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Autore: Spinda    27/08/2011    0 recensioni
Questa storia è ambientata nel mondo di Sonic the Hedgehog (anche se questo non comparirà mai dato che ci sono quasi esclusivamente personaggi originali). Narra l'avventura di Erskine Der Stahl, il fratello gemello di Spinda, che parte per un viaggio di studio assieme ad un gruppo di geologi per studiare i Chaos Emerald. Sa che si tratterà di un duro lavoro, ma ancora non sa che cosa lo aspetta...
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’Amabane Canyon era una vasta, immensa gola che circondava quasi del tutto l’omonimo paese. Creato dalla lunga erosione dei vari strati e sedimenti di rocce scarlatte da parte di fiumi e falde acquifere, si trovava accanto alle Red Mountain e rappresentava un paesaggio mozzafiato per chiunque lo ammirasse. Vi si potevano trovare numerose specie viventi, sia per quanto riguardava la flora, sia fauna. Nella prima dominavano i grandi uccelli migratori ed i condor, seguiti da numerosi tipi di rettili ed insetti, tra cui molte farfalle; la seconda era caratterizzata dalla presenza di cactus e licheni, ai quali si aggiungevano sprazzi di erba secca. Il clima presentava ampi sbalzi nella parte desertica del canyon: un caldo infernale durante la mattina e buona parte della giornata ed un freddo polare per tutta la notte.
Il canyon era comunque una nota meta turistica per gli abitanti di Mazuri e costituiva una delle maggiori entrate economiche di Amabane Town, che aveva fatto costruire diversi ostelli e punti di ristoro lungo la strada per la gente che lo visitava. Fu in uno di questi che il gruppo di ricercatori decise di fermarsi per un po’di tempo. Stavano viaggiando ormai da almeno un paio d’ore e avevano bisogno di rifornire il loro camper di carburante e di provviste, oltre che fare una pausa per i loro bisogni e per sgranchirsi le gambe.
Il primo ad uscire fu Hunter, seguito a ruota da Aoi.
« Ahh, questa sosta ci voleva proprio! Sono tutto arrugginito! » esclamò la lince, facendo un poco di stretching con le gambe robotizzate e stiracchiandosi le braccia.
« Concordo pienamente! E poi c’è un bel sole oggi, meglio goderselo per un po’dato che ne abbiamo l’opportunità! » gli fece eco la lepre azzurra, piegandosi in avanti e facendo scricchiolare alcune vertebre lombari. Inspirò profondamente e si guardò attorno: quel giorno il cielo era serenissimo, non c’era una singola nuvola in giro. Il rosso canyon si stagliava attorno a loro per chilometri e chilometri, persino oltre l’orizzonte. Era una fortuna che fosse stata asfaltata almeno quella grande strada, altrimenti il tempo che avrebbero dovuto impiegare per arrivare alla loro prossima meta sarebbe stato molto di più. Per ultimi scesero Brake ed Erskine. Quest’ultimo era mezzo intontito e stanco a causa del tragitto. Aveva avuto un episodio di mal d’auto durante il tragitto, quindi erano stati costretti a fermarsi per un attimo. Il fatto di mettere piede a terra dopo tutto quel tempo passato a resistere ai numerosi conati e alle rapide curve costituì per lui un gradevole toccasana. Rimase appoggiato alla parete della roulotte per qualche istante, non curandosi del calore ustionante che emanava dopo tutto quel tempo sotto il sole cocente: lui era un Der Stahl dopotutto, grazie al sangue che aveva ereditato dai suoi antenati non poteva scottarsi con i metalli ardenti. Ciò che per gli altri era ustionante, per lui era poco più di un piacevole calore. Respirò avidamente l’aria fresca del canyon. Quella del loro furgoncino, nonostante avessero tenuto i finestrini abbassati, era piuttosto viziata e pesante, abbastanza da farlo star male.
« Erskine, ti senti meglio ora? » gli si rivolse la premurosa Aoi con un tono di voce preoccupato, avvicinandosi. In realtà non si era ancora ripreso del tutto, però il ragazzo non voleva costituire un problema per lei e gli altri e le mentì.
« Sì, ora va decisamente meglio. Mi sento bene. »
« Ne sei assolutamente sicuro? Sei ancora pallido… »
« Tranquilla, è tutto a posto! » le sorrise.
L’espressione gentile dell’echidna bastò ad Aoi, che non insistette ulteriormente e lo ricambiò a sua volta con un sorriso mite.
« Ehi! Avete finito di farvi gli occhi dolci? » esclamò Hunter, attirando così la loro attenzione. Erskine e la lepre azzurra arrossirono violentemente, quindi corsero subito da loro.
« Non ci stavamo facendo gli occhi dolci! Gli ho solo chiesto come stava! Se non ricordi male, prima non si è sentito tanto bene! » puntualizzò la ragazza, stringendo i pugni e diventando ancora più rossa.
« Sì certo, come no… » disse la lince incrociando le braccia dietro la nuca. Aoi decise di lasciarlo perdere, quando si metteva in testa qualcosa era inutile fargli cambiare idea. Per il resto della giornata l’avrebbe presa in giro, forse il successivo se ne sarebbe dimenticato e l’avrebbe lasciata in pace.
Erskine era rimasto ad osservare la scenetta e l’aveva ritenuta interessante e divertente, tanto che si lasciò sfuggire un risolino. Le ricordava quelle che viveva spesso assieme alla sorella, perciò si identificò tra i due che discutevano animatamente ed ebbe un momento di nostalgia. Era partito relativamente da poco e già gli mancavano molto la sua famiglia, i suoi amici ed il suo paese. Aveva sempre vissuto lì e non era mai uscito da esso se non in rarissime occasioni, era il suo primo viaggio al di fuori del luogo in cui era nato e cresciuto. Per lui era un’esperienza totalmente nuova, sotto ogni punto di vista. Provava un misto di paura ed eccitazione febbrile, come un bambino che cominciava a scoprire il mondo intorno. Avrebbe voluto che anche Spinda fosse venuta assieme a lui, non perché non volesse trascorrere quel periodo con i suoi nuovi compagni, ma perché avrebbe voluto avere vicino qualcuno che conosceva bene, con cui condividere le emozioni e le esperienze che tutto ciò gli stava offrendo.
I due nel frattempo avevano smesso di bisticciare, ed Aoi aveva consegnato ad Hunter quella che sembrava una lista della spesa.
« … E qui c’è scritto tutto quello di cui abbiamo bisogno. Vedi di non scordartela da qualche parte, perché non ho la benché minima intenzione di preparartene un’altra! » gli intimò « Brake andrà a fare il pieno alla stazione di servizio in fondo al parcheggio, mentre io tornerò subito… »
« Perché? Dove devi andare? » gli chiese curioso Hunter.
« Sono cose mie. »
« In che senso “sono cose tue”? Se dopo non ti troviamo più dove possiamo cercarti? »
« Uffa! I-In bagno… » sussurrò piano « Non ce la faccio più! »
Detto questo scappò via in direzione del punto di ristoro. Brake alzò le spalle, salì sul camper ed accese il motore. Tutti quanti avevano più o meno qualcosa da fare, mentre Erskine era l’unico disoccupato.
