Ma
io, esattamente, che cosa voglio da un ragazzo…?
Farsi domande è parte
della vita di ognuno di noi. C’è chi se ne fa troppe, chi se ne fa troppo
poche, e chi non se ne fa per nulla. Io appartenevo alla prima categoria, ero
uno che non smetteva mai di chiedersi che cosa vedesse il cielo da lassù.
Le domande
scaturiscono dall’esperienza, e io di esperienze ne avevo avute anche troppe,
soprattutto brutte. Nel mare di merda in cui naviga la mia vita, spesso mi
capita di trovare dei pozzi d’acqua chiara, dove io mi ci tuffo a pesce,
cercando di recuperare e fermare quanto possibile i momenti felici che hanno
segnato la mia vita. Uno dei ricordi più belli fu l’estate del 1997…
Quando ero piccolo mi
innamoravo di ragazze che non mi corrispondevano, nonostante fossi corteggiato
da tante altre. Ricordo un’estate, avrò avuto dodici anni, in cui andai in
viaggio con i miei genitori e mio fratello in un villaggio vacanze. Il buon
vecchio Herman (mio fratello Ermanno, che adesso vive a Milano con la sua
compagna) ed io giocavamo sempre insieme, forti di una parentela che, non lo
sapevo, ma con gli anni si sarebbe erosa fino a scomparire e a trasformarci in
due perfetti sconosciuti. Da sempre lui era stato diversissimo da me: lui era
carino, spigliato e frizzante, però non sapeva fare molto di più di garini in
motorino e fare lo spaccone con tutti i suoi amici, mentre io ero quello più
studioso, riflessivo, timido e morigerato. Talmente morigerato che rispettavo i
corpi che non erano il mio in maniera quasi maniacale.
Durante questa
vacanza, conobbi una bambina. Bellissima, dodici anni come me e molto dolce. Io
me ne innamorai subito appena la vidi, ma desistetti immediatamente perché,
forte dell’esperienza scolastica, sapevo che le belle ragazze non guardavano i
cicciottelli come me. Indi per cui, preferii lasciarla alle “cure” di mio fratello,
tornando ai miei album da disegno ed ai miei colori.
E lui, sapete cosa
fece?
Da diciassettenne in
pieno tumulto ormonale, ci provò subito senza pensarci due volte (mio fratello
fa parte di quella terza categoria che di domande non se ne pone per niente), causando
non poco imbarazzo nella povera ragazzina.
Venni a sapere ciò
che ora so grazie a lei: il giorno dopo che rimase sola con mio fratello, venne
a confidarsi con me in spiaggia. La mattina era il tempo più bello per mettersi
a disegnare, per me. Mi mettevo sul portico del bar chiuso, seduto su un
tavolo, e lasciavo che la mia mano fosse guidata dall’estro della vacanza.
Disegnai per un bel pezzo, immerso nel vortice creativo, e solo quando alzai
gli occhi dal foglio, mi accorsi che non ero più solo.
Elisabetta (così si
chiamava), era lì appoggiata al parapetto che mi guardava attentamente,
studiando i movimenti della mia mano sul foglio e le figure che scaturivano da
tali movenze, affascinata ed estasiata. Lì per lì mi diventai rosso, e feci un
mezzo sorriso a cui lei rispose con una risatina. Senza nemmeno che io glielo
chiedessi, si avvicinò e si sedette accanto a me. Io ero rosso come un
peperone, e forse lei l’aveva sempre saputo che mi piaceva, ma il pensiero non
la turbava più di tanto.
- Cosa stai
disegnando? – mi disse, appoggiata con il mento sul dorso della mano.
- Oh, sto disegnando
i cartoni giapponesi. Ti piacciono? – risposi io, cercando di dominare la
balbuzie dettata dall’emozione.
Lei si sporse a
guardare ed io ritrassi la mano, per darle modo di vedere meglio. Sgranando gli
occhi per lo stupore, lei aprì la bocca e rispose – Sono … sono veramente
bellissimi! Congratulazioni! –
- G…grazie. – dissi
io, balbettando e sentendomi le guance in fiamme. È incredibile cosa si prova
quando si è innamorati di una persona… sensazioni bellissime che forse smisi di
provare quando mi accorsi che mi piacevano i ragazzi.
