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Autore: dalialio    02/09/2011    5 recensioni
Una ragazza entra a far parte della vita degli agenti dell’NCIS. La sua identità all’inizio li lascerà sconcertati, ma poi si abitueranno alla sua presenza.
La protagonista presto scoprirà di aver creato dello scompiglio nelle loro vite, ma grazie al suo aiuto qualcuno riuscirà a chiarire i propri sentimenti.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'She Cαme Into Our Lives And Chαnged Everything'
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Interceding Is Often Hard- Cap 2 La storia non è ambientata in un momento definito della serie. Tutti i riferimenti ai vari episodi devono ritenersi utili solo per il proseguimento della storia stessa.


Eccomi qua con il secondo capitolo :) premetto che questa è la mia prima long (o forse mini-long... dipenderà tutto da come si evolverà la storia ^^), quindi questo è il primo secondo capitolo di una storia che pubblico (discorso contorto ma spero abbiate capito!) e sono molto emozionata... *arrossisce come una scolaretta e si guarda i piedi imbarazzata*
In questo capitolo la storia prosegue e il rapporto della protagonista con Tony si evolve...
Non dico altro e vi lascio leggere! :)





Capitolo 2

Il caffe’ e le espressioni di un certo agente
diventano gli elementi fondamentali del mio divertimento



