- Salve :)
Fatto sta, che sto riprendendo a scriverla, l'ispirazione va e viene (e in questo momento c'è, e spero rimanga), e molte volte ho dei dubbi sulle mie idee, su quello che scrivo.
Oggi ho riletto parecchie volte questo capitolo..non mi convinceva, è corto per i miei standard, però considerando quanto tempo è passato..come inizio può andare. u_u
Spero che qualcuno abbia voglia di leggere, malgrado tutto.
Un bacio :*
- Capitolo
8
- La
famille
- Vampiro.
- Ma chi ci credeva ai vampiri? Io,
sarà stato per il
mio cinismo, non avevo mai temuto, né calcolato l’esistenza di esseri
del
genere. Per me, rimanevano esclusivamente abitanti dei film
dell’orrore. Né più
né meno.
- Ora..Sembrava dovessi
crederci.
- Per quanto mi dessi della sciocca,
non potevo non
ammettere che fosse la più coerente e plausibile delle risposte che mi
ero
data.
- Mi ricordavo bene,
come se stesse avvenendo ora, quell’immenso salto da un palazzo
all’altro, la
sera della mostra a Springfield. Trenta metri con un sol balzo nel
vuoto, e ne
era uscito intatto.
- Poi, la velocità spaventosa con
cui mi aveva rubato il
distintivo dalla tasca interna della giacca, e con cui era scappato sul
terrazzo...E infine, mi spiegavo il secondo salto, quello durante la
fuga, dal
tetto del palazzo.
- Guardai ancora lo schermo del
computer, cercando
qualcosa che mi facesse desistere da questa idiozia, trovando un mio
errore, o
un fraintendimento.
- Ma più guardavo, più mi sembrava
la verità, e più mi
davo della scema.
- E poi, cosa potevo dire a Smith?
«Ehi capo, non
troveremo mai quel ladro perché è un vampiro plurisecolare»?
- Sì, così mi avrebbe licenziata
seduta stante e spedita
in un manicomio.
- Avevo bisogno di caffè. E di un
consiglio da qualcuno
di cui mi potevo fidare.
- Indossai il cappotto, fregandomene
di cambiarmi, e con
la mia –ritrovata- auto volai a casa di mio padre. Mi attaccai al
campanello,
come una pazza.
- Probabilmente dormiva ancora; era
poco più tardi delle
cinque di mattina. Mi avrebbe diseredata, pensai, per averlo svegliato
a
quest’ora.
- La porta si aprì, e davanti a me
si stagliò la cosa
più terrificante di tutte: Charlie mezzo rimbambito, appena alzato dal
letto,
per di più accigliato. Davanti a lui in quello stato, l’esistenza dei
vampiri
non mi sgomentava più di tanto. Mh..o forse no.
- «Bella!» era sorpreso,«Sono le cinque.» no, incazzato. Per fortuna ero sua figlia, e
ancor meglio
era in pensione, o mi avrebbe arrestata per disturbo alla quiete
pubblica. Alla
sua, di quiete.
- Sospirò, facendosi da parte per
farmi entrare: «Spero
sia importante almeno.»
- «Sì, abominevole uomo di Forks..»
rimbeccai, ricevendo
un’altra occhiataccia. Ci sedemmo in cucina, uno di fronte all’altro, e
presi a
guardarmi le mani gelate.
- «Avanti,
sputa
il rospo» disse asciutto, Charlie.
- E gli spiegai. Gli raccontai che
avevo una teoria sul
ladro. Ma sottolineai che era così assurda quanto impossibile, a occhi
esterni.
E che avevo paura, paura di star diventando pazza.
- Ora mi guardava, e sembrava
impassibile. Non sapevo
come interpretare la sua espressione.
- «Bella. Tu sei certa di quello che
hai
capito?»
- Mi morsi il labbro inferiore, tic
involontario che avevo sempre avuto nei pochi momenti d’incertezza.
- «..No..cioè, sì. E’ così..astrusa che anche io fatico a crederci,
papà.» non sapevo più nemmeno che dire.
- Sulla fronte di Charlie, tra le
sopracciglia folte, apparve una ruga. Era perplesso. «Beh, tesoro, se
non ne
sei convinta tu, come puoi convincere anche gli altri?» disse ovvio.
