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Autore: Kokato    29/08/2011    6 recensioni
SECONDA CLASSIFICATA AL CONTEST "MINESTRONE DELLA NONNA" GIUDICATO DA MY PRIDE!
Partecipante al "Limes multifandom contest".
Scritta per il KinkMerlin Italia.
“Sto cambiando il mondo facendomela con un uomo sposato, fantastico!”. Arthur, sentendolo, cadde giù dal letto tenendosi la pancia per le troppe risate.
“Oddio, ma allora è vero che vuoi cambiare il mondo… ragazzino!”.
“L’ha detto lei!”.
“Dicevo per dire! Tutti i ventenni con il tuo aspetto da supereroi sotto copertura vogliono salvare il mondo, è un cliché anche questo”.
“La nostra relazione va avanti a cliché. Direi che è degradante, professore”, quel commento lo fece ridere ancora di più. Risalì sul letto a tentoni, afferrandolo per la vita e ridendo contro il suo stomaco.
“Sarà, ma non mi pare che ti dispiaccia”.

Arthur x Merlin
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gwen, Lancillotto, Morgana | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Scritta per il KinkMerlin Italia http://kinkmerlin-ita.livejournal.com/

 

 

CAPITOLO I - Empty heads break down

Cosa faceva credere loro che lo avrebbe fatto? Cosa faceva credere loro che avrebbe fatto quel passo? Che avrebbe sollevato la pianta del piede dal terreno, spostandola oltre quel limite? Merlin sbuffò, senza accennare a nessun altro movimento. Non era pronto alla rivoluzione. L’autobus era in ritardo ed intorno a lui le persone scalpitavano d’indignazione, tamburellavano le dita sui gomiti, si mordevano le labbra, toglievano e infilavano la mano con l’orologio dalla tasca dei pantaloni. La linea era lì, sull’asfalto. La fissava come se intendesse sfidarla a prendere vita, magicamente. Ma lei non lo faceva mai, non correva via da lui, non gli tirava via la mano, non lo invitava né alla fuga né alla lotta. Placidamente colorava l’asfalto.

Merlin sembrava il più ansioso dell’arrivo dell’autobus. Non era capace di stare fermo sulle gambe, voltava la testa da una parte all’altra, apriva e chiudeva la bocca sbattendo le labbra con un rumore di schiocco. Eppure non si muoveva da lì. Era irritante, quel ragazzetto magro coi suoi tic e l’indecisione che traspirava dai vestiti. Non era pronto alla rivolta.

Che problema questi giovani senza futuro.

 

 

“Intendi iscriverti in questa università?”.

Alla fine l’autobus si era degnato di passare, posandosi sulla linea come sé, procedendo, avesse poi potuto cancellarla dal suolo. Così non era stato. “Non intendo, sono iscritto”, rispose alla ragazza dalla pelle candida e i capelli neri che gli aveva sbarrato la strada all‘entrata della facoltà. Era bella in maniera quasi irreale, eterea nel senso stretto del termine, come un riflesso che si possa adombrare allungando una mano per sfiorarlo. Sorrise, porgendole la mano: “Sono Merlin”.

“Morgana. Mi hanno incaricato di fare da guida a dei liceali in visita e… sai che sembri un liceale?”.

“Me lo dicono piuttosto spesso. Ma sono una matricola, se la cosa può toglierti dall‘imbarazzo!”. mise da parte la sua battaglia generazionale per constatare che, effettivamente, quella ragazza era troppo bella per sperare che si fosse fermata ad interloquire con lui per un motivo diverso da quello che lei aveva addotto. Le sorrise nel modo meno stupido che gli riuscisse di fare. “Sarai pieno di entusiasmo! Io sono al terzo anno…. ah, piacerebbe anche a me tornare ad essere una matricola, qualche volta. Quando ti ritrovi ad essere un senior disilluso e sommerso dalle scadenze l’unica cosa che vorresti è andare a lavorare in una miniera… ah scusami, forse ho parlato troppo!”, ridacchiò, di fronte al suo sorriso ormai distorto dal vile peso della realtà. Amava semplicemente smontare le matricole con i racconti delle sue gesta, perciò liquidò la faccenda con una pacca sulle magre spalle. In un primo momento le era sembrato di aver fatto colpo, ma Merlin fece spallucce e salutandola proseguì con lo zaino in spalla che, tutt’ad un tratto, sembrava gigantesco.

“Ciao, ciao”, salutò, civettuola.

 

 

Era da quando aveva messo il piede su quel dannato autobus che il suo viso si rifiutava di assumere un’espressione umana. Le persone, solitamente, amavano le forme che il suo viso era in grado di assumere, erano bizzarre e tenere quasi. Aumentavano l’attenzione per lui, rendevano le conoscenze più approfondite. Ma quel mattino il suo viso non lo aveva aiutato a non farsi piantare lì da quella bella ragazza dai capelli neri e i gesti regali. Sospirò, sedendosi ad un tavolo della biblioteca. Fuori il cielo era sereno e prometteva una serenità che non lo toccava. Chissà come mai. Non aveva mai pensato seriamente di correre via dalla fermata dell’autobus verso chissà dove, era solo una fantasia.

