Capitolo III
Il
turbinio di gelida aria notturna mista a pioggia si scagliava
implacabile su
due figure solitarie. Sullo scoglio, due individui dei più
diversi si
fiancheggiavano. Il più alto agitò
impazientemente la bacchetta senza badarsi del
giovane compagno che, però, sembrava bearsi della frescura.
“Andiamo,
Potter.” Piton si rivolse al bambino senza troppe cerimonie,
esortandolo a
spostarsi verso il ciglio dello scoglio. Ma il sapore della
libertà è
inebriante, ed Harry Potter non poté che fermarsi a
contemplarlo,
dimenticandosi del resto.
“Potter!”
“Scusa,
è che l’aria è così buona
qui…” si giustificò il ragazzino, senza
smettere di
inalare tutto l’ossigeno sostenibile dai suoi polmoni.
“Pretendo
rispetto, Potter. Ti rivolgerai a me come si conviene ad un adulto, e,
nel mio
caso, ad un Professore.” mise in chiaro subito Piton,
visibilmente irritato.
“Professore!?
E di cosa?” esclamò Harry entusiasta
“Hem… volevo dire.. certo, signore.”
aggiunse subito, allo sguardo di intollerante ammonizione del vicino.
“Meglio.
Ora sali sulla barca.”
“Ma
non c’è nessuna barca…
signore.” ma Harry dovette ricredersi: a pochi metri da
loro, una barca avanzava verso lo scoglio, apparentemente senza nessuno
a
guidarla. E fu proprio mentre il ragazzino si ritrasse, attendendo lo
schianto
del legno contro la roccia, che l’imbarcazione
rallentò, pronta ad accoglierli.
“Vieni.”
lo esortò secco l’insegnante, vedendo
l’espressione incredula ed affascinata di
Harry.
Con
passi incerti, il giovane mago salì a bordo della piccola
barca, che partì
spedita con un colpo di bacchetta.
*
Il
tragitto sull’acqua fu tranquillo: Harry si beava
silenziosamente della
lontananza dai Dursley, e Piton si beava silenziosamente del silenzio
del
ragazzo.
Lungo
la via per la stazione, lo strano abbigliamento del Professore di
Pozioni
attirò non pochi curiosi, ma i passanti non indugiavano
certo lo sguardo su
quel severo volto inquietante. Furono acquistati due biglietti per
Londra, e
–mentre Harry osservava la scena estasiato- una civetta
consegnò diligente un
giornale chiamato “La Gazzetta del Profeta”
all’insegnante, e non se ne andò
prima di essere pagata con strane monete.
Sul
treno, la carta ingiallita del quotidiano sembrava aver inghiottito la
testa
del professore. Il ritmico sfogliare di pagine e lo sferragliare del
veicolo
erano i soli rumori a riempire l’ambiente. Tutto era
all’apparenza tranquillo
ma, Piton lo sapeva, un suono terribile e sgradevole avrebbe di
lì a poco
squarciato l’aria. Era solo questione di pochi momenti, pochi
preziosi istanti
che il professore avrebbe sfruttato al meglio, leggendo freneticamente
per
terminare la lettura di quell’articolo sul decimo
anniversario della sconfitta
di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato. Quante sciocchezze
–pensava- se c’era
una cosa di cui era certo, era che l’Oscuro Signore aveva
considerato come
evitare la sua definitiva sconfitta. La prevista custodia della Pietra
Filosofale presso Hogwarts era certamente provvidenziale, ma non poteva
essere
l’unico metodo escogitato da un mago così potente,
per il suo ritorno.
L’uomo
pose fine bruscamente a questo suo divagare, affrettandosi nella
lettura,
pronto al funesto evento che avrebbe presto scosso la sua quiete.
Doveva
mancare poco, ormai. Ancora poche righe ed avrebbe finito…
almeno non sarebbe
stato interrotto nel bel mezzo di un articolo, sebbene tanto
superficiale e
sciocco.
Un’ultima
manciata di parole….
“Signore?”
ecco
La
parte superiore della Gazzetta del Profeta si piegò
perfettamente e
velocissimamente a mostrare il volto irritatissimo, di Severus Piton.
