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Autore: GoldenRose    03/09/2011    10 recensioni
"Il ragazzo le aveva posato le mani sulle spalle, e le sue dita avevano scavato nella sua pelle. Le sue parole erano dolci, a differenza dei suoi modi, il suo tono suadente. Ma qualcosa, in quello che Lily - era davvero lei? Aveva vissuto quel sogno semplicemente da esterna, prima, eppure ora si ritrovava a viverlo in prima persona; una prospettiva terrificante - aveva mormorato lo aveva fatto adirare. I suoi occhi avevano mandato lampi, la stretta sulle spalle di lei era aumentata a ogni secondo che passava, diventando sempre più dolorosa."
Tutto sembra andare per il meglio, più di vent'anni dopo la fine della seconda guerra. Eppure, in questa apparentemente ormai consolidata pace, nuove, inattese forze sono pronte a sferrare i loro attacchi, mentre Lily Luna Potter si trova a dover affrontare sinistre ombre che emergono dalle brume di una memoria lasciata inavvertitamente mal sepolta.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lily Luna Potter, Scorpius Malfoy | Coppie: Lily/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Beneath our Skin


Capitolo 3
«Amico dei Potter.» La voce di Theodore Nott grondava di un disprezzo che lo spiazzò.
«Non sono tenuto a giustificarmi con te, anche se sei il mio padrino. E comunque, voglio precisare che amico è una parola grossa. Non lo sono mica di tutti i Potter.» C'era il gelo nella voce di Scorpius, mentre stringeva fra le mani la sua pinta di Burrobirra, ancora così calda da scottargli i polpastrelli. Era quasi il crepuscolo, e quel giorno, sulle loro teste, torreggiavano grossi banchi di nuvole di un intenso color piombo. Minacciava un'imminente pioggia, che Scorpius attendeva a braccia aperte. Aveva partecipato all'uscita ad Hogsmeade, la prima di quell'anno, ma non si era dilungato in inutili visite a Mielandia o a Zonko. Pochi giorni prima, un gufo dal piumaggio corvino gli aveva recapitato una lettera durante la colazione, facendola cadere nella sua coppa di succo di zucca. Scorpius l'aveva guardato storto e gli aveva proibito di becchettare quel che restava dal suo bacon. Il gufo, con aria offesa, aveva gonfiato il petto e, impettito, era volato via. Trystane aveva riso, così come Morgaine. Edric aveva guardato la scena, ma pareva annoiato; d'altronde, erano molte poche che le cose che riuscivano ad impressionarlo, o divertirlo. Lily, invece, non s'era ancora vista. Sebbene la carta della lettera avesse assunto una colorazione arancione e l'inchiostro si fosse sbavato, Scorpius aveva comunque riuscito ad afferrare cosa vi era scritto, e l'identità dell'emissario. Il suo padrino, Theodore Nott, gli chiedeva di incontrarsi ai Tre Manici di Scopa, il ventitré ottobre. Erano incontri abituali; Theodore lo veniva ad incontrare spesso, durante l'anno, e Scorpius era sempre stato ben felice di vederlo. Theodore non era sposato, e, da quel che sapeva Scorpius, non aveva alcuna intenzione di trovare moglie. Ma, sin da quando era bambino, l'aveva sempre trattato come il figlio che non aveva mai avuto e che non avrebbe avuto mai.
«Come sei pignolo.» Theodore fece per sollevarsi appena le maniche del suo pullover, ma i suoi occhi neri si soffermarono sulla strega seduta al tavolino di fronte, che, al suo gesto, era sussultata. Ghignò. «Che tenerezza. La gente ha ancora paura. E si ricorda chi sono.» Anche Scorpius stirò le labbra in un sorriso, scuotendo il capo. Il brusio di decine di altre conversazioni coprì le parole del loro discorso.
«Mi chiedo come facciano quando indossi maglie a mezze maniche.»
«Per quel che mi riguarda, possono pure cavarsi gli occhi, se non vogliono vedere.»
«Perché?» Theodore inarcò un sopracciglio scuro, scettico. Scorpius si schiarì la gola. «Qualcuno di loro, te l'ha mai chiesto, il perché? Ha mai voluto ascoltare le tue ragioni?», si affrettò a precisare, rendendosi conto di quanto la sua domanda precedente fosse risultata incomprensibile.
Theodore rise. Una risata bassa, cupa, quasi pericolosa. «Dimmi, tu cosa credi? Quando una persona è totalmente convinta di avere ragione, Scorpius, e che tu sia nel torto più marcio, non si darà la benché minima pena di chiederti le tue ragioni. Ma permettimi di esporle a te, le mie.» Scorpius si tese in avanti, tentando di udire ciò che Theodore gli stava mormorando, in modo di farsi sentire solo da lui.