Adorava la borsa di studio che gli aveva permesso di far capolino fuori dall’East end, adorava la sottile plastica della panchina alla fermata, adorava l’umidità impalpabile ed insistente della sua città. Solo che gli pareva ci dovesse essere qualcos’altro, come se si fosse trovato nel capitolo di un libro senza poter riuscire a voltare la pagina verso il successivo. Appoggiò il viso sottile sul palmo della mano.

Alla sua lezione mancava solo mezz’ora, ma non aveva la minima intenzione di alzarsi da lì se non pochi minuti prima dell‘inizio. A costo di farsi tutta la lezione scrivendo col quaderno appiccicato al muro. Non gliene importava un dannato fico secco.

Fu quando le lancette segnalarono che mancavano dieci minuti che accadde. Considerato che un insolito intorpidimento aveva accompagnato il suo insolito stato d’animo, si ritrovò a rendersi conto che la finestra davanti a lui era finita in frantumi più o meno quando una palla era rotolata vicino ai suoi piedi, dopo avergli colpito la testa e dimezzato le capacità intellettive. “Cosa diavolo…?”.

Raccolse la palla da baseball e si affacciò alla finestra, sotto la quale un ragazzo dai capelli biondi sventolava la mano al suo indirizzo. “Scusa ragazzo! Potresti rilanciarci la palla?”. Vicino a lui c’era Morgana, con le labbra rosse incurvate verso di lui. Lo salutò sventolando la mano rivolta verso il basso, come una dama composta ma allo stesso tempo vezzosa. Ragazzo a chi, poi? Aggrottò la fronte. “Dovreste stare attenti, dannazione! Mi è rimbombata la testa come una dannata campana!”.

Il ragazzo, con una mano su un fianco ed un atteggiamento superbo, ridacchiò. “Sarà perché è vuota! Ora rilanciaci quella palla prima che sia notte!”. What the fuck…? Fu fiero di sé stesso per l’essersi trattenuto dal dargli dell’imbecille, dell‘idiota, del nerboruto asino senza cervello... Finché effettivamente non lo fece. “IDIOTA! IMBECILLE! NERBORUTO ASINO SENZA CERVELLO!!!”.

Si limitò a distruggere ciò che rimaneva della finestra sbattendola, prendere la palla e avviarsi alla lezione al cui inizio, tutt’ad un tratto, mancavano solo pochi minuti.

 

 

Il suo zaino, senza una ragione, sembrava esser lievitato ulteriormente. Lo gettò per terra e sembrò quasi rimbalzare via. Sbuffò sedendosi e preparandosi all’inizio di quel nuovo corso che, sommandosi agli altri, avrebbe finito per provocare probabilmente l’implosione del suo cervello. Intorno a lui era uno svolazzare di fogli ed un fremere di nervi.

Lui, che era stato inspiegabilmente nervoso tutta la mattina, si limitò a fissare davanti a sé. Molti di quelli che lo videro pensarono che stesse aspettando qualcuno, e che quel qualcuno fosse il ragazzo biondo che gli si era stagliato davanti nel giro di pochi secondi, con un sorriso tremolante e un sopracciglio alzato. Merlin non se ne accorse che dopo parecchi secondi. Poi alzò il viso sgranando gli occhi ed unendo inconsapevolmente le labbra in un punto. “Ah, l’idiota”.

Indossava una camicia bianca su pantaloni di velluto -un abbigliamento da intellettualoide che mal si conciliava con la sua faccia da idiota, per l’appunto-. Uno scervellato calciatore con polpacci enormi ed un quoziente intellettivo inversamente proporzionale, e che per giunta pretendeva di negare la propria natura. Fu il suo momento di ridere.

“… ed imbecille, nerboruto asino senza cervello”, specifico l’altro, condiscendente. “Lasciami dire che il tuo modo di offendere la gente è piuttosto bizzarro”.

“Il tuo giocare a baseball lo è ancora di più”

“Oh, già… a proposito. Tu avresti qualcosa di mio, se ben ricordi”. Non che pensasse di fargliela pagare a quel modo, ma Merlin non aveva alcuna intenzione di restituirgli la sua palla.

“Non so di che cosa parli. Ora se vuoi scusarmi avrei da una lezione da seguire!”.

“Oh lo so”, improvvisamente sembrava trionfante. “Arthur Pendragon, comunque”, gli porse la mano. Merlin la prese distrattamente, ancora intento a guardare il vuoto e deciso a non dargli più attenzione di quanta ne meritasse. “… Pendragon?”, gli ricordava qualcosa.

Osservò meglio quello che gli era sembrato un ragazzo, notando che forse, in effetti, poteva anche non esserlo esattamente. “Pe… pe… Pendragon?”. Oh my god.