Harry
ebbe un sobbalzo all’improvviso movimento del suo professore,
e si chiese se
avesse fatto bene ad aprir bocca… ma d'altronde non parlava
più di un’ora.
Piton lo fissava senza proferir parola, e dopo qualche incerto istante,
Harry
si disse che la sua curiosità era troppa per temere
checchessia.
“Signore,
mi chiedevo- mi dispiace incredibilmente disturbarla- ”
mentì il ragazzo “ma mi
chiedevo: dove stiamo andando, esattamente? Sulla lettera ho letto una
lunghiiissma lista di cose da comprare, e lei ha detto che è
lì che mi avrebbe
portato… ma ora stiamo andando a Londra, e suppongo non ci
siano negozi di
libri come ‘Guida pratica alla trasfigurazione per
principianti’ e ‘Teoria
della Maia’, o rivenditori di bacchette.”
“Sei
mai stato nella parte magica di Londra, Potter?” chiese Piton
con un ghigno,
fissando un punto sopra la testa del ragazzo. Le braccia allargate
tenevano la
Gazzetta ancora immobile davanti a lui.
“Bè,
no… a dire il vero non sono nemmeno mai stato a
Londra.”
“Allora
smettila di suppore.” Con un secco movimento dei polsi Piton
ripristinò la
postura naturale del giornale, e riprese a leggere. “E non
fissarmi.”
Harry
tornò a fissare il paesaggio, imbronciato. La sua testa
sembrava straripare di
domande, e purtroppo l’unica persona in grado di arginarla
non sembrava
intenzionata a farlo. Sempre meglio dei Dursley, pensava: solo
ventiquattr’ore
prima disperava alla mercé della follia di Zio Vernon.
Sorrise felice
dell’improvvisa svolta presa dalla sua vita. E anche se si
fosse trattato di un
sogno (come credeva), gli bastava che durasse abbastanza da ricordarlo.
*
Dopo non molto
raggiunsero la Capitale.
Era la città più grossa che Harry avesse mai
visto… ma infondo non ne aveva
viste molte. Tutti sembravano di fretta: impiegati, studenti,
fruttivendoli,
automobilisti, poliziotti, bus, donne, bambini, anziani e giovanotti
correvano
come se ne andasse della propria vita.
Harry, dal canto
suo, camminava lentamente, fermandosi ogni
due per tre a fissare qualcosa di normalissimo, che lui trovava
straordinario.
E di cose straordinarie e ben meno normali ne avrebbe viste molte, quel
giorno.
“Smettila
di fermarti.” lo rimbeccava sempre il professore. E
lungo tutto il breve tragitto a piedi fu un concerto di irritati
“Tieni
il passo, Potter!”
“Fissa ancora un po’ quel senzatetto, e sta certo
che sarò lieto di affidarti a
lui.”
“Guarda dove vai!”
“Se la prossima volta che inciampi mi dovessi cadere addosso,
le tue gambe non
potranno mai più inciampare.”
“Se
rimani indietro un’altra volta mi smaterializzerò
dal
Preside raccontandogli la sventurata storia per cui sei stato aggredito
da un
branco di Imp.”
In
realtà Harry non capiva la metà delle astruse
parole
utilizzate dal suo Professore, tuttavia lo trovava buffo, ed era
certamente più
divertente di Vernon… Non sapeva perché, ma Harry
era sicuro che, al contrario
dello Zio, Piton non avrebbe mai messo in atto le sue
‘terribili’ minacce.
“Fermo.”
ordinò Piton una volta giunti davanti ad un piccolo
Pub, piuttosto malandato. Ma Harry continuò sognante per la
sua strada finché
non sentì il richiamo di un ormai spazientito Piton
“Potter!
Vieni subito qui!” il Professore non ce la faceva
più: già avere a che fare con un bambino non era
esaltante, se poi si
considerava che era il figlio di James Potter, ed che per di
più non era
neanche molto sveglio, la situazione diventava tragica.
Poteva anche darsi che lo facesse di proposito, scatenando la sua ira.