Fino a
quindici minuti fa, anch’io ero così risoluta. Ora tutte le mie
convinzioni, le
mie idee più marcate si erano dissolte nell’aria, lasciandomi nel
dubbio. Io odiavo essere nel dubbio, non riuscire a
trovare una risposta scientificamente provata, o almeno possibile. Con
questo
cavolo di caso, sfioravo l’assurdo. Era impossibile, e poche volte, io,
Isabella Swan, l’avevo ammesso. Non avevo mai avuto barriere,
difficoltà. Avevo
sempre trovato risposte razionali, capito moventi, messo dentro
assassini che
avevano cercato di fare il delitto perfetto. Non ero abituata
ad arrendermi –e non avevo intenzione di farlo ora,
nemmeno per sogno, perché dovevo trovare una soluzione reale, che non
comprendeva esseri fantastici. Perché non poteva essere.
- Sospirai, per l’ennesima volta.
Mio
padre continuava a guardarmi, un luccichio di sicurezza negli occhi,
quella
certezza che gli trasmettevo sempre e che lui trasmetteva a me. Charlie
aveva
sempre avuto fiducia in me. «Ma come posso solo esporre la mia idea?
Smith mi
rinchiuderebbe in manicomio! Non so se hai capito il livello di idiozia
della
mia teoria...» insistetti. Probabilmente, no, non aveva capito. Non lo
immaginava nemmeno.
- «A che conclusione sei giunta?»
- Sospirai profondamente, combattuta
tra
il desiderio di liberarmi da questa faccenda e scappare a gambe levate.
Perché
mi avevano assegnato questo caspita di caso? Perché! Tra tutti gli
agenti di
Forks, ce ne sarà stato uno più in gamba di me! Ma probabilmente, stavo
troppo
simpatica alla sfiga perché mi lasciasse in pace.
- «Mi guarderai in modo diverso.» lo
avvisai. La sua espressione però non cambiava. Voleva, pretendeva
che glielo dicessi. E quando mio padre voleva, otteneva:
sempre.
- «Vampiro.»
- Una semplice parola. Mormorata,
con il
poco fiato che avevo. Mi sentivo ridicola a dirlo ad alta voce, ancor
di più
che pensarlo solamente.
- Mio padre strabuzzò gli occhi.
- «Ehi, io l’avevo detto che era
assurdo!» esclamai, alzando le braccia in segno di resa.
- «Ora capisco il tuo terrore di
dirlo
in giro..» borbottò mio padre,« ma se è vero, lo sai solo tu. Bells, io
ho
fiducia in te, e so che le capacità le hai.. Ti prego solo di non
cacciarti nei
guai...»
- «Certo, stai tranquillo papà.»
- *
- «Tidì, tidì.»
- Aprii lentamente gli occhi,
voltandomi
verso la radiosveglia sul mio comodino. Segnava le 7 di mattina, ed era
ora di
prepararmi. Mugolai, infastidita. L’alzataccia di stanotte mi aveva
resa
leggermente stizzita e nevrotica. Come la vecchia Isabella, quella che
non
conosceva l’effetto benefico di Edward Cullen.
- Sorrisi al pensiero. Lui, lui sì
che
riusciva a rendere la giornata migliore. Lui che era riuscito, senza
nemmeno
saperlo, a far passare la mia paura di instaurare un rapporto più
profondo
dell’amicizia d’infanzia, con un’altra persona. Lui, che era riuscito a
farmi
battere forte il cuore, ed arrossire, come quando ero una semplice
diciassettenne alla ricerca del principe azzurro. Prima che tutto il
mio mondo
mi crollasse addosso.
- Mi lavai lentamente, mentre
l’acqua calda scorreva sul
mio corpo. Purtroppo, non lavava via incertezze, paure, e ricordi.
Indossai,
poi, un paio di comodi jeans e una camicietta blu, piuttosto scura.
- Afferrai le chiavi dell’auto dal
mobiletto accanto
alla porta, e la richiusi alle mie spalle. Ma appena alzai lo sguardo,
non
potei fare a meno che sgranare gli occhi.
- «Buongiorno!» esclamò, appoggiato
a braccia conserte
alla sua Volvo metallizzata.
- Boccheggiai, ancora incredula.
Quel ragazzo era
davvero incredibile, trovava tutti i modi per farmi venire un infarto.
Povero
il mio cuore... che tra l’altro aveva l’intenzione di sfondarmi il
petto, tanto
batteva forte.
- Incespicai fino a circa un metro
da lui-meglio
preservare la distanza di sicurezza, perché se fossi andata incontro al
suo
profumo inebriante, sarei svenuta come minimo.