« E io invece? » fece ad Hunter, che in quel momento era intento a studiare la lista e a controllare quanti soldi avesse nel portafogli. Distolse per un secondo l’attenzione dal foglietto di carta e fece cenno all’echidna di seguirlo, quindi si incamminò verso il negozio del punto di ristorazione.
« Se non hai niente di meglio da combinare, puoi sempre venire con me a fare la spesa! Possiamo dividerla a metà, così facciamo prima. »
« Uh, d’accordo… » disse con tono neutro. L’idea di fare compere non lo allettava più di tanto, abituato com’era ai giri a vuoto con sua madre al supermercato, ma era sempre meglio di restare sotto il sole a girarsi i pollici e ad annoiarsi a morte. Entrarono dalla parte opposta rispetto a quella dove si era diretta la lepre.
Furono investiti da un’ondata di aria fredda che proveniva dai condizionatori a parete. Una commessa li accolse con un grande sorriso stampato sulla faccia, per poi assumere nuovamente un’espressione svogliata quando passarono oltre. Erskine se ne accorse, e pensò che fosse dura lavorare in un negozio dove passavano solo turisti invadenti e maleducati con i loro marmocchi urlanti. Era pieno zeppo di alti scaffali, dove merci di vario genere venivano ammassate e davano l’impressione di dover cascare giù da un momento all’altro. Una musica rilassante veniva diffusa da alcuni altoparlanti sparsi per il locale. Il fortissimo odore di detergente al limone invase le loro narici, ed entrambi fecero una smorfia dal ribrezzo. Quel giorno vi era una gran folla, lo si poteva notare benissimo dall’interminabile coda che si era formata al grande bancone del bar: vari operatori si affrettavano a servire i loro affamati clienti con dolci, bibite, panini caldi o patatine fritte, mentre alcuni bambini schiamazzavano e correvano da una parte all’altra con i loro nuovi giocattoli in mano. Uno di loro andò a sbattere contro l’echidna ma, invece di chiedere scusa, gli fece la linguaccia e tornò a giocare con i suoi numerosi amichetti.
Hunter si girò verso di lui e, dopo aver strappato precisamente in due il foglio, gliene porse una metà.
« Ecco qua. Tu ti occuperai degli snack e delle bevande, mentre io andrò a prendere la carne e le verdure. Se hai bisogno di una mano, mi trovi qui in giro. » spiegò, e fece per allontanarsi. Prima che l’echidna potesse cominciare la sua ricerca Hunter si fermò, si girò verso di lui ed aggiunse « Naturalmente puoi anche comprare qualcosa per te! »
Fece l’occhiolino al giovane e ritornò sui suoi passi.
Erskine scosse la testa e lesse il primo nome che compariva sulla lista: “patatine alla paprika”. Fece una piccola smorfia. A lui non piaceva più di tanto il cibo piccante, gli lasciava sempre una brutta sensazione bruciante in bocca. L’unica che riusciva a ingurgitare tutto quel cibo speziato senza subire qualche strano effetto collaterale era la sorella, che non solo lo gradiva, anzi, ci viveva. Scommetto che le patatine alla paprika sono per Hunter,immaginò lui.
Prese uno dei cestini di plastica rigida che erano impilati accanto all’ingresso e cercò con lo sguardo un cartello che indicasse su quale scaffale si trovavano i vari snack, ma senza successo. Tentò allora di chiedere informazioni a una commessa del negozio, che era intenta a disporre la merce appena arrivata nei loro rispettivi posti.
« Mi scusi signorina » fece Erskine con voce calma ed educata « Potrebbe dirmi per piacere dove posso trovare le patatine? »
La giovane donna fece finta di non averlo sentito e continuò a svolgere le sue mansioni e a dargli le spalle. Il ragazzo non si perse d’animo e si schiarì nuovamente la voce.
« Ehm… signorina? Può aiutarmi un momento? »
Finalmente la ragazza si fermò e si girò verso di lui, squadrandolo da capo a piedi. Era decisamente poco intenzionata a staccarsi per l’ennesima volta dal suo lavoro e andare a indicare anche a questo cliente dove si trovava ciò che stava cercando. Tutto ciò che voleva era finire in fretta quello che stava facendo, per poter tornare poi a casa il prima possibile. Gli rispose seccata, inarcando le sopracciglia  « Ragazzino, non vedi che adesso sono piuttosto occupata? Sono già presa dal mio lavoro, vai a disturbare qualcun altro. » Scaricò in questo modo l’echidna, che ci rimase un po’male, e se ne andò a sistemare i prodotti rimanenti in un altro reparto del negozio.
« Allora è proprio vero che il lavoro certe volte rende parecchio nervosi… » borbottò Erskine tra sé e sé. Se gli stessi addetto al negozio non lo volevano aiutare, si sarebbe come sempre arrangiato. Cominciò a passare con lo sguardo tutte le mensole, una dopo l’altra, fino a quando non fu in grado di trovare il tanto agognato sacchetto di plastica. Passò al termine successivo sulla lista: “tè verde al limone”.
« E questa roba da dove salta fuori? » ridacchiò l’echidna per poi ritornare tranquilla. Conosceva abbastanza bene i vari tipi di tè che venivano venduti: al limone, alla pesca, verde, nero… ma non gli era mai capitato di sentir parlare di tè verde aromatizzato al limone. Stavolta non avrebbe avuto grossi problemi. Aveva già adocchiato nel momento in cui erano entrati il banco frigo con tutte le bevande, e lui era certo che l’avrebbe trovato da qualche parte, nascosto fra le tante bibite gassate. A grandi falcate si diresse verso il banco delle bevande e scorse l’ultima bottiglia del famigerato tè. Stava quasi per afferrarla, aveva appena sfiorato il collo della bottiglia di plastica quando un bambino dispettoso gli passò davanti e la agguantò prima di lui. L’evento lasciò di stucco Erskine per un nanosecondo, però non perse tempo e chiamò il ragazzino.
« Aspetta un secondo! » esclamò con una mano sul fianco e l’altra che indicava la bibita « L’avevo vista prima io e la stavo prendendo. Non mi sembra così corretto da parte tua infilarti all’improvviso e strapparmela quasi di mano! »
« E chi se ne importa! » replicò in malo modo il moccioso, che stava per correre verso la cassa. L’echidna lo agguantò tempestivamente per il cappuccio della sua tuta e continuò a fargli la predica « Invece dovrebbe importarti eccome. Se io l’avessi fatto a te, come ti saresti sentito? E come ti saresti comportato? »
In tutta risposta, il bimbetto si mise a strillare e a piangere per tutto il punto vendita, attirando l’attenzione e gli sguardi della gente e costringendo Erskine a mollare la presa e ad arretrare di qualche passo. Il ragazzino, con il moccio al naso e le lacrime da coccodrillo, lo indicò con le sue dita paffute e singhiozzò « Bu-huhh! Questo signore è cattivo! V-Voleva… sniff… portarmi via questo! » e mostrò ad alcuni passanti la bottiglia del tè. Non appena alcuni cominciarono a scuotere la testa e a osservarlo con occhi torvi, l’echidna arrossì violentemente e balbettò qualche scusa per difendersi dalle false accuse. Anche se erano pronunciate sottovoce, fu benissimo in grado di udire le maldicenze delle persone.