Ma
sebbene considerasse Potter Senior perfettamente in grado di una
macchinazione
simile, il ragazzino non sembrava avere secondi fini se non,
ovviamente, quello
involontario di farlo infuriare.
Cosa che gli
stava riuscendo alla perfezione.
Harry raggiunse
di corsa il suo accompagnatore che sostava
davanti alla porta de –così diceva
l’insegna- ‘Il Paiolo Magico’.
“Il
Paiolo Magico?” recitò il giovane mago, incerto e
un po’
deluso. Non gli sembrava certo un posto ricco delle meraviglie citate
nella sua
lettera.
“Noto
che conosci la difficile arte della lettura, signor
Potter. Complimenti!” lo scherno e l’ironia nella
voce di Piton non sortirono
l’effetto voluto su Harry il quale, divertito, rise
lievemente.
Piton lo
fissava, sconcertato: con la sua tagliente ironia
aveva gettato nella disperazione troppe schiere di giovani Maghi e
Streghe, per
credere che quel moccioso ne fosse immune.
“Entriamo?”
chiese Harry, scuotendo il suo insegnate da
quegli spaventosi pensieri.
“Decido
io quando entriamo, signor Potter.”
*
L’interno
del locale non era certo splendido. Non era grosso,
e dai piccoli tavoli ammassati si levava un incessante brusio. Uomini e
donne
dagli stravaganti vestiti conversavano
fitto fitto, il barman fece un lieve cenno al Professore quando
entrarono, che
non lo degnò di uno sguardo.
Qualcuno
guardava Harry sospettoso, come se dovesse decidere
se aveva visto bene. Nessuno parlò con Piton
finché non raggiunsero il fondo
del pub, dove un uomo pallido e nervoso si rivolse
all’insegnante senza essere
stato interpellato.
“S-Severus!
Che p-piacere incontrarti!” disse, torcendosi le
mani sudaticce
“Ah,
Raptor.” rispose gelido l’accompagnatore di Harry,
prima
di spingere frettolosamente il ragazzino in un piccolo cortile sul
retro.
“Chi
era?” chiese un curioso Harry che, ovviamente, non
ottenne risposta alcuna.
Mentre i due si inoltravano nel cortile, il ragazzo cercò di
dare un’altra
occhiata allo sconosciuto, ma era girato di spalle e non ne vide che il
retro
del turbante.
In quel momento,
un dolore acuto attraversò la cicatrice
sulla fronte del ragazzino, che –non potendo evitarlo-
esclamò
“Ah!”
portandosi la mano sulla fronte.
Piton si
volò di scatto, dopo aver colpito un mattone del
muro tre volte “Sei inciampato di nuovo, Potter?”
chiese
“Non…
non è niente” rispose il ragazzo, muovendo
bruscamente
la mano dalla cicatrice, coprendola con la frangia.
“La
cicatrice?” chiese Piton assorto, più a se stesso
che a
chiunque altro.
Ma Harry era
troppo meravigliato per rispondergli: davanti a
se il muro era stato sostituito da un arco che dava su una curva strada
selciata ricca di fantastici negozi variopinti, affollata della gente
più
strana che avesse mai visto.
Il Professore si
voltò lentamente, ma senza smettere di
pensare alla cicatrice del ragazzo, ed attraversò
l’entrata.
Harry, pieno di
stupore e di curiosità, seguì la sua guida
chiedendogli, tra un’esclamazione stupita e
un’altra, dove fossero.
Piton non aveva certamente tempo da perdere: era tardi ed avevano molte
cose da
sbrigare Inoltre non moriva certo dalla voglia di scambiare quattro
chiacchiere
con il ragazzo; tuttavia pensò che rispondere sarebbe stato
molto più facile e
sbrigativo.
“Questa,
Potter, è Diagon Alley. È qui che
acquisterai tutto il tuo materiale scolastico.”
“Fooorte!”
osservò Harry. L’esclamazione fu accolta da Piton
con una smorfia di disgusto.