«Era l'estate precedente al mio sesto anno. Come tuo padre, ricevetti il Marchio. Non lo volevo. Ma il mio vecchio mi persuase. Sai, è sempre stato bravo a convincere le persone. Era così bravo, in questo, che le sue idee finivano per diventare le tue; non eri più abile di riconoscere chi te le avesse infilate in testa, poiché apparivano proprio ideate da te.» Le sue labbra si piegarono in un sorrisetto amaro. Scorpius notò, con la coda dell'occhio, che una delle sue mani, stretta a pugno, tremava visibilmente. «Una sera mi prese da parte, nella biblioteca del nostro maniero. Fu gentile, come lo era stato solo con mia madre. Io desideravo solo la sua approvazione. Volevo che non mi considerasse più una delusione. Lui mi poggiò una mano sulla spalla, e la sua era una presa ferrea, quasi dolorosa. Rimasi impassibile. "Vedi, Theodore", mi disse, tranquillo, "c'è chi nasce abbastanza fortunato da avere la possibilità, nel corso della sua vita, di percorrere una strada. Questa strada, ad un certo punto, si dirama in sentieri. Due, tre, o di più. E questa gente fortunata è libera di scegliere il sentiero che preferisce." Il suo sguardo era penetrante. Mi congelò sul posto, e non osai replicare prima di lasciarlo terminare. "Oppure c'è chi, come noi, non incontra nessun sentiero. E' nato su quella strada, e su quella strada proseguirà e morirà. Non ci sono alternative, nè vie di fuga, nè sentieri nascosti. Nulla." A quel punto, la sua voce si abbassò, assumendo un tono quasi minaccioso. "Tu prenderai il Marchio Nero, e sarai un Mangiamorte. Come me. Tu farai quello per cui sei nato." E così io feci.» Lo sguardo di Theodore era perso, lontano. Appariva distante, remoto, come se non fosse nemmeno seduto lì, a quel tavolo, a parlargli. Scorpius non profferì parola, scosso; ma poi, Theodore continuò. «Uccisi un uomo, una volta. Il mio primo ed ultimo. Nessuno seppe mai che ero stato io; c'era così tanta confusione, quella notte, che nessuno riusciva a comprendere chi lanciava incantesimi a chi. E poi, io avevo la mia maschera. E non ci fu niente di esaltante in quell'omicidio. Neppure il più piccolo brivido. Solo un grande vuoto. Mi soffocava, come delle mani invisibili che mi artigliavano la gola. Credo di aver vomitato. "Vedi, padre? Faccio quello per cui sono nato", fu tutto ciò che bisbigliai. Ma mio padre era morto tempo addietro in un precedente attacco. E io avevo scoperto che, uccidendo un uomo, ci si rende conto di quanto siamo vulnerabili, di quanto le nostre vite possano essere distrutte in un singolo istante da chiunque. Siamo alla mercé del mondo, delle persone, degli eventi. Tutto è effimero, e tutto può esserci portato via in un attimo.»
Scorpius si accorse di aver trattenuto il respiro; tentò di sistemarsi meglio sulla sedia, cercando febbrilmente qualcosa da dire. Qualcunque cosa. Ma, poi, decise di stare zitto: non c'era niente da aggiungere, niente da commentare. I suoi occhi grigi fissavano il tavolo senza davvero vederlo.
«Secondo te, Scorpius, i Potter sono diversi da quella vecchia pipistrella che è sussultata prima? No. Anzi, oserei dire che i pregiudizi, in loro, sono ancora più radicati che negli altri. Sarebbe meglio se gli stessi alla larga.»
«Lei è mia amica.» Per quanto si sentisse particolarmente infantile, pronunciando quelle parole, Scorpius sostenne lo sguardo di Theodore senza esitazioni. E non fu lui a distoglierlo per primo.
«Quella, dici?» Theodore la indicò con un brusco cenno del capo. Scorpius guardò Lily Potter da sopra la spalla, seduta ad un tavolino poco lontano, che parlottava con una ragazza bionda sui diciotto anni. Scorpius la riconobbe dopo qualche attimo; era Dominique Weasley, una delle cugine di Lily, una ex Corvonero. Non le aveva mai rivolto la parola in vita sua. Lily non sembrò notare di essere osservata; rise, forse ad una battuta di Dominique, gli occhi azzurri che scintillavano; poi si fece seria. Si mordicchiò il labbro inferiore, un gesto che Scorpius l'aveva vista compiere centinaia di volte, in determinate situazioni. Scorpius capì che qualcosa doveva averla turbata. Si voltò, tornando a incrociare lo sguardo di Theodore.
«E' una Serpeverde.» Theodore aveva notato la sciarpa che Lily portava attorno al collo. Parve sorpreso nello scoprire la sua casa di appartenenza. «Forse... Forse hai ragione. Forse dovreste essere amici.»
«Cosa?» Scorpius aggrottò le sopracciglia, perplesso. «Fino ad un minuto fa mi consigliavi di fare il contrario.»
«Pensaci. E' un'occasione che non devi lasciarti sfuggire.»
«Che intendi?» Scorpius continuava a non capire, e negli occhi di Theodore scorse un lampo di impazienza.
«E' ovvio.» Parlò piano, disinvolto. «Per la tua famiglia, diventare amici dei Potter vorrebbe dire... Essere ripristinati nella società. Oh, quanta brava gente vorrebbe essere al vostro posto, in tal caso. Forse le voci smetterebbero, forse vi guarderebbero con nuovo rispetto, fidandosi ciecamente del giudizio di quella adorabile famigliola.»
«Mamma è amica di Ginny Potter.» Scorpius scrollò le spalle. «Che ci pensi lei, a tutti questi piani contorti.»
«Tua madre, un tempo, si divertiva da matti a partecipare ai miei piani contorti. Ma ora è diverso.» Irrigidì la mascella. «E comunque, sarà anche amica della moglie di Potter, ma tu hai a portata di mano la loro unica figlia.» Theodore Nott si rilassò contro lo schienale e guardò Scorpius dritto negli occhi, scrutando le emozioni che passavano sul viso del suo figlioccio, attento come un felino.
«Riflettici, Scorpius. Rifletti su quanto aiuterebbe la tua famiglia. In fondo, è questo l'obiettivo di entrambi, no?»

-

Uscirono sul grande prato a prendere una boccata d'aria, avvicinandosi al limitare del Lago Nero, per rifugiarsi sotto la fresca ombra degli alberi che lo circondavano. Il sole aveva retto tutta la giornata, ed il pomeriggio era luminoso, con il cielo solcato pigramente da poche, basse nuvole. Morgaine stringeva fra le mani gli ultimi fiori estivi che era riuscita a trovare; tuttavia erano ormai secchi, come asserì Lily dopo essersi sdraiata sulla riva erbosa, i capelli sparsi attorno al capo come un'aureola di sangue.