- «Che ci fai qui?» chiesi, appena i
miei neuroni
riuscirono a fare una sinapsi.
- Lui sorrise; i suoi denti bianchi
rifletterono la
luce, illuminando il suo viso splendidamente latteo. Era così bello che
sembrava irreale. Un sogno.
- «Com’è che non saluti mai?
Rispondi sempre con una
domanda?»
- «Beh, anche tu hai risposto con
una domanda..»
convenni, trattenendo a stento un sorrisino divertito.
- Il suo s’allargò, mentre i miei
poveri neuroni –che
già a stento funzionavano- cominciavano a fondere. Si avvicinò, con
un’aria da
cucciolo bastonato, e ebbi paura. Non perché la sua faccia contrita
facesse
paura, ma perché si avvicinò. Non rispondevo più delle mie azioni,
quando
eravamo così vicini. «Voglio un saluto come si deve...» disse,
poggiando
delicatamente le mani sui miei fianchi, facendomi rabbrividire. Presi
un
respiro, mantenendo la calma, mentre si avvicinava per baciarmi. Tre
secondi, e
avrei potuto dire bye bye al mio cervello.
- Invece che baciarmi, appunto, come
doveva, mi diede un
misero bacio sulla fronte.
- A quel punto, feci io la faccia
contrita. Lui
ridacchiò, accarezzandomi una guancia, e si chinò per baciarmi
finalmente le
labbra. Perché, insomma, che me ne facevo di un povero bacio sulla
fronte?
- Delicato, dolce, appassionato:
come al solito. Il suo
respiro era dolcissimo, avrei voluto
sentire il suo profumo a vita. Lo adoravo.
- «Buongiorno..» mormorai, sulle sue
labbra, finalmente.
Ridacchiò, intrecciando le dita della sua mano con le mie. «Ma non ho
capito
perché sei qui..» borbottai.
- «Ti voglio rapire..» fece, con
nonchalance.
- «Be’, non penso farei molta
resistenza..» ammisi, con
una risatina. Edward mi strinse al suo petto, con un gesto repentino.
«Ti devo
parlare, in verità..E ne approfitto per portarti anche al lavoro.»
- Quel ‘ti devo parlare’, mi
preoccupò un po’.
- Ma non glielo dissi, e acconsentii
per farmi
scarrozzare fino alla centrale.
- «Cos’è che mi devi dire?»
incalzai, quando la
curiosità divenne troppa e il silenzio troppo..silenzioso.
Era pesante. «E’ qualcosa di grave?»
- Edward strinse la presa sulla mia
mano, intrecciata
alla sua sul cambio. «No..Però sarà difficile, almeno per me..starti
lontano.»
- «Prego?» avevo sentito bene.
Starmi lontano, perché?
Non era l’unico che necessitava dell’altro per vivere. Io mi stavo
abituando
alle sue sorprese, e non volevo perdere l’abitudine di sorridere.
- «Devo partire per l’Italia,
lunedì, e tornerò dopo due
giorni..» sospirò, e lo feci pure io. Non volevo stare lontano da lui.
«Per fortuna
non starò via molto...» borbottò.
- Rimanemmo in silenzio, ognuno nei
propri pensieri.
L’Italia..un oceano a separarci, anche se solo per pochi giorni. Non
potevo
sopportarlo.
- «In Italia dicono ci siano delle
belle ragazze..molto belle.» dissi, dopo un po’. Non so
perché lo feci, stavo impazzendo. Edward si voltò di scatto verso di
me. Il suo
viso era un mix tra stupore, divertimento, e tenerezza. Sulle sue
labbra si
disegnò un sorriso furbo; svoltò all’incrocio, ormai eravamo quasi
arrivati.
- «Sì, lo so, ci sono già stato
molte volte..» confessò,
annuendo tra sé. Fu una pugnalata. «Ma non è che mi interessi molto..»
parcheggiò l’auto nello spiazzo davanti alla centrale, e portò i suoi
occhi
dorati nei miei. Sorrise dolcemente, allungandosi per sfiorarmi una
guancia. «Io
ho già una bellissima ragazza qui a Forks.»
- «Mh» sbuffai. Mi fidavo ciecamente
di lui, però sapevo
che dopotutto era un uomo. E la carne-soprattutto quella degli uomini-
era troppo
debole.
- «Bella..» mi chiamò. Dal suo tono,
potevo giurare
stesse sorridendo. Ma io cercavo in tutti i modi di non guardarlo negli
occhi.