Harry trottava accanto al professore, estasiato dalla ricchezza del
luogo. Dopo
poco, però, parve incupirsi e disse, come se stesse svelando
un disgustoso
segreto
“Io
non ho soldi…” aveva rallentato il passo, fissando
il
terreno “e non credo che Zio Vernon e Zia Petunia me li
presterebbero…”
Piton si chiese
come potesse essere tanto sciocco il ragazzo:
non aveva pensato al denaro dei suoi genitori? Non poteva pensare che
l’avessero
lasciato all’asciutto…
“Potter,
i tuoi genitori ti hanno lasciato del denaro –e sospetto
anche molto- alla banca dei maghi: la Gringott’, dove stiamo
andando in questo
momento.” ed indicò svogliatamente un singolare
edificio davanti a loro.
Allora ad Harry si illuminò di nuovo il volto, e riprese a
zompettare accanto
al Professore.
“Sai,
non sapevo fossero ricchi o mi avessero lasciato dei
soldi! Apparte al fatto che sono Maghi –che mi ha detto lei-
ed all’incidente d’auto,
di loro non so niente…” ammise sereno, spalancando
la bocca davanti ad un
negozio di scope volanti.
“Incidente
d’auto?” chiese Piton distratto, che non stava
prestando attenzione al bambino, ma non capiva cosa centrasse in quel
discorso.
“Si:
quello in cui sono morti mamma e papà.”
Piton allora si
fermò, ed Harry fece lo stesso, perplesso.
“Qualsiasi
cosa ti abbiano detto, Potter, i tuoi genitori non
sono morti in un incidente d’auto. Prima di tutto la
comunità magica non
viaggia su automezzi di natura babbana; in secondo luogo, sarebbe stato
impossibile che una strega potente come tua madre, o perfino tuo padre
perissero
per un banale
incidente.” spiegò Piton,
ostentando sicurezza, calma e soprattutto distacco. Ma il solo pensiero
di una
Lily impotente davanti ad un incidente d’auto, era talmente
bizzarro e
grottesco, da farlo infuriare.
“Ah…”
disse Harry, ragionando “e quindi come sono morti?
Un’incidente
con delle scope volanti? Come quelle del negozio?”
Il professore
pensò che o il bambino non era affatto sveglio,
o semplicemente non era abituato a pensare.
Ma in ogni caso, cosa avrebbe dovuto dirgli? Non che a lui, Severus
Piton,
importasse di urtare la sensibilità di un ragazzino
confessando l’atroce morte
dei genitori, ma qualcosa lo bloccò: infondo si trattava di
raccontare l’omicidio
di Lily. Ed il suo ruolo nella vicenda, quello del giovane Potter, ed
il suo
destino dopo quell’episodio non potevano essere trattati con
leggerezza,
nemmeno da lui.
“Non
credo di essere la persona giusta per dirtelo.” Rispose
gelido, riprendendo a camminare verso la banca.
*
Ritirarono del
denaro per Harry ed il contenuto della camera
blindata 713, per poi dirigersi fuori in tutta fretta: dovevano almeno
passare
dal negozio di animali per spedire una lettera, e dal fabbricante di
bacchette,
prima che i negozi chiudessero.
“Wow,
quei cosi erano alquanto inquietanti, non trova? E perché
mi guardavano tutti strano, come se mi conoscessero?”
osservò Harry, a passo
veloce, riferendosi ai Folletti della Gringott.
“Quei
‘cosi’ sono i Folletti… e ti consiglio
di non chiamarli
‘cosi’ in loro presenza. Io personalmente cerco di
trovarmi il meno possibile in loro
presenza.”
ammise Piton, che ritrovò se stesso a chiedersi come mai
stesse conversando
amichevolmente con il ragazzino.
“Ora
andiamo a spedire quella lettera per il professor
Salliente?”
L’insegnante
di Pozioni represse un ghigno: infondo era
divertente vedere Silente deriso da qualcuno che non fosse lui.
“Il
professor Silente,
moccioso.” sbottò Piton, con falsa ira.
*
All’
‘Emporio del Gufo’ il Professore spedì
la sua lettera
dal retro, e tornò per trovare Harry a chiedere il prezzo di
una civetta bianca
dagli occhi ambra.
Il ragazzo possedeva denaro da meno di trenta minuti, e già
lo scialacquava… proprio
come suo padre, pensò Piton.