«Li getterò», promise Morgaine, accomodandosi a gambe incrociate di fianco a Lily. Divise il suo mazzo a metà, e gliene porse una parte. «Ma prima...» Cominciò ad intrecciare i fiori più freschi con mani abili, veloci, mentre Lily si rizzava a sedere per gettare una manciata di petali sulla superficie immobile del lago. Galleggiarono sull'acqua, quasi come uno strato di muffa, prima che la brezza li trasportasse poco più lontano, dove si posarono. Assorbirono l'acqua e si appesantirono; poi, affondarono in silenzio.
Era stata una giornata tranquilla, che aveva infuso in Lily uno strano senso di pace, avvolgendola in una bolla di serenità. Era decisa a passare quelle ore libere che erano state concesse agli studenti ad oziare quanto meglio poteva, dimentica di tutto il resto. Per una volta, avrebbe vissuto in un mondo parallelo, dove non esisteva nessun segreto e dove non portava nessun cognome. Tornò a sdraiarsi. Il sole filtrava tra il fogliame dell'albero sotto il quale lei e Morgaine avevano trovato riparo, sfiorandole il viso con i suoi tiepidi raggi. Tentò di afferrarli, catturarli con le dita, ma le sfuggivano e raggiungevano, invece, il suolo.
«Ecco fatto.» Morgaine aveva terminato la coroncina di fiori; la posò sui capelli di Lily, e rimasero entrambe in silenzio, soppesandosi a vicenda, prima di scoppiare a ridere. E quando Morgaine rideva, assomigliava tantissimo ad Edric.
«Mi sta benissimo, non è vero?», chiese Lily, coprendosi la bocca con una mano per nascondere i continui risolini. In verità, si sentiva ridicola. Sull'altra sponda del lago, un gruppetto di ragazzine del primo anno udì il loro scoppio d'ilarità e smise di chiacchierare; sbatterono le palpebre, osservandole, quasi fossero perplesse, prima di tornare a ciarlare.
«Certo. Potresti tranquillamente andare in giro per la scuola così. E chiedere agli altri di inginocchiarsi davanti alla regina degli accostamenti, visto come fanno a pugni il colore dei tuoi capelli e quello dei fiori.» Morgaine sfiorò le acque del lago con la punta delle dita. Constatando che non erano troppo fredde, si sfilò gli stivali e mise a mollo entrambi i piedi, reclinando il capo all'indietro con aria soddisfatta e permettendo ai raggi solari di lambirle il viso.
«E' quello che ho sempre voluto: trovare alla gente un altro motivo per parlare di me», borbottò Lily, che però non accennò a togliersi la coroncina dalla testa, per quanto la trovasse ridicola.
«Cos'è che vorresti davvero, tu?» Morgaine chiuse gli occhi, un lieve sorriso ad arcuarle le labbra; ma nonostante la sua espressione, la domanda pareva seria. Lily si mordicchiò il labbro, pensierosa.
«Non saprei», ammise, seria, giocherellando con un ciuffo d'erba e tenendo gli occhi bassi. Qual era il suo desiderio più recondito? Morgaine voleva la verità, ne era certa; ma sarebbe riuscita a rispondere sinceramente, ad impedirsi di mentire? Non sapeva cosa animava il suo cuore, non aveva ancora imparato a conoscerlo, a comprenderlo. A volte lo temeva, perfino. «Io...» Improvvisamente la sua voce si fece decisa. «Voglio essere potente. Così potente che nessuno potrà ignorarmi o sottovalutarmi.» Per un momento non riuscì neppure a credere di essere stata lei a pronunciare quelle parole. Era come se una forza l'avesse spinta, spinta giù dal bordo di un precipizio, ma, allo stesso tempo, era stata lei a decidere di rivelare quella parte di sè, sebbene non riuscisse a scrollarsi di dosso la strana sensazione che qualcuno l'avesse accompagnata, spronata a farlo. Astuzia ed ambizione erano le qualità principali di un Serpeverde. E adesso, Lily aveva appena dimostrato quanto ambiziosa fosse. Sorrise all'idea di vedere quel suo sogno realizzarsi, e i suoi occhi azzurro chiaro scintillarono, mentre un venticello, fresco e leggerlo, le scompigliava i lunghi capelli che le ricadevano in onde disordinate sulle spalle. «E tu, Morgaine?»
