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Autore: Seiko    04/09/2011    3 recensioni
"La fenice è un animale mitologico, si dice che sia capace di risorgere dalle proprie ceneri per vivere altri mille anni."
Le abitudini aiutano a conoscere una persona per i gesti che compie solitamente. Ecco perché quando anche un solo dettaglio muta si riesce a coglierlo con solo uno sguardo.
Qualcosa in Marco cambierà, ma nessuno sembrerà accorgersene a parte Ace.
Long-fic; [Marco/Ace]; Angst!
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Marco, Portuguese D. Ace
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scent of  Cinnamon

 

 

Non era la prima volta che Ace combatteva con i pirati di Barbabianca, eppure, ancora prima che la battaglia iniziasse, si era reso conto dell’enorme differenza che c’era nel combattere in nome di un altro avendo sotto il proprio comando i suoi uomini. L’aria era greve di responsabilità.

Sul ponte della nave le urla si confondevano, i suoni della battaglia avvolgevano quel tratto di oceano come una bolla. L’acqua risuonava con le vibrazioni della battaglia e chissà quali luoghi lontani avrebbero raggiunto.

La seconda divisione resisteva, gli uomini combattevano seguendo i suoi ordini, uniti sotto il nome del loro capitano. Eppure non riusciva a mantenere la quiete d’animo, come se sapesse che qualcosa sarebbe inevitabilmente andato storto.
Le fiamme serpeggiavano impazzite lungo il suo corpo, il fremito della battaglia le alimentava. Un colpo, e ancora un altro, azioni ormai meccaniche per svuotare la mente dai pensieri, come a liberarsi dai pesi delle responsabilità che sentiva. Tutto pur di non portare la mente a quel momento.

In lontananza sentiva i loro compagni avvicinarsi, iniziare la loro avanzata pronti a sostenerli nell’ultimo atto di quella battaglia. Fu come un soffio di vento leggero a rinfrescare la pelle bruciante di tensione.
Nell’aria era ormai forte l’odore di sangue, ad ogni respiro sembrava quasi di assaporarne il sapore metallico lungo la gola. Il rosso rendeva ormai chiaro il suo dominio, impregnando ogni superficie intorno a lui, poteva vederlo sulle sue stesse mani, da dove si alzava quel vago sentore di sangue arso.

Furono delle urla a riscuoterlo dall’alienazione dei suoi movimenti meccanici, che lo guidavano in una lotta impari contro i marine fin dal primo colpo. Urla diverse, le urla di un ferito soffocate dall’esultare dei marinai.

Volse lo sguardo intorno, correndo in preda ad un freddo turbamento, al vago terrore di aver appena messo a rischio i suoi compagni. Non passò molto prima di vedere la figura corpulenta apparsa da poco.
Il marine a capo della nave, un comandante di vascello probabilmente, la persona che, da dietro le quinte, aveva guidato l’attacco dei loro avversari fino a quel momento era finalmente scesa in prima linea, in soccorso dei suoi uomini.

Aveva già visto quel volto da qualche parte, ricordava vagamente un giornale parlare di un ufficiale promosso recentemente dopo aver catturato dei pericolosi ricercati. La fama momentanea doveva avergli probabilmente dato alla testa se credeva veramente di sconfiggere Barbabianca e i suoi.

Nell’istante in cui vide l’uomo alzare una pesante mazza pronto a dare quello che, probabilmente, sarebbe stato il colpo di grazia al suo compagno, la vista gli si fece improvvisamente bianca. Blackout. Vuoto assoluto dei momenti in cui i suoi piedi avevano sfiorato il legno della nave percorrendo velocemente la poca distanza che lo divideva dai suoi.

Sentì vagamente il contraccolpo dovuto al contatto con il ferro già sporco di sangue. Aveva coperto il compagno, evitando volontariamente di trasformarsi in fuoco per poter difendere l’altro con il suo corpo. Evidentemente, era più resistente di quanto pensasse.

