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Autore: Soul Sister    28/08/2011    5 recensioni
- Bella è un' agente dell' F.B.I. Comincia la sua lotta contro il crimine per riscattarsi del suo doloroso e tormentato passato, il lavoro- come il caffè- per lei sono punti fermi a cui aggraparsi. Fortuna e talento le permettono di diventare la piu brava nella squadra contro il crimine. Per la sua bravura, il capo le affida il caso piu difficile di tutti i tempi: lo "007 Vampire".
Si tratta di un ladro gentiluomo estremamente discreto, famoso in tutto il mondo per i suoi colpi in luoghi inaccessibili per un normale essere umano. Be' in effetti non lo è.
Il nostro misteriosissimo ladro, ruba manofatti, pietre e soprattutto quadri, pregiatissimi e particolari, riguardanti piu o meno tutti la stessa storia.
Nessuno mai è riuscito a catturarlo, men che meno a smascherarlo. Beh, non aveva contro l'agente Swan. Ma cosa accadrebbe, se Bella scoprisse che la sua nemesi, il suo acerrimo nemico, è l'uomo che ama?
---Datele un'occhiata, per favore. Ciao, Giorgia.
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Salve :)
E' passato esattamente un anno, con oggi, dall'ultima volta che ho postato, e non sono sicura che qualcuno si ricordi di questa storia.
Fatto sta, che sto riprendendo a scriverla, l'ispirazione va e viene (e in questo momento c'è, e spero rimanga), e molte volte ho dei dubbi sulle mie idee, su quello che scrivo.
Oggi ho riletto parecchie volte questo capitolo..non mi convinceva, è corto per i miei standard, però considerando quanto tempo è passato..come inizio può andare. u_u
Spero che qualcuno abbia voglia di leggere, malgrado tutto.
Un bacio :*
Capitolo 8
La famille
Vampiro.
Ma chi ci credeva ai vampiri? Io, sarà stato per il mio cinismo, non avevo mai temuto, né calcolato l’esistenza di esseri del genere. Per me, rimanevano esclusivamente abitanti dei film dell’orrore. Né più né meno.
Ora..Sembrava dovessi crederci.
Per quanto mi dessi della sciocca, non potevo non ammettere che fosse la più coerente e plausibile delle risposte che mi ero data.
Mi ricordavo bene, come se stesse avvenendo ora, quell’immenso salto da un palazzo all’altro, la sera della mostra a Springfield. Trenta metri con un sol balzo nel vuoto, e ne era uscito intatto.
Poi, la velocità spaventosa con cui mi aveva rubato il distintivo dalla tasca interna della giacca, e con cui era scappato sul terrazzo...E infine, mi spiegavo il secondo salto, quello durante la fuga, dal tetto del palazzo.
Guardai ancora lo schermo del computer, cercando qualcosa che mi facesse desistere da questa idiozia, trovando un mio errore, o un fraintendimento.
Ma più guardavo, più mi sembrava la verità, e più mi davo della scema.
E poi, cosa potevo dire a Smith? «Ehi capo, non troveremo mai quel ladro perché è un vampiro plurisecolare»?
Sì, così mi avrebbe licenziata seduta stante e spedita in un manicomio.
Avevo bisogno di caffè. E di un consiglio da qualcuno di cui mi potevo fidare.
Indossai il cappotto, fregandomene di cambiarmi, e con la mia –ritrovata- auto volai a casa di mio padre. Mi attaccai al campanello, come una pazza.
Probabilmente dormiva ancora; era poco più tardi delle cinque di mattina. Mi avrebbe diseredata, pensai, per averlo svegliato a quest’ora.
La porta si aprì, e davanti a me si stagliò la cosa più terrificante di tutte: Charlie mezzo rimbambito, appena alzato dal letto, per di più accigliato. Davanti a lui in quello stato, l’esistenza dei vampiri non mi sgomentava più di tanto. Mh..o forse no.
«Bella!» era sorpreso,«Sono le cinque.» no, incazzato. Per fortuna ero sua figlia, e ancor meglio era in pensione, o mi avrebbe arrestata per disturbo alla quiete pubblica. Alla sua, di quiete.
Sospirò, facendosi da parte per farmi entrare: «Spero sia importante almeno.»
«Sì, abominevole uomo di Forks..» rimbeccai, ricevendo un’altra occhiataccia. Ci sedemmo in cucina, uno di fronte all’altro, e presi a guardarmi le mani gelate.