« Cercare di rubare qualcosa a un bambino… »
« Ah, i giovani di oggi! Sono diventati tutti un branco di teppistelli! »
« Se fossi sua madre, gli darei un bel ceffone di quelli… »
« Dovrebbero dargli una lezione… Possibile che i suoi genitori non abbiano nulla da dirgli? »
Incapace di spiegare come stavano in realtà le cose, mormorò qualcosa come « Dannato marmocchio » e prese una bevanda gassata a caso, lasciò cadere la bottiglia nel cesto assieme alle patatine e si allontanò da quel punto del negozio. Era una di quelle situazioni in cui Erskine si sarebbe messo a ridere per non piangere. Non solo non era riuscito a riprendersi ciò che gli spettava di diritto, ma invece di essere visto come la vittima era passato per il ladro. Come se fosse stato plausibile, in un posto pieno zeppo di gente e di telecamere a circuito chiuso.
Cercò di scacciare quei brutti pensieri e lesse un nome a caso sulla lista per distrarsi: “Caramelle gommose”, seguito immediatamente da “Mentine”, “Marshmallow” e “Liquirizie ripiene”. Evitando di fare commenti su tutto quel cibo spazzatura che mangiavano i suoi compagni di viaggio, andò verso uno scaffale pieno di sacchetti colorati e profumati. Vi erano impilati vari pacchetti di dolciumi dal profumo stucchevole e parecchie scatole di cibo spazzatura. Senza farsi troppi problemi ne afferrò alcuni a caso e li ficcò nel cestello della spesa.
Fortunatamente la lista era finita, perciò appallottolò il foglietto di carta e lo gettò nel primo cestino della spazzatura che riuscì a beccare. Aveva già collezionato abbastanza seccature per quella mattina, quindi decise di passare qualche minuto all’angolo dei cd musicali per rilassarsi un poco. Vide che si trovava lì anche il piccoletto pestifero di prima che, quando lo scorse, gli fece alcune boccacce e scappò via. L’echidna non se ne curò e pescò dal ripiano di musica rock un disco dalla copertina interessante. Lo inserì nel lettore musicale lì vicino, si mise le cuffie, chiuse gli occhi e si appoggiò alla parete. Non si era accorto purtroppo che qualcuno aveva lasciato il volume al massimo in un attimo di dimenticanza, perciò Erskine spalancò gli occhi di colpo e soffocò a malapena un gemito di dolore quando un virtuosismo di chitarre elettriche e batteria gli sfondarono ritmicamente i timpani. Trattenne a stento un’imprecazione, si liberò con un abile gesto dei malefici auricolari e li lanciò verso il lettore cd. A causa dello spavento il cuore gli era finito in gola e il suo respiro era diventato rapido ed irregolare. Quel duro colpo per le sue orecchie fu la goccia che fece traboccare il vaso. Non ne poté più di restare in quel negozio, ormai era stufo marcio. Prese nuovamente il cesto della spesa ed andò in direzione della cassa, tirò fuori dal portafogli i soldi per pagare ed uscì all’aria aperta. Non aveva neppure prestato ascolto al suggerimento di Hunter, quello ovvero di comprare qualcosa anche per se stesso. Tutto quello che desiderava in quel momento era rimettersi in marcia insieme agli altri ed andarsene da quel posto.
Fece qualche passo per allontanarsi dal punto di ristoro, quando cominciò a sentirsi vagamente strano e fu costretto a fermarsi. I suoi piedi si erano tramutati in pesanti macigni, mentre le dita delle mani iniziarono a intorpidirsi e a perdere forza. Avvertì di sorpresa la differenza di temperatura tra la frescura del negozio ed il caldo soffocante del canyon: era uscito immediatamente da quel punto vendita, senza tener conto delle alte temperature all’esterno. Goccioline di sudore freddo cominciarono a scorrergli lungo la schiena ed il viso, che aveva perso il suo colorito roseo ed era diventata piuttosto pallido. Fece appello a tutte le sue forze per permettergli di raggiungere il camper, ma le sue gambe erano alquanto malferme. Fu preso da un forte senso di nausea, quindi con grande sforzo barcollò nuovamente verso l’edificio e si accasciò ai piedi una colonna che si trovava nei paraggi. Gli scivolò via dalla mano la borsa della spesa.
La testa… Mi gira… la testa… Devo cer… care aiuto… ripeté nella sua mente un campanello d’allarme.Provò a chiamare qualcuno, ma tutto ciò che riuscì ad emettere fu un flebile singulto. Il suo respiro si fece più rapido, affannoso e profondo: possibile che nessuno si fosse accorto di lui? Nessuno aveva visto che si sentiva male? Lo pervasero le vertigini ed il panico. Il cuore gli batteva a mille, come per spingerlo a trovare qualcuno o qualcosa che lo aiutasse.
« Aiuto… » sussurrò, mentre le palpebre gli si fecero sempre più pesanti e la sua vista sempre più offuscata.
Devo restare sveglio pensò, nonostante il suo corpo reagiva esattamente nella maniera opposta, Devo assolutamente… restare… sveglio…
Sentì un rumore di passi. Si bloccarono per un secondo, poi si fecero più forti e rapidi. Qualcuno stava correndo verso di lui. Gli occhi di Erskine erano ormai deboli e non poté riconoscere la figura che gli stava prestando soccorso. Non aveva più forza nei muscoli. Boccheggiò qualcosa, senza far uscire alcun suono dalla sua bocca. Persino l’aria era diventata pesante e difficile da respirare per l’echidna. L’unico senso che non era ancora del tutto scomparso, che lo teneva ancora attaccato alla realtà era l’udito. Il suo soccorritore gli stava parlando, si trattava di una voce maschile, ma lui non era altrettanto in grado di rispondergli. Gradualmente, un basso ronzio invase le sue orecchie per poi divenire sempre più forte. Sentì ancora la voce maschile di prima, che purtroppo non era in grado di sovrastare quello strano suono. La figura gli pose una mano sulla fronte: era calda e gli dava un senso di sicurezza.
Chi sei? Aiutami! avrebbe voluto implorarlo. Lo chiamò di nuovo ed Erskine si sforzò di articolare almeno qualche parola. Neppure stavolta riuscì a dire qualcosa, neppure a emettere un gemito. L’uomo scosse la testa e lo prese in braccio. Poco dopo i sensi abbandonarono definitivamente Erskine. Allungò verso di lui la mano, che cadde e rimase inerte a ciondolare. I suoi occhi si chiusero a poco a poco e scivolò nel buio.
 
Dapprima il nulla.
Poi, l’armonioso respiro del vento.
Il dolce suono del mare.
L’infrangersi delle onde sugli scogli.
Il calore dell’acqua marina.
Io respiro.
Erskine riaprì lentamente gli occhi, accecato dalla bianca luce che proveniva dall’altro. Li coprì con un braccio in modo da non venire abbagliato, finché non si abituò.
Io respiro.
Sentì che le forze gli stavano tornando, nelle mani e nelle gambe. Il suo corpo veniva dolcemente cullato dalla tiepida acqua del mare. Si accorse che stava fluttuando su un vasto oceano, del quale non riusciva a scorgere la fine. Non avvertiva alcun rumore in quel luogo ultraterreno, solamente l’acqua e la brezza marina. Sono… Sono a casa? Come ci sono arrivato qui? si chiese l’echidna titubante. L’unico mare che conosceva era quello del suo paese natale e nessun altro, però non era sterminato e scintillante quanto questo. Fece un profondo respiro e si immerse negli abissi per esplorarlo. Per quanto fosse splendente, la luce non riusciva ad illuminare le profondità di quell’oceano. Sentiva che la corrente faceva resistenza, lo spingeva verso la superficie, ma lui cercò comunque di arrivare fino al fondale. Sapeva che non avrebbe potuto contrastare la grande potenza del mare che, dopo poco tempo, lo costrinse a riemergere.