La preoccupazione per gli uomini che gli erano stati affidati aveva ormai preso il sopravvento sul buon senso che dovrebbe sempre guidare ogni buon capitano. Le fiamme divamparono alle sue spalle in una muraglia costringendo i suoi ad una rapida ritirata; era rimasto solo, pronto ad affrontare tutti i marine superstiti sulla nave.

Ci fu un moto di esultanza generale fra i suoi nemici, probabilmente dovuto al ghigno strafottente del loro capitano, o al classico discorso preimpostato su quanto ormai la sua ora fosse chiaramente arrivata, evidentemente credevano di aver appena ottenuto l’opportunità per una facile vittoria. Soffocò una cristallina risata fra i denti, era sempre divertente venire sottovalutati.

Con pochi, facili, colpi si liberò dei primi uomini che provarono ad attaccarlo sulla cresta del fervore di avere soltanto un nemico di fronte. Ne caddero altri cinque prima che si rendessero conto che per avere anche solo uno straccio di possibilità contro di lui avrebbero dovuto organizzarsi almeno un po’. Fu il “capo” a prendere l’iniziativa, fece arretrare i suoi uomini sfidandolo apertamente in quello che sembrava un leale duello uno contro uno.

Se anche per un attimo aveva pensato che avrebbero “giocato” correttamente, dovette ricredersi nel sentirsi improvvisamente afferrare dai marine che avevano ormai formato un cerchio intorno a loro. Fu un semplice gioco di forza spintonarli lontano liberandosi, non ebbe nemmeno bisogno di ricorre alle fiamme, ecco perché si accorse delle manette al suo polso solo quando l’arma dell’altro lo colpì con violenza al volto facendolo volare contro la balaustra poco lontana. Sentì il legno incrinarsi nell’impatto, mentre il sapore acre del sangue si insinuava tra le labbra.

Oltre il muro di fuoco che aveva creato sentiva i suoi compagni chiamare qualcuno, mentre altri cercavano di placare le fiamme per raggiungerlo, senza però ottenere molti risultati.

Il suo sguardo volò rapido al polso stretto a delle dannate manette di agalmatolite per poi tornare al suo avversario che se ne stava ritto di fronte a lui a sghignazzare. Si rialzò cancellando con il piede le tracce rosse lasciate dalla sua caduta, non sarebbero state delle stupide manette a fermarlo, non era uno sprovveduto come tanti, e non sarebbe stato quel dannato ciccione a metterlo a tappeto, quella non era una giornata in cui poteva permettersi di perdere.

Con la mano destra bloccò l’arma già calata nell’intento di colpirlo, mentre con una leggera spinta si sollevò il necessario per colpirlo poco al di sotto dello sterno con un calcio. Sentì chiaramente il tremore del contraccolpo sul corpo dell’altro, non trattene il ghigno nel vedere l’altro indietreggiare di un passo per riprendere fiato. Illusi se pensavano bastasse privarlo del fuoco per renderlo innocuo.

Era pronto a colpirlo nuovamente quando il rumore di uno sparo tagliò l’aria circostante. Un perforante dolore alla spalla lo costrinse in ginocchio mentre la mano accorreva veloce a tamponare l’origine del dolore.

Sangue, scivolava lungo il braccio nonostante cercasse di arginarlo fra le dita. Il proiettile era passato oltre la spalla, doveva sbrigarsi a concludere se non voleva perdere i sensi in mano ai suoi nemici. Le fitte erano violente, e peggioravano ad ogni tentativo di muoversi. I bastardi intorno a lui ridevano mentre il loro capitano si avvicinava a lui con la stessa andatura di un boia.

Lo guardò sprezzante, trasudando con lo sguardo un orgoglio duro a morire. Era un pirata, era forte abbastanza da sopravvivere anche ad una situazione del genere, non l’avrebbe sconfitto.

Il braccio si sollevò solenne, preparando quello che, probabilmente, considerava il colpo di grazia. L’uomo ghignò nel guardarlo a terra, ferito, mentre cercava di, a suo dire, incenerirlo con lo sguardo; agli occhi del marine non era altro che un animale ormai chiuso in gabbia.