«Avanti, sputa il rospo» disse asciutto, Charlie.
E gli spiegai. Gli raccontai che avevo una teoria sul ladro. Ma sottolineai che era così assurda quanto impossibile, a occhi esterni. E che avevo paura, paura di star diventando pazza.
Ora mi guardava, e sembrava impassibile. Non sapevo come interpretare la sua espressione.
«Bella. Tu sei certa di quello che hai capito?»
Mi morsi il labbro inferiore, tic involontario che avevo sempre avuto nei pochi momenti d’incertezza.
«..No..cioè, sì. E’ così..astrusa che anche io fatico a crederci, papà.» non sapevo più nemmeno che dire.
Sulla fronte di Charlie, tra le sopracciglia folte, apparve una ruga. Era perplesso. «Beh, tesoro, se non ne sei convinta tu, come puoi convincere anche gli altri?» disse ovvio. Fino a quindici minuti fa, anch’io ero così risoluta. Ora tutte le mie convinzioni, le mie idee più marcate si erano dissolte nell’aria, lasciandomi nel dubbio. Io odiavo essere nel dubbio, non riuscire a trovare una risposta scientificamente provata, o almeno possibile. Con questo cavolo di caso, sfioravo l’assurdo. Era impossibile, e poche volte, io, Isabella Swan, l’avevo ammesso. Non avevo mai avuto barriere, difficoltà. Avevo sempre trovato risposte razionali, capito moventi, messo dentro assassini che avevano cercato di fare il delitto perfetto. Non ero abituata ad arrendermi –e non avevo intenzione di farlo ora, nemmeno per sogno, perché dovevo trovare una soluzione reale, che non comprendeva esseri fantastici. Perché non poteva essere.
Sospirai, per l’ennesima volta. Mio padre continuava a guardarmi, un luccichio di sicurezza negli occhi, quella certezza che gli trasmettevo sempre e che lui trasmetteva a me. Charlie aveva sempre avuto fiducia in me. «Ma come posso solo esporre la mia idea? Smith mi rinchiuderebbe in manicomio! Non so se hai capito il livello di idiozia della mia teoria...» insistetti. Probabilmente, no, non aveva capito. Non lo immaginava nemmeno.
«A che conclusione sei giunta?»
Sospirai profondamente, combattuta tra il desiderio di liberarmi da questa faccenda e scappare a gambe levate. Perché mi avevano assegnato questo caspita di caso? Perché! Tra tutti gli agenti di Forks, ce ne sarà stato uno più in gamba di me! Ma probabilmente, stavo troppo simpatica alla sfiga perché mi lasciasse in pace.
«Mi guarderai in modo diverso.» lo avvisai. La sua espressione però non cambiava. Voleva, pretendeva che glielo dicessi. E quando mio padre voleva, otteneva: sempre.
«Vampiro.»
Una semplice parola. Mormorata, con il poco fiato che avevo. Mi sentivo ridicola a dirlo ad alta voce, ancor di più che pensarlo solamente.
Mio padre strabuzzò gli occhi.
«Ehi, io l’avevo detto che era assurdo!» esclamai, alzando le braccia in segno di resa.
«Ora capisco il tuo terrore di dirlo in giro..» borbottò mio padre,« ma se è vero, lo sai solo tu. Bells, io ho fiducia in te, e so che le capacità le hai.. Ti prego solo di non cacciarti nei guai...»
«Certo, stai tranquillo papà.»
*
«Tidì, tidì
Aprii lentamente gli occhi, voltandomi verso la radiosveglia sul mio comodino. Segnava le 7 di mattina, ed era ora di prepararmi. Mugolai, infastidita. L’alzataccia di stanotte mi aveva resa leggermente stizzita e nevrotica. Come la vecchia Isabella, quella che non conosceva l’effetto benefico di Edward Cullen.
Sorrisi al pensiero. Lui, lui sì che riusciva a rendere la giornata migliore. Lui che era riuscito, senza nemmeno saperlo, a far passare la mia paura di instaurare un rapporto più profondo dell’amicizia d’infanzia, con un’altra persona. Lui, che era riuscito a farmi battere forte il cuore, ed arrossire, come quando ero una semplice diciassettenne alla ricerca del principe azzurro. Prima che tutto il mio mondo mi crollasse addosso.
