Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: sam_dannson    29/08/2011    0 recensioni
In un mondo in cui la chiesa e la fede cieca oscurano tutto il resto, l'uomo e la sua razionalità diventano inutili. Ciò che è inutile va eliminato ed è questa la missione dell'angelo Uriel. Ma la specie umana riserva sorprese persino per gli esseri celesti... forse non tutto è perduto... forse l'Uomo merita una seconda possibilità... forse...
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Darkness in Heaven 2
Il dolore lasciò il posto al nero. Il nero si colorò di un bianco accecante che strappò alle tenebre un luminoso prato in fiore, un paesaggio tanto bello quanto ultraterreno. Il silenzio ovattato circondava ogni pianta, ogni albero gonfio di frutti maturi. Onde trasparenti, mosse da un vento fantasma increspavano la superficie di un lago, alle rive del quale era ormeggiata una piccola barca. Sam sbattè le palpebre per abituare gli occhi alla luce intensa. Sembrava provenire dalla terra e dall'acqua piuttosto che dal cielo, che, a guardarlo meglio, appariva attraversato da un rosso crepuscolo. Stropicciandosi ancora gli occhi, si diresse verso la barca, unico segno di presenza umana. Era lucida e levigata, sembrava appena costruita, bianca tanto quanto il resto del paesaggio. Mentre il ragazzo si avvicinava, ondeggiò lievemente, come fosse impaziente del suo arrivo. "Fossi in te non lo farei" consigliò una voce alle spalle di Sam, che si girò di scatto. Appoggiato ad un albero di ciliegie mature a pochi metri di distanza c'era Joe Silver, l'ubriacone del pub. Sorridendogli si tese per cogliere qualche frutto e iniziò a mangiarli distrattamente sotto lo sguardo sconcertato del ragazzo. "Sto sognando?" chiese lui guardando l'uomo come si guarda un pagliaccio da circo. "Beh si..." rispose Joe "e no" aggiunse ingoiando l'ennesima ciliegia. Quando Sam lo rimproverò con un'occhiataccia alzò le spalle "che c'è, una tira l'altra, no? Anzi, ne vuoi un pò?". Il ragazzo era a quel punto più confuso che mai e iniziava ad irritarsi "no, ma che ci fai qua? Questo è il mio di sogno". Joe rise "ah su questo non ho dubbi, il paesaggio è di pessimo gusto, e poi io non posso sognare, questi non sono dettagli." A quel punto Sam perse la pazienza "mi vuoi dire che diavolo succede?", Joe gettò a terra i resti del pasto e si fece improvvisamente serio "stai morendo" fu la laconica risposta. "Ma cosa..." il ricordo del dolore lo riassalì e con quello anche la paura di dover sopportare di nuovo una tale sofferenza. "Tu menti" lo aggredì con voce incrinata dal panico. Joe scosse la testa "questo dipende da te. Io posso assicurarti che la maggior parte degli Eletti sopravvive ma è capitato che il dolore si facesse troppo forte: è una selezione naturale, capisci?". A Sam ricominciò a far male la testa "okay okay tu sei matto e io lo sono ancora di più per sognare cose del genere. E' il momento di sveglarsi". Chiuse gli occhi e si concentrò per tornare nel mondo reale, dove anche Daniel sarebbe stato preoccupato trovandolo svenuto sul pavimento. Contò fino a tre, li riaprì e sobbalzò di sorpresa. Non solo era ancora lì, ma Joe si era spostato e lo fissava da un metro di distanza. Lo sguardo era serio, agghiacciante e non prese nemmeno in considerazione l'idea di dargli ancora del pazzo. "Ascoltami bene, ragazzo. Loro saranno qui, presto e non lasceranno superstiti. Ti sei chiesto cosa ci sia nella barca? Il diavolo, Sam. Tutte le tue paure, le tue insicurezze ti aspettano su quel pezzo di legno e tu dovrai affrontarle, a tempo debito. Ora non avresti speranza. Quindi ascoltami bene" aggiunse addolcendo un poco il tono "L'unica cosa di cui ti devi preoccupare ora è il dolore: affrontalo, sopportalo, sconfiggilo e sopravviverai. A quel punto ci rivedremo di nuovo, dove ci siamo incontrati al pub, stessa ora e stesso posto. Io ogni sera starò lì ad aspettarti. Non mi deludere Sam, perchè con me deluderesti tutti quelli che hai mai amato, tutti quelli che ti conoscono e quelli che non ti hanno mai visto: la tua è una missione di vitale importanza." Detto questo non gli lasciò il tempo di replicare, gli appoggiò il palmo della mano sulla fronte e tutto tornò nero. Quando aprì gli occhi, a chilometri di distanza, nel mondo reale, la prima cosa che avvertì fu il dolore intenso, poi la voce di Daniel che gli urlava terrorizzato di svegliarsi.