Vide l’arma calare su di lui, diretta alla sua spalla, al suo attuale punto debole, sentì l’aria mutare trasportata con violenza nella sua direzione. Sentiva ormai il colpo su di sé quando  un movimento nel vento arrivo fino a lui, il debole suono di un frusciare di piume, coperto infine dal pesante suono di uno scontro. Non sentì il dolore che aveva immaginato, non sentì nulla, solo il pallido calore di una fiamma blu.

Sgranò appena lo sguardo nel rendersi conto di cosa era appena successo; Marco era lì, di fronte a lui e sorrideva mentre il suo braccio bruciava in una fredda fiamma azzurra. Si era fatto colpire al suo posto, e non sembrava minimamente risentirne.

Piegò le labbra in un debole sorriso, mentre assaporava quella lieve sensazione di sollievo che scivolava come una carezza sulla pelle dolorante. Non gli era ancora ben chiaro se il peso che provava fino a poco prima si fosse dissolto per l’arrivo di Marco in suo soccorso, o perché proprio grazie all’arrivo del capitano della prima divisione ora sapeva per certo che i compagni a lui affidati sarebbero stati al sicuro. La risposta non importava, non in quel momento. I suoi sensi erano impegnati a seguire la figura di Marco mentre combatteva, intorpiditi dall’intenso odore di cannella che accompagnava il biondo in ogni battaglia.

Pungente cannella, l’odore di sangue ne usciva sempre sconfitto.

 

 

Una vera ingiustizia. Quella era una vera e propria ingiustizia. Ace ne era certo, una di quelle convinzioni da promozione pubblicitaria, con probabilità di riuscita del centodieci per cento. Come era possibile dargli torto?

Certo, ammetteva le sue colpe, non era di certo un innocente finito casualmente sul patibolo, assolutamente no. Era un pirata disgraziato, insomma, la classica persona con pregi, difetti e una taglia di milioni di berry sulla capoccia. Eppure non era stato un tale delinquente da meritarsi una punizione così infima, una pena così crudele e degradante.

Tirò su sonoramente col naso per l’ennesima volta quel giorno, mentre con il dorso della mano, ancora miracolosamente asciutto cercava di pulire gli occhi dalle lacrime che uscivano ormai a fiumi. Le risate delle persone attorno a lui non sembrarono più soffocate come le prime quarantanove volte di quel, ormai poco, originale spettacolo.

Quando si ritenne soddisfatto del risultato, o almeno quando la visuale sembrava farsi leggermente più nitida e chiara per il suo sguardo ormai acquoso, calò nuovamente la mano verso il tagliere riafferrando il coltello abbandonato poco prima per bisogni decisamente più urgenti.

Un colpo secco, preciso e, per carità, sta attento alle dita. Queste erano le sue indicazioni, nulla di più e nulla di meno; eppure per quanto seguisse alla lettera quegli ordini, la tortura sembrava praticamente infinita.
Certo, l’aveva già ammesso, si meritava una punizione per il “disastro” che aveva combinato contro quei marine,  la poca fiducia che aveva avuto nei suoi compagni e il rischio che aveva corso nel combattere da solo, ormai ricordava la ramanzina a memoria, ma proprio a sminuzzare cipolle dovevano metterlo? Era pura perfidia quella.

Afferrò la, probabilmente, centesima cipolla della giornata sentendo gli occhi bruciare in dissenso, ma in quanto uomo considerava disonorevole sottrarsi ai suoi doveri, anche se in quanto pirata era dal secondo, dannato, ortaggio che pensava a come svignarsela.

Finì di sminuzzare anche quella cipolla, e sfruttò l’occasione per guardarsi intorno, i cuochi erano tutti impegnati nella preparazione del pranzo, e poi suvvia chi si sarebbe accorto della sua fuga? Era quantomeno inutile il suo apporto di affettaverdure temporaneo.

- Fossi in te, non lo farei. -

Quelle parole arrivarono come una risata al suo orecchio. Non ebbe bisogno di voltarsi per riconoscere la voce, la sensazione di leggera irritazione che si propagava fra i suoi pensieri aveva già chiarito la persona con cui avrebbe avuto a che fare, probabilmente per il resto della giornata.