Mi lavai lentamente, mentre l’acqua calda scorreva sul mio corpo. Purtroppo, non lavava via incertezze, paure, e ricordi. Indossai, poi, un paio di comodi jeans e una camicietta blu, piuttosto scura.
Afferrai le chiavi dell’auto dal mobiletto accanto alla porta, e la richiusi alle mie spalle. Ma appena alzai lo sguardo, non potei fare a meno che sgranare gli occhi.
«Buongiorno!» esclamò, appoggiato a braccia conserte alla sua Volvo metallizzata.
Boccheggiai, ancora incredula. Quel ragazzo era davvero incredibile, trovava tutti i modi per farmi venire un infarto. Povero il mio cuore... che tra l’altro aveva l’intenzione di sfondarmi il petto, tanto batteva forte.
Incespicai fino a circa un metro da lui-meglio preservare la distanza di sicurezza, perché se fossi andata incontro al suo profumo inebriante, sarei svenuta come minimo.
«Che ci fai qui?» chiesi, appena i miei neuroni riuscirono a fare una sinapsi.
Lui sorrise; i suoi denti bianchi rifletterono la luce, illuminando il suo viso splendidamente latteo. Era così bello che sembrava irreale. Un sogno.
«Com’è che non saluti mai? Rispondi sempre con una domanda?»
«Beh, anche tu hai risposto con una domanda..» convenni, trattenendo a stento un sorrisino divertito.
Il suo s’allargò, mentre i miei poveri neuroni –che già a stento funzionavano- cominciavano a fondere. Si avvicinò, con un’aria da cucciolo bastonato, e ebbi paura. Non perché la sua faccia contrita facesse paura, ma perché si avvicinò. Non rispondevo più delle mie azioni, quando eravamo così vicini. «Voglio un saluto come si deve...» disse, poggiando delicatamente le mani sui miei fianchi, facendomi rabbrividire. Presi un respiro, mantenendo la calma, mentre si avvicinava per baciarmi. Tre secondi, e avrei potuto dire bye bye al mio cervello.
Invece che baciarmi, appunto, come doveva, mi diede un misero bacio sulla fronte.
A quel punto, feci io la faccia contrita. Lui ridacchiò, accarezzandomi una guancia, e si chinò per baciarmi finalmente le labbra. Perché, insomma, che me ne facevo di un povero bacio sulla fronte?
Delicato, dolce, appassionato: come al solito. Il suo respiro era dolcissimo, avrei voluto sentire il suo profumo a vita. Lo adoravo.
«Buongiorno..» mormorai, sulle sue labbra, finalmente. Ridacchiò, intrecciando le dita della sua mano con le mie. «Ma non ho capito perché sei qui..» borbottai.
«Ti voglio rapire..» fece, con nonchalance.
«Be’, non penso farei molta resistenza..» ammisi, con una risatina. Edward mi strinse al suo petto, con un gesto repentino. «Ti devo parlare, in verità..E ne approfitto per portarti anche al lavoro.»
Quel ‘ti devo parlare’, mi preoccupò un po’.
Ma non glielo dissi, e acconsentii per farmi scarrozzare fino alla centrale.
«Cos’è che mi devi dire?» incalzai, quando la curiosità divenne troppa e il silenzio troppo..silenzioso. Era pesante. «E’ qualcosa di grave?»
Edward strinse la presa sulla mia mano, intrecciata alla sua sul cambio. «No..Però sarà difficile, almeno per me..starti lontano.»
«Prego?» avevo sentito bene. Starmi lontano, perché? Non era l’unico che necessitava dell’altro per vivere. Io mi stavo abituando alle sue sorprese, e non volevo perdere l’abitudine di sorridere.
«Devo partire per l’Italia, lunedì, e tornerò dopo due giorni..» sospirò, e lo feci pure io. Non volevo stare lontano da lui. «Per fortuna non starò via molto...» borbottò.
Rimanemmo in silenzio, ognuno nei propri pensieri. L’Italia..un oceano a separarci, anche se solo per pochi giorni. Non potevo sopportarlo.
«In Italia dicono ci siano delle belle ragazze..molto belle.» dissi, dopo un po’. Non so perché lo feci, stavo impazzendo. Edward si voltò di scatto verso di me. Il suo viso era un mix tra stupore, divertimento, e tenerezza. Sulle sue labbra si disegnò un sorriso furbo; svoltò all’incrocio, ormai eravamo quasi arrivati.
