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Autore: Sheep    26/08/2011    4 recensioni
Un ragazzo coi capelli rossi e una sorellina troppo intelligente in una famiglia troppo grande e troppo strana. Una coppia di gemelle, avvolte in un’ombra di riservatezza e mistero. Un prestigioso attore americano che si reca a Londra per recitare a Broadway. Cosa succederebbe se i loro destini s’intrecciassero? E se il famigerato attore, in più, avesse seri problemi con suo fratello?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non ci credo, ragazze, il piccì mi ha appena cancellato l’introduzione più fantastica del mondo *piange*

 

Ok, allora. Facciamola breve.

Un ringraziamento generale, perdonate se non sto qui a ringraziarvi ad una ad una ma SAPPIATE –nonostante questo computer vuole impedirmi di comunicarvelo- che vi ringrazio di cuore e considero questo nono capitolo un traguardo, e che vi devo molto, senza il vostro incoraggiamento probabilmente non sarei qui ora.

Stavolta mi scuso per il ritardo con un capitolo più lungo –e con un po’ di novità!- e un collage coi volti dei personaggi, sperando che vi aiuti a distinguerli più facilmente, visto che sono davvero davvero tanti. ^^”

 

Ah, Josh non è Joe. E’ un altro Joseph, a cui ho scelto di dare un soprannome diverso apposta per non farvi confondere. (;

 

(Ecco gli ammori -> http://i53.tinypic.com/281vqmp.png

Da sinistra verso destra: Joseph N, Rachel, Nicholas, Joseph, Kevin, Adrienne, Malice, Bridget, Michael, Diana, Keith, Hera, Gwen, Charlotte, Sophie, Andrew, Athena, Demeter.)

 

Perdonate me e il mio PC rimbambito e godetevi il capitolo!

Vi voglio bene.

Sheep

Questo capitolo è per

Lorenzo

che non lo sa

perché non sa leggere,

perché mi ha fatto quella domanda

che mi ha messo in moto la fantasia.

Grazie cuginetto.

 

Capitolo 9

Charlie e Drew erano di nuovo amici. Almeno, così pareva alla piccola Sophie che, più che contrariata, ne era entusiasta. Sophie adorava Charlotte; avrebbe detestato qualsiasi altra ragazza che si fosse permessa di sottrarle del tempo da passare con suo fratello, ma lei mai, perché era una vera principessa. Sophie ne era convinta: Charlie ascoltava la musica delle principesse –una volta, in camera sua, aveva intravisto un poster dei ‘Beatles’- e, l’anno successivo, avrebbe frequentato l’università di Cambridge, dove studiavano tutti i rampolli di sangue blu. Gliel’aveva detto Drew, una volta, mentre andavano al parco.

Anche oggi stavano andando al parco, ma non erano soli: il signor Nick, infatti, si era unito all’allegra combriccola. Charlie, a differenza di quanto la piccola Sophia si era aspettata, non si era dimostrata gelosa dell’amicizia che riempiva la solitudine di Nicholas ed Andrew, piuttosto aveva accolto Nick a braccia aperte, divertita dal naturale contrasto che il ragazzo creava col suo migliore amico. Aveva raccontato anche a lui della sua vita a Glasgow, delle cheerleader della nuova scuola che, dopo il suo rifiuto di affrontare un provino per unirsi a loro, l’avevano declassata a ‘sfigata londinese’; Charlie spiegò che conduceva sostanzialmente una vita solitaria, dal momento che non era abbastanza secchiona per unirsi al tavolo dei nerd e troppo poco alternativa per stare coi punk. Raccontò di come il suo unico svago fossero la biblioteca, dove aveva cominciato a lavorare, e la cucina. Aveva imparato a fare molti dolci ed anche qualche piatto italiano.

«Papà adora la cucina italiana.» Spiegò, svoltando all’entrata del parco, dove Sophie prese a correre verso le altalene. Nick finse di non notare il luccichio rancoroso negli occhi della ragazza mentre nominava il padre. «E anche la sua nuova fidanzata.»

«Fidanzata?» Fece Drew, sgranando gli occhi a mandorla.