- Non sapevo fossi in grado di leggere il pensiero Satch. – gli lanciò quello che probabilmente in condizioni normali sarebbe stato uno sguardo di fuoco, ma che, in quel momento, era solo l’espressione di un uomo distrutto.

- Non ho bisogno di capacità telepatiche per riconoscere qualcuno che cerca di darsi alla fuga. – ghignò divertito dalla situazione mentre allungava al moro un’altra cipolla. - Sono stato in questa cucina molto più tempo di te. -

- Devo forse intuire che sei stato nei guai molto più spesso di me? -

- Questo è un colpo basso Ace-kun... - ed ecco che partiva lo spettacolo del Satch piagnucolante a cui nessuna persona sana di mente avrebbe mai e poi mai voluto assistere.

- Hai così poca stima delle mie capacità da credermi un disastro tale da venire continuamente punito? È questo che pensi davvero di me? Non provi nemmeno un briciolo di affetto per il tuo caro amico Satch? Non rispetti nemmeno un po’ il ruolo che mi sono faticosamente conquistato nella nostra famiglia? -
-Falla finita Satch se non vuoi finire a tagliar cipolle anche tu!-

Ace ringraziò il capo-chef dal profondo del cuore per averlo zittito. A prima vista probabilmente non sembrava nemmeno così tremendo, ma ascoltare la voce piagnucolante di Satch, mentre a macchinetta faceva domande accusatorie era qualcosa di veramente devastante, ringraziava le cipolle per averlo reso praticamente cieco e di conseguenza fisicamente impossibilitato a vedere i finti sguardi da cucciolo dell’altro. Niente, niente era peggio di Satch che cercava di imitare un cucciolo.

Prese fra le mani l’ultima cipolla, con il biondo che ancora gli mugugnava a fianco, quando finalmente sentì urlare le parole che ogni pirata nella sua situazione vorrebbe sentire: “Ora di pranzo!”. Sminuzzò l’ortaggio più in fretta di quanto avesse fatto con gli altri per poi correre al primo lavandino disponibile finalmente pronto a riacquistare la vista ignobilmente perduta.

Per la prima volta, da quando aveva mangiato il frutto del diavolo, l’acqua gli sembrò una vera benedizione. La sensazione dell’acqua sulla pelle non era mai stata così gradevole, gli occhi riprendevano lentamente un aspetto normale e l’irritante odore di cipolla si allontanava ad ogni bolla di sapone. Quando finì di lavarsi e asciugarsi si sentì incredibilmente sollevato nel riuscire nuovamente a vedere l’ambiente che lo circondava.

Non fece in tempo a voltarsi che si ritrovò una ciotola piena di zuppa fra le mani.

- La tua porzione. - le parole furono seguite da un sorriso allegro. - E poi prova a dirmi che non ti voglio bene. -

A quanto pare Satch aveva ritrovato il buon umore, per cui decise saggiamente di non provocarlo ma limitarsi a sedersi insieme a lui in un angolo della cucina, su quelli che erano quasi sicuramente sacchi di patate.

La compagnia dell’altro non gli dispiaceva  durante i pasti, erano quei pochi momenti in cui era silenzioso, e doveva ammetterlo con la bocca chiusa poteva apparire quasi simpatico.

Solo quando la zuppa era ormai finita, l’altro decise che poteva tornare a parlare.

- Così ti hanno spedito a tagliar cipolle dopo l’ultimo scontro con la marina eh? - aveva un tono comprensivo, come se stesse parlando con un compagno di disgrazie. - Come punizione è un classico ormai! -

- Ci sei finito anche tu? -

- Che scherzi? Io sono il pioniere di questa antica tradizione. -

Risero insieme, e non poteva negarlo, non era poi così male la sua compagnia.

- Come vanno le tue ferite? -
Si portò istintivamente una mano alla spalla a quelle parole; sentiva la fasciatura al di sotto della camicia, ma ormai poteva dire di essersi completamente rimesso, anche se aveva passato un intera giornata chiuso in infermeria.