Erskine prese un’enorme boccata d’aria. Era rimasto in apnea per alcuni secondi, però a lui sembrava di essere stato sott’acqua per un’eternità. Si guardò nuovamente attorno. Per quanto fosse rasserenante quel luogo, sapeva di non poter restare per sempre immerso nell’acqua. Decise che era meglio trovare al più presto una spiaggia. Cominciò a fare delle grandi bracciate verso l’orizzonte, dove gli era parso di scorgere una linea dorata. Il punto che voleva raggiungere era parecchio distante, però era l’unico dove poteva sperare di trovare la terraferma. Nuotò senza sosta per un tempo che gli era parso interminabile. Arrivò finalmente al bagnasciuga, dove prese fiato e restò disteso per alcuni minuti. Allargò le braccia e si mise ad ammirare il cielo. Era di un azzurro incredibile, non l’aveva mai visto così intenso prima di allora. Nessuna nuvola, per quanto candida e piccola, osava macchiare quella volta celeste. Girò il capo da un lato e fece scorrere tra le dita un po’di sabbia. Era molto fine e chiara, tanto che a tratti i suoi granelli brillavano quanto microscopiche pietre preziose.
Non può essere reale tutto questo,disse a se stesso, Deve essere per forza un sogno. Mi devo svegliare, in un modo o nell’altro…
Si strofinò gli occhi, che gli mostrarono comunque il medesimo paesaggio marino. Provò allora con un pizzicotto alla spalla che, oltre al breve istante di dolore, non gli fece vivere una realtà diversa da quella. Come era finito in quel luogo? Di certo non ci era arrivato da solo. Si era svegliato e si era trovato nel bel mezzo di un oceano. Forse era la vittima di un naufragio, l’unico superstite di qualche nave affondata? Molto probabilmente no. Qualcuno l’aveva lasciato lì senza che se ne accorgesse? Neppure quell’opzione era plausibile. Eppure, il ragazzo aveva il presentimento di essersi scordato di qualcosa di importante, di fondamentale…
Non riuscendo a districare i suoi pensieri, si tirò nuovamente in piedi. In quel momento, era necessario incontrare qualcuno che lo aiutasse a capire dove fosse finito. Doveva cercare aiuto…
La parola “aiuto” fece venire una fitta ad Erskine, che mise la testa fra le mani e barcollò per un attimo. Ora ricordo… Anche prima stavo cercando aiuto. Ma per quale motivo? gli tornò in mente. Ancora più motivato a scoprire cosa gli fosse accaduto, iniziò a camminare lungo la spiaggia. Ogni tanto lanciava qualche occhiata nei dintorni, sperando di scorgere qualcos’altro oltre a lui.
Ebbe per un attimo l’impressione che qualcuno dietro di lui lo stesse seguendo. Si voltò di scatto stringendo i pugni, ma non vi era nulla al di fuori di un’interminabile distesa azzurra dall’odore salmastro. Scosse la testa, credendo fosse solamente una sua impressione. Passare tutto quel tempo da solo avrebbe reso paranoico chiunque. Continuò a camminare, restando però più guardingo. Ancora una volta si presentò la sensazione di essere osservato da qualcuno. Resistette alla tentazione di girarsi di nuovo e proseguì. L’unico rumore che udiva era quello delle sue scarpe che calpestavano a passo svelto la sabbia, ma ciò non lo rendeva affatto tranquillo; inoltre gli sembrava di non essersi allontanato più di tanto dalla riva, di camminare sul posto. Tutto il paesaggio rimaneva apparentemente immutato: di fronte a lui una spiaggia immensa e dietro il mare. Forse anche quello era un suo presentimento, però non ne aveva la certezza.
« C’è nessuno qui?! » urlò speranzoso. Nessuna risposta.
« Ehi! C’è qualcuno?! » chiamò nuovamente, sempre con lo stesso risultato.
Diventò piuttosto nervoso. Non sapere che luogo fosse quello e come lo avesse raggiunto gli davano una sensazione di impotenza. Quello che lo rendeva ancora più insicuro, però, era l’incertezza di essere solo.
Il vento cominciò a soffiare sempre più forte. Se qualcuno si fosse deciso a rispondergli, non lo avrebbe di certo udito. La paura di dover restare per sempre in quel posto si impossessò delle sue emozioni. Non c’era veramente nessuno lì?
« Sono davvero… rimasto… solo? » mormorò. Dal tono con cui l’aveva formulata, sembrava più una domanda che aveva posto a se stesso che a qualcuno nelle immediate vicinanze. Si guardò un’ultima volta attorno, inspirò profondamente e gridò con tutto il fiato che aveva nei polmoni.
« Qualcuno si degna allora di rispondermi?! Non posso essere finito qui come niente! Ci deve essere una spiegazione, diamine! C’è nessuno in questo cavolo di posto? Eh?! »
Restò per diversi secondi in attesa di un segno. Il vento nel frattempo si era alzato ancora di più e, sollevando migliaia e migliaia di granelli di sabbia, impedì a Erskine di vedere bene tutto ciò che lo circondava. Stava per perdere ogni speranza, quando un suono particolare attirò la sua attenzione.
« Chi… Chi c’è? » fece con voce carica di tensione « Fatti vedere! »
Si mosse in direzione della fonte di quel rumore. Questa volta udì distintamente una risata cristallina, che doveva appartenere ad una ragazza. Rincuorato e allo stesso tempo inquieto, non smise di avanzare. Fu costretto a socchiudere spesso le palpebre a causa della sabbia che gli finiva negli occhi e a coprirsi la faccia con un braccio, ma riuscì a scorgere la sagoma di qualcuno non tanto distante da lui. Questa si girò verso l’echidna, rise di nuovo e cominciò a correre lontano. Erskine la imitò, deciso più che mai a capire chi fosse.
« Forse sa che cosa sia accaduto qui! » ripeté a se stesso. Accelerò il passo, intimando alla fanciulla misteriosa di fermarsi. Per colpa della sabbia non era in grado di capire dove stesse andando, mentre la ragazza ogni tanto rallentava per accertarsi che la stesse seguendo, ridacchiava e riprendeva la sua corsa tranquillamente.
Dopo un po’di tempo il vento si acquietò, e fu allora che ad Erskine prese un colpo quando vide nitidamente per intero la figura femminile. Essa apparteneva ad una persona che lui conosceva meglio di chiunque altro. La riconobbe senza ombra di dubbio.
« Spinda? Che cosa ci fai qui? » chiese incredulo il fratello. Gli era già parso assurdo il luogo in cui era capitato, figuriamoci trovarci la sorella gemella. La ragazza non rispose alla sua domanda, rimase ferma sul posto a studiare le sue mosse. Non appariva affatto contenta di vederlo.
