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Autore: StephEnKing1985    28/08/2011    0 recensioni
Donatello è un ragazzo gay un po' in sovrappeso. A causa del suo aspetto fisico, si trova a dover fronteggiare in modo particolare la superficialità e meschinità del mondo gay sotto forma di delusioni che riceve puntualmente da ogni ragazzo che conosce. Per rifuggire al dolore, si diletta in ciò che sa fare meglio: Disegnare fumetti. Il suo personaggio preferito è Dandy Landy, un bellissimo ragazzo frizzante e dolce, in cui Donatello proietta il suo fidanzato ideale, innamorandosene. Ben presto il bel personaggio di carta incomincerà a vivere di vita propria, ma sarà una felicità per Donatello oppure sarà solo l'ennesima delusione?
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ma io, esattamente, che cosa voglio da un ragazzo…?

Farsi domande è parte della vita di ognuno di noi. C’è chi se ne fa troppe, chi se ne fa troppo poche, e chi non se ne fa per nulla. Io appartenevo alla prima categoria, ero uno che non smetteva mai di chiedersi che cosa vedesse il cielo da lassù.

Le domande scaturiscono dall’esperienza, e io di esperienze ne avevo avute anche troppe, soprattutto brutte. Nel mare di merda in cui naviga la mia vita, spesso mi capita di trovare dei pozzi d’acqua chiara, dove io mi ci tuffo a pesce, cercando di recuperare e fermare quanto possibile i momenti felici che hanno segnato la mia vita. Uno dei ricordi più belli fu l’estate del 1997…

 

Quando ero piccolo mi innamoravo di ragazze che non mi corrispondevano, nonostante fossi corteggiato da tante altre. Ricordo un’estate, avrò avuto dodici anni, in cui andai in viaggio con i miei genitori e mio fratello in un villaggio vacanze. Il buon vecchio Herman (mio fratello Ermanno, che adesso vive a Milano con la sua compagna) ed io giocavamo sempre insieme, forti di una parentela che, non lo sapevo, ma con gli anni si sarebbe erosa fino a scomparire e a trasformarci in due perfetti sconosciuti. Da sempre lui era stato diversissimo da me: lui era carino, spigliato e frizzante, però non sapeva fare molto di più di garini in motorino e fare lo spaccone con tutti i suoi amici, mentre io ero quello più studioso, riflessivo, timido e morigerato. Talmente morigerato che rispettavo i corpi che non erano il mio in maniera quasi maniacale.

Durante questa vacanza, conobbi una bambina. Bellissima, dodici anni come me e molto dolce. Io me ne innamorai subito appena la vidi, ma desistetti immediatamente perché, forte dell’esperienza scolastica, sapevo che le belle ragazze non guardavano i cicciottelli come me. Indi per cui, preferii lasciarla alle “cure” di mio fratello, tornando ai miei album da disegno ed ai miei colori.

E lui, sapete cosa fece?

Da diciassettenne in pieno tumulto ormonale, ci provò subito senza pensarci due volte (mio fratello fa parte di quella terza categoria che di domande non se ne pone per niente), causando non poco imbarazzo nella povera ragazzina.

Venni a sapere ciò che ora so grazie a lei: il giorno dopo che rimase sola con mio fratello, venne a confidarsi con me in spiaggia. La mattina era il tempo più bello per mettersi a disegnare, per me. Mi mettevo sul portico del bar chiuso, seduto su un tavolo, e lasciavo che la mia mano fosse guidata dall’estro della vacanza. Disegnai per un bel pezzo, immerso nel vortice creativo, e solo quando alzai gli occhi dal foglio, mi accorsi che non ero più solo.

Elisabetta (così si chiamava), era lì appoggiata al parapetto che mi guardava attentamente, studiando i movimenti della mia mano sul foglio e le figure che scaturivano da tali movenze, affascinata ed estasiata. Lì per lì mi diventai rosso, e feci un mezzo sorriso a cui lei rispose con una risatina. Senza nemmeno che io glielo chiedessi, si avvicinò e si sedette accanto a me. Io ero rosso come un peperone, e forse lei l’aveva sempre saputo che mi piaceva, ma il pensiero non la turbava più di tanto.

- Cosa stai disegnando? – mi disse, appoggiata con il mento sul dorso della mano.

