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Autore: crazyfred    29/08/2011    15 recensioni
Il destino può cambiare in un momento. Due anime scontrarsi e fondersi in un solo istante, senza preavviso, legate per non staccarsi mai. Non era lei quella che immaginava e quello non era il luogo che aveva in mente. Ma lui la guarderà negli occhi ... e saprà di non essere solo.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over, Lime | Avvertimenti: nessuno
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When you crash in the clouds - capitolo 15
When you crash in the clouds







Capitolo 15

You are my sister





soundtrack

Mi chiusi la porta alle spalle, lasciando che Allie si godesse la sua nuova stanza un po’ da sola, riordinando le idee dopo la mezz’ora trascorsa a parlarmi di sé e a far riaffiorare un passato doloroso e spiacevole. Non sapevo cosa fare, più che abbracciarla e farle sentire quel calore che negli ultimi tre anni le era evidentemente mancato, ma ero anche cosciente che tre anni di disattenzioni e angherie subìte non potevano essere spazzati via da una buona colazione ed una stanza tutta nuova, né sarebbero bastate una seduta dal parrucchiere o una mattinata a spasso tra i migliori negozi della città.
Nonostante avessi provato sulla mia pelle cosa significasse essere ignorati nel momento del dolore, non concepivo come dei genitori potessero davvero comportarsi così con i propri figli; avevo solo voglia in quel momento di stanare quella donna dovunque fosse e guardarla negli occhi, capire come potesse anche solo respirare sapendo a quale vita aveva costretto il sangue del suo sangue e poi sputarle in faccia, letteralmente, tutto lo sdegno che provavo per lei.
Era una cosa che mi ero ripromesso di fare prima o poi; tuttavia ora dovevo invece solo concentrarmi a far star bene la mia Allie in questa nuova situazione, ospite in casa di sconosciuti, che pure la stavano trattando come se fosse una di famiglia.
La mia Allison, che mia non lo era per niente. Fingevo che lo fosse, ma chiaramente era un’illusione bell’e buona, e per di più dolorosa, destinata a svanire e distruggermi. Non era interessata a stare con me, ma aveva dimostrato di essersi affezionata e di non voler rinunciare a ciò che di me potevo offrile senza creare troppe complicazioni tra noi. Mi accontentavo, sperando di farle cambiare idea, prima o poi.
Al momento però, tra i molti pensieri che affollavano la mia mente, c’era anche un piccolo comparto dal nome Caroline. Da quando avevamo messo piede in casa non si era fatta sentire, né tantomeno vedere e conoscendola sapevo che non avrebbe fatto la prima mossa. Era troppo timida per presentarsi ad un estraneo di sua spontanea volontà e le sue difficoltà di relazione con gli altri si amplificavamo ogni volta per via del timore che la trovassero strana, come non mancavano mai di ricordarle quelle stupide oche che si ritrovava come compagne di scuola, o che scoprissero dei suoi momenti di distrazione dal resto del mondo. Nessuno di noi, a casa, gliel’avrebbe mai fatto pesare, ma era terrorizzata da chiunque non la conoscesse e avrebbe potuto etichettarla come uno scherzo della natura.
Mi avvicinai alla sua stanza sperando di sentir risuonare qualche pezzo di musica classica, segno inconfondibile della sua produttività artistica. Era molto abile nella ritrattistica, prediligendo in particolar modo l’uso delle matite e del carboncino al posto dei pennelli ed ogni volta che ritraeva qualcuno, fosse un estraneo o un amico di lunga data riusciva con pochi semplici tocchi e particolari a coglierne la più vera essenza.
Ma in quel momento lo stereo non stava funzionando e, aprendo la porta, la trovai stesa sul letto. Non appena mi vide voltò le spalle e, nel breve attimo in cui incrociai il suo sguardo, non mi fu difficile scorgere astio e dissenso; evidentemente era già a conoscenza degli eventi di quella giornata e non sembrava essere d’accordo.