« Non mi riconosci? Sono tuo fratello, Erskine! »
Il giovane le si avvicinò lentamente, per paura che potesse correre via di nuovo. Spinda arretrò di qualche passo, sembrava incerta sul da farsi. Ai suoi occhi Erskine appariva come un perfetto estraneo. Il comportamento della sorella lo lasciò di stucco: se fosse stata veramente lei, gli sarebbe saltata al collo senza pensarci due volte e l’avrebbe soffocato con i suoi abbracci. Oppure l’avrebbe preso a pugni, come era solita fare quando era arrabbiata. Ma la figura che si stagliava innanzi a lui era completamente diversa. I suoi occhi erano freddi e sospettosi, ogni muscolo del suo corpo era teso e pronto a reagire. Il suo viso non lasciava trapelare alcuna emozione, né la felicità né la rabbia.
« Non… Tu non sei Spinda, vero? » domandò Erskine un’ultima volta, sempre più convinto che la fanciulla di fronte a lui fosse solamente un’illusione. Era davvero frutto della sua immaginazione? Gli sembrava tutto così strano. Ogni singolo lembo di pelle di quella figura era non simile, uguale a quello di Spinda: i suoi grandi occhi verdi, i suoi ciuffi color magenta, persino le vecchie cicatrici che nascondeva a malapena sotto i guanti. I suoi occhi gridavano che quella che aveva davanti era sua sorella, eppure la sua mente non voleva cedere a quel miraggio. Si fissarono per qualche secondo, poi Erskine non fu più in grado di capire a cosa dare retta e fece per afferrarle in braccio.
Cric.
Il rumore di una piccola crepa lo bloccò all’istante. Ebbe uno strano presentimento e si mise in ascolto: non udì alcun suono. Dato che si trattava di un luogo solitario sarebbe parso normale… però non vi era più il vento che soffiava, e neppure le onde del mare che si infrangevano sulla costa. Anche la sagoma di Spinda e gli sbuffi di sabbia si erano fermati. Ogni cosa aveva cessato di muoversi, come in attesa di qualcosa di imminente ed estremamente potente. Qualcosa come un pericolo.
Udì ancora una volta il rumore di qualcosa che si stava rompendo a poco a poco, e rimase alquanto sorpreso quando il frammento di qualcosa gli cadde sulla scarpa. Erskine si piegò e lo raccolse: era un minuscolo, delicato pezzetto di vetro. Ben presto altre schegge di cristallo cominciarono a piovere dal cielo, perciò Erskine cercò di ripararsi da esse come meglio poteva. Si ritrovò a fissare il pavimento per tentare di proteggere gli occhi, e vide che persino quello stava iniziando a sgretolarsi in mille crepe come uno specchio. Tutto quanto stava cadendo a pezzi a causa di una forza misteriosa. Erskine restò a fissare impotente lo spettacolo, fino a quando il terreno cedette sotto i suoi piedi. Sotto di lui si era aperta una enorme voragine oscura, della quale non riusciva a vedere il fondo. Doveva agire, e alla svelta. Si aggrappò come meglio poté ai pochi lembi di vetro rimasti intatti, che purtroppo erano taglienti come rasoi. Un dolore lancinante alla mano destra e alcune gocce di sangue gli fecero comprendere che si era ferito nel tentativo di salvarsi. Chiuse gli occhi per evitare di venire investito da una copiosa pioggia di vetri. Con un grandissimo sforzo, fece per issarsi e riuscì a far sporgere un gomito oltre il bordo scivoloso. Guardò con occhi supplichevoli quella che fino a poco tempo prima aveva scambiato per la sorella, che continuava a fissarlo con uno sguardo sprezzante e spietato.
« Ti prego, aiutami! » la implorò, mentre la sua presa si faceva sempre più debole « Non ce la faccio, dammi la mano! »
I suoi occhi si riempirono di orrore quando vide che persino la falsa Spinda presentava delle crepe su tutto il corpo. « Non può essere… Perfino tu sei… » non fece in tempo a completare la frase che uno dei vetri a cui si era aggrappato saldamente si ruppe in mille pezzi. Ormai gli era rimasto un unico appiglio, che stava già mostrando segni di cedimento. La ragazza mutò espressione e si chinò sopra di lui, osservandolo con sguardo compassionevole. Stava per dire qualcosa, però anche l’ultimo sostegno si distrusse ed Erskine cadde nel vuoto. Gli sembrava che tutto stesse accadendo al rallentatore, precipitava alla stessa velocità di quella miriade di frammenti di vetro. Conscio del suo destino, chiuse gli occhi e si preparò al peggio. Gli parve però di sentire in lontananza la voce della ragazza.
« Addio. »
 
Erskine si svegliò con un fortissimo mal di testa. Era disteso a terra, ricoperto da migliaia e migliaia di pezzetti di vetro. Sbatté più volte le palpebre fino a quando non fu in grado di mettere a fuoco la sua mano, che era sporca di sangue. Fece per rialzarsi, però la schiena e le gambe si rifiutarono di obbedirgli dal dolore. Il suo tentativo fallì miseramente, e lui ricadde a terra. Sbuffò e chiamò a raccolta tutti i rimasugli di energia che gli erano rimasti in corpo. A fatica riuscì a mettersi in ginocchio, sostenendosi con le braccia malconce e tremanti. Sfruttando la sua nuova posizione si mise a studiare l’ambiente circostante: rimase quasi turbato quando si accorse che tutto quello che si trovava attorno a lui era il nulla totale.
Almeno prima c’era qualcosa… pensò vagamente amareggiato. Desideroso di rimettersi in piedi, strinse i denti e si sforzò di tirarsi in piedi. Barcollò pericolosamente e rischiò di cadere all’indietro un paio di volte, ma in qualche modo mantenne l’equilibrio. Anche in quel luogo la luce era molto intensa, perciò coprì i suoi occhi con un braccio finché non si abituò. Si tolse dalle braccia e dai ciuffi i frammenti di vetro che non erano scivolati via prima. Provò a muovere qualche passo in avanti, però senza concreti risultati. Era troppo debole per riuscire a muoversi senza problemi, l’impatto con il terreno lo aveva sistemato per bene. Si sentiva stanco, affaticato, avrebbe voluto mettersi a dormire e dimenticarsi tutto quello che era successo. Quanto tempo era passato dalla sua caduta? Minuti? Ore? Si sedette a terra e si mise a riflettere.
« Ricapitoliamo… Prima sono finito nel bel mezzo di un oceano. Sono capitato poi in una spiaggia e ho incontrato Spinda… O almeno, credevo che lo fosse. Dopo è tutto crollato all’improvviso… e mi sono ritrovato in questo posto. Non può affatto essere reale, deve trattarsi di un sogno, per forza! Ma non riesco a svegliarmi… » disse tra sé e sé. Non riusciva a trovare alcuna spiegazione altrettanto valida e logica per tutto questo. Si grattò la nuca, insicuro e nervoso. Se soltanto avesse avuto un punto di riferimento, in quello spazio infinito e sinistro…
« Suppongo che tu sia in difficoltà. Non è forse così? Se vuoi posso aiutarti di nuovo… » lo sorprese una voce maschile e inquietante alle sue spalle. Erskine trasalì e si voltò rapidamente, ma non si stupì più di tanto quando non scorse nessuno: aveva già partecipato poco prima a quel gioco del gatto col topo e a nascondino, e ormai stava perdendo la pazienza. Scelse di ignorare quello che aveva appena sentito e rimase immerso nei suoi pensieri.
