Panic
E se Draco Malfoy
celasse una debolezza?
Lunedì.
Le
facce stanche e afflitte dell’intero corpo studentesco si
accingevano a fare
colazione, pregando che la mattina passasse il più in fretta
possibile.
Stavo
fissando con svogliatezza il piatto ancora vuoto mentre Ginny
continuava a
sciorinarmi maledizioni di ogni genere sul nuovo professore di Difesa
contro le
Arti Oscure, il signor Howard Cardew, amico di vecchia data della
preside.
« Ed è quasi più spregevole del professor Piton, quasi, ovviamente. »
Borbottò
lei, gesticolando affannosamente e rischiando di far cadere la brocca
stracolma
di succo di zucca.
« Le prime due ore del lunedì mattina a sentirci sgridare perché non abbiamo la schiena abbastanza dritta o non osserviamo con devota e minuziosa attenzione la nostra bacchetta! »
Sbuffò,
prendendo un paio di biscotti al cioccolato e affogando il proprio
dispiacere
in essi.
Anche
io avevo conosciuto il nuovo insegnante e nonostante, dovevo
ammetterlo, fosse
un po’ puntiglioso e rigido, insegnava i concetti in modo
semplice e lineare.
Un
ottimo insegnante, senza dubbio, ma aveva riscontrato subito
l’antipatia di
tutti gli studenti
assonnati e stanchi
dopo il week end di pace.
I
gufi incominciarono a planare portando la posta ai propri padroni.
Un
gufo color crema si depositò vicino al mio piatto,
allungando la zampa sottile
alla quale era legata una piccola pergamena.
« E’ la nuova civetta di Harry, mi pare. »
Osservò
Ginny, un po’ delusa dal fatto che il suo amato non avesse
scritto anche a lei.
Slegai
il nastro e lessi tutto d’un fiato il messaggio scritto con
una grafia piccola
e veloce.
Non pensavo potesse essere così difficile e Ron sta rimpiangendo le giornate a giocare a scacchi nella Sala Comune.
Spero che tu stia bene e che Ginny non soffra troppo per la mia mancanza.
Vi vogliamo bene;
Harry e Ron. »
Recitai
ad alta voce mentre il viso della mia amica diventava sempre
più ombroso e
scioccato.
« La povera innocente Ginevra distrutta per la mancanza del Bambino Sopravvissuto, certamente! Ma chi si crede di essere? »
Sbottò,
prendendo con una foga mai vista una fetta biscottata e spalmandoci
sopra una
marmellata all’arancia.
« Stupidi uomini, ingrati, insensibili… »
Incominciò,
usando epiteti poco affettuosi per suo fratello ed il suo fidanzato.
Provai
a mangiare qualcosa ma lasciai subito perdere sentendo lo stomaco
chiuso per
chissà quale motivo.
Mi
alzai dalla panca, prendendo la borsa stracolma di libri e carta e
issandomela
sulla spalla.
Barcollai
appena sotto quel peso su una sola parte del mio corpo.
« Ci vediamo a lezione. »
Dissi,
mentre Ginny si strafogava ancora di succo di zucca e con una torta dal
colore
terrificante.
Osservai
il mio orologio da polso e notai che mancava ancora qualche decina di
minuti
prima dell’inizio della lezione.
Non
sapendo che cosa fare incominciai a gironzolare per la scuola, sapendo
ormai
tutte le strade che quel castello celava.
Salii
un paio di rampe e mi ritrovai davanti all’aula di Difesa.
Anche il mio inconscio voleva farmi studiare?
Ghignai,
sedendomi per terra, vicino alla porta dell’aula, ancora
chiusa.
Storia
di Hogwarts giaceva placidamente sulle mie gambe mentre il silenzio
inondava le mie orecchie, infondendomi una calma incredibile.
« Nel 993 D.C. Salazar Serpeverde, Godric Grifondoro, Tosca Tassorosso e Cosetta Corvonero decisero di fondare una Scuola di Magia. »
Incominciai a leggere a
bassa voce, passando i
polpastrelli sulla carta opaca e ingiallita del libro.