- Bene. - lo sguardo temporeggiò per un istante sul grigio soffitto della cucina. - Se non ci fosse stato Marco sarebbero state decisamente peggiori. -

Satch sorrise, un sorriso diverso dal solito, quel sorriso che aveva visto anche in Marco quando gli aveva parlato della loro famiglia, quel sorriso caldo che gli dava sempre la sensazione di aver trovato una casa. Forse fu per questo che non si stupì quando l’altro non fece una delle sue solite battutine.

- Già. Lui è fatto così, arriva sempre quando ne hai bisogno. -

Si fermò un attimo a studiare l’espressione dell’altro, come per capire se lui avrebbe potuto chiarire la sua curiosità. A ben pensarci Satch conosceva Marco da molto più tempo di lui, erano compagni da chissà quanto tempo, doveva sapere molte cose sul biondo, per cui perché non chiederglielo?

- Senti Satch, perché alla fine di ogni battaglia Marco profuma di cannella? -

Le parole uscirono senza che ci pensasse troppo sopra, e quando a seguire la domanda fu il silenzio Ace pensò sinceramente di aver detto un’enorme scemenza. Ma la risposta non tardò poi tanto ad arrivare.

- Te ne sei accorto eh? - una domanda retorica mentre i suoi occhi lo studiavano, si sentiva osservato nei dettagli.

- Allora? -

L’altro rise per poi allungare una mano ad arruffargli i capelli in un gesto amichevole.

- Sei proprio un ficcanaso. - si alzò agitando la mano in segno di saluto. - Se ti interessa tanto, forse dovresti chiederlo al diretto interessato. -

Ne era certo, c’era una sottile vena di malizia nelle ultime parole di Satch. Perdere il pelo ma non il vizio, probabilmente, non era una norma che valeva solo per i lupi.
Sospirò. Chiederlo a Marco, come se fosse facile.

 

 

Il tempo sulla Moby Dick trascorreva placidamente, inserendosi in una routine che raramente si poteva trovare nella vita da pirata.  Ma la ciurma di Barbabianca non era una ciurma qualsiasi, la loro discreta fama li portava spesso negli stessi luoghi a controllare che nei territori sotto la loro protezione tutto procedesse per il meglio e ogni viaggio aveva incontri sempre nuovi, tra sprovveduti che cercavano di farsi un nome e marine che speravano in una promozione, ma erano così tanti che raramente avevano modo di combattere tutti insieme, a volte era sufficiente solo lo sbuffare irritato del babbo.

Dal suo incidente come capitano in prova erano ormai passate due settimane, aveva avuto tutto il tempo di riflettere su quanto aveva sbagliato, e su quanto invece doveva mantenere quando era al comando dei suoi compagni. Ora capiva il discorso di Marco prima della battaglia, non aveva avuto fiducia nei suoi compagni e ne aveva pagato le conseguenze.

Marco... Nonostante in quei giorni combattessero spesso insieme, non aveva ancora avuto l’occasione di parlarci da solo. La curiosità lo tormentava e Satch si rifiutava di chiarire i suoi dubbi continuando a rimandare la risposta al protagonista della questione.

Quel giorno sarebbe stato diverso, visto che il suo “amico” non parlava, avrebbe chiesto la risposta al diretto interessato, ed ecco perché si trovava lì, in un turno di guardia che non avrebbe dovuto svolgere ad attendere l’alba e la soluzione dei suoi interrogativi. Il biondo non avrebbe mancato all’appuntamento, ne era certo.

Lasciò la vedetta per scendere sul ponte e sdraiarsi sul legno della nave, mancavano pochi minuti al sorgere del sole e voleva essere sicuro di non perdere l’occasione di parlare con Marco. Chiuse gli occhi lasciandosi cullare dagli ondeggiamenti della nave che seguiva docilmente i movimenti del mare, e dall’odore salmastro che si alzava nel vento. Era una notte incredibilmente tranquilla.

A risvegliarlo da quel momento di calma fu il lieve rumore di passi che riecheggiava nel legno, non fu difficile riconoscere il proprietario. Aprì gli occhi vedendolo passare al suo fianco.