- Oh, sto disegnando i cartoni giapponesi. Ti piacciono? – risposi io, cercando di dominare la balbuzie dettata dall’emozione.

Lei si sporse a guardare ed io ritrassi la mano, per darle modo di vedere meglio. Sgranando gli occhi per lo stupore, lei aprì la bocca e rispose – Sono … sono veramente bellissimi! Congratulazioni! –

- G…grazie. – dissi io, balbettando e sentendomi le guance in fiamme. È incredibile cosa si prova quando si è innamorati di una persona… sensazioni bellissime che forse smisi di provare quando mi accorsi che mi piacevano i ragazzi.

Dopo questo complimento, restammo in silenzio per un po’, a guardarci negli occhi. Lei poi sospirò e disse che doveva confidarmi una cosa.

- Prometti che non ti arrabbi se te la dico? –

- Prometto. – Ma era inutile dirlo, le avrei promesso di tutto. Ero cotto di lei.

- Bene. Devi sapere che… tuo fratello… -

- Sì…? –

- Beh… tuo fratello… - disse, torcendo le gambe snelle quanto più poté, chiaramente imbarazzata. Io la esortai a continuare, spalancando gli occhi per cercare di farla parlare.

- Tuo… tuo fratello ha cercato di mettermi le mani addosso! – disse, tutto d’un fiato, che a momenti non riuscivo a capirci niente. Io non risposi per un attimo, ma ne fui più o meno sconvolto. Non litigai con Ermanno, ma in compenso diventai amico di Elisabetta, mentre mio fratello si consolò con altre ragazzine più giovani ma anche più facili.

Io invece passai quelle tre settimane insieme ad Elisabetta. Ogni giorno mi cercava, e se non mi trovava al tavolino del bar, veniva a cercarmi a casa, dove mia madre l’accoglieva a braccia aperte, mio fratello le strizzava l’occhio cercando di intortarla e mio padre le diceva che era sempre più bella ogni giorno.

Insieme, facevamo il bagno, esploravamo ogni angolo dell’isola, fantasticando di essere degli avventurieri a caccia di chissà quali tesori… Io la amavo, e lei…

 

L’isola era composta da un villaggio vacanze immerso nel verde di una collina. Se si conoscevano bene i sentieri, si poteva raggiungere un posto panoramico, da dove si poteva osservare tutto. Di solito io ed Elisabetta ci mettevamo a guardare il mare, parlando di come la scuola fosse una noia e giocando a rincorrerci. Poi quando ci stancavamo, semplicemente ci sedevamo.

E fu là che accadde.

- Donatello…? –

Io voltai la testa, disteso com’ero. La mia pancetta mi impediva di vedere bene il mare, potevo soltanto vedere le fronde degli alberi. – Hm? – mugugnai, in segno di attenzione.

- Secondo te, io… posso piacere a qualcuno? – mi chiese. Io arrossii, ma cercai di non darlo a vedere. Era più un rossore di paura, il mio.

- Che domanda. Certo che sì! Penso che… che piaceresti a tutti. – risposi io, cercando di assumere la voce più spavalda e arrogante possibile. In realtà, dentro di me stavo vacillando. – Perché? – la incalzai.

- Beh, perché … - fu lei ad arrossire. – perché… - tirava fuori le parole come una donna che non riesce a trovare il cellulare nella borsa mentre squilla, e deve tirare fuori gli oggetti uno alla volta.

- Perché … perché mi sono innamorata, ecco! – disse, tutto d’un fiato. Proprio come quando mi confessò che Ermanno le aveva messo le mani addosso. Io stavo morendo. In cuor mio sapevo che mi avrebbe detto che si era innamorata di un ragazzo che forse vedevano tutti i giorni al villaggio, dato che le scelte non mancavano. Già allora notavo i ragazzi carini, e nonostante avessero tutti la mia età o poco più, sembravano molto più adulti e sicuramente più uomini di me. Più abbordabili, diciamo.

Io deglutii, non avendo cuore di chiederle chi fosse. Eppure c’era una parte di me, una parte profonda, che voleva sapere chi fosse quel ragazzo. E come per magia, quella parte prese prepotentemente il sopravvento, passando dal cuore al cervello fino a schizzare fuori dalla lingua.

- Chi è? Di chi ti sei innamorata? – domandai, preparandomi al colpo che, lo sapevo, mi avrebbe ucciso.