«Io voglio essere libera», affermò Morgaine con semplicità; sollevò le palpebre, mettendo a fuoco l'area circostante. Si irrigidì come se fosse stata colpita da un Pietrificus Totalus non appena adocchiò Axell Lunn, Serpeverde, dirigersi a grandi falcate nella sua direzione. Lily sapeva ben poco della loro relazione - che aveva scoperto, fra l'altro, per puro caso, beccandoli abbracciati dietro una colonna mentre tornava in Sala Comune dopo cena -, una relazione che Morgaine le aveva fatto giurare di aiutarla a mantenere nascosta. Lily non aveva fatto domande, e aveva solamente annuito; non domandava mai, perché, così, si assicurava che nessuno avrebbe domandato a sua volta. Non le importava che Morgaine frequentasse qualcuno che la scuola vociferava fosse un licantropo - ogni mese si recava per alcuni giorni in Infermeria; Madama Light negava la natura attribuita al ragazzo e spergiurava che fosse solo una semplice malattia, ma c'era chi scommetteva che quella fosse solo una menzogna -, nè le importava del perché la loro relazione dovesse essere mantenuta segreta. Non era affar suo, ed era in grado di rispettare gli spazi degli altri. Ciononostante, fu con confusione che osservò Morgaine sbiancare e diventare pallida come un cencio alla vista di Axell; lui stringeva un fiordaliso nella mano destra, colto chissà dove. Morgaine scattò in piedi; «No, no...» Lily non capiva il motivo di un tale disperato bisbigliare. Sarebbe stato così terribile, per lei, uscire allo scoperto? O c'era qualcos'altro? Voglio essere libera, aveva detto poco prima. Cos'era che la bloccava, che la incatenava? Lily si tolse frettolosamente la coroncina di fiori dal capo, mentre Axell, ormai, le raggiungeva. Non degnò Lily di un'occhiata, come se non fosse nemmeno presente lì, con lui e Morgaine. Nel frattempo, le ragazzine del primo anno che le avevano fissate con perplessità in seguito alle loro risate interruppero le loro chiacchiere per osservare con crescente avidità la scena. Qualcuna lanciò gridolini di eccitazione o sgomento alla vista del fiore - dovevano possedere degli occhi da falco, per averlo notato così da lontano -, mentre altre apparivano del tutto indifferenti alla scena che si stava svolgendo sotto i loro occhi. Morgaine guardò Lily per un breve attimo; una muta richiesta d'aiuto. Axell porse il fiore a Morgaine, gli occhi verde chiaro maliziosi sotto le folte sopracciglia nere. Il fiordaliso era lì, fra le sue dita affusolate, blu e profumato. Morgaine doveva solo prenderlo.
«Per te», mormorò Axell, con voce bassa e roca. Fosse stata in Morgaine, Lily l'avrebbe afferrato all'istante, quel fiore. Arrossì, maledicendosi per un pensiero tanto stupido, e si affrettò a cercare una soluzione, qualunque cosa per tirare fuori Morgaine da quell'impiccio.
«Credo che tu abbia un ammiratore, Morgaine», commentò divertita, a voce abbastanza alta da farsi udire sia dalle tipe del primo anno sia da chiunque altro passasse di lì. Esibì un sorrisetto derisorio, congratulandosi per l'idea che aveva avuto. Così parlando, aveva fatto credere che quello fosse stato solo il primo incontro fra Axell e Morgaine, e che quel fiore non fosse altro che il pegno di un corteggiatiore, e non il dono di un ragazzo alla propria ragazza. Morgaine inclinò appena il capo di lato, e sorrise, con incredibile freddezza. La tensione si fece palpabile, quasi fosse visibile come uno spesso banco di nebbia, e Axell comprese che qualcosa non andava, di aver commesso un passo falso.
«Ma che pensiero delicato.» Morgaine gli tolse bruscamente il fiore di mano, senza staccargli gli occhi di dosso. Il suo sguardo era così gelido, così raggelante che per un brevissimo momento Lily ebbe timore. Non aveva mai considerato Morgaine pericolosa, ma era così che gli appariva. Pericolosa, e velenosa. Come una vipera dalle ciglia, immobile ad osservare la preda prima di scattare con estrema velocità, spalancare le fauci e catturarla, Morgaine rimase ferma e dopo qualche secondo fece la sua mossa. Gettò il fiore a terra, guardando Axell dritto negli occhi.
«Sei Lunn, non è vero? Mi domando se sia possibile chiedere al professor Norcross di ripulire Hogwarts da feccia come te. Sei un pericolo per tutti noi.» Le sue parole furono come uno schiaffo. Axell indietreggiò, stringendo i pugni, e, per quanto fosse sicuramente ferito, non lo dimostrò affatto. Il suo viso si trasformò in una maschera d'indifferenza, il tremito delle spalle l'unico dettaglio a tradire le sue emozioni. Morgaine Vypren gli rivolse un ultimo, sbeffeggiatore cenno del capo, prima di calare il tacco dello stivale sull'erba e calpestare con energia il fiore. Poi gli diede le spalle.
«Vieni, Lily?» Il suo tono di voce era leggero, come se nulla fosse accaduto. Tese una mano in direzione dell'amica, che la prese e, vicine, si avviarono verso il castello. Solo una volta Lily si guardò indietro. Axell aveva raccolto il fiordaliso, e le ragazzine del primo anno ridevano e lo indicavano apertamente con il dito. Non poté fare a meno di provare compassione per lui. Le osservava andare via, osservava Morgaine sfuggirgli fra le dita, scivolare via dalla sua vita. Ma Axell era solo una piccola stella che si spegneva, lontana dalla costellazione di Morgaine, una costellazione in cui non era più inclusa.
Per la prima volta, Lily si azzardò a chiedere. «Perché?» Cosa l'aveva spinta a farlo?
Morgaine non volle incrociare i suoi occhi. «Ho dovuto.» E il discorso fu chiuso per sempre. Le risate di solo una mezz'ora prima parevano così lontane, ora. Lily si chiese se la felicità dovesse essere sempre così effimera, nella vita. Non aveva avuto neanche il tempo di assaporarla...
Fece finta di non notare gli occhi lucidi di Morgaine, e, mano nella mano, si avviarono verso la Sala Comune.