Mi sedetti sul letto, al suo fianco, lasciando che mi desse le spalle e mantenesse il broncio ancora per un po’, ma le schioccai un bacio sulla guancia, sapendo che a quello non sapeva proprio resistere. Ma sembrò per la prima volta non riuscire a perdonarmi, pulendosi con il dorso della mano laddove l’avevo baciata, schifata.
“Che c’è?!” cantilenai, richiamandola “non ti piacciono più le coccole del tuo fratellone?”
Tuttavia sembrava che le mie moine per ingraziarmela avessero addirittura sortito l’effetto contrario, facendola risentire ancora di più. Immaginavo che ce l’avesse con me per averle portato Allison in casa, ma dovevo capire il perché.
“Allora?!” incalzai “vuoi dirmi perché fai l’offesa? Mmh?!”
Si girò, lentamente, tirando su il naso, sperando forse che io non capissi che avrebbe volentieri pianto. Era davvero una bambina, ma il più delle volte, purtroppo tendevo a dimenticarlo.
“Chi è quella lì?” frignò. Bingo! C’avevo preso, chiaramente.
“Te l’ha detto mamma che abbiamo fatto venire una ragazza a stare qui?” chiesi; lei scosse la testa, spiegando che ci aveva visti arrivare e dal pianerottolo aveva spiato la nostra conversazione al piano di sotto.
“Si chiama Allison, è una mia amica” chiarii “ non ha più un posto dove stare e mamma ha suggerito di farla trasferire qui fin quando non troverà una sistemazione per conto suo”
Mi sembrava la spiegazione più semplice e comprensibile, che non implicasse parole difficili e situazioni che non avrebbe dovuto conoscere alla sua età, risparmiandomi una montagna di domande scomode a cui rispondere.
“Non sta bene lasciare senza una casa le persone a cui vogliamo bene, soprattutto con questo freddo, non ti pare?” le dissi.
Eppure, testarda come un mulo, affilò la lingua e rispose: “Questo varrà per te ma non per me, Tyler. Io nemmeno la conosco …”
“Se non fossi così difficile l’avresti già conosciuta” mi sentii ribattere.
“Sono in casa mia” mi contraddisse “sta a lei presentarsi!”
Restai con un palmo di naso. Dov’era finita Caroline, la mia timida, dolce, sensibile ed adorabile sorellina? Non ricordavo di avere un serpente dalla lingua biforcuta come sorella!
Quella sua risposta pronta, quel suo cipiglio fiero e battagliero mi fecero pensare ad un felino che difende il suo territorio. E per questo c’era una parola ben precisa: GELOSIA.
Solo che in ballo non c’erano solo quelle quattro mura, bensì qualcosa di più grosso e più importante: i suoi affetti.
Non era abituata a dividere ciò che le apparteneva, né tantomeno le nostre attenzioni, con nessuno altro e, anche se non l’aveva dichiarato apertamente, il suo atteggiamento parlava da sé.