«Sì, lo so, ci sono già stato molte volte..» confessò, annuendo tra sé. Fu una pugnalata. «Ma non è che mi interessi molto..» parcheggiò l’auto nello spiazzo davanti alla centrale, e portò i suoi occhi dorati nei miei. Sorrise dolcemente, allungandosi per sfiorarmi una guancia. «Io ho già una bellissima ragazza qui a Forks.»
«Mh» sbuffai. Mi fidavo ciecamente di lui, però sapevo che dopotutto era un uomo. E la carne-soprattutto quella degli uomini- era troppo debole.
«Bella..» mi chiamò. Dal suo tono, potevo giurare stesse sorridendo. Ma io cercavo in tutti i modi di non guardarlo negli occhi. Avrebbe visto la mia espressione sconsolata; non volevo davvero che andasse via. Lui doveva stare accanto a me, per farmi essere felice. Edward era la mia felicità, il mio amore. «Ehi.» mi costrinse a guardarlo, e arrossii. «Mi mancherai da morire anche tu..» mi strinse forte contro il suo petto marmoreo. Inspirai forte il suo profumo, così intenso, poi allacciai le mani dietro alla sua schiena. Mi tenne stretta tra le sue braccia per un tempo indefinito, ma che non avrei voluto avesse fine. Sfortunatamente, il suo buon senso gli ricordò che dovevo scendere da quell’auto, perché ero lì per lavorare. Per quanto mi riguardava, avrei preferito starmene lì, appiccicata come una sanguisuga a lui, senza stancarmi mai.
«Io..io..» pigolai, pianissimo. Perché non riuscivo più a dire quelle due semplici parole? Perché mi era così difficile ripetere di nuovo quello che avevo detto già una volta? Perché quel dannato ‘ti amo’ non usciva dalle mie labbra?
Edward mi accarezzò delicatamente i capelli, e mi scoccò un bacio tra di essi. «Anch’io ti amo, mia piccola Isabella.» Sorrisi appena, e riaffondai il viso nel suo petto. Lui mi capiva. Edward mi allontanò appena, e mi sorrise dolcemente. «Ora devi andare..Ti passo a prendere oggi pomeriggio.»
*
Sì, ero stata in ufficio, ma non potevo dire di aver lavorato.
Ero stata tutta la mattinata a fissare un punto indefinito della parete di fronte a me; i miei pensieri erano contesi tra Edward e il suo stupidissimo viaggio in Italia, e la mia astrusa idea riguardo il caso. Ad essere sincera, pensavo più a Edward, che a 007 Vampire, ma le poche volte che pensavo al caso, mi era impossibile non dire che ero assolutamente impazzita. Vampiro. Ma andiamo! Era solo una cretinata, una scemenza, una bufala! I vampiri erano un’assurda invenzione europea, peraltro falsa e portatrice di ingiustizie, verso le persone con occhi e capelli scuri e pelle chiara. I vampiri non esistevano, non dracula con annessi e connessi, almeno.
Però persone con occhi rossi e bellezza eterea le avevano raffigurate, e ne avevano perfino scritto. Quante probabilità avevo che un pittore si fosse ispirato ad una storia di uno scrittore troppo fantasioso e amante del macabro, per un ritratto?
Lasciai perdere la questione, riposi le carte del caso in una cartella, e sistemai il portatile nella borsa. Lasciai il caso negli archivi, avevo deciso che per quella sera avrei staccato per un po’, avendo un problema ben più grande da sistemare: la partenza di Edward.
Dovevo trovare un modo per non impazzire durante la sua assenza. La missione era pressochè impossibile.
Salutai sbrigativa Angie e Jess, e corsi fuori, dove sapevo avrei trovato Edward. Infatti, era lì, con un sorriso smagliante appoggiato alla sua Volvo metallizzata. Mi avvicinai a lui, con una certa cautela.Dovevo ovviamente tenere un contegno..o mi sarei sciolta.
«Ehi..» salutai,sentendo il mio cuore aumentare i suoi battiti. Il suo sorriso divenne se possibile ancor più luminoso.
«Ehi!» esclamò, euforico. Sorrisi, incapace di trovarlo ancor più bello, con quell’espressione serena.
«Ho una cosa da proporti.» fece un passo avanti, e m’intrappolò tra le sue braccia.
«Spero niente contro la legge!» scherzai, contro il suo torace scolpito.
Lui ridacchiò. «No, certo. Solo..vorrei presentarti come mia ragazza ai miei genitori.»