«Già, Jacqueline. Un amore di matrigna.» Charlie si lasciò sfuggire una risata amara. «Bella, se ti piace la plastica. Ha trasformato papà in un farfallone e il suo appartamento nella casa di Barbie. E’ tutta saltelli e risatine e “Oh, tesoro, dì a tua figlia di darsi una sistemata, è così sciatta”»

«Bleah. Dille di andare a farsi fottere.» Sbottò il rosso.

Charlie sospirò. «Vorrei, ma è molto più complicata di quanto credi. Ho bisogno di papà per i suoi contatti dell’università. Non potrei entrare altrimenti in un posto come Cambridge.»

«Stronzate! Hai una media altissima e ti prenderebbero anche senza nessuna stupida raccomandazione. Gli spaccheresti il culo, ai test.»

Nicholas si domandò come sarebbe stato frequentare un college; poi, preoccupato che l’idea potesse piacergli più del dovuto, decise di non pensarci.

Charlie si sedette sull’altalena accanto a Sophie, che chiese a Drew di spingerla, e forte, perché Mr. Carrot voleva volare. Fissò qualche minuto i suoi stivali, in silenzio, dondolando lentamente. Poi si rivolse a Nick e gli sorrise.

«E tu parli poco, eh?» Il ragazzo sobbalzò e riemerse dalla sua sciarpa di cachemire. «Andrew sarà pure ignorante e piuttosto retrogrado in fatto di musica, ma io ho sentito parlare di te. Penso che tu abbia del talento.»

Nick arrossì lievemente, come se avesse ricevuto per la prima volta un complimento del genere. «Grazie.» Borbottò, imbarazzato dalla spontaneità di quella ragazzina che, in fondo, già iniziava a stimare.

Forse, pensò, il suo stato d’animo era dovuto alla veste in cui aveva vissuto quei mesi passati a Londra.Non poteva negarlo a sé stesso: si era sentito molto più Nicholas – il ragazzino del New Jersey che era stato prima della celebrità e di tutto il resto- che ‘Nick Jonas’. Un po’, constatò, gli mancava quella vita; le sale di registrazione, le interviste, le live chat, i fan. Eppure ... eppure quel calore che sentiva dentro ogni volta che si trovava lì, con quelle persone –normalissimi ragazzi della sua età, con vite banali e incasinate, il coinvolgimento emotivo rispetto alle loro vicende, le cose che nonostante tutto continuava a imparare: Al solo pensiero di abbandonare tutto ciò gli mancava il fiato.

Alzò lo sguardo e si accorse di essere rimasto solo assieme a Sophie, che lo fissava con una certa curiosità. «Quanti pensieri, signor Nick. Sembra che ti escono dalle orecchie.» Piegò la testa da un lato. Nick intravide, dietro di lei, Drew e Charlie che si allontanavano lungo un vialetto, mano nella mano.

Nicholas rise di cuore. «E’ vero, piccola. Dovrei darmi una calmata.»

Sophie si azzittì per qualche secondo. «Nick, signore» Disse poi, stringendo le catene dell’altalena tra le manine pallide. «Posso farti una domanda?»

Lui si avvicinò. «Certo, dimmi.»

«Che cos’è il diavolo?»

Nick rimase interdetto per qualche attimo. Poco dopo si sedette nel posto che Charlie aveva lasciato vuoto. « Diciamo … un signore molto cattivo. Uno che vuole che noi facciamo cose sbagliate.»

«Ed è brutto?»

Nick sorrise.« Molto brutto, sì. Con le corna e tutto il resto.»

«E sta laggiù.» Concluse Sophie, puntando il dito verso terra.

«Esatto.»

«E Dio?»

«E Dio ...» Nick posò la testa contro il metallo freddo della giostra. «Dio è il padre di tutti noi. E’ misericordioso, che significa che ci vuole bene e ci perdona ogni volta che glielo chiediamo, anche quando facciamo cose brutte che lo fanno piangere.»

Sophie spalancò la bocca, incredula. « Dio piange?»

«Forse.»

«Una volta Keith mi ha detto che le gocce di pioggia sono le lacrime degli angeli, ma Drew si è arrabbiato perché secondo lui non è vero.»

«E tu a chi credi?»

La bambina rimase zitta. «Signor Nick, esistono gli angeli?»

«Certo che esistono. Sono belli e molto maestosi, sai. E hanno delle ali grandissime, ci stanno sempre vicino. C’è chi dice che ce n’è uno per ogni persona sulla terra.»