Professor Pendragon… per te”.

La gente nei paraggi trovò molto divertente il modo in cui Merlin era sbiancato ed era oscillato con la piccola testa, incassando la notizia come un pugno. Aveva dato dell’idiota ad un professore. Non che i professori non potessero esserlo -anzi, il più delle volte lo erano-, ma è un pensiero che un membro della sfortunata categoria- studenti non può esplicitare. Avrebbe preferito che fosse stato un Conte, un Duca… un Principe, qualcuno che avesse potuto lavare via l’onta mandandolo alla forca, alla ghigliottina, o magari alla gogna. Non rovinando la salute del suo fegato per molti mesi a venire, ad ogni modo.

Lo vide dirigersi verso la cattedra, su uno sfondo di risate.

Stupidi professori palestrati e troppo giovanili.

 

 

 

Stranamente il Professor Pendradon non aveva più reclamato la sua palla. Aveva parlato fluentemente della genesi della cardiochirurgia prima di radunare dei fogli in una cartellina, salutare, e uscire dall’aula lasciando la popolazione femminile in un tripudio di feromoni. Aveva spesso guardato verso di lui, sorridendo e ancheggiando nella sua direzione senza mai arrivare ad avere un contatto con lui. Era stato mortalmente stressante e i suoi appunti riportavano perlopiù la frase ‘Pendragon è un asino‘… nozione che, com’è evidente, non gli sarebbe stata molto utile per un futuro esame.

Sua madre Hunith lo vide chiudersi la porta di casa dietro le spalle e rimanere per qualche secondo fermo a respirare, di un respiro che avrebbe potuto attribuire ad un moribondo. Poi aveva alzato gli occhi verso di lei e aveva esclamato: “Sono morto!”.

“Cos…?”.

“Sono morto!”, ribadì lui, senza cenno di rettifica.

“Non mi sembra che tu sia…”.

“In senso figurato, mamma. O perlomeno sono certo che lo sarò molto presto!”. Marciò nella sua stanza prima che Hunith potesse aggiungere ulteriori consolazioni. John Lennon e compagni sembrarono incrociarlo e passargli accanto fugacemente dal poster attaccato al muro, camminando a grandi passi. Non riusciva a spiegarsi perché si sentisse così minacciato dal Professor Pendragon -in fondo non gli aveva arrecato chissà quale oltraggio-, ma dal sorriso che gli aveva rivolto si poteva pensare tutto tranne che non avrebbe dato seguito alla faccenda. “Ho come l’impressione che mi renderà la vita un inferno, lo so!” borbottò tra sé, prima di cadere all’indietro sul suo letto. Joe Strummer, dal soffitto, parve soffiargli una boccata di fumo sulla faccia. Finirò a Parigi a suonare una fisarmonica sotto un ponte, bevendo vodka da una bottiglia. Anche se come arriverò a Parigi, come mi procurerò una fisarmonica e come imparerò a suonarla non lo so ancora…

Dalla cucina sentì Hunith commentare la notizia che, nel carcere nordirlandese di Long Kesh, uno sciopero della fame era finito col bilancio di dieci detenuti morti (*). Sua madre era nordirlandese, e lui stesso aveva vissuto in Irlanda buona parte della sua infanzia, perciò l’andamento dei ’Troubles’ lo avevano sempre interessato in una maniera che lui stesso poco riusciva a capire. Chi combatteva per cambiare qualcosa, in particolare, chi avrebbe avuto il coraggio che lui non aveva di saltare oltre la linea di vernice tratteggiata sull’asfalto e correre chissà dove, tranne dove era previsto che si dovesse andare. Sbuffò, afferrando il suo costosissimo walkman, conquistato lavorando come un mulo come porta- birre in un pub irlandese.

(*)3 ottobre 1981- Finisce lo sciopero della fame dei detenuti repubblicani nel carcere di Long Kesh, in Irlanda del Nord. Durante lo sciopero sono morti 10 detenuti.

http://it.wikipedia.org/wiki/Troubles

 

NOTE DELL’AUTORE!

Dopo millenni passati a languire nei miei archivi, finalmente riesco a pubblicare questa fic. Si tratta sostanzialmente di un puzzle di vari input, derivanti dai due contest a cui ha partecipato (uno andato piuttosto bene, l’altro un po’ meno), e dal kink preso da KinkMerlin Italia che recitava “Arthur/Merlin, slash, AU. Merlin frequenta il college e Arthur è il giovane professore per cui perde la testa”, e siccome mi sembrava un’idea strana (io avrei visto più Merlin nei panni del professore, credo come un po’ tutti), ho voluto provarci. Spero che i personaggi siano IC.

La storia sarà composta da 4 capitoli piuttosto corti, e aggiornerò ogni lunedì per quattro settimane.

Spero vogliate farmi sapere cosa ne pensate con un commento.

Bye! ^^

   
 
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