- Marco... -

Si alzò a sedere nel pronunciare il suo nome, pronto ad alzarsi.

L’altro si voltò con un dito poggiato sulle labbra in segno di silenzio, mentre prendeva il suo solito posto seduto a prua, pronto ad osservare l’alba in tutti i suoi dettagli.
Non si avvicinò quel giorno, si limitò ad osservare la scena seduto alle sue spalle, aspettando il momento giusto per poter parlare. La figura dell’altro si faceva più nitida mentre i primi raggi del sole ne delineavano i contorni, e come la prima volta provò quella strana sensazione di stasi, come se il tempo si fermasse per pochi secondi prima di tornare al suo flusso normale.

Solo quando il sole si era ormai alzato Marco si avvicinò nuovamente guardandolo con un’espressione curiosa.

- Vuoi farmi una domanda vero? -

Sorrideva, un sorriso di chi sapeva già tutto ma si divertiva a farselo ripetere dalla persona interessata. Satch aveva indubbiamente parlato anche con lui, del resto quando mai quell’uomo stava zitto?

- Si. - lo guardò negli occhi per un lungo attimo. - Risponderai? -
- Non si dice di no ad una domanda. -

E rimase fermo di fronte a lui, in attesa di quella domanda. Gli aveva promesso una risposta, avrebbe finalmente chiarito i suoi dubbi, l’unico problema ora era... come avrebbe dovuto chiederglielo?
“Ehi Marco, è un po’ che ti annuso, come mai odori di cannella?” “Oi collega! Come mai quando fai a botte profumi di cannella?”
Avrebbe fatto la figura del completo idiota. Gli avrebbe riso in faccia se lo sentiva! Maledizione a Satch e al suo neurone solitario incapace di rispondere alla sua curiosità! Anzi, ne era sicuro, aveva macchinato tutto alle sue spalle per metterlo in ridicolo, se lo sentiva!

- Allora? - ridacchiò Marco.

La voce dell’altro lo riportò alla realtà, sottraendolo da quel vortice di pensieri senza fine.  Lo guardava con un’espressione divertita, mentre aspettava pazientemente che l’altro elaborasse la sua domanda.  Le parole uscirono spontanee, senza che riuscisse a controllarle.

- Perché la cannella? Da dove arriva il profumo? -

- Per la fenice. - rispose con tono pacato, quello che si userebbe per spiegare qualcosa ad un bambino, o nel loro caso all’ultimo arrivo della famiglia. - Conosci la leggenda? -

Ace scosse la testa con foga, forse un po’ troppa visto che provocò una risata divertita dell’altro.

- Si racconta che la fenice sia un uccello leggendario capace di vivere più di mille anni rigenerandosi tra le fiamme. - lo guardò come ad assicurarsi che lo stesse ascoltando. - Non so dirti se sia vero, ma il frutto che ho mangiato mi ha reso una fenice e in quella forma riesco a rigenerare le mie ferite. L’odore di cannella è emanato dalle fiamme che mi curano. -

Il moro ormai lo guardava come fosse il supereroe di un fumetto appena materializzato di fronte ai suoi occhi. Il leggero “wow” che uscì dalle labbra leggermente dischiuse non stupì il biondo, anzi, ebbe uno strano moto di tenerezza nel sentirlo.

Prima che potesse dire altro il viso del ragazzo si fece serio come se una nuova curiosità avesse deviato il corrente flusso di pensieri.

- Come mai vieni sempre a vedere l’alb- -

Sentì all’improvviso il dito sulle labbra ad interrompere la sua domanda sul nascere, sussultò sorpreso da quel contatto mentre Marco lo guardava con un sorriso.

- Avevamo detto solo una domanda. - ghignò divertito mentre a passi lenti si avviava verso la sua cabina. - Buonanotte Ace. -

Sorrise a quelle parole, tentato di rispondergli che il sole era ormai alto in cielo, ma sapeva perfettamente che dopo una notte passata svegli ritirandosi in camera per riposare era come prepararsi per una lunga nottata, fu per questo che rispose come chiunque altro, fra i loro compagni, avrebbe fatto.