“Allora, come stai?”, mi chiese lo zio, porgendomi un caffelatte con panna e doppio zucchero in un bicchiere di cartone. Ci trovavamo in una stanza al piano superiore che poteva avere le dimensioni un ufficio, ma che somigliava più a una piccola sala riunioni, con un tavolo grigio scuro al centro della stanza e una decina di sedie nere attorno. Le pareti erano dipinte di quell’arancione che ormai era per me diventato tipico degli uffici dell’NCIS, i Servizi Investigativi della Marina.
Era lì che lavorava Leroy Jethro Gibbs, come capo della sua squadra composta di tre persone sul campo, in aggiunta alla perita forense ed esperta di computer Abigail Sciuto e all’anatomopatologo Donald Mallard.
“Bene”, risposi automaticamente mentre afferravo il bicchiere. Bevetti un sorso di caffè bollente e lo sentii scendere giù per la gola fino a scaldarmi lo stomaco. Che piacevole sensazione.
“Non sarai mica venuta qui da sola”, esclamò Jethro, sollevando un sopracciglio con espressione di rimprovero e sedendosi a capotavola alla mia destra.
“Sì”, dissi inconsciamente, poi mi corressi: “Cioè, no. Sono a Washington con i miei genitori, ma loro sono qua per affari, quindi saranno molto impegnati in questi giorni. Non mi hanno accompagnata qui oggi”.
Dopo aver risposto ad alcune domande riguardo sua sorella – la mia nonna paterna – e il resto della famiglia, replicando sempre positivamente, passò a chiedere riguardo la scuola, come erano andati gli esami di maturità e se avevo intenzione di iscrivermi al college.
“Già fatto”, risposi euforica. “Giurisprudenza. Ho una paura folle!”, gli confidai.
Dopo avermi rassicurata sul fatto che la mia decisione era stata, secondo lui, la più giusta, visto la mia predilezione per la materia giuridica, le sue domande si esaurirono e fu la mia volta di fargliene.
“E tu, invece, come stai?”, gli domandai dopo aver bevuto un sorso di caffè. Piegai la testa da un lato. “L’ultima volta che ti ho parlato eri su una spiaggia deserta del Messico a costruire barche di legno*”.
Jethro si lasciò andare ad una risata divertita. “Beh... le cose sono cambiate molto da allora”. Annuì più volte, con la testa altrove. “Si è rimesso tutto a posto”.
Annuii anch’io. “Ottimo”, commentai, sollevata. Ero contenta che lo zio si fosse ripreso dal suo momento di crisi interiore, quando aveva lasciato il suo lavoro per trasferirsi in Messico assieme al suo ex-capo.
Tuttavia, non ebbi il coraggio di chiedergli altre informazioni al riguardo: sapevo che quello era per lui ancora un argomento delicato.
Finiti i caffè e le chiacchiere, uscimmo dalla stanza e scendemmo al piano inferiore usando le scale sul retro invece delle principali, dalle quali eravamo saliti in precedenza.
Girato subito l’angolo e ritrovatici nell’ufficio di Gibbs, mi imbattei nella schiena di DiNozzo, qualche metro più avanti a me.
Jethro mi afferrò per un braccio e mi tirò indietro, portando l’indice alle labbra per farmi segno di stare in silenzio. Decifrai il suo sguardo divertito e trattenni una risata.
Con la sua stazza, DiNozzo copriva per metà la donna - la stessa che avevo conosciuto prima – e un altro uomo - che capii subito chi fosse, andando per esclusione – che gli stavano di fronte.
“Non riesco a capire come quella ragazzina possa permettersi di comportarsi così sfacciatamente”, si stava lamentando DiNozzo. “Potrebbe pure essere la nipote del Presidente, ma io non le permetterò di trattarmi in quel modo”.
Lo sguardo della donna incontrò il mio e si accorse di me e Jethro. Sbatté le palpebre imbarazzata, poi guardò DiNozzo. “Tony...”, mormorò all’uomo di fronte a lei.
“Non interrompermi, Ziva! Stavo esprimendo il mio disappunto sulla questione”, esclamò quello. Poi continuò: “E poi non riesco a capire come faccia a essere così simile a Gibbs anche senza portare il suo cognome. Mi chiedo quale parentela ci sia fra loro...”.
In quel momento, Jethro mi diede una pacca sulla spalla e con la mano fece un gesto verso il gruppo. Ero pronta.
“Non è molto complicato, agente DiNozzo”, dissi di punto in bianco, incrociando le braccia. “Ci potrebbe anche arrivare da solo, facendo un paio di tentativi”.
Colto alla sprovvista, Anthony si immobilizzò di colpo, trasalendo. Vidi Ziva e l’altro uomo guardare verso di me e trattenere una risata.
DiNozzo si voltò lentamente. Un sorriso di imbarazzo era stampato sulle sue labbra, le stesse che quel giorno mi avevano chiamata “ragazzina” per ben quattro volte. Gliel’avrei fatta pagare, in un modo o nell’altro.