Ugh. Il mio cuore prese a battere all’impazzata, e sentii il panico avvolgermi.
Edward mi staccò dal suo petto, percependomi rigida, e mi scrutò. Poi si fece quasi cauto.
«Ma se non vuoi..» cercò di dire, ma lo interruppi dando voce ai miei dubbi.
«E se non fossero d’accordo?»
Il mio bellissimo ragazzo rimase un attimo sorpreso, poi scoppiò a ridere platealmente.
«Sei assurda, Bella, davvero.» il suo sguardo si fece dolce, e mi accarezzò una guancia, obbligandomi a fissarlo negli occhi. «I miei ti hanno approvata dalla prima volta che hai messo piede in casa mia per farti medicare; hai persino sciolto il cuore di Rosalie, il che è tutto dire. Non hai nulla da temere..a parte le battute che sicuramente farà Emmett.» e scosse la testa, sospirando e chiudendo le palpebre, come se fosse già esasperato dai commenti del fratello.
Così, mi ritrovai nella sua Volvo fiammeggiante, sparata nelle strade deserte di Forks, verso casa Cullen, per ufficializzare la mia relazione con Edward.
Anche se ero terrorizzata, non potevo che sentirmi più felice e amata.
Quando arrivammo, la vista dell’immensa villa mi lasciò ancora una volta piuttosto sconcertata; era magnifica, imponente e maestosa, e incuteva quasi timore.
Edward mi prese la mano, mi sorrise e mi scoccò un bacio sulla guancia. «Andrà tutto per il meglio, vedrai». E se lo diceva lui, potevo anche fidarmi.
A differenza della prima volta, Edward suonò il campanello educatamente- quando mi ero fatta male era entrato come un fulmine, sibilando come una teiera.
Stavolta, ad accoglierci fu sua madre, con un sorriso caldo e rassicurante, che la rendeva ancora più bella.
Il fatto che tutti i Cullen assomigliassero più a dei che a umani mi lasciava quasi sempre in soggezione, senza contare che mi avrebbero creato dei seri problemi con la mia autostima.
«Mamma, ricordi Bella?»
Non feci in tempo a respirare, che mi ritrovai in un batter di ciglio tra le braccia della madre di Edward, la signora Esme. Il che mi lasciò spiazzata per un secondo, come quando l’aveva fatto la figlia Rosalie, al nostro incontro.
«Sono così felice di vederti, cara!» trillò, emozionata. Chissà perché, ma immaginavo che la cosa fosse programmata, e che Edward non fosse caduto dal pero in quel momento.
Ci portò dentro, e un piccolo uragano mi venne incontro, cangiandomi con i suoi occhi miele.
«Ciao Bella! Sono così felice che tu e mio fratello stiate insieme!» così edordì, lasciandomi un attimo stordita quando mi strinse forte le mani e mi scoccò un bacio sulla guancia. «Vero, Jasper? Non sono carini?» Ecco come si chiamava il fratello di Edward, quello biondo e serio.
Emmett era quello moro e riccio, quello massiccio come un orso, che piombò nella stanza con un sorriso allegro, al seguito della modella bionda e gentile.
«Eccola, la coppia del secolo!» esclamò, ridacchiando. Si avvicinò a me, e sciabolò le sopracciglia, «Allora, Eddino è focoso?» Mi sentii avvampare, e Edward non si trattenne dall’insultarlo apertamente. Emmett rise, «Andiamo! Stavo scerzando, fratellino!» poi allargò le braccia, rivolgendosi a me. «Benvenuta in famiglia! Andiamo, fatti abbracciare, non mordo mica!» A quella battuta, Alice ridacchiò, Edward alzò gli occhi al cielo, Rosalie soffocò una risatina e Esme ci guardò come una che ammirava un capolavoro.
Senza che potessi muovere un muscolo,oppormi, o far quant’altro, Emmett mi prese tra le sue braccia muscolose e, ovviamente, fredde, in una morsa d’acciaio. «Grazie..» riuscii a biascicare.
«Okay, Em, però così me la stritoli!» l’apostrofò la bionda, Rosalie, che, appena Emmett mi posò a terra, afferrò le mie mani e mi sorrise calorosamente. «Davvero, siamo molto felici per voi..era ora che Edward tornasse a sorridere.»
«Ehilà, famiglia! Come mai tutta questa euforia? Oh, Isabella, ma che piacere!» Carlisle mi sorrise, mentre entrava in casa e si spogliava la giacca con eleganza, «Ecco perché non vi ho visto avvinghiati nel parcheggio come al solito!»
