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Autore: Alechi    29/08/2011    2 recensioni
è una storiella semplice. parla di due persone che, nonostante tutte le difficoltà che hanno dovuto superare durante le loro vita, non hanno mai smesso di volersi bene. il titolo è una canzone dei pink floyd, ma loro non c'entrano, ho solo pensato che si adattasse bene a quello che avevo in mente. beh... spero che vi piaccia!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“WAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!! ANDIAMO A TROVARE JEEEEEEEEEEEFF!”

“Sì, ok, lo so... Non serve che lo urli!”

“Ma dai, non sei neanche un po' felice? Non lo vediamo da un sacco! Si è trasferito in quella merda di posto da quasi 4 mesi! No so tu, ma a me manca!”

“Hey, bada a come parli! Quella 'merda di posto' è la fottuta Los Angeles! Per fortuna andiamo anche noi a stare là, non ne potevo più...”

“Sì, lo so che non ne potevi più, ma non pensi a Jeff? Non ti è mancato? Cazzo, è il tuo migliore amico o me lo sono sognato?”

“Piccola a me basta avere te...”

“Sarà... Io stando sempre solo con te mi stufo dopo un po'!”

La ragazza dai capelli mori straordinariamente raccolti a causa del caldo scoppiò a ridere, ed in quello scatto d'ilarità per poco non perse l'equilibrio reso ancora più precario del solito dalla pesantissima valigia che si portava dietro arrancando.

Stavano andando a Los Angeles, dove Jeff si era trasferito qualche mese prima. Avevano programmato la partenza dal giorno successivo al trasferimento dell'amico, perché già ne sentivano la mancanza.

Kate avrebbe voluto terminare gli studi prima di prendere una decisione del genere, ma Will era riuscita a convincerla del fatto che le scuole “purtroppo”-aveva detto lui- esistevano dappertutto.

Quindi avevano ottenuto il consenso dei genitori adottivi di lei e avevano prenotato la partenza.

Ora erano alla stazione dei pullman, dove avrebbero preso una corriera che li avrebbe portati all'aeroporto.

Ma c'era qualcosa che forse non andava...

“Will, ma che hai?”

Vederlo con quello sguardo cupo aveva distrutto tutto il suo entusiasmo.

“Niente...”

“E' inutile che tu mi dica che non c'è niente, tanto lo so che quando hai quello sguardo c'è sempre qualcosa che non va, non sono mica una scema!”

“Dai se sai così tanto di me saprai anche che il problema è sempre il solito...”

“Ah... T-tuo padre?”

“Non chiamarlo così! Non è mio padre!”

“S-scusa... Ma qual è il problema? Stai per liberartene una volta per tutte...”

Lui abbassò lo sguardo.

“Già... Io me ne sto per liberare...”

“Oh... Non vuoi lasciare i tuoi fratelli con lui, vero?”

“Sono piccoli... Mia sorella...”

“Se la caveranno... Li conosco, sono forti...”

“Non lo sono abbastanza!”

“Tu lo sei stato, loro non sono poi tanto diversi da te!”

“Io lo sono stato? Io ho fatto finta di esserlo.”

“William, ascoltami, dannazione! Se hai cambiato idea non c'è nessun problema per me, rimanderemo. Quando penserai che sia il caso di partire lo faremo, ma sappi che anche se non mi opporrei non sarei comunque d'accordo. Tuo fratello sa tenere a bada la situazione, e tu ti sei già preoccupato abbastanza per loro... Hai diritto alla tua vita... Non sei egoista se te ne vai da qua...”

“Come fai a trovare sempre le parole?” sorrise.

“Bah, abilità naturale, mi viene spontaneo sai” iniziò a gongolare lei. E lui rise.

Già, rise... Per lei era così semplice riportare l'allegria su quel volto... Le veniva davvero naturale, forse, farlo star bene. Oppure in realtà si sforzava, chissà... Fatto sta che lui, il giovane più tormentato d'America, con lei al suo fianco era felice, e lo era davvero.

“Beh, dai, posiamo i bagagli e saliamo su questo fottuto pullman, altrimenti non arriveremo mai a L.A.!”

“YEEEEEEEEEEEEEEEEEAH! ANDIAMO DA JEEEEEEEEEEEFF! NON SEI CONTENTO?!”

 

***

 

Quei due ragazzi vagavano... Vagavano in giro per una città che non conoscevano se non di fama, e si guardavano intorno.

Lui indossava dei pantaloni in pelle che sfidavano i minacciosissimi 40° presenti ed una canottiera bianca, consumata.

Lei aveva i capelli raccolti, ed aveva un abbigliamento certamente più azzeccato visto che si era limitata ad una banale canottiera con dei banali shorts. In mano reggeva una cartina, che si rigirava confusamente tra le mani, o meglio, tra la mano, visto che con l'altra reggeva una valigia dall'aria tutt'altro che leggera.

“Eppure sono sicura che siamo nella zona giusta!”

“Dai, non ti ricordi l'indirizzo?”

“No!”