Avrebbe visto la mia espressione sconsolata; non volevo davvero che
andasse
via. Lui doveva stare accanto a me, per farmi essere felice. Edward era
la mia
felicità, il mio amore. «Ehi.» mi costrinse a guardarlo, e arrossii.
«Mi
mancherai da morire anche tu..» mi strinse
forte contro il suo petto marmoreo. Inspirai forte il suo profumo, così
intenso, poi allacciai le mani dietro alla sua schiena. Mi tenne
stretta tra le
sue braccia per un tempo indefinito, ma che non avrei voluto avesse
fine.
Sfortunatamente, il suo buon senso
gli ricordò che dovevo scendere da quell’auto, perché ero lì per
lavorare. Per
quanto mi riguardava, avrei preferito starmene lì, appiccicata come una
sanguisuga a lui, senza stancarmi mai.
- «Io..io..» pigolai, pianissimo.
Perché non riuscivo
più a dire quelle due semplici parole? Perché mi era così difficile
ripetere di
nuovo quello che avevo detto già una volta? Perché quel dannato ‘ti
amo’ non
usciva dalle mie labbra?
- Edward mi accarezzò delicatamente
i capelli, e mi
scoccò un bacio tra di essi. «Anch’io ti amo, mia piccola Isabella.»
Sorrisi
appena, e riaffondai il viso nel suo petto. Lui mi capiva. Edward mi allontanò appena, e mi sorrise
dolcemente. «Ora devi andare..Ti passo a prendere oggi pomeriggio.»
- *
- Sì, ero stata in ufficio, ma non
potevo dire di aver lavorato.
- Ero stata tutta la mattinata a
fissare un punto
indefinito della parete di fronte a me; i miei pensieri erano contesi
tra
Edward e il suo stupidissimo viaggio in Italia, e la mia astrusa idea
riguardo
il caso. Ad essere sincera, pensavo più a Edward, che a 007 Vampire, ma
le
poche volte che pensavo al caso, mi era impossibile non dire che ero
assolutamente impazzita. Vampiro. Ma
andiamo! Era solo una cretinata, una scemenza, una bufala! I vampiri
erano un’assurda
invenzione europea, peraltro falsa e portatrice di ingiustizie, verso
le
persone con occhi e capelli scuri e pelle chiara. I vampiri non
esistevano, non dracula con annessi
e connessi, almeno.
- Però persone con occhi rossi e
bellezza eterea le
avevano raffigurate, e ne avevano perfino scritto. Quante probabilità
avevo che
un pittore si fosse ispirato ad una storia di uno scrittore troppo
fantasioso e
amante del macabro, per un ritratto?
- Lasciai perdere la questione, riposi le carte del caso in una cartella, e
sistemai il portatile nella borsa. Lasciai il caso negli archivi, avevo
deciso
che per quella sera avrei staccato per un po’, avendo un problema ben
più
grande da sistemare: la partenza di Edward.
- Dovevo trovare un modo per non
impazzire durante la
sua assenza. La missione era pressochè impossibile.
- Salutai sbrigativa Angie e Jess, e
corsi fuori, dove
sapevo avrei trovato Edward. Infatti, era lì, con un sorriso smagliante
appoggiato alla sua Volvo metallizzata. Mi avvicinai a lui, con una
certa
cautela.Dovevo ovviamente tenere un contegno..o mi sarei sciolta.
- «Ehi..» salutai,sentendo il mio
cuore aumentare i suoi
battiti. Il suo sorriso divenne se possibile ancor più luminoso.
- «Ehi!» esclamò, euforico. Sorrisi,
incapace di
trovarlo ancor più bello, con quell’espressione serena.
- «Ho una cosa da proporti.» fece un
passo avanti, e
m’intrappolò tra le sue braccia.
- «Spero niente contro la legge!»
scherzai, contro il
suo torace scolpito.
- Lui ridacchiò. «No, certo.
Solo..vorrei presentarti come mia ragazza ai miei
genitori.»
- Ugh. Il mio cuore prese a battere all’impazzata,
e sentii il panico
avvolgermi.
- Edward mi staccò dal suo petto,
percependomi rigida, e
mi scrutò. Poi si fece quasi cauto.
- «Ma se non vuoi..» cercò di dire,
ma lo interruppi
dando voce ai miei dubbi.
- «E se non fossero d’accordo?»
- Il mio bellissimo ragazzo rimase
un attimo sorpreso,
poi scoppiò a ridere platealmente.