Sophie s’illuminò. «Ho capito!» Urlò, gioiosa. «Forse tu sei l’angelo mio e di Drew!»

Nicholas esitò. «Cosa?»

«Sì, tu!» Spiegò Sophie con impazienza. «Sei bello, mastoso e ci stai vicino. Sei tu, signor Nick, sì! Ma forse … » Abbassò incredibilmente il tono di voce, tanto che Nicholas dovette sforzarsi per sentirla. «Forse non lo puoi dire? Forse è un segreto?»

Nick incontrò gli occhioni azzurri pieni di aspettativa e si convinse di non poterla deludere. Avvicinò, ammiccando, l’indice al naso. «Forse.»

«Non preoccuparti, prometto di mantenere il segreto.» Saltò giù dall’altalena e l’abbracciò –o meglio gli circondò con le braccia le gambe, rischiando di farlo cadere. « Nessuno lo scoprirà. Ma tu un giorno mi mostrerai le ali, vero?»

 

Da quando aveva rivisto Charlotte, la notte di Natale, Drew non era riuscito più a essere lo stesso, in sua presenza. Non perché non l’avesse ancora perdonata o non le volesse bene, anzi. Ma Charlie era così diversa da quando era partita: le sue labbra erano più rosse e carnose di come se le ricordasse, i capelli più lunghi e soffici e, sempre più spesso, evitava di mettersi gli occhiali. Andrew non riusciva a impedirsi di pensare che fosse piuttosto carina.

No, in verità, Drew pensava che la sua migliore amica fosse bella, il profumo della sua pelle estremamente invitante e tutti quei difetti di cui lei spesso si lamentava, anche quelli gli pareva contribuissero a renderla più attraente.

Tenere le dita allacciate alle sue gli dava sicurezza: s’illudeva che non potesse più sfuggirgli, che sarebbe rimasta con lui a Londra per sempre, che la sua presenza l’avrebbe aiutato ad andare avanti. Il suo cuore accelerava ogni volta che lei si faceva troppo vicina; in quei momenti Drew s’irrigidiva, sperando che l’altra non se ne accorgesse.

Anche Charlie, dal canto suo, si sentiva confusa dalla presenza dell’altro. Forse erano i suoi capelli, ora più lunghi sulla fronte e rasati ai lati del capo, o i tratti improvvisamente più maturi, ma non riusciva a staccare gli occhi da lui. Andrew, in realtà, le era sempre piaciuto, e adesso che stava crescendo Charlotte sentiva che avrebbe fatto sempre più fatica a reprimere i suoi sentimenti.

«Piacerebbe anche a me trasferirmi.» Disse il ragazzo accanto a lei, infrangendo il corso dei suoi pensieri. «Più che altro per Sophie, sai. Casa mia è invivibile. Mia madre manca da settimane.»

Charlie gli strinse la mano, percependo contro il palmo i segni di innumerevoli cicatrici. «Oh D, mi dispiace.»

«Già, anche a me. Me ne farò una ragione.»

Rimasero in silenzio per qualche minuto, finché Charlotte decise che era meglio cercare di distrarlo. «Quel ragazzo … Nick, voglio dire, sembra simpatico. »

«E’ un tipo.»

Charlie alzò un sopracciglio. «”Un tipo” che, fino ad un mese fa, avresti deriso senza pietà. O forse, fammi pensare, avresti cercato di fargli un occhio nero?»

«Che ne sai? Tu non c’eri un mese fa.» Drew ci mise più rabbia di quanto avrebbe voluto.

L’altra abbassò lo sguardo, punta nel vivo. «Non ricominciare.»

«Scusa.» Soffocò l’impulso di baciarla voltandosi a osservare il prato innevato. «Bah. Certe volte mi sembra di vivere in Russia.»

*

Sull’insegna c’era scritto ‘Lidia’s’, dal millenovecentocinquantasei. Era un piccolo, antico negozio di musica incastrato in un angolo nel cuore di Camden Town e, sulla porta a vetri, il cartello diceva “Cercasi personale”. L’interno era ben ordinato, fornito di tutto il necessario, dagli oggetti più comuni a quelli più incredibili da collezione –come dischi di vinile firmati dagli stessi Beatles o da Elvis – a cui qualsiasi appassionato di musica non avrebbe saputo rinunciare.