-

Era distratto. Volava a grandi cerchi sul campo da Quidditch, impartendo, ogni tanto, degli ordini annoiati agli altri componenti della squadra. Chiedeva loro di eseguire gli schemi che aveva preparato durante l'estate, ma non partecipava davvero agli allenamenti. La sua mente era altrove; precisamente, al suo dormitorio, dove, sul comodino vicino al suo letto, era posato un bigliettino appallottolato, destinato a finire nel cestino della carta straccia. Tale biglietto recava un unica parola: 'bugie'. Scorpius aveva tentato di svelare l'arcano dietro quelle cinque lettere; un significato nascosto, qualunque cosa. Ma non ne era venuto a capo. L'aveva trovato a colazione, lasciato appositamente vicino al suo piatto, nel posto al quale, ad ogni posto, si accomodava sempre. Qualcuno aveva voluto che lo ricevesse proprio lui, non c'erano dubbi. Restava da capire chi, e perché. La calligrafia gli era sconosciuta, così come non aveva la più pallida idea di chi avesse potuto vergare quell'unica parola. Per quanto si fosse rassegnato all'idea che si trattasse di una cosa di poco conto, nulla di veramente importante, non riusciva a smettere di pensarci. Lo frustrava il fatto di non sapere cosa diamine quel 'bugie' avesse a che fare con lui. Morgaine aveva letto da sopra la sua spalla, e anche nei suoi occhi verdi aveva letto solo perplessità. Lily aveva irrigidito la mascella, per poi scuotere il capo: neanche lei sapeva nulla. Trystane l'aveva deriso, dicendogli che dava troppo peso a delle sciocchezze; Edric gli aveva suggerito di indagare, con aria solenne. Era per questo che Scorpius non riusciva a concentrarsi sugli allenamenti di Quidditch; quel biglietto era un tarlo che lo tormentava da ore e di cui non riusciva a liberarsi. Trystane gli volò vicino, dandogli una spallata per riscuoterlo dai suoi pensieri.
«Guarda chi c'è là», fece, e, per una volta, non sembrava affatto divertito, bensì irritato. Indicò la squadra di Corvonero, capitanata da Mathis Steeval, che, scope alla mano, sostava sotto di loro, sul campo.
«Oh, Merlino», borbottò Scorpius. Fra lui e Steeval non correva buon sangue, soprattutto in seguito alla schiacciante vittoria che i Serpeverde avevano ottenuto l'anno prima, battendo proprio i Corvonero, e conquistandosi la Coppa. Ma l'antipatia che Mathis provava per lui andava ben oltre la semplice rivalità sportiva: lo odiava, e il suo cognome giocava, ovviamente, la sua parte. Ma certo. Il nome della sua famiglia, il passato della sua famiglia. Si tornava sempre a quello, alla fine. Strinse i denti.
«Andiamo a vedere cosa vuole quel rompipalle, prima che i suoi Battitori montino sulla loro scopa e colpiscano noi al posto dei Bolidi.» Scorpius, rassegnato, planò sull'erba ancora bagnata della pioggia del giorno prima, atterrando proprio di fronte a Steeval.
«Carissimo. A cosa devo la visita? Vuoi un autografo? Spiacente, non ho la piuma con me», lo sbeffeggiò Scorpius, una luce derisoria che animava i suoi occhi grigi. Phylip Neviens e altri Serpeverde della squadra risero, Trystane più di tutti. Mathis li guardò minaccioso.
«Io avevo prenotato il campo per oggi pomeriggio. Quindi ora portate le vostre chiappe altrove. E' il nostro turno di allenarci.»
«E invece le nostre chiappe rimangono qui. Noi non ne sapevamo nulla, delle tue prenotazioni. Abbiamo agito in buona fede.» Mathis, conosciuto per la sua scarsa pazienza, grugnì.
«Buona fede? Il figlio di un Mangiamorte che agisce in buona fede? Mi fai ridere.» Scorpius alzò gli occhi al cielo. Quella gente era così priva di fantasia. Non facevano altro che ripetergli che era figlio di un Mangiamorte - no, proprio non l'aveva notato -, e, alla lunga, la faccenda si stava facendo noiosa.
«Tu guardaci: figlio di un Mangiamorte e figlio di un fallito, patetico impiegato del Ministero. Siamo una bella accoppiata, non trovi?» Scorpius si stava divertendo più di quanto avrebbe mai immaginato. Il suo divertimento aumentò quando la mascella di Mathis Steeval rischiò di slogarsi, tanto era il suo sgomento. Ma lo sgomento fu ben presto sostituito dalla rabbia. Si avvicinò a Scorpius, stringendo i pugni; fu allora che Lysander Scamander si fece avanti. Gli posò una mano sulla spalla, nel vano tentativo di trattenerlo; ma Mathis se la scrollò bruscamente di dosso e gli diede uno brutale spintone. Lysander barcollò e cadde a terra, nel fango.
«Stai al tuo posto!», gli ordinò il suo capitano, mentre Scorpius osservava la scena, sorridente, un sopracciglio biondo inarcato. Non aspettava altro che Mathis si facesse avanti.
«Osa ripeterlo, se ne hai il coraggio.» Scorpius portò il viso a pochi centimetri di quello di Mathis Steeval, niente più sorrisi sul suo viso, solo un'espressione di sfida.
«Figlio di un fallito, patetico impiegato del Ministero», ripeté, scandendo bene le parole, quasi avesse di fronte un ritardato. «E' questo che vuoi sentirti dire? Allora permettimi di aggiungere che oltre a fallito e patetico è particolarmente sfortunato. Non dev'essere facile avere un tale coglione per figlio. Non lo invidio.» Gli altri Corvonero sfoderarono all'unisono le bacchette; tutti tranne Lysander Scamander, che, rosso in faccia, fissava Steeval con risentimento.
«Voi bambine rinfoderate le vostre bacchette, se non volete che ve li infili su per... Be', mi piace considerarmi una persona fine, quindi non ve lo dirò», li derise Scorpius, allontandosi da Mathis, che sembrava del tutto incapace di replicare. Almeno finché non tirò fuori la sua, di bacchetta. Perfetto: una rissa era sul punto di nascere. Doveva solo decidere se la voleva o ci teneva a risolvere tutto pacificamente.