Erano passate sei ore trentanove minuti e sette secondi dal suo risveglio e Sam si arrese. Semplicemente aveva esaurito le energie, non poteva più andare avanti in quel modo e si ritrovò ad implorare la morte pur di non dover sopportare un'altro minuto di quel supplizio, o meglio, l'avrebbe fatto se avesse avuto voce per urlare. Non aveva mangiato nè bevuto nulla. Il tempo era passato con una lentezza irreale, scandito dal ticchettio dei secondi che diventavano minuti, lo scoccare delle ore che erano giorni. Fuori dalla finestra si avvicinava l'alba e i primi timidi raggi di luce gli accarezzarono la pelle, mentre giaceva inerte sul letto d'ospedale dal quale non si era mosso per tutto il tempo. Quando la sera prima si era svegliato, Daniel lo aveva portato subito nella clinica più vicina nonostante le sue deboli proteste e lui era rimasto cosciente mentre i medici lo esaminavano da capo a piedi causandogli altro dolore. "Gli anestetizzanti vengono neutralizzati dal sistema immunitario, non riescono a fare effetto" li aveva sentiti dire dopo l'ennesima inutile iniezione di propofol. Che gli stava succedendo? Qual era il significato delle parole di Joe? Chi era quello sconosciuto? Le domande erano tante, troppe ma presto ogni cosa perse significato di fronte alla sofferenza. Aveva rinunciato a lottare e nel momento in cui il battito del suo cuore si arrestò tutto tacque. Il dolore era sparito, non sentiva più nulla. E' questo la morte? Il nulla? pensò, grato per quegli istanti di pace. Ma poi le sensazioni tornarono di colpo e fu sgradevole, come se improvvisamente un blocco di cemento fosse stato rimosso dalle sue orecchie, dagli occhi lasciando il cervello in balia di un mare di informazioni con il quale non si era mai dovuto relazionare. Ora poteva sentire. Sentiva i dottori che discutevano, sentiva il respiro pesante di Daniel addormentato lì vicino da qualche parte, sentiva il rumore dei passi degli infermieri, un urlo di un paziente. Quando riuscì a mettere a fuoco la stanza in cui si trovava gli sembrò di guardare dritto il sole. La luce inondava ogni angolo e le poche ombre tracciate dalla parca mobilia sembravano nette come carboncini. I colori erano intensi, quasi fastidiosi e gli venne istintivo proteggersi gli occhi con le mani. Così facendo smosse però dei macchinari ai quali era stato collegato attraverso dei cavi assicurati alle braccia e un allarme iniziò a strillare turturandogli i timpani improvvisamente così sensibili. Daniel si svegliò di soprassalto e gli corse vicino. "Sei sveglio Sam" disse agitato "fate venire qualcuno" urlò poi voltadosi verso la porta a vetri che si aprì quasi immediatamente per lasciar entrare un'intera equipe di medici.
Il rumore era ingestibile per i suoi nervi sotto stress e Sam iniziò a urlare scalciando. "Va bene, va bene, siamo qui adesso. Ragazzo ti devi calmare, andrà tutto bene" strillò un paramedico mentre cercava di tenerlo immobilizzato. Il ragazzo si dibattè ancora per qualche secondo, poi gli fecero un'iniezione e tutto si fece nero, per l'ennesima volta.
Si svegliò nel cuore della notte. Aveva dormito per tutto il giorno il che significava che probabilmente gli avevano dato altra di quella roba. Alzò lo sguardo e vide che al braccio era legata una flebo. Lo stavano ancora sedando, ma l'effetto era terminato, il che significava che aveva sviluppato una sorta di immunità... forse funzionava come per gli antidolorifici, il suo corpo li eliminava: così almeno aveva detto il dottore quella mattina. L'ennesima domanda si aggiungeva alla fila interminabile e non era l'unica perchè era appena riuscito a distinguere il filo trasparente di una flebo in piena notte in una stanza non illuminata, se non per le lucette lampeggianti dei macchinari, decisamente troppo piccole e fioche per permettere qualsiasi tipo di visione.
In alto sulla parete opposta ticchettava un orologio che segnava quasi la mezzanotte. Doveva fare qualcosa a quell'ora, doveva incontrare qualcuno... Improvvisamente i ricordi lo assalirono. Il sogno, l'uomo misterioso. Non era morto! Joe aveva detto che sarebbe morto e invece era sopravvissuto, ora doveva trovarlo. Sul momento l'idea di sapere cosa fare gli diede sicurezza e lo fece sentire bene, ma poi, riflettendoci, realizzò quanto assurda fosse l'idea di scappare dall'ospedale di notte e senza nessuna certezza riguardo cosa avrebbe trovato fuori. Probabilmente il sogno era solo un sogno e in realtà quell'uomo, chiunque fosse, dormiva tranquillamente nel suo letto, ignaro di tutto. Sì, doveva essere così. Si era trattato di uno scherzo della sua mente, nient'altro. Chiuse gli occhi cercando di riprendere sonno o comunque di facilitare il compito al sonnifero che ancora gocciava dalla flebo nel suo polso. Improvvisamente l'idea che qualcosa gli penetrasse le vene lo fece star male, combattè per un pò l'impulso di strapparsi il tubicino dal braccio ma poi la sensazione di fastidio si fece fortissima e cedette sfilando con delicatezza l'ago.
Niente da fare, non sarebbe riuscito a dormire. Guardò nuovamente l'orologio. "Stesso posto stessa ora" così aveva detto Joe prma di rispedirlo nel mondo reale. Aveva ancora un pò di tempo. Se fosse uscito subito ce l'avrebbe fatta. Milioni di voci urlarono nella sua testa che evidentemente era impazzito, che doveva rimanersene calmo e lasciare che lo curasero dallo strano virus che lo aveva infettato.
Venti minuti dopo la stanza 37 del piano terra del St Stefan Hospital era deserta, la finestra aperta, le tende si agitavano scomposte al vento notturno. Sam respirò avidamente l'aria fresca della notte americana. Odorava di libertà.
  
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