“Non fare la bambina” la rimproverai “Allison ha i suoi buoni motivi per rimanere sulle sue, credimi. Ogni tanto si tratta anche di venirsi incontro. Non puoi sempre fare come se tutto ti fosse dovuto”
D’altro canto, pensai, quel suo atteggiamento, alle volte vittimistico, era dovuto al trattamento da cocca di casa che noi tutti ci ostinavamo a riservarle e che aveva inevitabilmente portato a tirarla su viziata ed egoista.
Ma come risultato ottenni solo la reazione inversa, un plateale broncio accompagnato da sbraiti e grandi sceneggiate per buttarmi fuori dalla sua camera. Avrei potuto fermarla con una mano o zittirla con un semplice richiamo ben assestato, che mia madre non era mai stata in grado di farle, ma preferii non obiettare oltre alle sue rimostranze, ero pur sempre suo fratello maggiore, e se ora il muso le sarebbe passato con una coppa di gelato o un pomeriggio insieme nel suo museo preferito, se avessi tentato di impormi avrebbe cominciato ad odiarmi per essere l’ennesima figura autoritaria nella sua vita che cercava di imporle le sue regole. A me non sarebbe piaciuto, figurarsi a lei.
“E ti ricordo” mi urlò, una volta cacciatomi dalla stanza “che ho 10 anni e mezzo … sono ancora una bambina!”
“Caroline dai …!”
In quel momento, mentre Caroline mi sbatteva la porta in faccia, un’altra si aprì alle mie spalle. Allison fece capolino timidamente dalla sua stanza ed io mi avvicinai, impacciato. La mano corse ai capelli, ma era diventato nel corso degli anni un gesto talmente incondizionato, da non farci quasi più caso.
“Non devi litigare con lei per me” mi disse, accennando a quella porta irrimediabilmente chiusa.
“Nnn …” obbiettai, borbottando “non ci fare caso. Stasera o al più tardi domani sarà tutto passato.”
“Ed invece no” si impose “non ne vale la pena. È tua sorella, ti vuole bene … le vuoi bene e non devi sprecare neanche un secondo del tempo che passate insieme.”
Capii in un battibaleno il sottile riferimento a sua sorella e compresi che forse aveva ragione. Del resto, se Michael fosse ancora vivo o se solo mi fosse data l’opportunità di trascorrere con lui ancora poche ore, certo le sfrutterei al meglio. Ma il tempo che ci viene concesso non è mai abbastanza e puntualmente lo sprechiamo, concentrandoci su futili litigi e chiacchiere inutili.
“Le parlerò” promisi, sapendo che tanto bastava poco per fare pace con la mia sorellina. “A te invece come va nella nuova stanza?” le chiesi, alludendo in realtà alla nostra conversazione di prima. Ci capitava molto spesso di parlare per traslato e, per fortuna, riuscivamo ad intenderci sempre alla perfezione.
“Bene, grazie”. Sperai che avesse capito a cosa mi riferissi, ancora una volta.
 

La neve si era quasi totalmente sciolta, nonostante un’ulteriore bufera ci avesse colpiti di nuovo quella notte, ma il gelo tra mia sorella ed Allison persisteva ancora dopo due giorni.
Ormai ero diventato ospite fisso di pranzi e cene da mia madre, per l’invidia di Aidan a cui ancora dovevo rendere conto del nuovo ordine in cucina e del perché Allison si era trasferita da mia madre: “una cosa per volta” mi sbrigavo ogni volta per affrontare quella conversazione, cambiando velocemente stanza o fingendomi impegnato in altro; lui sembrò per una volta abbastanza rispettoso da non mettersi in mezzo.
Non che mi lamentassi di quella nuova routine, economicamente favorevole e salutare per la mia dieta oltre che per l’ottima compagnia, ma il ruolo di mediatore mi andava alquanto stretto. La piccola di casa si rifiutava di scendere a mangiare finché ci fosse stata quella ed Allison andava rincuorata ogni volta che questo sprezzante accanimento si ripresentava.
“Non è giusto” diceva “non è giusto che in casa sua Caroline si comporti da estranea per favorire me.” Si offrì di cenare in camera per tutto il tempo della sua permanenza, a parte cercare di convincerci, invano, che fosse il caso di non trattenersi oltre.
“Allison” le ripeteva mia madre “Caroline deve imparare che non sempre si deve fare come dice lei”
Straordinariamente mia madre sembrava essere in accordo con me sulla questione, eppure Allie ribadiva quanto l’ostruzionismo di Caroline fosse legittimo e lei non aveva il diritto di insistere oltre. A dirla tutta aveva anche provato ad avvicinarla, ma Caroline aveva sfoderato un lato di sé che non conoscevo; sembrava un gatto furioso e prepotente, pronto a sguainare gli artigli in ogni momento.
Non sapevo più come affrontare l’argomento con lei; cercavo di farle sputare il rospo su ciò che non andava, ma il mutismo era la sua arma prediletta.
Avremmo dovuto trovare un soluzione al più presto, perché non volevo che Allison lasciasse quella casa; per quanto la proposta di una convivenza (amichevole) con me era sempre valida, anche un cieco avrebbe notato i benefici che la permanenza in casa di mia madre, vivendo con delle persone che avevano per lei un aspetto vagamente genitoriale, le aveva ridonato quella quotidianità preziosa e semplice di cui aveva bisogno. Se solo l’avesse capito anche Caroline.
Probabilmente un altro genitore, con un altro figlio, si sarebbe comportato diversamente e l’avrebbe costretto a stare a tavola comunque. Ma con Caroline non era possibile adottare certe misure ferme: non dopo il divorzio di mia madre ed il suo secondo matrimonio, non dopo la morte di nostro fratello, non con un padre-fantasma come il nostro.
“Maestro!” la salutai, dopo aver cenato, andando a ritirare il vassoio con la sua cena. Mi salutò di rimando con la sua risata appena accennata, ma che per noi parlava più di centro frasi fatte o parole di convenienza. Ma invece di lasciarla ai compiti che il pomeriggio aveva sostituito con la pittura, decisi di farle un po’ compagnia, aiutandola con i problemi di aritmetica e gli esercizi di grammatica. Di tanto in tanto cercavo di punzecchiarla con il solito argomento, che iniziava a dare la nausea un po’ a tutti. Ma era più scaltra di quanto desse a vedere e, grazie alla sua capacità manipolativa o, per meglio dire, alla mia malleabilità, non c’era verso di dirigerla verso una riconciliazione (a dir la verità, si trattava di un vero e proprio primo incontro) tra lei ed Allison.

