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Autore: Kokato    05/09/2011    4 recensioni
SECONDA CLASSIFICATA AL CONTEST "MINESTRONE DELLA NONNA" GIUDICATO DA MY PRIDE!
Partecipante al "Limes multifandom contest".
Scritta per il KinkMerlin Italia.
“Sto cambiando il mondo facendomela con un uomo sposato, fantastico!”. Arthur, sentendolo, cadde giù dal letto tenendosi la pancia per le troppe risate.
“Oddio, ma allora è vero che vuoi cambiare il mondo… ragazzino!”.
“L’ha detto lei!”.
“Dicevo per dire! Tutti i ventenni con il tuo aspetto da supereroi sotto copertura vogliono salvare il mondo, è un cliché anche questo”.
“La nostra relazione va avanti a cliché. Direi che è degradante, professore”, quel commento lo fece ridere ancora di più. Risalì sul letto a tentoni, afferrandolo per la vita e ridendo contro il suo stomaco.
“Sarà, ma non mi pare che ti dispiaccia”.

Arthur x Merlin
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gwen, Lancillotto, Morgana | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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CAPITOLO II - Quiet blue

 

Arthur Pendragon trovava Merlin Emrys un esemplare di ragazzo che sarebbe stato a pennello con cartello e pantaloni a zampa d’elefante nel 1968. Sembrava sempre sul punto di cominciare a ringhiare contro qualche autorità, non ascoltava quando gli si parlava e quando lo faceva aveva sempre qualcosa da ridire. Aveva un viso tenero e scarno da ragazzino, membra esilissime che nascondeva sotto abiti troppo larghi. Arthur Pendragon, che era un atletico quarantenne e l’immagine vivente del detto ‘mente sana in corpo sano’, aveva passato il 1968 già laureato, col sedere al sicuro ed un buon futuro annunciato dal suo status. Eppure aveva indossato dei pantaloni orrendi e, contro il perentorio parere negativo di suo padre Uther, era stato davanti all’università a strillare e ad innalzare cartelli. Semplicemente non sapeva da che parte cominciare per avere a che fare con lui, né benché meno perché avrebbe dovuto farlo. Stava seduto sul bordo di un’aiuola con le cuffie alle orecchie, battendo ripetutamente il piede sul terreno a ritmo. Gli si sedette accanto, sottraendogli una cuffia.

I fought the law… and the law won…”(**), canticchiò.

Merlin lo fulminò neanche fosse stato un drago o un unicorno.

“Sei un sovversivo tu, eh?”. Merlin corrugò la fronte, parve così dilaniato dai dubbi da essere sul punto di esplodere. Ribadire il suo iniziale giudizio, o cedere al nemico? Scelse di aprire la bocca e richiuderla, sembrando un pesce senz’aria.

“Non ti boccerò per partito preso solo perché mi hai dato dell’idiota… forse”. Il professor Pendragon era un uomo fatto e finito, ma sembrava aver fermato il tempo a dieci anni prima. A volte faceva lo stesso tragitto all’indietro anche con la mente, ed era forse per questo che gli studenti avevano con lui una confidenza persino disdicevole, talvolta. Gli ricordava un bambino, un bambino intelligente che si permetteva di essere capriccioso, proprio perché consapevole della propria intelligenza. Si era creato intorno un circolo di geni della medicina eccentrici e chiacchieroni, prima fra tutti Morgana con la sua spavalderia, il suo aspetto da Biancaneve e i suoi modi di fare talvolta spocchiosi. Eppure Merlin si sentiva minacciato, in qualche maniera.

“Non sarebbe molto professionale farlo, in ogni caso”, rispose infine, scegliendo di non piegare la testa. Arthur soppesò quelle parole, poi batté una mano dalle lunghe dita sulle sue esili spalle.

“Voi giovani siete sempre così nervosi. Non che non lo fossero anche ai miei tempi, ma non me ne sono mai andato in giro come fai tu, pieno di pensieri e come se l’intero peso del mondo pesasse sulle mie spalle. Anzi, in effetti ero un grande idiota da giovane!”.

“Me lo posso immaginare”, si coprì la bocca dopo averlo detto. In compenso arrivò uno schiaffo dietro alla nuca a punirlo della sua sfacciataggine. “Ahia”.

“Ribadisco il mio giudizio iniziale. La tua testa è vuota e ti boccerò per le prossime dieci volte che oserai presentarti al mio esame”.

“Ma faccia quello che vuole!”, sbraitò, mentre il Professor Pendragon si allontanava ridendo in un modo che gli parve malefico.

***

Neanche la biblioteca con la sua atmosfera vuota e asettica gli aveva impedito di pensare al Professor Pendragon. Sospirò sbattendo la testa sul tavolo e sperando, in tal modo, di far uscire quei pensieri dalla sua testa. Era molto nervoso, questo era vero, sottilmente insoddisfatto per una serie di ragioni, oggetti, sensazioni e relazioni.

Per le sue ossa sottili, per il cielo perennemente grigio, per il latte scaduto nel frigorifero, per la fredda indifferenza che la sua ex ragazza sfoggiava nei suoi confronti quando lo incontrava per strada.