- Buonanotte. -

 

 

- Sei in anticipo oggi. -

- Le abitudini cambiano. -

- Solo di pochi minuti. -

 

 

La solita noiosa battaglia, pesci piccoli che si credeno squali tentavano di attaccarli e tutto finiva con fatiche sprecate e fuochi d’artificio umani. Tutto sommato per chi, come il babbo, se ne stava seduto in lontananza ad osserva la scena, il complesso poteva sembrare anche un bello spettacolino, ma per lui e Marco, due sfigati presi in fallo dalla dea bendata, era solo una faticaccia inutile, un gioco per bambini.
Era colpa di Satch ne era più che certo, finire sorteggiato casualmente insieme a Marco per combattere quei piratuncoli, con quel chiacchierone a prendere personalmente i foglietti con i loro nomi dal sacco predisposto per il sorteggio, inutile dirlo la cosa puzzava di imbroglio, tanto più se sul volto del fortunato estrattore imperava un ghigno che andava da orecchio ad orecchio. Stupido Satch.

Tirò l’ultimo pugno della giornata finendo col bruciare anche parte della balaustra del vascello che li ospitava, con ilarità del suo compagno che sentiva ridacchiare alle sue spalle.

- Pronto a tornare alla base? -

Annuì energicamente come a sottolineare la poca voglia che aveva di restare lì a marcire fra pirati che difficilmente mettevano a segno qualche colpo, e anche quando ci riuscivano il suo potere impediva loro di ferirlo.

Vide l’altro trasformarsi in fenice in un flusso di fiamme azzurre; non passò molto prima che sentisse gli artigli afferrargli i vestiti e il vento soffiargli sul viso mentre si avviavano verso la Moby Dick. Eppure qualcosa non tornava, c’era qualcosa che stonava terribilmente in quel quadro all’apparenza quotidiano.

La realtà lo colpì improvvisamente, quando, posati i piedi sulla nave, il vento portò chiaramente l’odore di Marco fino a lui.

Era puzza di sangue.

 

 

 

 

 

Note d’autrice:

Ehm... salve! Come butta?

Da uno a dieci quanto rischio un linciaggio per il troppo tempo che è passato da quando ho aggiornato? Posso uscire di casa senza il casco protettivo?

*si inchina* ... chiedo umilmente perdono.

...

Ok, meglio che non divento melodrammatica altrimenti la mia sanità mentale ne risente e poi mi dimentico le cose importanti che devo dirvi. Si una nota d’autrice seria per una volta!
Riguarda la questione della cannella, che anche se può sembrare non è un profumo scelto a caso mentre vagavo fra le spezie da cucina.

Per quanto ne so, nella leggenda la fenice prima di morire, si crea un bel nido con spezie varie tra cui per l’appunto la cannella, per cui nel momento in cui si alzano le fiamme e la fenice muore e rinasce si sente questo odore di spezie, e visto che è presente anche la cannella io ho preferito prendere solo quella a simboleggiare il tutto.

 

Bene, le note serie sono finite quindi via con il delirio.

Avevo intenzione di aggiornare molto prima il capitolo, a luglio finita la tortura esami pensavo che me ne sarei stata tutto il giorno a scrivere visto la smania che avevo, ma vi giuro finito l’ultimo dannato esame l’ispirazione si è volatilizzata come la verginità di Sanji sull’isola di quei simpaticissimi Okama.

Chiaramente ora che mancano pochi giorni al mio prossimo esame sono qui a spezzarmi le dita sulla tastiera. Il mio cervello è proprio adorabile a volte.

Tutto questo in fondo per dirvi che farò il possibile per pubblicare il terzo capitolo al più presto ma non so davvero quando ci riuscirò. Grazie davvero se avete ancora la forza di sopportarmi!

Concludo con i ringraziamenti di rito, perché ve li meritate davvero, grazie a tutti coloro che leggono, commentano, seguono, preferiscono questa storia, siete adorabili e vi voglio un gran bene anche se sono una bastarda e non mi faccio mai sentire.

Grazie a tutti davvero.

Kis~

Seiko

 

   
 
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