Il giorno seguente, approfittando del mattino libero dal lavoro e dei corsi universitari senza frequenza obbligatoria, mi recai a casa di mia madre, secondo la versione ufficiale, per preparare gli esami della sessione invernale.
Les non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo vedendomi arrivare di buon mattino a casa sua, con caffè e ciambelle per tutti. Casa mia non era certo il luogo migliore per concentrarsi e studiare, su questo eravamo d’accordo, ma la biblioteca dell’università era molto più vicina e c’erano altri mille posti in cui andare, come la caffetteria sul posto di lavoro o altri che comunque avrei preferito, fino a qualche giorno prima, secondo il marito di mia madre.
“Ma di tutti hai scelto questo” ribadì il concetto Les, ironico, strizzando l’occhio. “Ma non ce l’hai un lavoro Les?” gli chiesi, fintamente offeso, nel nostro gioco, ormai quotidiano, di provocazione e battutine punzecchianti.
Rise sornione, addentando una delle ciambelline e brandendo una tazza di caffè che gli avevo portato, con la ventiquattrore ciondolante nell’altra mano. Uscì e mi lasciò solo in casa, visto che Caroline era a scuola ed Allison era con mia madre da qualche parte, visto che mi nascondevano tutti i loro progetti e acquisti.
Fui costretto a mettermi a studiare sul serio, distratto però ogni 5 secondi dai dettagli nuovi che arricchivano ora quella che era la mia camera e in cui mi ero piazzato, a detta di Les, “proprio a caso”. Oltre alle chitarre ed alcuni cimeli musicali di mia proprietà che aveva conservato, Allison aveva aggiunto un mobile da toilette antico in legno (sicuro opera di mia madre e della sua mania per l’antiquariato), una riproduzione della “Classe di Danza” di Degas impreziosita da una cornice in oro, finemente lavorata e lasciata volutamente per terra, in piedi, addossata delicatamente ad una parete ed invece, sulle pareti, alcune locandine di spettacoli di danza leggendari, dai Balletti Russi di Balanchine allo Smuin Ballet di San Francisco, a dimostrazione che la danza era parte integrante della sua prima vita. Magari il suo sogno era quello di diventare una grande ballerina, e lo sarebbe stata se non avesse scelto di abbandonare sua madre e la sua famiglia; ma con i se e con i ma non si combina granché …
Così, alzandomi e distraendomi per la cinquantesima volta nel giro dell’intera mattinata, lasciai la stanza di Allison per andare a farmi un caffè, visto che quelli che avevo portato li avevo ormai finiti; passai di fronte alla stanza di Caroline e non ci pensai due volte ad entrare. Mi dava un gusto particolare sbirciare le sue creazioni quando lei non era presente, soprattutto perché puntualmente finivo col cercare quelle che lei scartava o nascondeva finché non fossero concluse: non per morbosa curiosità o invadenza, ma era come entrare in un museo di work in progress. Mi guardai un po’ intorno e, oltre ai miei ritratti, di cui oramai ne aveva collezionati una dozzina, c’era qualche paesaggio innevato di New York, scorci dalla sua stanza o vedute immaginarie di Central Park e Times Square, ricordo dei giorni passati. Infine, ben nascosto tra gli altri fogli, trovai un ritratto che mi colpì. Riconobbi subito i tratti del soggetto: era Allie, seduta tra morbidi cuscini sul davanzale interno della sua camera, intenta ad osservare qualcosa fuori eppure con lo sguardo perso nel vuoto, un libro aperto sulle ginocchia.