Solo non capiva perché Arthur Pendragon fosse così ansioso di averlo nella sua cerchia di studenti geniali e affascinanti che abbellivano l’università come una specie di attrazione turistica. Sgranocchiò una mela acerba, sperando di farsi distrarre dal rumore che faceva.

Damn, stupid, idiot, moron of a Pendragon!”. sbottò infine tra sé e sé, frustrato, ottenendo di far rotolare via la mela dalla sua bocca. Si chinò sotto il tavolo, sbattendo immediatamente la testa contro una delle sue gambe. Era piuttosto ovvio, ma non prese la cosa con filosofia, imprecando nel bel mezzo di una silenziosa biblioteca. Si voltò di lato, sbattendo contro qualcos’altro. Alzò la mano per massaggiarsi la testa che, da qualche giorno a quella parte, doveva aver visto il proprio contenuto dimezzarsi. Cosa diavolo era?

“Emrys…”.

“…”, no, ma davvero? Ancora lui?

“Un momento che mi alzo!”, ma qualcosa che gli sembravano tanto delle gambe parvero bloccargli la testa. Poi udì una risata inconfondibile, e capì. “Dovresti metterti un paio di occhiali sai? O riempirti la testa di qualcosa che non siano ideali trascendentali che non t’impediscono di renderti ridicolo”. Dall’alto il Professor Pendragon lo fissava, con le labbra stirate in un sorriso irritante.

Io sono… tra le sue gambe? Si fece indietro il più in fretta che poté, rischiando più volte di finire con la testa praticamente conficcata nel tavolo. Poi indicò Pendragon con un dito, come se intendesse accusarlo di chissà quale crimine. Quello fece spallucce: “Io stavo solo leggendo”. “Non ha un diavolo di studio lei?!”.

“Preferisco qui”.

“Proprio di fianco a me?!”.

“Nessuno me lo impedisce”.

“Gliel’avrei impedito io se me l’avesse detto!”.

Quello sbuffò. “Sei terribilmente lamentoso sai?”. decretò con tono da paternale. “Avresti bisogno di qualcosa che ti calmi, ragazzo mio”.

“Non sono affari suoi!”, mentre sbraitava si accorse di Morgana che, fingendo di cercare un libro in uno scaffale poco lontano, tratteneva le risate.

“E tu cosa diavolo hai da ridere?!”. Quella lo apostrofò con un altro dei suoi gesti affettati ed incomprensibili, per poi andarsene.

Si sarebbe presto pentito di quella domanda.

***

Guinerete ‘Gwen’ Planitia (***), sentì dire in giro, era la moglie di Arthur Pendragon, oltre che un personaggio politico di grande rilievo, candidata come primo ministro dei Laburisti. Una donna bella e fin troppo sincera per stare in politica, e che Merlin aveva sempre approvato per quanto poteva. Ogni tanto la si vedeva girare il campus a braccetto di suo marito, sorridente ed incurante e con delle scarpe da tennis bianche ai piedi. Senza sapere perché Merlin, tutte le volte che li aveva visti, aveva aumentato il volume del suo walkman e aveva calato il cappuccio della felpa sugli occhi. Joe Strummer aveva strillato nelle sue orecchie che Londra lo stava chiamando (****), ma lui non intendeva rispondere.

Una volta Morgana gli si era seduta accanto davanti ad un‘aiuola.

“Il Professor Pendragon è davvero un bell’uomo”, considerò lei.

“E con questo?”.

“Nulla”.

Silenzio.

“Lui ti piace?”.

“Come scusa?”, Morgana rise della sua faccia sconvolta.

“Ha degli occhi molto belli”, spiegò.

“E questo sarebbe il motivo per cui dovrebbe piacermi?”.

“Sono simili ai tuoi, ma più chiari… i tuoi sono più… di un blu che ispira calma”. Quello era decisamente una grande e grossa stupidaggine. Ma prima di incontrare Pendragon Merlin era stato un ragazzo socievole, sorridente, persino dolce, e quella ragazza gli piaceva -più delle sue insinuazioni, perlomeno-. “Sei simpatica, Morgana”.

“Anche tu”.

“Ma hai appena detto una grossa stupidaggine”.

“Vuoi forse negare che gli occhi del Professor Pendragon siano belli?”, Merlin balbettò, in confusione come Morgana aveva voluto che fosse.

“Non ho detto questo”.

“Allora sono belli o no?”.

Cercò di focalizzarli, ed in effetti li trovò molto belli. Come il leggero accenno di barba sulla mascella definita, le grandi labbra e il leggero reticolo di rughe che scavavano la pelle senza togliergli fascino. Ma sì, gli occhi erano belli. “Credo di sì”.

Morgana sorrise trionfante, facendo per alzarsi. “Ah, un’ultima cosa”, si fermò. “Ricordati di guardarti negli occhi, ogni tanto”, e detto questo se ne andò.