“Cosa stai facendo?”
chiese senza interesse, con voce minacciosa.
“Compro
Edvige!”
“Edvige?”
“Ma
si, Edvige! Sulla lettera c’è scritto che posso
avere un
gufo, se voglio…” rispose semplicemente Harry.
“Quella, signor Potter,
è un civetta.”
ghignò Piton “Forse
è il caso di
informarsi sulla natura di un animale, prima di decidere di condannarlo
ad una
vita insieme a te.”
Harry rise di quel suo riso
‘post-battuta-sarcastica’, che Piton non poteva
tollerare.
“Bè,
comunque mi piace! E costa solo qualcuna di queste
grosse monete d’oro… e io ne ho tante! Ecco,
tenga…”
*
Una volta spesi
i suoi preziosi Galeoni, Harry e il suo Professore
di Pozioni si recarono, per l’acquisto della bacchetta
magica, da Olivander...
che non li accolse certo calorosamente.
“Sono
già le sette e trenta, Professore, quindi vediamo di
sbrigarci!” un uomo anziano dagli occhi scoloriti si rivolse
severo a Piton.
“Dunque, dov’è questo ragazzo?”
“Eccomi!”
rispose esultante Harry
“Harry
Potter!” esclamò esultante Olivander “Mi
chiedevo
quando l’avrei vista!”
“Lei…
lei mi conosce?” chiese Harry, frugando nella memoria
per cercare frammenti di ricordo. Ma ogni volta che lo faceva, rivedeva
solo un
lampo verde.
“Come
tutti…” rispose il fabbricante, assorto.
“Torno subito.”
Le prime
bacchette provate da Harry furono un disastro, come d'altronde
i successivi venticinque tentativi.
Il ragazzino si chiedeva se non ci fosse uno sbaglio, se nessuna
bacchetta lo
volesse perché lui non era un mago.
Quando ogni
speranza sembrava perduta, il vecchio uomo tornò
con in mano una bacchetta di –come spiegò-
agrifoglio e piume di fenice,
flessibile, di undici pollici.
Prima che un demoralizzato Harry potesse impugnare il legno, da dietro
di lui
si alzò una gelida voce.
“Crede
sia il caso?” chiese Piton, riferendosi alla
bacchetta, fissando Olivander.
“Chi
lo sa!?” e, quasi ignorando il professore, il negoziante
porse la bacchetta al piccolo Harry che subito avvertì un
calore alla mano,
mentre la bacchetta sprigionava scintille rosse e oro.
“Bene,
molto bene!” esultò Olivander, che poi
però prese a
borbottare “... che strano, però. Davvero molto,
molto strano.”
“Mi
scusi signore, ma che cosa c’è di
strano?”
Olivander lo
fissò da dietro la nebbia dei suoi occhi.
“Ricordo
una per una tutte le bacchette che ho venduto,
signor Potter. Una per una. Si dà il caso che la fenice
dalla cui coda proviene
la piuma della sua bacchetta abbia prodotto un’altra piuma,
una sola. È veramente molto
strano che lei sia destinato a questa
bacchetta, visto che la sua gemella… si, la sua gemella le
ha procurato quella
ferita.”
Harry lo
fissò sconcertato, trattenendo il fiato.
“Si…
credo che dobbiamo aspettarci grandi cose, signor Potter…
Dopo tutto, Colui-Che-Non-”
“Basta
così!” il severo ordine di Piton ruppe la
misteriosa
atmosfera venutasi a creare nella stanza, ed Harry riprese a respirare.
“Il
Signor Potter pagherà la sua bacchetta, e poi ce ne
andremo.” chiarì, guardando
Harry.
Mille domande
attraversarono la mente di Harry in quel
momento: I suoi genitori erano morti per colpa di un mago? chi era?
cosa
centrava la bacchetta? chi era Colui-Che-Non? e perché, a
dire di Olivander,
tutti lo conoscevano?
Decise di
aspettare la cena di quella
sera per pretendere risposte dalla sua guida. Pagò
Olivander, e si diresse con
Piton al Pub.
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