Doveva averla spiata parecchio, doveva averla osservata con attenzione per aver trovato in lei così tanti particolari degni di nota: le labbra sempre leggermente dischiuse, i capelli mai in ordine e la testa appoggiata sul freddo vetro; neanche una leggera escoriazione sul collo le sfuggì, cicatrice della notte in cui era scappata dalle mani violente e lerce di gente straniera e violenta. Trovai con sorpresa che nonostante lo shopping con mia madre Allie non si era più staccata dalla mia felpa grigia, vecchia e slavata, che usava più come camicia da notte per quanto era grande, le sue belle gambe, bianchissime e perfette, in vista ed i suoi piedi delicati da ballerina, contratti come se camminasse sulle punte.
Pur avendo la possibilità di averla davanti a me in carne ed ossa ogni singolo giorno, quel disegno mi ricordò ancora una volta perché ci avevo messo poco ad innamorarmi di lei: il suo corpo era sì da paura, ma era al contempo un tempio perfetto per l’anima ancor più meravigliosa che ospitava.
Neanche l’avessi fatto apposto in un tempismo degno della peggiore telenovela sudamericana, la porta d’ingresso si aprì ed un cicaleccio risalì le scale, rivelando mia madre ed Allison, infreddolite nei lori cappotti e coperte in sciarpe e cappelli, piene di buste e sacchetti da negozi di abbigliamento scarpe e accessori, gli ennesimi della settimana, che corsero a nascondere divertite, in camera di Allison … come se non sapessi che mi avrebbero fucilato se solo avessi sbirciato … donne …
Rivolsi un cenno del capo ad Allison, che subito fu al mio fianco.
Mi scoccò un bacio fraterno sulla guancia e le porsi il disegno che mia sorella le aveva dedicato. Forse non stava bene, ma credo che per entrambe fosse necessario sapere che si volevano bene senza nemmeno conoscersi.
Lasciando stare il comportamento di una bimba di 10 anni, stava alla controparte cercare di mediare a questo punto.
“È molto bello” commentò Allison, nascondendo stentatamente la commozione che saliva. Ricordavo bene la gioia della prima volta che Caroline mi ritrasse tutto l’orgoglio che mi portai dentro per giorni, capivo bene come potesse sentirsi: finalmente benvenuta ed amata.
Poi ripensai a ciò che mi aveva raccontato pochi giorni prima e compresi quale ulteriore valore potesse aver per lei una probabile nonché del tutto possibile amicizia con mia sorella: Emilie, la sorellina scomparsa, avrebbe avuto la sua età così ebbi un’idea.
“Credo che dovresti fare un ultimo tentativo di parlare. Perché … perché non le racconti di Emilie?” provai a suggerire; era rischioso, ma Caroline era abbastanza sensibile e discreta per una storia simile e forse avrebbe trovato un’amica con cui aprirsi e condividere i suoi altrettanto pesanti fardelli.
“Non lo so Tyler” si espresse scettica Allison “non penso che sia una buona idea, non voglio rattristarla, ha già i suoi problemi … né tanto meno impietosirla”
“Credimi Allie … Caroline è tutto meno che impressionabile” la incoraggiai “ e poi si tratta solo di una prova. Abbiamo sbagliato approccio con lei, abbiamo pensato che si stesse comportando solo da maleducata dimenticando che ha solo 10 anni”
Probabilmente era anche un po’ gelosa di Allison, ma la paura più grande doveva essere quella di perdere me. E come quattro cretini nessuno di noi lo aveva capito prima, ci saremmo risparmiati un sacco di discussioni e di richiami a porta sbattute in faccia.
Lasciai casa di mia madre, direzione lavoro, con Allison che ancora rimuginava sul da farsi. Per strada un clacson attirò la mia attenzione: Caroline in macchina con Les tornava a casa. Mi avvicinai all’ingorgo e mi affacciai all’interno della vettura per salutarli.
“C’è qualcuno che vuole parlarti a casa” dissi subito a Caroline, velocemente prima che potesse cambiare discorso” non essere indisponente, per favore. Fallo per me”
La vidi rabbuiarsi all’istante, ma almeno annuì e così la lascai, sperando che a cena non sarei stato costretto più ad essere il cameriere di quella piccola permalosona.

