Per troppo odio
Essere un pezzo grosso della società di Maracaibo aveva i suoi vantaggi: rispetto, guadagni eccellenti, cene importanti, conoscenze di cui vantarsi.
Don Raffaele Tocuyo y Caldara, ricco scapolo e ultimo discendente di una generazione di piantatori, aveva imparato ben presto a godere dei suoi privilegi prima di accorgersi che, oltre a portare piaceri, erano anche motivo di grosse rogne.
Non poteva dirsi altrimenti quanto gli era capitato in quella che avrebbe dovuto essere una tranquilla serata in taverna, allietata dal vino e da un combattimento di galli su cui fioccavano scommesse.
Serata che, se gli aveva fruttato un bel gruzzolo di piastre, s’era anche trasformata nel suo peggiore incubo.
Da quel momento in poi era stato un susseguirsi di sempre maggiori disgrazie: il rapimento, l’interrogatorio dell’almirante della flotta corsara, due tentate impiccagioni.
I filibustieri, di cui era divenuto suo malgrado collaboratore, lo vedevano come una botte di carne su cui sollazzarsi e l’avrebbero accoppato se due di essi, un po’ per simpatia un po’ per senso dell’utile, non si fossero eletti a suoi protettori.
Gli spagnoli, cui aveva voltato le spalle, lo consideravano un traditore.
E uno di essi s’era ripromesso d’ucciderlo.
Dal giorno in cui aveva condotti i due fidi di Morgan al convento dei Carmelitani don Raffaele s’era sentito indosso gli sguardi minacciosi del capitano Valera. E a nulla erano servite dapprima la lontananza, poi le precauzioni e la protezione di Carmaux - che forse non l’aveva mai preso sul serio.
Un attimo e s’era ritrovato preso alle spalle e gettato in mare, ma la fortuna che sovente proteggeva i filibustieri era passata a lui facendolo naufragare sulle coste del Venezuela.
Il ricongiungimento coi corsari di Morgan e il rapimento di Jolanda avevano risolto il pacifico e innocuo piantatore a lasciarsi indietro timori, scrupoli e patria in nome dell’odio verso il capitano Valera.
Odio alimentato dal piacere d’aver trovato qualcuno che volentieri s’era fatto carico della sua vendetta.
Odio che gli diede l’illusione d’aver ricevuti una forza e un coraggio che mai erano stati suoi.
Odio che lo rese dimentico d’ogni precauzione, preso com’era dal piacere di vedere il suo persecutore in difficoltà.
"Son morto!..."
Era il capitano Valera che aveva fatto il suo colpo.
A poco a poco, sempre indietreggiando, si era accostato a don Raffaele e, dopo essersi assicurato con un rapido sguardo, che ormai si trovava a buona portata, con un salto da tigre si era gettato fuori dalla linea della spada di Carmaux, poi con una stoccata fulminea aveva immerso il ferro nella gola del piantatore.
Il disgraziato, colpito a morte, era stramazzato al suolo mandando quel grido:
"Son morto!..."
Carmaux, vedendosi sfuggire l'avversario, era piombato su di lui, urlando: "Ora vendicherò don Raffaele!..."[1]
Era morto così don Raffaele.
Con l’urlo feroce di Carmaux negli orecchi e la dolorosa consapevolezza che quel suo odio s’era spinto troppo oltre.
[490 parole]
Note dell’autrice: quando lessi per la prima volta “Jolanda, la figlia del Corsaro Nero” mi stavo appassionando anche a “I promessi sposi”. Sarà per questo che non solo, nella mia testa, don Abbondio e don Raffaele avevano lo stesso aspetto, ma quest’ultimo era da me considerato un prete (il “don” mi aveva tratto in inganno). Deliri di una tredicenne XD
Don Raffaele è, nel romanzo, una macchietta di cui però non si può fare a meno; se sono riuscita ad appassionarmi al ciclo corsaro è anche grazie a lui (che nei primissimi capitoli viene preso per il naso da Carmaux e Wan Stiller... quanti ricordi *nostalgica*).
Ammetto che, con gli anni, il fascino di questo romanzo mi ha un po’ lasciato, soppiantato dalla venerazione per i primi due tomi del ciclo, però don Raffaele continua a starmi simpatico. E continuo a imprecare contro Carmaux ogni volta che, nelle mie riletture, si fa scappare Valera e lascia che quel povero piantatore venga ucciso. Meno male che le cose in seguito si “aggiustano”... come capirete quando posterò la prossima flash.
Satomi
[1] da “Jolanda, la figlia del Corsaro Nero”, trentacinquesimo capitolo.