Allora Scorpius si ricordò di Lily, seduta sugli spalti, silenziosa osservatrice, venuta a seguire gli allenamenti della squadra. Si voltò a guardarla, e, sebbene fossero lontani, la notò scuotere impercettibilmente il capo nella sua direzione. No, non farlo, gli stava suggerendo. Poi lei si alzò, e Scorpius temette che se ne stesse per andare; in realtà, li stava raggiungendo. Lily, non intrometterti. Riguarda me, non te. Anche i Serpeverde avevano le bacchette strette in pugno, puntate in direzione dei loro avversari, pronti al duello. Passarono interminabili minuti, durante i quali le due fazioni sembrarono soppesarsi a vicenda; in realtà, Scorpius temeva che Mathis stesse cercando qualcosa di velenoso da ribattere, e, lento com'era, gli ci stava volendo parecchio tempo.
«Almeno il mio, di padre, quando si guarda allo specchio non vede la faccia di un verme che ha servito Tu-Sai-Chi.» Scorpius si trattenne dall'abbatterlo sull'erba e tempestarlo di pugni. Non aveva alcun diritto di parlare di suo padre. Nessuno. Non gliel'avrebbe permesso. Gli avrebbe fatto pentire di aver pronunciato quelle parole, di averlo chiamato verme... Sì, l'avrebbe implorato di lasciarlo stare, di smetterla di pestarlo, e poi avrebbero visto tutti chi era il vero verme...
«Nella vita non tutti hanno delle scelte. Ma temo che tu sia troppo stupido per capirlo. Come ci sei finito, a Corvonero?» disse Lily Potter, appena arrivata, con tono freddo e calcolato. La sua bacchetta era puntata con precisione in direzione della nuca di Mathis Steeval. Lui si voltò di scatto, sorpreso; quando la riconobbe, i suoi occhi castani si assottigliarono.
«Che c'è, Potter?», sputò, rabbioso. «Vuoi partecipare anche tu al discorso sui padri? Chissà cosa pensa il tuo, quando vede la sua unica figlia fra i Serpeverde, ridotta ad essere la sgualdrina di Scorpius Malfoy. Ma magari il tuo sangue è annacquato, forse non sei davvero una Potter. Sicura che sia Harry Potter tuo padre? Forse dovrei domandarlo a tua madre.» Il viso di Lily pareva scolpito nel ghiaccio, tanto diventò livido, un'unica maschera esangue. Dì qualcosa, Lily. Dì qualcosa. Ma Lily raccolse ciò che rimaneva della sua dignità, abbassò la bacchetta e se ne andò in assoluto silenzio, senza voltarsi indietro. Solo Scorpius si era reso conto di quanto fosse stata duramente colpita, ferita. Prima che potesse chiamarla, dirle di fermarsi, o correrle dietro, lei fu già lontana dalla sua vista. Nessuno osò fiatare. Fu il turno di Scorpius di puntare la bacchetta contro Steeval. Gli sollevò il mento, conficcandogli la punta nella carne.
«Sparisci.»
Per una volta, Mathis Steeval accettò quel consiglio di buon grado.

-

Era sempre stata veloce. Non era eccessivamente alta, ma le sue gambe erano abbastanza lunghe da consentirle di correre alla massima velocità, ed era quello che stava facendo ora, diretta verso la Foresta Probita. Lei non la temeva, la Foresta. Non temeva quegli alberi e quelle creature che si nascondevano fra le ombre, di cui si vociferava tanto, ma che poi risultavano difficili da incontrare. Rallentò la corsa. La Foresta Proibita era immersa nella semi-oscurità, la luce proveniente unicamente dagli spiragli fra le fronde degli alti alberi. Era così vecchia, nata ancora prima di Hogwarts, così vecchia che se ne poteva sentire l'odore; lichene morente, talvolta esseri che si decompongono. Lily si chiese quanti volti avessero visto gli alberi, sentinelle eterne senza riposo; quanti passi avessero udito, quante stagioni avessero vissuto. Ma le uniche parole che essi riuscivano ad emettere erano i sussurri delle foglie, provocati dal vento che ne scuoteva i rami, o il sibilio della pioggia che si faceva largo attraverso le loro fronde. Tutti assieme, gli alberi formavano un unico, silenzioso labirinto, nel quale ci si doveva districare, camminando fra quei tronchi scuri o quasi bianchi, facendo attenzione a non inciampare fra le radici, lunghe e distorte, aggrovigliate come tentacoli pronti ad artigliare le caviglie di chiunque osasse passare di lì. Giunse in una piccola radura, un cerchio di terra ed arbusti di varia natura su cui non era cresciuto alcun tipo di albero. Quelli che la circondavano, alti come giganti, riuscivano a creare una cupola sulla sua testa, quasi come se fosse un secondo cielo. Si permise solo allora di cadere sull'erba, in ginocchio, affannata e tremante, là dove correva a rifiugiarsi quando il mondo la opprimeva.
Non era fuggita dall'umiliazione che le aveva inflitto Mathis Steeval. Era fuggita da se stessa.
Perché aveva guardato Mathis Steeval e aveva immaginato come ucciderlo. No, non era stata lei: era stata la voce. Un sussurro all'orecchio. Crack, senti il braccio di Steeval spezzarsi. Sentilo gemere di dolore, chiudere gli occhi. Senti com'è appagante ferirlo. Oppure immagina di rubare un coltello dalla Sala Grande, durante la cena... Immagina di conficcarglielo nella pancia, di rigirarglielo dentro e sentirlo agonizzare. Immagina come sarebbe viscido il sangue che ti sporca le mani, ma come sarebbe magnifico vederlo soffrire. La paura si era diffusa, fredda e viscida, nelle sue vene. Non aveva formulato lei quei pensieri; eppure, eccoli lì, nella sua mente. Come se le appartenessero. Forse stava impazzendo. E quindi era scappata, soffocando la voglia di ribattere a tono, soffocano qualunque cosa, temendo che le orribili scene che prendevano forma nella sua mente diventassero realtà.