Dopo questo
complimento, restammo in silenzio per un po’, a guardarci negli occhi. Lei poi
sospirò e disse che doveva confidarmi una cosa.
- Prometti che non ti
arrabbi se te la dico? –
- Prometto. – Ma era
inutile dirlo, le avrei promesso di tutto. Ero cotto di lei.
- Bene. Devi sapere
che… tuo fratello… -
- Sì…? –
- Beh… tuo fratello…
- disse, torcendo le gambe snelle quanto più poté, chiaramente imbarazzata. Io
la esortai a continuare, spalancando gli occhi per cercare di farla parlare.
- Tuo… tuo fratello
ha cercato di mettermi le mani addosso! – disse, tutto d’un fiato, che a
momenti non riuscivo a capirci niente. Io non risposi per un attimo, ma ne fui
più o meno sconvolto. Non litigai con Ermanno, ma in compenso diventai amico di
Elisabetta, mentre mio fratello si consolò con altre ragazzine più giovani ma
anche più facili.
Io invece passai
quelle tre settimane insieme ad Elisabetta. Ogni giorno mi cercava, e se non mi
trovava al tavolino del bar, veniva a cercarmi a casa, dove mia madre
l’accoglieva a braccia aperte, mio fratello le strizzava l’occhio cercando di
intortarla e mio padre le diceva che era sempre più bella ogni giorno.
Insieme, facevamo il
bagno, esploravamo ogni angolo dell’isola, fantasticando di essere degli
avventurieri a caccia di chissà quali tesori… Io la amavo, e lei…
L’isola era composta
da un villaggio vacanze immerso nel verde di una collina. Se si conoscevano
bene i sentieri, si poteva raggiungere un posto panoramico, da dove si poteva
osservare tutto. Di solito io ed Elisabetta ci mettevamo a guardare il mare,
parlando di come la scuola fosse una noia e giocando a rincorrerci. Poi quando
ci stancavamo, semplicemente ci sedevamo.
E fu là che accadde.
- Donatello…? –
Io voltai la testa,
disteso com’ero. La mia pancetta mi impediva di vedere bene il mare, potevo
soltanto vedere le fronde degli alberi. – Hm? – mugugnai, in segno di
attenzione.
- Secondo te, io…
posso piacere a qualcuno? – mi chiese. Io arrossii, ma cercai di non darlo a
vedere. Era più un rossore di paura, il mio.
- Che domanda. Certo
che sì! Penso che… che piaceresti a tutti. – risposi io, cercando di assumere
la voce più spavalda e arrogante possibile. In realtà, dentro di me stavo
vacillando. – Perché? – la incalzai.
- Beh, perché … - fu
lei ad arrossire. – perché… - tirava fuori le parole come una donna che non
riesce a trovare il cellulare nella borsa mentre squilla, e deve tirare fuori
gli oggetti uno alla volta.
- Perché … perché mi
sono innamorata, ecco! – disse, tutto d’un fiato. Proprio come quando mi
confessò che Ermanno le aveva messo le mani addosso. Io stavo morendo. In cuor
mio sapevo che mi avrebbe detto che si era innamorata di un ragazzo che forse
vedevano tutti i giorni al villaggio, dato che le scelte non mancavano. Già
allora notavo i ragazzi carini, e nonostante avessero tutti la mia età o poco
più, sembravano molto più adulti e sicuramente più uomini di me. Più
abbordabili, diciamo.
Io deglutii, non
avendo cuore di chiederle chi fosse. Eppure c’era una parte di me, una parte
profonda, che voleva sapere chi fosse quel ragazzo. E come per magia, quella
parte prese prepotentemente il sopravvento, passando dal cuore al cervello fino
a schizzare fuori dalla lingua.
- Chi è? Di chi ti
sei innamorata? – domandai, preparandomi al colpo che, lo sapevo, mi avrebbe
ucciso.