La signora Bennet, Regina, aveva ereditato l’attività dopo la morte del padre, sei anni prima, e l’aveva sempre gestita con passione e senza difficoltà. Regina amava il suo lavoro e quando qualcuno le chiedeva come facesse a mantenere sempre un aspetto così giovanile, lei scherzava attribuendo il merito della sua bellezza senza tempo alle proprietà magiche del banjo e dei Rolling Stones.

Nessuna delle sue figlie, invece, dimostrava per la musica un interesse grande quanto il suo: Athena aveva abbandonato da un po’ le lezioni di viola e Hera non aveva mai voluto nemmeno avvicinarsi ad una scuola di musica. Demeter –la minore- era l’unica che tenesse ancora alle sue chitarre ma, quando suonava, lo faceva in privato.

Era forse per questo che quella mattina, quando le aveva convinte a sostituirla in negozio fino ad ora di pranzo (c’era l’asta di alcuni articoli davvero interessanti non troppo lontano da lì) avevano fatto tante storie. Specialmente la maggiore.

Hera aveva sempre avuto un atteggiamento alquanto ribelle e sprezzante. Regina e suo marito avevano creduto in un primo momento che si trattasse di una fase, qualcosa che avesse a che fare con l’adolescenza, ma oramai la ragazzina che faceva tatuaggi di nascosto da suo padre aveva lasciato il posto ad una meravigliosa giovane donna di ventitré anni e il suo modo di fare non era cambiato.

In quel momento se ne stava accovacciata su una sedia di fronte al bancone, i capelli corvini stretti in una coda alta e addosso abiti sportivi che non stonavano con la sua estrema sensualità. Si limava le unghie con le sopracciglia aggrottate, contrariata perché le sorelle non l’avevano lasciata andare in palestra. Il borsone stava buttato lì ai suoi piedi.

«E allora, il tizio carino che ti ha accompagnato a casa l’altro giorno?» Domandò con nonchalance alla sorella più piccola.

Demi alzò gli occhi dal quaderno su cui stava appuntando una bozza di relazione. «Chi, Jason? E’ solo un mio compagno di classe, tutto qui.»

«Beh, i miei compagni di classe –e specialmente quelli carini- non mi accompagnavano a casa, ai miei tempi.»

La minore alzò un sopracciglio. «Sì, ti pedinavano direttamente.» Il suo viso s’illuminò di un sorriso dolce, spontaneo. « E comunque ora come ora non mi interessa.»

«Appunto!» Sbottò Athena, arrampicata su di uno scaletto a pulire una vetrina. «Sta crescendo bene, non vedo perché traviarla con le tue manie sugli uomini.»

«Sei tu l’anormale, tra noi!» Fece Hera, agitando in aria la lima per unghie. «Tutte hanno bisogno di un uomo, Thea.»

«Tutte hanno bisogno di un cane, vorrai dire! Almeno Fido non ti mollerà per un paio di tette migliori.» Replicò l’altra con un certo astio. «Amore, amore ... la gente ne è ossessionata. E a cosa serve poi? Assolutamente a niente.*»

«Chi ha mai parlato dell’amore? Io ho detto ‘maschi’.»

Furono interrotte dal tintinnio del campanello sulla porta che annunciò l’entrata di un nuovo cliente. Si voltarono istintivamente verso due uomini, uno dei quali risultò ad Athena piuttosto familiare.

 

«L’ho trovata! Cazzo non ci credo.» Joe sbirciò attraverso la vetrina con troppo entusiasmo. «Guarda, guarda Kev!»

«Cosa?» Chiese Kevin, aspettandosi di vedere una chitarra dall’inestimabile valore o qualcosa del genere.

«La ragazza! E’ Lei!» Rispose invece Joe, picchiando il dito contro il vetro. «Non ci credo, che gran culo!»

Il maggiore gli posò una mano sulla spalla.«Joe, calma.»

Ma l’altro non lo stava ascoltando: era troppo preso a sistemarsi il cappello, gli occhiali ,la giacca … aveva già visto l’avviso sulla porta.

«Andiamo.» Gli ordinò, sicuro di sé.

 

«Buongiorno.» Disse Joe Jonas, ghignando in direzione delle tre ragazze. «Sono qui per il posto di assistente.»

 

  
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