« La costruirono in un castello, ben riparato dagli indesiderati sguardi dei Babbani, dove vi sono numerosissimi corridoi e scale, a cui piace cambiare posizione. »
Tirai
un momento su lo sguardo e notai che gli studenti incominciavano ad
arrivare
producendo un chiacchiericcio fastidioso.
Chiusi
il libro e lo rimisi diligentemente nella borsa già piena.
Dov’era
Ginny?
La
cercai, ma la sua chioma rossa sembrava essere invisibile tra tutta
quella
marmaglia.
Mentre
mi facevo spazio tra gli studenti che parlottavano immusoniti dei
prossimi
punti tolti dal nuovo professore, i miei occhi si scontrarono con una
chioma
decisamente troppo bionda, che
stava
vicino al muro, solo.
Sembrava
stare molto meglio del giorno precedente e quasi dubitai di aver visto
veramente lui in quel corridoio.
Probabilmente era solamente
malato, mi convinsi.
Passai
oltre ai quei pensieri e continuai la mia ricerca, senza successo.
Di
Ginevra nemmeno l’ombra.
Il
professor Cardew arrivò con passo elegante, avvolto nel
consueto mantello nero.
La
sua figura aveva un che di austero che richiamava anticamente la tenebrosità del
professor Piton.
« Serpeverde e Grifondoro in aula! »
Borbottò,
rimanendo in disparte intanto che tutti i miei compagni entravano in
classe e
si sedevano ai banchi, Grifondoro a sinistra e Serpeverde a destra.
Con
passo sicuro mi diressi verso la prima fila e posizionai inchiostro,
piuma,
pergamena e bacchetta sul tavolo di legno.
« Oggi impareremo un nuovo incantesimo: L’incanto Patronus, dal latino “aspetto un protettore”. »
Arrivò
vicino alla cattedra e si girò, muovendo agilmente la
bacchetta.
La
Cioccorana di Mark, un Grifone con la testa sempre tra le nuvole,
scomparve con
un leggero pop, facendo,
però,
comparire sul suo volto la solita faccia colpevole.
« Signor Wilson, devo credere che la mia lezione incomincia ad annoiarla già da ora? »
« No, nossignore, non potrebbe mai. »
« Che non ricapiti più, cinque punti in meno a Grifondoro. E dritto con quella schiena! »
Automaticamente
raddrizzai anche la mia schiena e scarabocchiai appunti sulla carta.
Sapevo
già come si evocava un Patronus, la mia lontra era rimasta
fedelmente al mio
fianco quando avevo combattuto contro i Dissennatori e non avevo alcuna
paura
di come avrei affrontato la lezione.
Eccellente, come sempre.
« Dicevo, l’incanto Patronus è un incantesimo molto complesso, che richiede estrema concentrazione. Consiste nell'evocare tramite la bacchetta magica una figura argentea, che difenderà l'evocatore per tutto il tempo in cui quest'ultimo resterà concentrato sul proprio intenso ricordo felice. Il Patronus può manifestarsi sotto forma di nebbiolina argentea, o sotto una forma definita: in tal caso si parla di "Patronus Corporeo". »
La
mia mano si muoveva febbrile per incidere tutte le parole che uscivano
senza
nessun freno dalla bocca del professore.
« Ora, qualcuno di voi è capace di evocarne uno? »
Alzai
subito la mano, contenta di poter dimostrare per l’ennesima
volta quanto
potessi conoscere nonostante le mie origini di nata Babbana.
Gli
occhi scuri dell’insegnante si posarono su di me.
« Bene, signorina Granger, può darcene una dimostrazione? »
Il
corpo appoggiato alla scrivania e le braccia incrociate.
Mi
alzai dalla mia panca e mi spazzolai la gonna lunga, sentendo tutti gli
occhi puntati
sulla mia figura.
A disagio, per la prima volta.
Mi
posizionai davanti a tutta la schiera di banchi e mi rigirai la
bacchetta tra
le dita leggermente umide di sudore.
