faccia, << Bensì da tutti quelli esistenti. Il Governo ha un’enorme sede centrale nel sud della regione >>, mormorò, tracciando un cerchio spesso un po’ più a destra della piramide che aveva fatto prima, vicino alla serie di appunti presi per chissà quale motivo. Disegnò molte frecce, moltissime frecce, piccole e sottili o grandi e lunghe. Ogni punta di ogni freccia puntava al cerchio, che rappresentava la sede centrale << Attaccheremo al cuore, così anche il resto dell’organismo morirà. Mi segui? >>.

Sì, seguii la sua spiegazione, i suoi pensieri e le sue successive chiacchiere. Lo seguii perfino fuori dal locale, diversi minuti dopo, dove inforcammo la moto e ricominciammo a correre, col rombo del motore che ci faceva compagnia, con le stelle che s’erano nascoste, con le colline polverose che cavalcavamo. E l’avrei seguito, per tutta la vita.




***
D'accordo, finalmente ci siamo. Le cose si stanno facendo più interessanti.
Sto facendo del mio meglio per migliorare i capitoli, che in realtà erano già stati scritti, ma in modo differente. Li ho rifatti, questo e i precedenti e i successivi. Ce la metto tutta, stressando tanta gente - cioè, ehm, qualcuno in particolare, in realtà. Fede, a cui ho dedicato il capitolo :) - per sapere delle opinioni eccetera eccetera.
Magari riesco a sentirne una anche da parte vostra? Ho bisogno di un parere. Ditemi come vi sta sembrando.
Quindi, ecco. A questo progetto ci tengo parecchio. Spero di non deludervi o altro. Piuttosto che lasciarvi con un capitolo scritto male, vi farò aspettare. Lo correggerò più e più volte (come ho fatto per questo, ad esempio).
Tanto per dirvi che probabilmente, qualche volta, ci sarà da aspettare più del dovuto. Ma questo lo faccio per voi, eh. E per me.

Vostra,
Cielo.
  
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