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Autore: atlanta    30/08/2011    2 recensioni
"Al dolore fisico, intenso e lacerante, si univa quello dello spirito. Mi sentivo violata, mi sentivo trattata come un fazzoletto in cui qualcuno ci si era soffiato il naso. Gettata via, dimenticata, bruciata."
Testo di un po' di tempo fa, spero non ci siano troppi orrori :P
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lanciai un urlo. Un grido primordiale e disarticolato che mi uscì incontrollato dal petto.
Era il gemito di un animale sofferente, un lamento sincero, profondo.
Socchiusi gli occhi e mi aggrappai con tutte le mie forze alle piastrelle sotto di me, come se avessi potuto rischiare di cadere ancora più in basso.
Sentii il freddo del pavimento sulle palme delle mani e improvvisamente avvertii il calore. Un calore che gocciolava piano, un po’ per volta e mi bagnava le dita.
Sbattei le palpebre cercando di mettere a fuoco ciò che mi circondava. Solo allora lo vidi. Ero circondata da un lago di sangue.
 
Sentivo il mio cuore battere anche nel sangue che mi colava dal viso. Tum, tum. Era un rumore sordo che mi scorreva nelle vene, tranquillizzante. Mi diceva: lascia perdere, ascolta questa musica e smetti di lottare. Sdraiati qui, chiudi gli occhi e abbandonati al mio dolce ritmo.
 
Sputacchiai cercando di liberarmi di quel sapore. Era il sapore della vita e della morte. Del mio precario equilibrio.
Sollevai leggermente il capo e lo guardai con tutto l’odio di cui ero capace, avrei tanto voluto potergli trasmettere tutta la mia rabbia, avrei voluto vederlo soffrire sotto il mio sguardo.
Fu allora che mi colpì ancora. E ancora. Con una violenza che non avevo mai provato fino ad allora.
Mi accasciai sul pavimento, quasi avessi voluto entrare nelle piastrelle stesse. Sentivo il mio corpo caldo fondersi con il freddo della ceramica. Mi sentivo come un fuoco sotto l’attacco degli estintori. Non volevo spegnermi.
Cercai di puntellarmi sulle mani per tirarmi su, ma lui mi colpì ancora, questa volta con un calcio. Sentii le mie costole urlare di dolore e in lontananza udii il lamento frustrato della mia mente.
Basta, basta, basta.
L’occhio sinistro mi pulsava e sentivo il sangue palpitare fuori dalla lacerazione che mi attraversava tutto il volto. Avrei voluto urlare ancora, ma non riuscivo a trovare il fiato per farlo, sembrava essere fuggito, nascosto da qualche parte, impaurito da tanta violenza.
Non avevo mai sofferto così tanto in tutta la mia vita. Non era il dolore a prostrarmi, era la rabbia, l’umiliazione. Mi colpivano con la potenza di un pugno, mi colpivano e mi colpivano ancora, ogni secondo che passava mi colpivano.
 
Non ho mai desiderato morire come in quel momento. Era peggio di qualsiasi cosa avessi mai provato. Era peggio di quella delusione d’amore, era peggio dello schiaffo di mia madre quella volta che avevo fatto tardi, era peggio del voltafaccia di quell’amica, era decisamente molto peggio di quando ero tornata a casa ubriaca e avevo dovuto smaltire la sbornia, mentre la testa mi scoppiava.
Al dolore fisico, intenso e lacerante, si univa quello dello spirito. Mi sentivo violata, mi sentivo trattata come un fazzoletto in cui qualcuno ci si era soffiato il naso. Gettata via, dimenticata, bruciata.
 
Ero l’acqua nel lavandino, che sparisce con un sordo gorgoglio, ero le pagine di un quaderno, ancora bianche, strappate e lanciate in un cestino. Una foglia, staccata dall’albero e lasciata dondolare nel vento. Ero ogni cosa che nella mia vita avevo sprecato, dimenticato.
Ogni parte del mio corpo gridava. Ogni frammento del mio spirito urlava, si ribellava. Ma le mani erano di cemento e le gambe inesistenti. Ero impotente. Immobilizzata dalla certezza che ormai avevo perso ogni dignità. Ogni coraggio.
 
Il disprezzo aleggiava nella stanza intorno a me, era come una cappa micidiale che mi soffocava.
I ricordi di una lontana felicità svanivano, ingoiati da quell’orribile momento di umiliazione.
Chiusi nuovamente gli occhi, non ce la facevo a lottare, l’immagine del dolore che stavo provando si era ormai incisa con forza nel mio cuore e nella mia mente. Sarebbe riemersa, pronta a farmi soffrire, pronta ad umiliarmi di nuovo, a ricordarmi quanto ero stata vile ed inutile.
 
Avvertii su di me la saliva calda, bollente, come un marchio infuocato. Uno sputo. Di disprezzo, un gesto privo di qualsiasi tipo di rispetto. Come i soldi gettati con noncuranza alla puttana, come l’osso lanciato al cane.  Un gesto amaro.
Quante volte avevo assaggiato quella saliva, quante volte avevo sfiorato le sue labbra con un bacio appassionato? Non lo so, evidentemente troppe.
E come eravamo arrivati a questo punto? Non so nemmeno questo.
Forse, alla fine, era ciò che mi meritavo.
  
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