***

Durante le lezioni del Professor Pendragon a Merlin sembrava di tornare al liceo. Non era stato paranoico pensando che il suo sottile odio verso di lui avrebbe portato a qualche conseguenza. Pedanti, fastidiose, odiose conseguenze. Arthur Pendragon coglieva ogni minima occasione per fargli domande di ogni genere sulle lezioni precedenti, di chiamarlo in causa ogni volta che ce n’era l’occasione. Temeva l’interrogazione come uno stupido liceale di primo pelo, e tutte le volte che non riusciva a rispondere il professore rideva, faceva qualche battuta sarcastica sulla presunta vuotezza della sua testa, e continuava a parlare.

Ogni giorno c’era sempre un bottone in meno abbottonato sulla sua camicia. La cosa lo innervosiva, e com’è ovvio non sapeva il perché.

Un giorno, dopo aver esposto nel dettaglio come riconoscere una fibrillazione atriale, Merlin aveva fissato l’indecente petto scoperto del professore, e aveva trattenuto il respiro. Poi lo aveva detto.

“Professor Pendragon, posso chiederle una cosa?”.

“Sì signor Emrys… mi dica”.

“Potrebbe abbottonarsi la camicia, se non le dispiace?”.

Intorno a lui gli altri studenti risero, qualcuno gli dette della checca ridacchiando sottovoce. Ma a lui non importò, perché si sentiva molto più calmo ad ogni bottone che veniva inesorabilmente allacciato.

“È soddisfatto ora, sua altezza?”, chiese infine, quando ebbe finito.

Merlin aveva sorriso, amaro.

“Perché io sia soddisfatto lei dovrebbe sparire dalla faccia della terra, Professore”, disse, meritandosi un’altra domanda.

***

Era ossessionato dalle sue gambe.

Arthur Pendragon non se lo sapeva spiegare, ma nutriva come una sorta di preoccupazione per gli arti inferiori di Merlin Emrys. Fin da quando questo aveva gattonato ed era colliso inevitabilmente contro le sue parti basse. Ricordava quella scena con divertimento, ma non l’aveva raccontata a sua moglie. A sua moglie raccontava tutto, ma di Merlin Emrys non era ancora riuscito a raccontarle nulla. Eppure, su quel curioso ragazzo dalle grandi orecchie e grandi nervi, avrebbe avuto molti e divertenti aneddoti da sciorinare.

Merlin Emrys era un magro diciannovenne dell’East end, gioviale, solare e benvoluto quanto poteva essere cupo e vibrante, irritabile e pronto a scattare come una molla per ogni tocco o parola fuori posto.

Merlin Emrys era un mistero, come l’interesse che Arthur Pendragon aveva per lui. Circondò le spalle di Gwen con un braccio, lasciando che questa gli si accoccolasse addosso mentre dormivano sotto coperte ancora leggere. “Lancelot tornerà in città la fine del mese”.

Arthur accolse la notizia riguardante uno dei suoi più fidati amici con disinteresse malamente dissimulato. “Invitalo a cena”, ordinò soltanto, come se non avesse potuto farlo lui stesso.

Gwen annuì, e stette immobile.

Le gambe di Merlin non erano mai ferme. Facevano movimenti ondulatori, fremevano, si muovevano sempre seguendo un ritmo che solo il loro proprietario sentiva. Starlo a guardare era un delirio. Anche quando la mela gli era caduta dalla bocca quella era rotolata fino a lui solo perché, rimbalzando sul suo ginocchio danzante, era stata pressoché lanciata tre sedie più avanti. Quello, poi, aveva criticato le sue gambe che lo facevano sembrare un calciatore del Manchester United, aveva borbottato varie imprecazioni con le guancie rosse e se n’era andato lasciando la mela morsicata sotto il tavolo. Arthur l’aveva presa e fissata come se avesse potuto svelargli il mistero della perenne agitazione di quel ragazzo. I contorni del morso erano irregolari, circoscrivevano una bocca piccola e dai denti affilati. Merlin era nervoso ed indisponente, ma anche uno studente di eccezionale talento, e a Gwen parlava di tutti gli studenti di talento che incontrava. Erano il suo vanto, eppure di Merlin non le aveva parlato.

“Gli scavi di Lancelot in Egitto sono andati bene”, quel che sapeva Arthur con certezza è che non voleva sentir parlare di Lancelot.

“Mi fa piacere”, commentò soltanto, poggiando la testa sul seno di sua moglie e facendo finta di addormentarsi.

(**) “I fought the law”, cantata dai The clash.

(***) http://it.wikipedia.org/wiki/Guinevere_Planitia XD Scusate se ho dovuto inventarmi un cognome così ridicolo, ma “Guinevere Pendragon” non potevo metterlo perché disapprovo nella maniera più assoluta le donne che prendono il cognome del marito.

(****) Ascolta “London Calling”, dei The clash.

Note dell’autore!

Sì, un altro capitolo di cazzeggio random… ma dal prossimo ci sarà la svolta XD Uhm, non ho molto altro da dire.

Spero mi vogliate far sapere cosa ne pensate *O*

   
 
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