« Signorina, vorrei poter far esercitare anche gli altri studenti prima della fine dell’ora. »
« Certo, signore. »
Presi
un profondo respiro e mi concentrai su un ricordo felice.
Le braccia di Ron che mi tenevano stretta mentre il rumore degli incantesimi sembrava spazzare via ogni cosa.
Un bacio disperato, labbra contro labbra, con i denti che si scontravano per tutti i sentimenti che galoppavano senza ragione dentro di noi.
Pensieri tristi, dentro la testa e quell’unico appiglio di felicità a cui aggrapparsi.
Gli occhi azzurri socchiusi, come a voler imprimere quel momento per sempre nella mente.
Uno sfiorarsi di pochi secondi e poi il ritorno alla battaglia, con la speranza nei lineamenti stanchi del viso.
Non essere soli, nonostante la morte incombente.
« Expecto Patronum! »
Sillabai,
puntando la bacchetta in aria.
Un
lieve sbuffo di fumo bianco perlaceo e poi nulla.
Nulla.
I
miei occhi si fecero vitrei per un momento nel vedere il fallimento
evidente
del mio incantesimo.
Bisbigli
maligni dalla parte dei Serpeverde, sussurri sbalorditi da parte dei
Grifondoro.
Hermione
Granger che non riesce a produrre un incanto.
Mi
prese il panico.
Guardai spaventata il professore che si
dimostrò più gentile
del solito.
« Signorina Granger, è sicura di aver rivissuto un ricordo felice? »
No.
Ed
in quel momento capii il mio errore.
Occorreva
un ricordo molto felice e dopo il mio bacio con Ron la situazione era
cambiata.
Consapevoli.
Consapevoli di non essere le persone giuste per formare una coppia.
Un sorriso, alla fine della guerra, a confermare che ciò che era accaduto fra di noi era comandato soltanto dalla debolezza della battaglia, che forse ci avrebbe visti perdenti o, ancora peggio, morti.
« Sapevamo come sarebbe finita. »
Dissi, seduta sugli scalini distrutti di una Hogwarts ancora in fiamme.
« Lo sapevamo. »
Rispose lui, passando una mano nei miei capelli arruffati, in un muto gesto di affetto.
« Posso riprovare? »
Chiesi,
non lasciando trasparire il mio timore.
« Certamente. »
Passai
lo sguardo su tutta la classe e ogni singola persona ricambiava il mio
sguardo.
Finti amici.
Arrivata
all’ultimo banco dell’ultima fila a destra.
Una
testa bionda era china a fissare il banco, scrivendo ininterrottamente
su una
sua pergamena, non rivolgendo la propria attenzione a me.
« Hermione, figlia mia! »
Mia madre, commossa, mi stritolava facendomi quasi faticare a respirare.
Papà mi fissava da poco lontano, le braccia abbandonate lunghi i fianchi e gli occhi leggermente lucidi.
Avevo avuto il permesso dal Ministero per far ritornare la memoria alla mia famiglia ed il miscuglio di emozioni non mi faceva nemmeno parlare.
Mamma, che era sempre stata la prima a mostrarmi il suo affetto, alla mia vista aveva assunto un colore rosato in viso ed aveva incominciato a piangere così forte da incespicare nei suoi stessi singhiozzi.
Papà, invece, era un uomo che non mostrava mai i suoi sentimenti alle persone intorno a lui e poche volte lo avevo sentito confidare a sua moglie l’amore che provava per lei.
Felice di poter far parte nuovamente di una famiglia.
Desiderosa di crearne anche io una, un giorno.
Chiusi
gli occhi, sentendo affluire come un fiume in piena, ogni singolo
ricordo che
mi aveva stretto il cuore in una morsa speciale, spontanea.
I piedi piccoli stretti in delle scarpine scure, abbinate alla divisa troppo larga e rigida che camminavano sul prato bagnato di rugiada.
Gli occhi curiosi che fissavano incantati l’enorme castello che si estendeva a perdita d’occhio davanti al Lago Nero.
