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Autore: rainandteardrops    31/08/2011    6 recensioni
Era a pochi centimetri da me. E non ero immobile perché ero troppo impegnata a contarli; ero immobile perché i suoi occhi mi avevano paralizzata.
Avevo i muscoli atrofizzati. L'unico ancora in vita era il mio cuore, ma se si fosse avvicinato ancora non avrei più sentito i suoi battiti.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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chelsea.


Il mattino seguente, dopo aver aperto la valigia con cautela per evitare che mi scoppiasse in faccia,  sistemai tutte le mie cose nella cassettiera e nell'armadio della mia camera. Fortunatamente, riuscii a trovare una sistemazione per tutto. 
Controllai il cellulare, ma non c'era nessuna chiamata persa e nessun messaggio. Probabilmente mamma si era già abbastanza tranquillizzata con la chiamata della sera precedente. Meglio così: non avevo intenzione di passare la vacanza a parlare con lei.
Appena il cameriere bussò alla porta, potei fare colazione, in silenzio, mentre le tende svolazzavano al mio fianco sollecitate dal vento.
I programmi della giornata non erano stati stabiliti. Credevo che avrei dormito tutto il giorno per la stanchezza, e invece alle nove ero già sveglia. Beh, magari avrei fatto un giro per la capitale, piena di dépliant e completamente disorientata. 
Eppure continuavo a pensare che se avessi avuto una migliore amica, quel viaggio tanto desiderato avrebbe avuto un altro gusto.
Bloccai quel pensiero appena nato, perché non avevo intenzione di starmene lì a rimuginarci sopra, così tirai fuori dalla valigia i poster dei One Direction, e li incollai alla parete con pochissimo scotch. Li avrei tolti, ma avevo bisogno di avere quei cinque visi sorridenti per tutto il mio soggiorno a Londra. Ero lì per loro. 
In un battibaleno mi vestii, e uscii in corridoio. Affacciata alla finestra, proprio alla mia destra, c'era una ragazza dai capelli biondi. Si voltò verso di me e mi sorrise, socchiudendo i piccoli occhi verdi. 
«Ciao», mi disse. «Sei appena arrivata?»
«Sì, ieri sera», le risposi. Sembrava simpatica. 
Prima che potessi farlo io, si presentò. «Io sono Chelsea», e mi tese la mano. Gliela strinsi con vigore. «Elisabeth, ma chiamami pure Lisa». 
Restammo qualche istante in silenzio, a sorriderci, senza sapere cosa dire. Di certo io non avrei trovato la voce per prima. Ero leggermente negata nelle conversazioni, e avevo sempre il timore di risultare antipatica o stupida. 
Fortunatamente, Chelsea interruppe quell'imbarazzante silenzio. «Allora? Sei qui in vacanza o...», non terminò la frase.
«Sì, in vacanza. E' il regalo per il mio diciottesimo compleanno», le sorrisi di nuovo. Quasi mi facevano male le guance. 
«Fantastico. Hai programmi per oggi?», chiese. Attesi qualche istante, pensandoci. «Volevo fare un giro per la città...ma non mi alletta molto stare in giro da sola», risposi, sincera.
«Se vuoi posso accompagnarti», propose, inclinando la testa. Era molto gentile. «Oppure possiamo fermarci al bar dove lavoro per un caffè».
«Vada per il caffè».
Ci incamminammo verso un piccolo locale, sulla cui insegna spiccava il nome “Peter's”. C'erano alcuni tavolini fuori dal bar, e le sedie erano quasi tutte piene. Londra era caotica, piena di semafori. Le macchine sfrecciavano lungo le strade principali; c'erano taxi ovunque. Vidi anche un autobus a due piani.
«Il locale è di tuo padre?», chiesi, ipotizzando sul nome Peter. 
«Sì. Siamo aperti da circa cinque anni». 
“Bello”, pensai, quando varcai la soglia. A prima vista sembrava un bar davvero professionale. 
Bancone lungo circa quattro metri, in marmo; dipendenti in divisa, e parecchi tavoli in legno anche all'interno. C'erano scaffali ovunque, stracolmi di bottiglie; un profumo di caffè davvero invitante.
Chelsea si avviò alla sua postazione, e indossata la divisa, cominciò ad andare avanti e indietro, salutando i colleghi con una pacca sulla spalla. La vidi baciare sulla guancia un signore alto, grasso e semi calvo, forse sulla cinquantina. Aveva un viso molto simpatico, come la figlia d'altronde. 
Io mi sedetti sulla sediolina di fronte al bancone, e aspettai il mio caffè.
Cominciai a ticchettare le dita sul marmo, in attesa, finchè mi voltai verso destra, verso l'entrata. 
Facevano ingresso cinque sagome, e più si avvicinavano più riuscivo a distinguerli. Erano cinque ragazzi, dai visi molto familiari.
Il cuore perse un battito, poi un altro, finchè finii in iperventilazione. Non riuscivo a credere ai miei occhi. 
 
  
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