« Vigliacco che non sei altro! » ruggì una seconda voce, questa volta appartenente a una donna « Stai forse fingendo di non accorgerti di noi, dopo tutto quello che hai fatto?! »
L’echidna si alzò ancora una volta con difficoltà, colto alla sprovvista dall’insistenza di quelle voci. Non capiva cosa volessero da lui: che cos’aveva combinato? Semmai, era lui quello che aveva bisogno di aiuto!
« Se volete una risposta da me, dovrete prima mostrarvi! Io non parlo con i fantasmi o con i mostri! » esclamò furioso il ragazzo. Era stufo marcio di quei giochetti da spettro, tutto ciò che voleva era un volto reale a cui rivolgersi, non una mera illusione creata dalla sua mente. Si guardò attorno guardingo, pronto a difendersi o a scappare, se necessario.
« Noi non siamo fantasmi e neppure mostri! » protestò un’altra voce dal tono triste « Qui il mostro sei tu! »
L’espressione sul volto di Erskine passò da furibonda a sconcertata. Non capiva di che cosa stessero parlando quegli strani individui. La terza voce continuò singhiozzando il suo discorso « Se… Se non fosse stato per te, a quest’ora Spinda non sarebbe… sigh… »
« Non sarebbe… ? » Erskine la incoraggiò a parlare.
« Morta… Tu l’hai ucciso, assassino che non sei altro! » gridò di colpo, lasciandolo allibito. L’echidna era spaventata da tutto ciò: quando e come avrebbe ucciso sua sorella? I loro ragionamenti erano assurdi, lui non si sarebbe mai azzardato a farle del male! Doveva esserci un grosso errore. Un grossissimo errore.
« Insomma, volete spiegarmi?! » esclamò. Gli tremavano le gambe e sudava freddo e anche la sua voce tradiva la sua paura. « Di che diavolo state parlando, voialtri? Tutto ciò che mi state raccontando è insensato! Volete degnarvi di spiegarmi? E non meno importante… Che cosa è successo a mia sorella?! Cosa le avete fatto?! »
« Tsk… È inutile che ti scaldi così tanto, sai? » gli rispose con calma una voce femminile alle sue spalle. Questa volta non aveva dubbi: c’era qualcuno dietro di lui. Temendo di scoprire chi o cosa fosse non si voltò e, cercando di dissimulare l’ansia, domandò con un tono meno rabbioso « Dimmi… Dimmi chi siete, che cosa volete da me e che razza di posto è mai questo. »
La fanciulla sbuffò seccata « Nel tuo sogno, genio. Dove vorresti essere altrimenti? Prima cadendo devi aver battuto la testa più forte di quanto pensassi, accidenti… »
Un’espressione stranita si dipinse sul volto di Erskine. Come fa a sapere che sono precipitato fin qui? Gli unici presenti eravamo io e…
L’echidna decise finalmente di girarsi e, senza nascondere il suo stupore, disse « Tu sei quella di prima… »
La finta Spinda lo fulminò con lo sguardo. Nonostante avessero il colore degli smeraldi, la luce nei suoi occhi ardeva come un indomabile incendio. « Che… Che cosa sei venuta a fare qui? »
« Sono passata per vedere come stavi. Sai… credevo fossi morto, però a quanto pare mi sbagliavo! »
« Quindi, i vetri di prima… Sei stata tu a distruggerli? »
« Più o meno. Non volevo che ti avvicinassi e mi ferissi di nuovo a quel modo… »
All’altezza dello stomaco della ragazza comparvero i margini di un taglio lungo e profondo, dal quale fluirono rivoli scarlatti dall’odore metallico. « C-Che cosa ti è successo al ventre? »
L’echidna aveva una paura incredibile del sangue. Aveva il terrore di trovarsi di fronte a ferite e lacerazioni sanguinolente, come quella che la ragazza aveva prima nascosto alla sua vista. Lo squarcio profondo che aveva la gemella all’altezza dell’addome gli fece venire una forte nausea incontrollabile. Ebbe un conato di vomito. L’altra non mutò espressione, non mostrò neppure un vago segno di disgusto di fronte alla scena. Al contrario, dichiarò con tono eloquente « Sei spaventato? Turbato? Impressionato? Che strano… Eppure sei stato tu a causarmela! »
Erskine si riprese dopo qualche secondo, si pulì la bocca con il dorso della mano e, ansimante, balbettò « Io? M-Ma come… Che… Che stai dicendo? N-Non ho mai… fatto nulla del genere! »
« Oh, tu dici? Probabilmente hai rimosso quel ricordo dalla tua testolina » sghignazzò la finta Spinda « E se ti rinfrescassi un poco la memoria? Che ne dici? Ci stai, vero? Dopotutto non hai altra scelta! »
Come per magia, il nulla intorno a lui cominciò a girare vorticosamente. Erskine osservò il paesaggio che mutava senza che lui potesse controllarlo. Pur trattandosi di un suo sogno, non aveva alcun potere su di esso. Tasselli metallici si incastrarono sotto i suoi piedi e sopra la sua testa, dando origine ad un pavimento e ad un soffitto lucenti e argentei. Cavi colorati piovvero dal cielo e rimasero a penzoloni, incastrati fra tubi che avevano squarciato quel bianco nulla come un foglio di carta. Si eressero dal suolo mura di metallo, alte lastre di vetro e strani schermi luminosi. Il ragazzo corse verso la finestra per cercare una via d’uscita e batté i pugni. La sua era una mossa stupida e azzardata, lo sapeva benissimo, però non aveva l’intenzione di rimanere in quell’assurdo sogno un minuto di più.
« Quel vetro è infrangibile. Inoltre, anche se riuscissi a romperlo ti ritroveresti a galleggiare nello spazio. » puntualizzò la ragazza. Erskine si rassegnò e rinunciò ad ogni tentativo di fuga. Ormai era in balia di quella echidna misteriosa, perciò se desiderava andarsene da lì doveva darle retta e ascoltare quello che aveva da dire.
« E va bene » sbottò Erskine, ancora scioccato per quello che era appena avvenuto « Che cosa vorresti mostrarmi, allora? »
L’echidna non replicò, limitandosi a indicare un punto nella sala. Erskine si girò in quella direzione. Ciò che vide lo terrorizzò così tanto che cadde sulle ginocchia, tremante. Davanti ai suoi stessi occhi si trovava la vera Spinda, accasciata a terra e in un lago di sangue.
« È soltanto un sogno, un brutto sogno… Un incubo… » continuava a farfugliare il ragazzo per calmarsi, sempre meno convinto a ogni tentativo di ritrovare il sangue freddo « T-Tutto questo non può essere reale! » Invocò disperatamente il nome della sorella più e più volte, con le lacrime agli occhi, ma non ottenne alcuna risposta. Perché gli stava succedendo tutto questo? Perché dovevano torturarlo in questo modo atroce?