- «Sei assurda, Bella, davvero.» il
suo sguardo si fece
dolce, e mi accarezzò una guancia, obbligandomi a fissarlo negli occhi.
«I miei
ti hanno approvata dalla prima volta che hai messo piede in casa mia
per farti
medicare; hai persino sciolto il cuore di Rosalie, il che è tutto dire.
Non hai
nulla da temere..a parte le battute che sicuramente farà Emmett.» e
scosse la
testa, sospirando e chiudendo le palpebre, come se fosse già esasperato
dai
commenti del fratello.
- Così, mi ritrovai nella sua Volvo
fiammeggiante,
sparata nelle strade deserte di Forks, verso casa Cullen, per ufficializzare la mia relazione con
Edward.
- Anche se ero terrorizzata, non
potevo che sentirmi più
felice e amata.
- Quando arrivammo, la vista
dell’immensa villa mi
lasciò ancora una volta piuttosto sconcertata; era magnifica, imponente
e
maestosa, e incuteva quasi timore.
- Edward mi prese la mano, mi
sorrise e mi scoccò un
bacio sulla guancia. «Andrà tutto per il meglio, vedrai». E se lo
diceva lui,
potevo anche fidarmi.
- A differenza della prima volta,
Edward suonò il
campanello educatamente- quando mi ero fatta male era entrato come un
fulmine,
sibilando come una teiera.
- Stavolta, ad accoglierci fu sua
madre, con un sorriso
caldo e rassicurante, che la rendeva ancora più
bella.
- Il fatto che tutti i Cullen
assomigliassero più a dei
che a umani mi lasciava quasi sempre in soggezione, senza contare che
mi
avrebbero creato dei seri problemi con la mia autostima.
- «Mamma, ricordi Bella?»
- Non feci in tempo a respirare, che
mi ritrovai in un
batter di ciglio tra le braccia della madre di Edward, la signora Esme.
Il che
mi lasciò spiazzata per un secondo, come quando l’aveva fatto la figlia
Rosalie, al nostro incontro.
- «Sono così felice di vederti,
cara!» trillò,
emozionata. Chissà perché, ma immaginavo che la cosa fosse programmata,
e che
Edward non fosse caduto dal pero in quel momento.
- Ci portò dentro, e un piccolo
uragano mi venne
incontro, cangiandomi con i suoi occhi miele.
- «Ciao Bella! Sono così felice che
tu e mio fratello
stiate insieme!» così edordì, lasciandomi un attimo stordita quando mi
strinse
forte le mani e mi scoccò un bacio sulla guancia. «Vero, Jasper? Non
sono
carini?» Ecco come si chiamava il fratello di Edward, quello biondo e
serio.
- Emmett era quello moro e riccio,
quello massiccio come
un orso, che piombò nella stanza con un sorriso allegro, al seguito
della
modella bionda e gentile.
- «Eccola, la coppia del secolo!»
esclamò, ridacchiando.
Si avvicinò a me, e sciabolò le sopracciglia, «Allora, Eddino è
focoso?» Mi
sentii avvampare, e Edward non si trattenne dall’insultarlo
apertamente. Emmett
rise, «Andiamo! Stavo scerzando, fratellino!» poi allargò le braccia,
rivolgendosi a me. «Benvenuta in famiglia! Andiamo, fatti abbracciare,
non
mordo mica!» A quella battuta, Alice ridacchiò, Edward alzò gli occhi
al cielo,
Rosalie soffocò una risatina e Esme ci guardò come una che ammirava un
capolavoro.
- Senza che potessi muovere un
muscolo,oppormi, o far
quant’altro, Emmett mi prese tra le sue braccia muscolose e,
ovviamente, fredde,
in una morsa d’acciaio. «Grazie..» riuscii a biascicare.
- «Okay, Em, però così me la
stritoli!» l’apostrofò la
bionda, Rosalie, che, appena Emmett mi posò a terra, afferrò le mie
mani e mi
sorrise calorosamente. «Davvero, siamo molto felici per voi..era ora
che Edward
tornasse a sorridere.»
- «Ehilà, famiglia! Come mai tutta
questa euforia? Oh,
Isabella, ma che piacere!» Carlisle mi sorrise, mentre entrava in casa
e si
spogliava la giacca con eleganza, «Ecco perché non vi ho visto
avvinghiati nel parcheggio
come al solito!»
- Oddio, apriti pavimento, e
accoglimi con te! Ma da
quando il dottor Cullen era così…così?