Il mio primo giorno ad Hogwarts.
Ero sola mentre tutti chiacchieravano tra loro, cercando di non cedere al panico.
Io ero solamente affascinata da tutto quello.
Bello, magico.
Anche io avevo trovato un posto in cui poter essere me stessa.
« Expecto Patronum! »
Ripetei
e finalmente la mia lontra apparve dalla punta della mia bacchetta,
girandomi
intorno felice.
Sorrisi
mentre il professore mi faceva cenno di tornare a posto.
« Esatto, ragazzi. Questo è un Patronus, una lontra. Per evocare un Patronus dovete pensare al ricordo più felice che avete e pronunciare le parole Expecto Patronum. Forza, spostate i banchi e provate! »
Mossi
lentamente la bacchetta e feci appoggiare il mio banco vicino al muro,
in modo
tale da avere lo spazio necessario per far librare la mia lontra in
aria.
Mi
misi un po’ in disparte, lasciando lo spazio a chi ne aveva
più bisogno.
Guardai
i miei compagni di corso che non riuscivano a far apparire altro che
rari
sprazzi di fumo.
Il
gruppo E.S. che avevamo fondato al quinto anno aveva dato i suoi
risultati,
almeno.
Prima
di essere scoperti dalla squadra di Inquisizione con a capo Draco
Malfoy.
A
quel pensiero irritante la mia attenzione si spostò su di
lui che stava pochi
centimetri lontano da me e sbatteva la bacchetta in maniera buffa.
Lo
sguardo fisso davanti a sé, l’espressione irritata.
Sorrisi
nel vederlo in difficoltà.
Aveva
una postura rigida, con le spalle dritte e la camicia bianca troppo
larga per
lui, come a rimarcare quanto fosse diventato magro.
Il
maglione sembrava essere stato torturato più volte e la
cravatta era
diligentemente stretta intorno al collo.
Come un cappio troppo stretto al
collo dei processati.
« Expetto Patronom! »
Sussurrò
lui, mentre agitava convulsamente la stecca di legno.
I
capelli gli si ammucchiarono disordinatamente sulla fronte quando lui
spostò la
testa, sbuffando.
Gli
occhi chiari assottigliati in una smorfia infastidita per i continui
fallimenti, la pelle pallida, quasi traslucida che, in alcuni punti,
mostrava
il percorso di piccole vene blu dove scorreva il purissimo sangue di
cui andava
tanto fiero.
Mi
persi scioccamente a fissarlo come se fosse un libro nuovo a cui non
avevo mai
mostrato particolare attenzione.
Mi
chiesi dove fosse quella traccia di stanchezza che possedeva il suo
viso lo
scorso pomeriggio, in corridoio.
Non
si curava così in fretta, una malattia.
Però
il suo volto portava ancora il riflesso stonato di una sofferenza,
probabilmente
erano le occhiaie violacee che circondavano i suoi occhi,
evidenziandone il
colore particolare.
Cosa
celava Draco Malfoy?
Per
un attimo quella domanda mi destabilizzò, facendo sparire il
mio Patronus.
« Si può sapere che cosa vuoi, Mezzosangue? »
Guardai il suo viso rivolto
verso di me, una
traccia disgustata sulle labbra.
« Chi ti ha detto che io voglia qualcosa, Malfoy? »
« Il fatto che continui a fissarmi da minuti interi. Devi fare la maestrina anche con me, Mezzosangue? Non ti sei già messa abbastanza in rilievo, per oggi? »
Mandai
giù il boccone amaro, sentendolo bruciare
nell’esofago.
Era
sempre lo stesso ragazzo di prima.
« Infatti, Malfoy, stai sbagliando come sempre. La formula è Expecto Patronum e tu sbagli pronuncia. »
Lo
vidi serrare i denti e girarsi dall’altra parte.
« Expecto Patronum! »
Niente.
Nemmeno
uno sbuffo di fumo.
Eppure,
questa volta aveva pronunciato le parole correttamente e la bacchetta
aveva la
giusta inclinazione.