Il suo sorriso imbarazzato si allargò allo stesso modo in cui io stesi le labbra con espressione di superiorità.
“Stavo giusto pensando a delle possibilità”, si giustificò, mantenendo la sua espressione.
“E cos’ha scoperto fin’ora?”, domandai petulante.
DiNozzo fissò Jethro con un’espressione da rimbecillito. “Che tu non hai fratelli, capo, quindi non so come spiegare la cosa”.
“È la mia pronipote, DiNozzo”, rispose lui, con un tono come se la cosa fosse nota a tutti.
Anthony spalancò gli occhi, palesemente confuso, mentre il suo sorriso svanì lentamente. “Allora non riesco a capire...”.
“Sua sorella è la mia nonna paterna”, spiegai in tono fintamente seccato, indicando Jethro con una mano. Adoravo prendere in giro quell’uomo a quel modo.
Lasciando DiNozzo perso nei suoi confusi pensieri, lo aggirai e mi diressi verso gli altri due agenti.
“Ziva, Timothy”, li salutai, guardando prima la donna poi l’uomo. Ignorai le loro espressioni sorprese e diedi loro la mano. “Mi chiamo Amy Steel”, mi presentai. Poi mi voltai verso DiNozzo, lanciandogli un’occhiata eloquente. “Ma forse lo sapevate già”.
Ziva mi fissò con sguardo pieno di ammirazione. “È davvero un piacere conoscerti”, affermò.
“Anche per me lo è”, risposi, sorridendo compiaciuta. “Finalmente vi posso conoscere!”.
McGee sollevò le sue folte sopracciglia. “Finalmente?”, chiese.
Annuii. “Jethro mi ha parlato molto di voi”, spiegai.
“Davvero?”, esclamò DiNozzo alle mie spalle.
Prima che potessi ribattere con una constatazione pungente, Jethro intervenne. “Portatela a salutare Abby e Ducky”, propose. “Credo che ne sarebbero felici”.
Tony fece per aprire bocca, ma lo zio lo interruppe. “Tutti e tre”, precisò, fulminandolo con lo sguardo.
L’espressione di DiNozzo era indescrivibile. Se non mi fossi trattenuta, probabilmente sarei scoppiata a ridere.
Jethro andò via con la scusa di avere delle faccende importanti da sbrigare, poi rimasi sola con i tre moschettieri.
McGee fu subito di fianco a me. “Vieni”, disse, e lo seguii. Lo stesso fecero gli altri due. Il silenzio regnò diligente fino all’ascensore. La tensione era palpabile.
Ad un tratto scoppiai. “Potete chiedermi quello che volete”, chiarii, divertita per il loro comportamento.
Le loro voci si accavallarono l’una sulle altre per mezzo minuto, curiose, arrabbiate e incredule. Non riuscivo a capire nulla. Alzai le mani di fronte a loro e le agitai per attirare la loro attenzione. “Calma, calma!”, urlai per farmi sentire. “Uno alla volta”.
Per prima scelsi Ziva, che, mentre entravamo in ascensore, mi chiese come Jethro l’avesse descritta a me.
“Si fida molto di te”, risposi. “Davvero molto”. Scorsi la sua espressione compiaciuta quando sentì le mie parole. “Ti considera probabilmente la più maschia del gruppo”, continuai, con disappunto dei due uomini accanto a me. “Mi ha raccontato qualche aneddoto sulla tua guida e su altri tuoi comportamenti avventati... ma, nonostante questo, Gibbs crede che tu ci sappia veramente fare”.
Poi fu il turno di McGee, che mi pose la stessa domanda.
“Jethro mi dice sempre che se non ci fossi tu, probabilmente il computer lo mangerebbe!”, esclamai, provocando una risata in Tim e Ziva. “No, sul serio”, continuai, finito il momento di ilarità. “Dice che sei capace di quello che lui non riuscirebbe a fare neanche se volesse. Per lui sei prezioso”.
McGee arrossì e in quel momento le porte si aprirono. Fui la prima a uscire, ma, appena messo piede fuori, DiNozzo mi fermò.
“Ti sei dimenticata di me”, disse, con il suo solito falso sorriso.
“Ah, sì...”, mormorai, fingendo che fosse così. “Cosa vuole sapere?”, chiesi, mantenendo volutamente la formalità per prenderlo in giro.
“Cosa Gibbs ti ha detto di me”.
Annuii più volte, fingendomi sovrappensiero. “Mi ha detto che spesso ti comporti da buffone e che ricevi molti scappellotti”, risposi, e, vedendo la sua espressione esterrefatta, mi girai dall’altra parte e risi sotto i baffi.
La porta del laboratorio di Abigail Shuto era spalancata e, da dove mi trovavo io, si poteva sentire la musica metal-rock a pieno volume. Entrare lì sarebbe stato un inferno per i miei timpani.
Nonostante questo dettaglio, Ziva e McGee entrarono nella stanza senza problemi. Io feci lo stesso, seguita, a distanza un po’ troppo ravvicinata da Tony, che – come potevo vedere guardando dietro di me con la coda dell’occhio – era davvero arrabbiato.