- Esme e i fratelli di Edward
risero; ma lui, come me,
si sentiva imbarazzato, ed evidentemente era basito quanto me delle
parole di
suo padre.
- «Papà! Ma..?!» il mio ragazzo, ufficialmente ormai, boccheggiava.
- «Oh, suvvia Edward, anch’io vedo,
sai, dalle finestre
del mio ufficio? Senza contare che le voci circolano in una maniera
assurda, lì
dentro!»
- Mi sentii in dovere di concordare:
«Sì, guardi, mi
sembra di essere in una redazione di gossip, e non in un dipartimento
di
polizia.» Carlisle rise, scuotendo la testa divertito.
- «E quindi, fate atti osceni in
pubblico..!» esclamò
Emmett, con un ghigno. «Se vi arrestassero, sarebbe meglio non mettervi
nella
stessa cella o chissà cosa combinereste!»
- «Emmett!»
esclamammo sconvolti io e Edward, imbarazzati fin nelle ossa. Chissà
perché, ma
mi sembrava che Edward si stesse pentendo della sua scelta di portarmi
qui.
- La famiglia Cullen sembrava aver
preso gusto a
prenderci in giro!
- «Oh, ragazzi, dai, dategli
tregua!» ammonì Esme,
bonaria, «Accomodatevi, su! Bella cara, ti andrebbe un po’ di torta?»
- .
- Quel pomeriggio, con la famiglia
di Edward, sembrò
volare in un soffio.
- Ero stata benissimo, mi ero
sentita come a casa mia;
forse perché Edward non aveva abbandonato la mia mano, forse perché i
Cullen
erano delle persone davvero squisite e mi avevano messa a mio agio,
come non
era mai stato capace nessuno.
- Parlare con loro era sempre
divertente, mai noioso,
anche se molte volte Emmett ci deliziava
con le sue solite battute. Incredibile!
- Esme ci aveva pregati di tornare
insieme a trovarli,
quando Edward sarebbe tornato dall’Italia, e io mi ritrovai a
prometterlo.
- «Beh, dai, non è andata così male,
non trovi?»
commentò Edward, con un sorriso sereno.
- «Io direi molto bene! La tua
famiglia è meravigliosa,
davvero.» e ricambiai il sorriso, sincera.
- Edward ridacchiò. «Sono tutti
pazzi, è per questo che
li adoro. Anche se devo dire che Carlisle mi ha lasciato di stucco!»
non potei
che ridere anch’io, con lui.
- Ormai eravamo arrivati a casa mia,
e Edward mi guardò
neglio occhi, assumendo un’aria decisa.
- «Bene, la mia famiglia te l’ho
presentata..ora tocca a
te!» A quelle parole, quasi svenni.
- «Co-come?» balbettai.
- Edward sciabolò le sopracciglia,
come Emmett quel
pomeriggio, accennando un sorriso furbo e sghembo. «Andiamo, lotti
contro il
male e hai fifa a presentare il tuo ragazzo a tuo padre?»
- Sì, decisamente. Non gli avevo
ancora accennato che mi
vedessi con qualcuno, sapevo che in quel caso sarebbe entrato nelle
vesti di
padre bigotto e avrebbe tentato di allontanarmi da Edward, per paura
che mi
succedesse di nuovo qualcosa di brutto. Ma lui non sapeva che Edward mi
stava
riportando il sorriso e la speranza di un giorno migliore. Non
l’avrebbe
capito.
- Abbassai il capo, incupita. «Non è
una cosa facile,
Edward..» sospirai, «Mio padre..ecco, lui è molto..protettivo..ha
paura che qualcuno possa ferirmi ancora..e..»
- «Bella.» Edward mi obbligò a
guardarlo negli occhi.
«Non so cosa sia successo, in passato. Non pretendo di saperlo ora,
quando ti
sentirai pronta, se vorrai, me lo dirai..però tu sei la
mia vita, adesso, e l’unica cosa che mi preme è la tua felicità.
Mai, mai vorrei farti soffrire..» scosse la testa, afflitto. «Cercherò
di farlo
capire anche a tuo padre.» detto ciò, sorrise, in un modo che era
definibile
illegale, per quanto bello.
- Scaldata dalle sue parole, dalla
speranza, gli gettai
le braccia al collo per abbracciarlo.
- Poi, accostò il suo viso al mio
per baciarmi,
esaudendo finalmente quel desiderio che mi stava uccidendo quel
pomeriggio.