Dal suo corpo fuoriuscì all’improvviso un ragazzo etereo, che si avvicinò senza fretta alla fanciulla esanime. Era in tutto e per tutto identico a lui, se non fosse stato per i ciuffi lunghi e scuri e la letale furia assassina che si poteva scorgere nei suoi occhi. Teneva in mano una lama affilata, sporca di sangue. Afferrò Spinda per i capelli e le sussurrò in un orecchio con voce sprezzante « Mi aspettavo di meglio dalla mia sorellina. Eppure dovresti essere più forte di me! Ero sicuro che mi avresti dato del filo da torcere… Un po’di sfida, sai. Volevo divertirmi un poco prima di finirti come si deve, e invece… » mollò la presa e la lasciò ricadere sul pavimento « … Invece non sei degna di essere la discendente di Iron Maiden! Sei solo una stupida ragazzina! »
Queste insinuazioni erano davvero troppo per Erskine. Non solo quel tizio osava infierire sul corpo della sorella inerme, ma la insultava pure! Era un affronto persino per il suo stesso orgoglio. L’avrebbe pagata cara in quell’esatto momento. Caricò un pugno e si lanciò verso il tipo, preparandosi a colpirlo.
« Bastardo che non sei altro! Lasciala stare!!! » gridò infuriato a pochi metri di distanza. L’altro fece un ghigno e si limitò a schivare con disinvoltura il colpo, lasciando che l’echidna inciampasse e rovinasse clamorosamente a terra.
« Pensavi forse di riuscire ad attaccarmi così, alla cieca? Con un pugno così debole? Persino un bebè col ciuccio sarebbe capace di fare di meglio! » lo schernì lo spettro « Ti manca la forza necessaria. Vuoi vendicarla nelle tue condizioni attuali? Ma fammi il piacere! Devi imparare a domare la tua rabbia e la tua forza, a impossessartene e renderle completamente tue. La tua furia deve diventare la tua spada. Le tue paure il tuo nutrimento. La tua sete di vendetta il tuo elisir. E l’oscurità la tua più fedele alleata. Avanti… Mostrami di cosa sei capace! »
Dal pavimento sbucarono catene oscure che lo immobilizzarono. Erskine fu presto sopraffatto da esse, nonostante cercasse in tutti i modi di disfarsene. Era in trappola. Quei vincoli erano soffocanti, esercitavano su di lui lo stesso effetto che il petrolio aveva sulle ali dei poveri uccelli che vi finivano dentro. E ora… Che cosa succederà? si chiese il ragazzo. Come niente fosse, Spinda si rimise in piedi. Con la precisione e la naturalezza di un automa prese in mano la lama appartenente al fantasma, che restò ad osservare compiaciuto la scena. Erskine aveva un brutto presentimento su quello che stava per accadere, deglutì e tentò di divincolarsi. La ragazza lo prese per il mento e, dopo avergli dato un bacio sulla fronte, lo trapassò violentemente con l’arma. L’echidna urlò dal dolore, ansimò e debolmente provò ad estrarla, senza successo.
« Addio, giovane Erskine… e stavolta per davvero. »
 
« Ers… kine… Mi sen… ? »
« Ehi… Apri… occh… »
« Risp… di… Ers… Corag… »
« Cred… che sti… apr… occhi… »
Qualcuno mi… sta chiamando? Erskine aprì piano piano gli occhi. Socchiudendo le palpebre riuscì a distinguere tre sagome che boccheggiavano sopra di lui. Non riusciva a capire cosa stesse succedendo. L’unica cosa che gli fece capire di essere ancora vivo e vegeto era la testa dolorante. A fatica portò la mano alla fronte, come per proteggerla e capire da dove venisse la sua emicrania. Tossì un paio di volte e cercò di muovere le gambe, però sentiva che qualcosa gliele stava bloccando. Guardò meglio e si accorse che una lince dall’aria rincuorata gliele stava tenendo sollevate. Sentiva di poggiare sul morbido, quindi suppose di trovarsi sul sedile di una macchina o su un materasso. Una mano gli accarezzò delicatamente il viso: profumava di buono, quindi Erskine la prese debolmente e la appoggiò alla guancia. Tentò di capire a chi appartenesse, e si accorse che una lepre azzurra stava sorridendo al suo fianco.
« Siamo di costituzione deboluccia, eh? » lo punzecchio una voce maschile alle sue spalle. Non era ancora in grado di voltarsi, quindi il volto di un pipistrello albino fece capolino sopra di lui.
« Che… Che cosa è successo? » domandò con voce flebile.
« Sei svenuto. Ti abbiamo trovato per terra, accanto a una colonna. » gli spiegò brevemente Aoi, aiutandolo a mettersi lentamente a sedere. Grazie alla nuova visuale, Erskine poté studiare meglio il posto in cui si trovava. Riconobbe i sedili color crema, i finestrini e il portellone del camper.
« Torno subito, vado a dire al medico che è tutto a posto adesso. » disse Brake uscendo dal furgoncino e dirigendosi verso un’ambulanza poco lontana. Hunter appoggiò a terra i piedi dell’echidna e continuò il discorso della ragazza.
« Quando non ti ho più visto nel negozio ho creduto che tu fossi tornato qui… Allora sono uscito e ho trovato Brake e Aoi che stavano cercando di soccorrerti! Mi sono spaventato così tanto che per poco non lasciavo cadere a terra le borse della spesa! Aoi ha visto che c’era un’ambulanza parcheggiata lì vicino, perciò è andata a cercare un dottore. Poi ti abbiamo portato qui per vedere se ti riprendevi… Sei rimasto incosciente per dieci minuti buoni, amico! »
La lepre porse un bicchiere d’acqua fresca all’echidna, che ne bevve grandi sorsi. Si sentiva come se non avesse bevuto per un sacco di tempo. « Vai piano a bere » lo rimproverò lei « Non vorrai mica beccarti un’altra sincope! »
Erskine fece un debole sorriso e si grattò il capo. Non ricordava quasi niente di quello che era accaduto dopo essere uscito dal negozio, in compenso gli erano rimasti impressi tutti i macabri particolari dell’incubo che aveva fatto. Una goccia di sudore freddo gli scivolò giù per la schiena, e la sua espressione diventò cupa.
« Ti senti ancora male? » si allarmò la lepre. Temeva che svenisse di nuovo, perciò gli cinse la schiena con un braccio in modo che non cadesse.
« Sto bene, sto bene… È solo che mi pare assurdo quello che è successo! »
« Tranquillo, non sei l’unico » lo rassicurò Hunter « Può capitare a chiunque! »
Brake nel frattempo aveva fatto ritorno. Diede all’echidna una rapida occhiata, quasi superficiale, e disse agli altri « Il dottore ha detto che allora se ne va. Ripartiamo o preferite restare qui ancora un po’? »
« Che ne dici, Erskine? Te la senti o preferisci riposarti prima? » gli domandò Aoi. Tutti quanti si misero a fissarlo in attesa di una risposta.
« Beh, sono rimasto disteso qui tutto il tempo, perciò mi sembra di essermi riposato a sufficienza! » esclamò il ragazzo, che aveva recuperato il suo colorito roseo e sentiva che aveva recuperato buona parte delle sue forze. Soddisfatti e rassicurati dalla sua risposta, misero in marcia il mezzo e se ne andarono dal punto di ristoro, diretti verso le Mystic Ruins.