Il laboratorio in cui mi ritrovai era composto da vari macchinari bianchi che non avevo mai visto in vita mia, da due tavoli posti a distanza al centro della stanza, sopra uno dei quali erano presenti due computer, e da una fila di quelli che somigliavano a dei frigoriferi da supermercato sul muro a destra. Le pareti erano pitturate di indaco e una porta a vetri, posta sulla parete opposta a quella dalla quale ero entrata, dava su un’altra stanza.
Poiché lì non si vedeva nessuno, Ziva si diresse verso la porta a vetri, che si aprì automaticamente al suo passaggio. Appena il vetro si scostò, la musica aumentò di volume in modo allucinante.
Avanzando cautamente di qualche passo, scorsi due codini neri muoversi saltellando da dietro una scrivania posta appena dietro l’angolo. La musica si abbassò leggermente: probabilmente Ziva aveva fatto notare il volume troppo alto dello stereo.
Mi decisi ad attraversare la stanza, seguita da Timothy e da Anthony come due cagnolini.
“Ascolti ancora quella roba, Abby?”, esclamai teatralmente inorridita appena oltrepassai la porta.
Non feci tempo a finire la frase che la scienziata spalancò gli occhi e, resasi conto di chi fossi, saltò in piedi e, dopo aver girato attorno alla scrivania, mi balzò letteralmente addosso, buttandomi le braccia al collo.
“L’agente superspeciale Amy! Non ci posso credere!”, urlò, ancora più forte della musica. Si scostò da me di qualche centimetro. “Fatti vedere!”, squittì, afferrandomi per le spalle e guardandomi dalla testa ai piedi.
Abby era acconciata proprio come mi aspettavo. Anche se ormai trentenne, apparentemente non aveva ancora detto addio al look da classica adolescente dark. Indossava una corta gonna a balze bianca e nera, un paio di stivaloni lunghi fino al ginocchio neri, una maglia punk nera e un collare nero borchiato. I suoi capelli neri erano raccolti in due codini alti e la fitta frangia le copriva interamente la fronte. Le unghie erano smaltate di nero e le labbra coperte da un rossetto nero.
Nonostante il suo aspetto cupo, il suo carattere era davvero l’opposto. Abby era sempre solare e felice e le piaceva scherzare con le persone.
“Oddio quanto sei cresciuta!”, esclamò, ancora sotto shock. “Quanti anni hai?”.
“Diciotto”, risposi sorridente.
Abby parve illuminarsi. “Che grande!”.
DiNozzo, che si era sistemato vicino alla porta scorrevole, sembrò sul punto di svenire. “Vi... vi... voi due vi conoscete?”, balbettò. Ancora una volta, la sua espressione – occhi spalancati, bocca tremante – era a dir poco spassosa.
Abby lo fissò come se avesse parlato un’altra lingua. “Certo che conosco la piccola Gibbs!”, esclamò, spalancando la bocca con uno schiocco eloquente.
In quel momento i miei occhi si posarono su un gruppo di immensi bicchieroni di plastica rossi che invadevano la scrivania alle sue spalle. “Abby, cosa sono tutti quelli?”, le chiesi curiosa, indicando l’ammasso di plastica e ignorando la reazione di Tony.
“Ah, sono lì da ieri”, rispose lei sovrappensiero.
“Sì, ma... cosa sono?”, continuai, volendone sapere di più.
Lei spalancò gli occhi. “Non sai cos’è il CafPow?”, domandò alzando la voce di un’ottava.
Avevo paura a risponderle. “Ehm... No”, ammisi.
Si voltò verso la scrivania e afferrò uno di quegli immensi bicchieroni con coperchio e cannuccia. “Assaggia”, disse porgendomelo, un sorriso malizioso che le illuminava il volto.
Afferrai l’oggetto e lo guardai con sospetto. Poi mi decisi e succhiai dalla cannuccia.
Il gusto del caffè inondò la mia bocca e scese giù per la gola fino allo stomaco. L’odore intenso della bibita invase i miei polmoni e mi penetrò fino al cervello, inebriandomi. Rischiavo quasi una convulsione.
Ma quello fu decisamente il caffè migliore che avessi mai bevuto in tutta la mia vita.

___________________________________

Note di fine capitolo:

*: nell'episodio 3x24 Gibbs va in pensione e si ritira in Messico con Mike, il suo ex-capo di quando ancora Jethro lavorava all'NIS e che lo chiama ancora "pivello". Nel periodo in cui Gibbs è lontano è Tony, in qualità di agente più anziano, a prendere il suo posto come capo della squadra.












*Nota dell'autrice*

Rieccomi a fine capitolo :)
Spero che la scena dell'incontro con Abby sia stato di vostro gradimento :) mentre scrivevo l'inizio del capitolo ho pensato: "Perché Abby non potrebbe già conoscere la nipote di Gibbs?" e così ho iniziato a immaginare le reazioni di Tony, Ziva e McGee e non ho avuto il coraggio di modificare la storia in qualche modo.
Se anche questo capitolo vi è piaciuto fatemelo sapere con un commento.
Se, invece, non è stato di vostro gradimento, fatemelo sapere lo stesso :)
Ci vediamo con il prossimo capitolo! :)
Chiara

   
 
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