“Come fai a non ricordartelo?!”

“Cosa vuoi che ti dica? Soffrirò di memoria a breve termine!”

“Sì, penso anche io!”

“Smettila di rompere! Dai passami una birra.”

“Finite.”

“Come finite?! Te le sei finite tutte tu, vero?”

“Ma, veramente, erano 6 e io sono certo di averne bevute solo 2!”

“Uffa! Beh, dai... Cerchiamo la fantomatica casa a forma di arancia allora!

“Casa a forma di arancia?!”

“Certo! Me l'ha detto Jeff che abita in una casa a forma di arancia!”

“Secondo me hai capito male... O hai bevuto troppo... Non mi azzarderei ad escludere nessuna delle due opzioni...”

“Beh, se proprio devi lamentarti potevi parlarci tu al telefono con quella cazzo di linea disturbata!”

“Ma l'ho passato a te proprio perché c'era la linea disturbata! Sei tu quella sveglia, no?”

“Sì, sì, rigira la frittata... Al posto di lamentarti proviamo a chiedere a qualche passante... Quello per esempio! HEY TUUUUUU! SI', TU, PICCOLETTO CAPELLONE IN BICI!”

Kate si gettò in avanti placcando un ragazzino che avrà avuto poco meno della loro età e che passava di lì in bici correndo come un matto.

Lui inchiodò e volò giù dalla bici imprecando.

“Si può sapere che c'è? Dì, un po', sei matta?”

“No, non è matta, è solo ubriaca” sentenziò Will -parlava lui, poi-.

“Zitto William! Allora piccoletto, come ti chiami?”

“Mi chiamo Saul, bellezza.” disse lui ammiccando.
“Hey, nano! Vedi di andarci piano, lei non ha tempo per i bambini.”

“Piantala Will! Allora, Saul... Che bel nome, poi! Sei di queste parti?”

“Beh, abito un po' distante da qui per la verità, ma...”

“Ecco, visto?- lo interruppe il rosso- Non ci può essere d'aiuto, cerchiamo qualcun altro.”

“Lasciami finire di parlare, razza di montato! Stavo dicendo che conosco bene la zona, comunque. Avete bisogno di qualcosa?”

“Sì, sai dove possiamo trovare una casa a forma di arancia?”

“C-casa a forma di arancia?” ripeté lui perplesso.

“Sì, te l'avevo detto che era ubriaca, no? Comunque l'unico indizio che abbiamo per trovare il posto in cui stiamo andando sono le arance, quindi se ti viene in mente qualcosa che c'entri anche solo un po' diccelo...”

“Beh, di case a forma di arancia non so niente, ma se andate avanti di là c' una strada che si chiama Orange Avenue...”

“SI'! ERA LEIIIIIIIIIIIIIIIIIII!”

“Ok, grazie piccoletto, ci becchiamo in giro!”

“C-ciao...”

 

***

 

“Hey, ma... Ma tu non sei piccoletto?!”

“Oddio che ci fa qua la matta?!”

“La matta? Beh, intanto si chiama Kate, e poi questo posto dove proviamo è suo...”

“Davvero? Che figata! Matta, non pensavo che ti interessassi di musica!”

“E io non sapevo che i bambini si divertissero a strimpellare... Non vanno di moda i videogiochi di questi tempi?”

“Guarda che non sono un bambino, ho 18 anni...”

“18? Oh... Wow... Beh... Li porti bene se la mettiamo così...”

“Grazie eh! E comunque non strimpello, guarda che me la cavo!”

“Beh, allora sentiamo che sai fare visto che sei così gasato, n'è?”

Il piccoletto imbracciò la chitarra, una copia di una Les Paul, e iniziò a suonare uno dei pezzi che si suonano sempre alle prove... Uno di quei pezzi che conoscono tutti: Smoke on the water dei Deep Purple.

Se la cavava, ma una canzone che si suona su una corda sola e che per di più è tra le prime che si imparano non bastava per testare la sua bravura. Axl e Izzy avevano bisogno di qualcuno che fosse apposta per loro.

Gli insegnarono qualcuno dei loro pezzi, quelli che avevano con la vecchia band, e suonarono.

Kate li guardava rapita. Quelle prove, fra tutte, durarono per ore. Sembravano non finire più, perché il modo in cui piccoletto suonava la chitarra era un perfetto mix fra tecnica e passione.

Il suo stile le piaceva, trovava che il suono della sua chitarra si amalgamasse alla perfezione con quello della chitarra di Izzy, così come con gli acuti di Axl.

Dopo un paio d'ore smisero. Era calata la sera, e dopo poco sarebbero usciti e andati per locali come facevano tutte le notti.

“Hey, Kate, portatelo un po' fuori, qui abbiamo da parlare!”

“Ooooook, man! Dai, vieni piccoletto!”

Se lo trascinò fuori da quel magazzino adibito a sala prove, prima di uscire prese due birre e gliene passò una.

Si appoggiarono al muro, appena fuori dalla porta, con lo sguardo rivolto verso un lampione che lampeggiava...