Il viaggio procedette per un’altra ora e mezza senza intoppi. Erskine non smetteva di pensare all’incubo. Era stato troppo strano e spaventoso per i suoi gusti. Non riusciva a scacciare dalla sua testa le immagini raccapriccianti del corpo di Spinda martoriato e le parole di quello spettro. Più cercava di non pensarci, più quelle diventavano sempre più pressanti ed insistenti. Se tentava di sgombrare la mente, i residui del mal di testa che aveva prima prendevano il sopravvento. Aveva un assoluto bisogno di distrarsi, in un modo o nell’altro. Aoi era seduta nel posto accanto a lui, e stava osservando con aria annoiata il paesaggio. Davanti a loro si stagliavano soltanto la strada asfaltata di grigio e il rosso e vasto canyon.
« Ehm… Aoi? » la chiamò, temendo di disturbarla. La lepre si staccò dal finestrino e si girò di scatto verso di lui, come se l’avesse risvegliata da un vago senso di torpore. Sembrava che fosse caduta dalle nuvole.
« Sì? Ti serve qualcosa? »
« Beh, non proprio… » disse Erskine lisciandosi il collo. Non gli sembrava opportuno parlarle dell’incubo e di come lo stesse tormentando, non in quel momento almeno. Preferiva non farne parola con nessuno.
Aoi notò la titubanza e l’insicurezza nella voce del giovane e gli chiese preoccupata « Ti gira di nuovo la testa? »
« Eh? No, non si tratta di questo! » si affrettò a spiegarle « Più che altro, non c’è molto da fare qui e… »
« Ti annoi? » fece la lepre con il suo abituale sorriso gentile.
« Beh, in un certo senso sì. »
La ragazza si stiracchiò le braccia esili e le gambe, piegò le orecchie con fare timido e rispose « A dir la verità, anch’io mi sto annoiando… Ti va di chiacchierare un po’con me? »
Il ragazzo non aspettava altro ed annuì contento « A me va più che bene!  In effetti volevo farti alcune domande su questo viaggio… »
« Certo! Spara pure! »
Erskine pensò a cosa chiederle. C’erano un sacco di domande che gli passavano per la mente, però scelse di cominciare dalle più ovvie.
« Allora… Che cosa dobbiamo cercare in particolare durante questo viaggio? »
« Giusto! Non te l’abbiamo ancora spiegato… Io e la mia distrazione cronica! » si rimproverò la ragazza dandosi dei pugnetti in testa « Vediamo… da dove posso iniziare? Sì, ecco! Hai mai sentito parlare dei Chaos Emerald? »
« Chaos… Emerald? » ripeté lui senza capire a che cosa si stesse riferendo. Rimase a riflettere per alcuni secondi alla ricerca di nozioni su di essi tra gli anfratti della sua mente, senza trovare nulla. Scosse la testa in segno di negazione. Aoi inarcò di poco le sopracciglia e spiegò il motivo del suo stupore « Strano… Sei una echidna, credevo lo sapessi! Nelle storie sui tuoi antenati non vengono mai citati? »
« Ehm… A quanto pare no. »
Ancora esterrefatta dalla rivelazione dell’echidna, continuò il discorso « Dunque, devi sapere che i Chaos Emerald sono sette gemme mistiche dalle proprietà incredibili e misteriose. Non sappiamo da dove vengano, né come abbiano avuto origine. Secondo certi studi sono una fonte di energia inesauribile, mentre per altri permettono di sfruttare o potenziare le capacità latenti che ognuno di noi possiede. Sembra che possano essere utilizzati per un’infinità di cose… persino viaggiare attraverso lo spazio ed il tempo! Inoltre, come ti ho detto poco fa le uniche testimonianze che abbiamo su queste pietre risalgono a migliaia e migliaia di anni fa, quando la tribù delle echidne di Pachacamac si estinse… Per questo credevo che tu conoscessi qualcosa sugli smeraldi! »
Erskine ascoltò con occhi sgranati il racconto della lepre azzurra. Aveva ascoltato un mucchio di storie e leggende riguardanti il suo clan e le sue origini, però nessuna che parlasse di quelle strane pietre magiche. Non ne esistevano così tante, questo era vero, eppure gli sembrava strano non conoscere i Chaos Emerald. Probabilmente sarebbe stato in grado di trovare qualcosa al riguardo nella biblioteca di Amabane Town, oppure avrebbe chiesto spiegazioni ai nonni o al sacerdote del paese. L’idea di studiare quelle gemme dalle proprietà illimitate lo elettrizzava.
« Siamo riusciti a scoprire che alcuni di essi si trovano nelle vicinanze delle Mystic Ruins, per questo ci stiamo dirigendo in direzione delle rovine. »
« E non vi troveremo solo quelli! » esclamò Hunter, che si era messo ad ascoltarli con crescente entusiasmo e curiosità « Avremo la possibilità di esaminare i resti di una civiltà perduta! Potremo trovare reperti dal valore inestimabile, vi rendete conto? Testimonianze di un popolo al suo massimo splendore! Non sto più nella pelle! Vedremo con i nostri occhi ciò che la tribù di Pachacamac ci ha lasciato! Grandioso! »
« Ecco, come puoi vedere Hunter è uno specializzando in archeologia… » sospirò la lepre. Era abituata alle ondate di eccitazione del suo amico, anche se la lasciavano spiazzata in certi casi. Si sentiva a disagio quando iniziava i suoi discorsi da fanatico di ruderi, ma Erskine al contrario era piuttosto interessato.
« Davvero? » fece l’echidna « Devi avere una grande passione per tutto questo! »
« Puoi dirlo forte! È da quando portavo il pannolino che desidero diventare un archeologo di tutto rispetto, sai? Da piccolo non mi perdevo un singolo film di Indiana Stones e mi divertivo un sacco a leggere libri su antiche civiltà o riviste che parlavano di importanti scoperte! »
« Capisco… Quindi non siete tutti studenti specializzandi in geologia… »
« Io e Brake sì! » disse la ragazza « Mentre Hunter è l’unico fuori dal coro… »
« Aoi… Lo dici come se fossi una delusione… » replicò la lince facendo finta di essere stato ferito e offeso all’orgoglio. Scoppiarono tutti e tre a ridere, quando il loro entusiasmo venne spezzato da una brusca frenata del veicolo. Erskine ebbe l’impressione di udire uno squillo sommesso, ma pensò di essersi sbagliato. Hunter, che si era tolto in precedenza la cintura per alzarsi e girarsi verso i suoi compagni, fu scaraventato contro una parete del camper. Fortunatamente fu in grado di attutire l’impatto sfruttando le sue articolazioni robotiche e se la cavò con un grosso bernoccolo sulla fronte.
« State tutti bene? » chiese una lepre intontita.
« Urgh… Stavo decisamente meglio prima…» si lamentò la lince massaggiandosi il capo, per poi sbraitare al pipistrello che si trovava alla guida « Brake! Che cavolo stai combinando?! Stavi per ammazzarci tutti, tu e la tua guida spericolata! »
« Non sono stato io. » ribatté seccato l’altro. Spense il motore, si slacciò la cintura di sicurezza, si liberò dell’air bag e scese dal mezzo di trasporto con un battito d’ali.
« Ah, secondo te… Un momento, aspetta un attimo! Dove stai andando ora?! »
« A vedere cosa non va. Io non ho tirato il freno a mano, tantomeno schiacciato il pedale! » spiegò il pipistrello. Come se per oggi non ne avessimo avuti abbastanza, di problemi… pensò, infilandosi i guanti da lavoro.
 
  
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