Era
un problema di pensieri.
« Stai pensando ad un episodio felice? »
Mi
diedi della stupida per aver instaurato ancora una volta una
conversazione non
voluta da entrambi.
« Certo che lo sto facendo. »
« Evidentemente non è abbastanza. »
« Evidentemente nessuno te l’ha chiesto, so tutto io. »
« Non sei cambiato affatto, Malfoy, sei sempre il viscido Serpeverde che non sa stare al suo posto. »
« Nessuno e niente può cambiare le persone, Granger. Nemmeno la guerra. »
Restai
in silenzio dopo quell’affermazione tagliente.
Non
era vero.
La
guerra cambiava e molte persone avevano assaggiato questo cambiamento
sulla
propria pelle.
E
la morte, la morte non cambiava le cose?
Cercai
di osservare i suoi occhi, per capire se lo pensava davvero o fosse
solo una
frase fatta, ma le sue iridi sembravano fuggire continuamente a
qualunque
sguardo.
Il
professore arrivò vicino a Malfoy, scrutandolo attentamente.
« Non sei riuscito a creare un Patronus? »
« No, signore. »
« Ti stai concentrando, Malfoy? »
« Sì, signore. »
Le
risposte dure, di chi vorrebbe trovarsi in qualunque altro posto meno
che in
quello dove risiede.
« Magari stai sbagliando qualcosa con la pronuncia… »
Prima
che potessi tapparmi la bocca, le parole uscirono senza sosta e senza
motivo.
« No, professore, non è un problema di formula. »
L’attenzione
del Serpeverde e dell’insegnante piombarono su di me.
« Come dice, signorina Granger? »
« Non è un problema di formula e nemmeno di gestualità. Ha solo bisogno di provare continuamente. »
L’interesse
del professore calò ancora su Malfoy.
« Eppure tuo padre diceva che fossi un ottimo duellante. »
Capii
subito che quelle parole non sarebbero state di nessun aiuto ma, anzi,
avrebbero peggiorato irrimediabilmente la situazione.
La
schiena irrigidita, lo sguardo perso nel vuoto.
Draco
Malfoy era stato pugnalato a sorpresa.
« Ho solo bisogno di esercitarmi, signore. »
Il
professor Cardew se ne andò, lasciando dietro di
sé un velo di tensione non
indifferente.
Malfoy
si girò verso di me, furioso.
« Potevi risparmiarti la tua opera di gentilezza, Sangue Sporco, non ho bisogno di favori da nessuno, tanto meno da te. Non ho bisogno di difese e la prossima volta pensaci bene prima di rivolgermi ancora la parola. Le so tutto io mi provocano l’emicrania. »
Si
girò di spalle, provando insieme agli altri
l’incantesimo e non potendomi dar modo di replicare.
Alcuni
animali incominciarono a volare per l’aula, ma io me ne
accorsi a malapena,
tant’era lo sbigottimento dovuto a quella risposta.
Freddo,
come in tutti quei sette anni.
Cattivo,
perché non sapeva cosa volevano dire le parole gentilezza e
affetto.
Meschino,
come ogni Serpeverde che si rispetti.
Il
suo silenzio dall’inizio della scuola era stata solo una
copertura per celare
la cattiveria che ancora fluiva in lui.
Degno
figlio di suo padre.
Alla
fine della lezione gli studenti uscirono in massa dalla stanza e si
sparpagliarono per i vari corridoi, in attesa della prossima lezione.
Draco
Malfoy si diresse quasi correndo giù per le scale che
portavano alla Sala
d’Ingresso.
Non
c’erano aule, lì sotto, ma solo il corridoio che
portava in Infermeria.
E
poi la certezza, piena e completa, che quasi mi fece capitolare a terra.
Seguii
la sua figura allontanarsi e poi presi la mia strada per Astronomia.
Nessuno
aveva superato la guerra,
nessuno voleva perdonare.
Nemmeno Draco Malfoy era
uscito
immune da quel disastro.