Come un condannato alla fucilazione si tapperebbe le orecchie per non sentire il botto mortale, io chiusi gli occhi, aspettando gli spari. Eppure non ci furono, perché Elisabetta stette zitta per un bel po’ di tempo, prima di abbassarsi su di me e sussurrarmi all’orecchio …

- Di te. Di te, Donatello. Sono innamorata di te. –

Mai sussurro fu più gradito. La piramide di carte che era la mia anima crollò istantaneamente, ma questa volta sotto un soffio di gioia anziché di dolore. Ora che il castello di carte era andato, e con lui tutte le mura di cinta, io dissi la mia.

- Anch’io, Elisabetta. Sono innamorato pazzo di te. Ti ho amata fin dal primo momento che ti ho vista… -

Lei sorrise e sospirò di sollievo, quindi ci guardammo… ed iniziammo ad abbracciarci. Di lì a poco le coccole si trasformarono in baci, ed alla fine ci sdraiammo, lei sopra di me, io disteso a terra con il profumo di vaniglia che spandevano i suoi capelli lisci, i suoi occhi azzurri ed il suo viso perfetto, che io carezzai per tutto quel pomeriggio… ci baciammo così tanto che per quel giorno io mi sentii un eroe, uno che avrebbe potuto tutto, anche spaccare il mondo in due. Per una volta, mi era andata bene con una ragazza che mi piaceva. Fu un pomeriggio bellissimo, e la serata non fu da meno… mentre i nostri genitori ballavano, ed i fratelli maggiori facevano altro, io e lei ci nascondevamo in ogni posto e ci baciavamo. Come due amanti segreti, che hanno da proteggere solo il loro amore appena sbocciato.

Durò tutto una settimana. L’ultima settimana di vacanza, per essere precisi. Per due settimane non mi ero azzardato a sfiorarla con un dito, mentre l’ultima lei fu così dolce e disponibile con me… un ragazzo cicciottello che lei amava con tutto il suo cuore.

Non ti scordar di me…

Non ti scordar di me…

 

…Ma nooon ti scordaaar, mai di meee…

…della più incantevole… fiaba che abbiam vissuto insiemeee..

..E nooon ti scordar mai di meee… Questa era Giusy Ferreri e la sua “Non ti scordar mai di me”, a concludere la puntata! sono le dieci del mattino, il nostro programma finisce qui, ringraziamo tutti i nostri fedelissimi ascoltatori per averci accompagnato durante la mattinata. Continuate a seguirci, eh! Siamo sempre qui, su Erre Centouno! Ciao, ciao.. ciaoooo!

 

Il bumper sonoro poi chiuse definitivamente la trasmissione, facendo partire contestualmente la pubblicità. Io ero nella mia auto, seduto al posto di guida. Evidentemente mi ero addormentato con la radio accesa, mentre aspettavo che Francesco finisse di fare una visita all’ospedale. Sarei andato anch’io con lui, ma lasciare la macchina incustodita nella mia città senza aver pagato il ticket significava andare a recuperarla poi al deposito veicoli rimossi. Poco dopo lo sportello si aprì, ed entrò Francesco.

- Eccomi – esordì, sbuffando. – Ho fatto tante di quelle scale, perché l’ascensore era rotto e… - s’interruppe, guardandomi in faccia. – cos’hai? – domandò.

- Io…? Niente… perché? –

Mi guardò con scetticismo. – Mi era sembrato che tu… -

Senza nemmeno lasciargli finire la frase, misi in moto e partii. Lui si zittì, sicuramente poco interessato al mio stato d’animo. Comunque, gli avessi fatto terminare la frase, avrebbe avuto ragione: dai miei occhi stavano uscendo calde lacrime. Fortuna che con gli occhiali da sole lui non poté vederle chiaramente.

Perché piangevo? Forse perché, alla luce di questi bellissimi ricordi, sapevo che un ragazzo non sarebbe mai stato in grado di regalarmi certe emozioni. Non mi era mai successo, perché i ragazzi hanno in mente solo la fisicità di un rapporto, non l’emozione ed il coinvolgimento. Vi pare possibile che un uomo come me si metta a soffrire perché gli mancano certe cose?!? Ecco che cosa volevo da un ragazzo. Volevo passare del tempo insieme a lui, fare tante cose… crescere insieme!

Sarei mai riuscito a trovare quello giusto?

   
 
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