“Hey, allora come pensi di essere andato?”

“Non lo so... Penso di aver suonato bene, ma le loro facce non mi convincevano...”

“Secondo me sei stato grande, piccoletto...”

“Grazie, bellezza. Vorrei davvero essere preso, e non solo per averti sempre intorno... Quel cantante ha la voce più spettacolare che io abbia sentito finora... Io voglio sfondare, e ho bisogno di lui per riuscirci, capisci?”

“Sì, capisco, piccoletto... Secondo me ti prenderanno... Non so ora... Ma succederà prima o poi... Anche loro vogliono sfondare, e hanno bisogno di qualcuno di bravo e determinato come te.”

Sentirono un tonfo e si girarono all'improvviso distogliendo l'attenzione dal lampione. La porta del magazzino era stata aperta e richiusa da Axl, che aveva un'espressione abbastanza scazzata...

“Se entra lui se ne va Izzy, vedete voi... Dice che sei troppo blues, ma a me piaceva... Vabbè, ci becchiamo, eh!”

Tornò dentro, probabilmente per litigare con l'amico. Kate guardò il ragazzo affianco a lei scuotere la testa e raccogliere la custodia della chitarra, facendo per andarsene, ma lo fermò...

“Hey, piccoletto, non smettere di provare, ok? Hai del talento, non arrenderti solo perché ti è andata male questa volta. Torna da noi tra qualche anno!”

“Lo farò certamente dolcezza!”

“A presto piccoletto!”

“Hey, non chiamarmi piccoletto, però!”

“E come dovrei chiamarti?”

“Chiamami Slash.” Sorrise e si allontanò accendendosi una sigaretta, con la custodia della chitarra in spalla, e la bottiglia di birra offertagli dalla ragazza ancora in mano.

 

 

***

 

E poi, boh! Si erano ritrovati di nuovo senza chitarrista... Kate non riusciva a capire perché, ma i membri di quella band cambiavano in continuazione. Avevano lo stesso batterista da abbastanza tempo, e sembravano aver raggiunto una certa stabilità anche con il bassista, uno alto a antipatico, ma la chitarra solista mancava sempre. Ora che avevano cacciato quel megalomane di Tracii non sapevano più che pesci prendere.

Certo, era evidente che il sound non era dei migliori, che avevano bisogno di qualcosa di meglio, che non tutti i chitarristi si adattavamo bene alla loro bravura, ma cavolo! Los Angeles era PIENA di chitarristi, vuoi non trovarne uno che ci sappia fare?

Così il quel pomeriggio uggioso erano là, al solito magazzino ad aspettare che arrivasse l'orda di candidati. Per la verità dei tre o quattro che sarebbero venuti ce n'era solo uno a cui erano tutti davvero interessati. Aveva suonato con lo spilungone, e si diceva che era bravo.

Kate, seduta a gambe incrociate appena fuori dalla porta a guardare insistentemente la strada, si chiedeva se il nome di quel tipo l'aveva capito proprio bene...

“Hey, spilungone!”

“Che vuoi?”

“Come hai detto che si chiamava il chitarrista con cui suonavi e che deve venire oggi?”

“Me l'hai già chiesto almeno un centinaio di volte! Si fa chiamare Slash!”

Non c'era dubbio, era lui: piccoletto. Quanta altra gente poteva esserci che si faceva chiamare in quel modo osceno?

In fondo era felice del suo arrivo, felice del fatto che non si fosse arreso. A tatto le stava simpatico, quindi le faceva piacere avere la possibilità di conoscerlo un po' meglio. Sì, Kate era sicura che quella volta sarebbe entrato nella band. In quegli ultimi mesi di prove e ricerche aveva sentito davvero di tutto, e non aveva trovato niente di abbastanza figo da poter essere anche solo comparato al suono della chitarra di quel piccoletto.

Poi lo vide. O meglio, vide quell'ammasso di capelli ricci ed incasinati che lo contraddistinguevano.

“PICCOLETTOOOOOOOOOOOOOOO!”

“Matta! Ancora tu? Beh, te l'avevo promesso che sarei tornato, no?”

“Giusto! Beh, gli altri sono dentro, tu vai pure...”

“Tu non vieni?”

“No, non posso, tra un po' devo andare...”

“Dove?”

“Università, bello...”

“U-università?! Davvero? E in cosa ti laurei?”

“Tecniche artistiche e dello spettacolo, nella facoltà di Lettere e Filosofia”

“Ehm... Ovvero?”

“Ovvero divento tecnico del suono, ma posso gestire anche tutte le cose che riguardano la parte scenica ed acustica di un concerto e di uno spettacolo teatrale, roba così...”

“Che figata! Beh, ti lascio andare allora!”

“Beh, Slash, quando torno ti voglio nella band, mi raccomando!”

“Ovvio pupa!”







Mamma che velocità! Bah, adoro scrivere di getto cose che per di più non c'entrano niente ò.ò Vaaaaaabbè xD

 

  
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