 

Non so se ritenermi contento del successo che Allison ed io ottenemmo su Caroline. Certo mi fece indubbiamente piacere vedere come lei ed Allie si affiatarono in fretta, subito dopo essersi parlate, quella sera stessa non si staccarono un attimo l’una dall’altra. Tuttavia nei giorni seguenti ebbe inizio la tiritera di domande impiccione della mia sorellina impertinente a cui non c’era modo di sottrarsi quando rimanevamo soli in camera sua.
“State insieme?” iniziava. Alla mia negazione stizzita allora proseguiva con: “ma ti ci metterai?” oppure “vi siete almeno baciati?”, fino all’inaudito “ci sei andato a letto?”
Mi vergognavo a parlare con lei di certe cose perché con lei non avevo mai parlato di ragazze prima d’ora e poi soprattutto perché non avevo idea che a scuola fossero tanto precoci nel parlare di educazione sessuale.
Ma la cosa davvero sconcertante era sentirsi dire da uno scricciolo di 10 anni (10 e mezzo come teneva a precisare) “non giocare con lei Tyler, ha sofferto molto”
Senti chi parla, avrei proprio voluto rimbeccare!
Era proprio l’unico rimprovero che non accettato proprio da nessuno, dopo tutte le dimostrazioni tangibili di ciò che avevo fatto e stavo ancora facendo per lei, perché stavo facendo tutto meno che giocare con lei.
Nessuno però sembrava accorgersene, nessuno vedeva quanto fossi cambiato per lei. Nessuno … tranne Allison.
















NOTE FINALI

Sono tornata, finalmente. Vi sono mancata, vero? Credo però che scrivere e pubblicare sia mancato più a me.

Il brivido del postare, l'ansia per le recensioni. Chiedo scusa a proposito per non aver risposto a tutte, ma sappiate che leggo sempre con molto affetto e gratitudine ogni vostro commento, sia positivo che negativo, quando essi sono costruttivi ed educati.

Entriamo in una fase molto particolare della storia, molto si è assestato, ora ci sono solo dettagli da mettere a posto, che sembrano essere insignificanti, ma che in realtà sono colonne portanti.

Immagino che vi starete chiedendo che ne sarà dei nostri due eroi. Non posso dirvi niente ... se non al limite consigliarvi un film, "500 giorni insieme" che vi potrebbe chiarire un po' le idee.

Non vi do un appuntamento perché non so quando potrò scrivere e pubblicare e poi amo vedervi sorprese dalla pubblicazione.

à bientot

Federica

   
 
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