Oddio, apriti pavimento, e accoglimi con te! Ma da quando il dottor Cullen era così…così?
Esme e i fratelli di Edward risero; ma lui, come me, si sentiva imbarazzato, ed evidentemente era basito quanto me delle parole di suo padre.
«Papà! Ma..?!» il mio ragazzo, ufficialmente ormai, boccheggiava.
«Oh, suvvia Edward, anch’io vedo, sai, dalle finestre del mio ufficio? Senza contare che le voci circolano in una maniera assurda, lì dentro!»
Mi sentii in dovere di concordare: «Sì, guardi, mi sembra di essere in una redazione di gossip, e non in un dipartimento di polizia.» Carlisle rise, scuotendo la testa divertito.
«E quindi, fate atti osceni in pubblico..!» esclamò Emmett, con un ghigno. «Se vi arrestassero, sarebbe meglio non mettervi nella stessa cella o chissà cosa combinereste!»
«Emmett!» esclamammo sconvolti io e Edward, imbarazzati fin nelle ossa. Chissà perché, ma mi sembrava che Edward si stesse pentendo della sua scelta di portarmi qui.
La famiglia Cullen sembrava aver preso gusto a prenderci in giro!
«Oh, ragazzi, dai, dategli tregua!» ammonì Esme, bonaria, «Accomodatevi, su! Bella cara, ti andrebbe un po’ di torta?»
.
Quel pomeriggio, con la famiglia di Edward, sembrò volare in un soffio.
Ero stata benissimo, mi ero sentita come a casa mia; forse perché Edward non aveva abbandonato la mia mano, forse perché i Cullen erano delle persone davvero squisite e mi avevano messa a mio agio, come non era mai stato capace nessuno.
Parlare con loro era sempre divertente, mai noioso, anche se molte volte Emmett ci deliziava con le sue solite battute. Incredibile!
Esme ci aveva pregati di tornare insieme a trovarli, quando Edward sarebbe tornato dall’Italia, e io mi ritrovai a prometterlo.
«Beh, dai, non è andata così male, non trovi?» commentò Edward, con un sorriso sereno.
«Io direi molto bene! La tua famiglia è meravigliosa, davvero.» e ricambiai il sorriso, sincera.
Edward ridacchiò. «Sono tutti pazzi, è per questo che li adoro. Anche se devo dire che Carlisle mi ha lasciato di stucco!» non potei che ridere anch’io, con lui.
Ormai eravamo arrivati a casa mia, e Edward mi guardò neglio occhi, assumendo un’aria decisa.
«Bene, la mia famiglia te l’ho presentata..ora tocca a te!» A quelle parole, quasi svenni.
«Co-come?» balbettai.
Edward sciabolò le sopracciglia, come Emmett quel pomeriggio, accennando un sorriso furbo e sghembo. «Andiamo, lotti contro il male e hai fifa a presentare il tuo ragazzo a tuo padre?»
Sì, decisamente. Non gli avevo ancora accennato che mi vedessi con qualcuno, sapevo che in quel caso sarebbe entrato nelle vesti di padre bigotto e avrebbe tentato di allontanarmi da Edward, per paura che mi succedesse di nuovo qualcosa di brutto. Ma lui non sapeva che Edward mi stava riportando il sorriso e la speranza di un giorno migliore. Non l’avrebbe capito.
Abbassai il capo, incupita. «Non è una cosa facile, Edward..» sospirai, «Mio padre..ecco, lui è molto..protettivo..ha paura che qualcuno possa ferirmi ancora..e..»
«Bella.» Edward mi obbligò a guardarlo negli occhi. «Non so cosa sia successo, in passato. Non pretendo di saperlo ora, quando ti sentirai pronta, se vorrai, me lo dirai..però tu sei la mia vita, adesso, e l’unica cosa che mi preme è la tua felicità. Mai, mai vorrei farti soffrire..» scosse la testa, afflitto. «Cercherò di farlo capire anche a tuo padre.» detto ciò, sorrise, in un modo che era definibile illegale, per quanto bello.
Scaldata dalle sue parole, dalla speranza, gli gettai le braccia al collo per abbracciarlo.
Poi, accostò il suo viso al mio per baciarmi, esaudendo finalmente quel desiderio che mi stava uccidendo quel pomeriggio.
  
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