Che le stava succedendo? Non aveva mai perso il controllo così, nè le era mai accaduta una cosa simile. Tremò, rialzandosi, stringendosi con le braccia al tronco di un albero per non scivolare nuovamente a terra. Che le stava succedendo? Non bastavano i sogni? Perché, ora, si doveva aggiungere addirittura una voce a tormentarla?
«Forse Jeremy Smith aveva ragione...»
Aveva ragione. «Vattene.» Si fece forza. Raddrizzò il busto. Riprese a respirare regolarmente. Nulla era successo: doveva convincersene, doveva dimenticare tutto, fingere che tutto andasse bene, vendicarsi. E allora, perché gli aveva risposto ad alta voce, se voleva credere che nulla fosse accaduto?

-

«Corri!», rise lei, i capelli rossi che le ondeggiavano sulla schiena. Sotto il mantello nero, indossava un vestito di ciniglia celeste con decorazioni bianche, un regalo di suo fratello Albus, gli aveva spiegato.
«Sei più veloce di me!» Anche Scorpius rise, divertito, incurante della tarda ora e del fatto che le probabilità di essere beccati da Gazza fossero particolarmente alte. «Aspettami!» Inutile: Lily era già lontana, e lui non l'aveva mai vista allegra come quel giorno. Tutto, in lei, era luminoso, a contrasto con il grigiore che era stata quella giornata autunnale; la pelle chiara, gli occhi azzurri, i capelli color fuoco. Scorpius si rassegnò a seguirla, dovunque lo stesse conducendo. Mentre la rincorreva, Scorpius si ricordò delle parole del suo padrino; "riflettici, Scorpius." Quello che lui gli aveva suggerito era di usare Lily, e Scorpius non voleva arrivare a quel punto. Era sempre stato bravo a manipolare le persone, ad ottenere quello che voleva, a mentire. Ma con Lily non ci sarebbe riuscito; lei era fatta della sua stessa pasta, ed era lui stesso che la stava modellando. Loro erano dalla stessa parte. E Scorpius era una persona leale fino al midollo. Non avrebbe mai tradito i suoi amici o la sua famiglia, così come non tradiva i suoi principi, i suoi ideali. Scorpius rimaneva fedele a quello che era.
Lo stava portando alla Torre di Astronomia; Scorpius riconobbe il percorso. Era un luogo familiare. Vi si recava spesso, delle notti, per osservare il cielo. Astronomia era la sua materia preferita, oltre che quella in cui eccelleva di più. Era sempre stato il favorito della professoressa Sinistra, soddisfatta di aver finalmente trovato qualcuno così interessato ai suoi insegnamenti. Risalirono la scala a chiocciola, e, quando furono in cima, Lily si avvicinò al parapetto, accennando ad un sorriso. Quella notte, la presenza di un forte, tagliente vento proveniente da ovest sembrava sul punto di stappare intere zolle d'erba e terra o spezzare a metà i tronchi degli alberi - o di trascinarla via.
«Lily.» Scorpius le si avvicinò, sfiorandole brevemente il collo pallido con un dito. «Agli allenamenti...» Non avevano ancora avuto occasione di discutere di quanto era accaduto quel pomeriggio. In compagnia degli altri, Scorpius non se l'era sentita di tirare fuori l'argomento; quella era la prima occasione di rimanere soli che avevano avuto da giorni.
«Non ti ho chiesto di venire qui per discutere di quello che è successo con Steeval», lo interruppe Lily, seppur con garbo, voltandosi. «In parte, forse.» Il sorriso di prima, ora, fu completo, e in esso Scorpius riconobbe il proprio; affilato, pericoloso. L'aveva imparato da lui. Si sentì quasi compiaciuto.
«Dimmi, allora», la esortò, incuriosito, facendosi più vicino.
«In ben pochi lo sanno... Ma domani è il mio compleanno. O, per essere più precisi, fra meno di un quarto d'ora.» Lily gli sfiorò un braccio con le dita, la più gentile delle richieste. «E vorrei che tu mi aiutassi a, come dire, farmi un regalo.» Lo sguardo che gli lanciò era carico di sottintesi. E Scorpius inarcò, a sua volta, le labbra sottili in un largo sorriso.
«Qualunque cosa.»
«Perfetto. Un'occasione per dimostrarmi quanto sei bravo a mentire. Ci servirà. Ti spiegherò meglio quando avrò ideato il tutto per bene...»
«Spero che sia un piano abbastanza stronzo.»
«Lo è. Ho imparato dal migliore.»
«Quindi mi consideri il migliore?» Scorpius ghignò. La mano di lei era ancora sul suo braccio, e il suo tocco era piacevole.
Lily si ritrasse. «Vedi di non vantarti troppo.» Sbuffò.
«Quindi ora ti fidi di me. Abbastanza da affidarti a me per la riuscita del tuo piano.»
«Non è che mi fido. E' che sei l'unico che possa aiutarmi.»
«Non ti fidi?» Scorpius sorrise, tagliente, e le si avvicinò sempre di più.
«Non mi fido di nessuno, io.» Anche Lily sorrideva, e non indietreggiò.
«Che cosa triste.»
«E' il mio metodo di sopravvivenza. Sai, ti aiuta ad evitare tutti i tipi di delusioni... O tradimenti.»
«E' questo che fai, dunque? Fuggi dai rapporti, temendo di finire a fidarti di qualcuno, un giorno?»
«L'hai notato anche tu: correre è quello che so fare meglio. Prima ti ho stracciato alla grande.»
Scorpius rise piano alla battuta, infilandosi le mani in tasca. Il cielo era tinto d'inchiostro, e, piano piano, i banchi di nuvole che quel giorno avevano portato una leggera pioggerella si aprirono, come se fossero stati tele squarciate, lasciando posto all'apparire della luna e delle stelle. Osservò il suo orologio da polso: mezzanotte.