Come un condannato
alla fucilazione si tapperebbe le orecchie per non sentire il botto mortale, io
chiusi gli occhi, aspettando gli spari. Eppure non ci furono, perché Elisabetta
stette zitta per un bel po’ di tempo, prima di abbassarsi su di me e
sussurrarmi all’orecchio …
- Di te. Di te,
Donatello. Sono innamorata di te. –
Mai sussurro fu più
gradito. La piramide di carte che era la mia anima crollò istantaneamente, ma
questa volta sotto un soffio di gioia anziché di dolore. Ora che il castello di
carte era andato, e con lui tutte le mura di cinta, io dissi la mia.
- Anch’io,
Elisabetta. Sono innamorato pazzo di te. Ti ho amata fin dal primo momento che
ti ho vista… -
Lei sorrise e sospirò
di sollievo, quindi ci guardammo… ed iniziammo ad abbracciarci. Di lì a poco le
coccole si trasformarono in baci, ed alla fine ci sdraiammo, lei sopra di me,
io disteso a terra con il profumo di vaniglia che spandevano i suoi capelli
lisci, i suoi occhi azzurri ed il suo viso perfetto, che io carezzai per tutto
quel pomeriggio… ci baciammo così tanto che per quel giorno io mi sentii un
eroe, uno che avrebbe potuto tutto, anche spaccare il mondo in due. Per una
volta, mi era andata bene con una ragazza che mi piaceva. Fu un pomeriggio
bellissimo, e la serata non fu da meno… mentre i nostri genitori ballavano, ed
i fratelli maggiori facevano altro, io e lei ci nascondevamo in ogni posto e ci
baciavamo. Come due amanti segreti, che hanno da proteggere solo il loro amore
appena sbocciato.
Durò tutto una
settimana. L’ultima settimana di vacanza, per essere precisi. Per due settimane
non mi ero azzardato a sfiorarla con un dito, mentre l’ultima lei fu così dolce
e disponibile con me… un ragazzo cicciottello che lei amava con tutto il suo
cuore.
Non
ti scordar di me…
Non
ti scordar di me…
…Ma
nooon ti scordaaar, mai di meee…
…della
più incantevole… fiaba che abbiam vissuto insiemeee..
..E
nooon ti scordar mai di meee… Questa era Giusy Ferreri e la sua “Non ti scordar
mai di me”, a concludere la puntata! sono le dieci del mattino, il nostro
programma finisce qui, ringraziamo tutti i nostri fedelissimi ascoltatori per
averci accompagnato durante la mattinata. Continuate a seguirci, eh! Siamo
sempre qui, su Erre Centouno! Ciao, ciao.. ciaoooo!
Il bumper sonoro poi
chiuse definitivamente la trasmissione, facendo partire contestualmente la
pubblicità. Io ero nella mia auto, seduto al posto di guida. Evidentemente mi
ero addormentato con la radio accesa, mentre aspettavo che Francesco finisse di
fare una visita all’ospedale. Sarei andato anch’io con lui, ma lasciare la
macchina incustodita nella mia città senza aver pagato il ticket significava
andare a recuperarla poi al deposito veicoli rimossi. Poco dopo lo sportello si
aprì, ed entrò Francesco.
- Eccomi – esordì,
sbuffando. – Ho fatto tante di quelle scale, perché l’ascensore era rotto e… -
s’interruppe, guardandomi in faccia. – cos’hai? – domandò.
- Io…? Niente…
perché? –
Mi guardò con
scetticismo. – Mi era sembrato che tu… -
Senza nemmeno
lasciargli finire la frase, misi in moto e partii. Lui si zittì, sicuramente
poco interessato al mio stato d’animo. Comunque, gli avessi fatto terminare la
frase, avrebbe avuto ragione: dai miei occhi stavano uscendo calde lacrime.
Fortuna che con gli occhiali da sole lui non poté vederle chiaramente.
Perché
piangevo? Forse perché, alla luce di questi bellissimi ricordi, sapevo che un
ragazzo non sarebbe mai stato in grado di regalarmi certe emozioni. Non mi era
mai successo, perché i ragazzi hanno in mente solo la fisicità di un rapporto,
non l’emozione ed il coinvolgimento. Vi pare possibile che un uomo come me si
metta a soffrire perché gli mancano certe cose?!? Ecco che cosa volevo da un
ragazzo. Volevo passare del tempo insieme a lui, fare tante cose… crescere
insieme!
Sarei
mai riuscito a trovare quello giusto?