«E' mezzanotte. Esprimi un desiderio.» Lily sorrise, felice come solo una ragazzina il giorno del suo compleanno può esserlo; lo abbagliò e, suo malgrado, Scorpius sorrise a sua volta.
«Fatto.»
«Che cosa hai domandato?»
«Ah-ah.» Lily scosse il capo, piegando le labbra in una linea imbronciata. «Lo sai, se te lo dico non si avvera.»
«Magari se me lo riveli, invece, posso aiutarti a realizzarlo.»
«Ne dubito. Ma...» Lily prese a fissarsi i piedi, quasi imbarazzata. Non osò guardarlo in faccia. «E va bene. Vorrei capire me stessa.» Allargò le braccia in segno di resa. «Adesso la sfiga mi perseguiterà per il resto dei miei giorni. Già lo so. Sfiga è il mio secondo nome.»
«Un desiderio davvero profondo, non c'è che dire», ghignò Scorpius. La stava prendendo in giro. Lily lo guardò torva, un sopracciglio rosso che svettava come non aveva mai fatto prima.
«Sapevo che non avrei dovuto dirti niente», borbottò, fingendosi offesa; gli voltò le spalle e si riavvicinò al parapetto. Scorpius la seguì, per poi cingerle la vita con un braccio allo scopo di vederla respingerlo. E Lily, difatti, si divincolò, ma non per molto; «Sono ancora offesa», annunciò, ma stava ridendo, coprendosi la bocca con una mano, i capelli rossi e vividi come sangue alla luce della luna. Quando si calmò, la schiena premuta contro il petto di Scorpius, lui levò un braccio ed indicò il cielo.
«La vedi?», sussurrò, scostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Quella costellazione? Si chiama Scorpius, e contiene alcune delle stelle più luminose dell'emisfero sud.» Lily socchiuse gli occhi, scrutando attentamente; quando la trovò, seguendo la traiettoria del dito di Scorpius, si mordicchiò il labbro inferiore ed accennò ad un sorriso.
«E' bellissima. Davvero.»
«Bellezza chiama altra bellezza», affermò Scorpius, indicandosi con espressione strafottente. Lily roteò gli occhi, scivolando via dalla sua presa con le guance imporporate.
«Lo ammettò, questo tuo lato da pallone gonfiato ancora non l'avevo conosciuto», lo accusò, divertita.
«Sono l'uomo dai mille volti. Chissà se riuscirai a vederli tutti.»
«Ci riuscirò. Non devi preoccuparti.»
«Mi sono dimenticato di augurarti buon compleanno, comunque. Chiedo perdono. Quanti sono? Dodici?»
«Non fingere di non saperlo.» Il sorriso di Lily era derisorio. «Sai più cose sul mio conto di quante ne sappia io stessa.» Per una volta, Scorpius non trovò nulla da ribattere. Quando scesero dalla Torre di Astronomia, Lily si ricordò improvvisamente di aver dimenticato il suo Mantello dell'Invisibilità nel dormitorio.
«Per Merlino...», borbottò fra i denti. Non voleva beccarsi una punizione da Gazza proprio il giorno del suo compleanno; peccato che fosse troppo tardi.
«Mrs Purr? Cosa hai fiutato, mia cara? Sì, sì... Studenti fuori dai dormitori... Siamo vicini... Li troveremo...»


Angolo Autrice
Ed ecco il nuovo capitolo. Non mi dilungherò troppo, se non per ringraziare delle splendide recensioni - ben dieci! - e fornirvi alcune brevi spiegazioni.
Per quelli che mi hanno chiesto di rivelare cosa sa Jeremy, purtroppo dovrò deludervi. Non salterà fuori per un bel po', ancora, ma ci sono parecchi indizi sparsi, e credo che qualcuno di voi li abbia già colti, soprattutto dopo questo capitolo :)
Ho voluto inserire anche Theodore perché ho una cotta per lui perché per me il suo rapporto con Scorpius è interessante, e fornisce a quest'ultimo più introspezione.
Per chi sta già etichettando Morgaine come una stronza, be', un po' avete ragione, lol. Quella scena è servita in parte per presentarla un po' meglio, in parte per inserire una sottotrama molto importante. Ma, come ha detto lei stessa, ha dovuto, e forse riuscirete anche ad indovinare perché.
Per quanto riguarda Mathis Steeval, nel prossimo capitolo sia Lily che Scorpius avranno la loro vendetta (prima dovranno scontare la punizione di Gazza, però), quindi don't worry sul suo conto.
Ad Edric, invece, verrà dedicato molto spazio in futuro, quindi le sue fangirls possono stare tranquille.
Ah, Lily e Scorpius si sono finalmente appartati, anche se non tanto quanto speravate. Be', si sa, prima o poi la tensione fra di loro verrà risolta (;
Sulla questione di Lily e della voce, è riuscita, con Scorpius, a fingere che vada tutto bene, ma non durerà a lungo.
Piccolo PS su Axell Lunn: Lunn è un cognome particolarmente azzeccato, visto che è un licantropo, ma ci tengo a specificare che non l'ho inventato io appositamente per darlo a questo personaggio. Mi serviva un cognome, così ho deciso di spulciare lo smistamento nel primo libro ed eccolo lì, Lunn. In questa fanfiction è il padre di Axell, ed era allo stesso anno di Harry e compagnia. Il suo essere licantropo, invece, verrà spiegato più avanti con la ff.
L'angolo autrice sta diventando più lungo del capitolo, quindi la smetto di ciarlare e fuggo. Spero che non faccia troppo schifo, perdono eventuali errori etc etc. Alla prossima, e grazie ancora per le bellissime recensioni!

  
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