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Autore: Grouper    04/09/2011    7 recensioni
Harry cominciò il suo assolo verso la fine della canzone; già troppi sguardi erano stati scambiati tra i due, ma in quel momento la cosa diventò ovvia: quelle parole erano rivolte a lei, a lei soltanto. La spalla che l'aveva sostenuta durante tutto questo tempo, i riccioli con cui aveva giocato tante sere, gli occhi in cui poteva sempre rifugiarsi e la voce avvolgente che le dava la sicurezza per andare avanti... tutto ciò si tramutò in un incubo: per Harry era tutta una farsa per poter arrivare a qualcosa di più che un'amicizia, amicizia che per Vittoria era la cosa più bella che potesse esserle capitata.
Il suo cuore traboccava d'ansia e panico, e gli occhi ne erano la limpida riflessione.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Guardarono altri due film dopo Manhattan, ma poco dopo l'inizio del terzo entrambi dormivano sereni: Vittoria sulla spalla di Harry e lui sulla testa di lei. Stavano scorrendo i titoli di coda, quando il cellulare di Vittoria cominciò a squillare: Harry alzò di scatto la testa, confuso, stropicciandosi gli occhi e sussurrando il nome di Vittoria per farla svegliare; ci mise qualche secondo in più per aprire gli occhi e, anche lei confusa, si tastò le tasche dei pantaloni, davanti e dietro, fino ad arrivare alla tasca della felpa. Prese il cellulare che continuava a squillare senza sosta. “Pronto...?” la voce di Vittoria era rauca e bassa, voleva solamente far tacere quella suoneria fastidiosa. “Vittoria!” in confronto a quella voce, la suoneria del cellulare era sicuramente più gradevole a sentirsi. “Vittoria! Santo cielo, sono le una di notte. Questa è la ventitreesima chiamata che faccio, e mi rispondi solo ora? Dove diavolo sei?” Rebecca dall'altra parte della cornetta era arrabbiata, ma più di questo era preoccupata. “Si, Beck, scusa...” si stroppicciò un occhio mentre guardava Harry che con le sopracciglia aggrottate dal sonno toglieva il DVD dalla televisione. “Scusa un corno, Vittoria! Rispondimi: dove sei? Come stai?” chiedeva con insistente preoccupazione la sorella. “Si, si.. sto bene. Sono a casa di Harry: ci siamo addormentati mentre guardavamo un film, non pensavo di rimanere fino a tardi. Scusa...” Vittoria era sinceramente dispiaciuta: non aveva detto niente alla sorella, e quello era normale se il programma era stare fuori per un paio d'ore, le avrebbe mandato un messaggio in ogni caso, ma non farsi né vedere né sentire per cinque ore di seguito non era proprio la cosa più rispettosa nei confronti di una sorella. “Dove abita questo Harry? Ti vengo a prendere. Dimmi dove sei!” Harry sentì quelle parole e subito disse a Vittoria “Non farla disturbare ulteriormente, ti riporto io.” Vittoria propose la cosa a Rebecca, che ci pensò per un attimo e poi disse: “Avete bevuto?” “No, Beck, né io né lui.” “Ok” continuò incerta “Quanto ci metterete?” “Circa mezzora, qualcosa di meno forse.” “Ok. Muoviti e fammi uno squillo quando parti. A casa facciamo i conti.” chiuse la telefonata: la preoccupazione le era scesa, lasciando spazio all'arrabbiatura. “Dai, andiamo” Harry porse la mano a Vittoria per aiutarla ad alzarsi e insieme si avviarono verso la macchina. “Sicuro di riuscire a guidare?” chiese stranamente premurosa Vittoria. “Tsk, scherzi?” si pavoneggiò Harry con tono da finto-presuntuoso mentre metteva in moto la macchina. Prima di uscire aveva preso una tazza di caffè, sempre pronto in cucina, per essere sicuro di avere i nervi belli attivi. Vittoria, invece, non riuscì a resistere, e dopo soli cinque minuti tornò a dormire appoggiata al finestrino bagnato della macchina. Harry, per conciliarle il sonno e per farsi compagnia, mise il CD di Elton John, e la prima canzone a partire fu Your song; sorrise, e tra sé e sé pensò di dedicarla alla ragazza seduta alla sua destra. Spinse il tasto “ripeti” per tutto il viaggio, ininterrottamente. “Grazie mille” disse Vittoria ancora in macchina: aveva paura che se fosse uscita la sorella l'avrebbe presa e legata dentro ad una gabbia per non farsela scappare. “Grazie a te” disse Harry a sua volta con lo sguardo più dolce del solito. Vittoria lo guardò perplessa “Non ti ho dato mica io un passaggio nel cuore della notte!” replicò sarcastica, lui alzò gli occhi al cielo e poi la guardò sorridente “Grazie per sta sera, in generale. Sono stato bene” fece una breve pausa “Tanto”. Vittoria rispose con un sorriso che parlava da sé e scese dalla macchina; aveva appena chiuso lo sportello quando si affacciò dal finestrino e si rivolse all'amico: “Solo una cosa: non trovi che Woody abbia una passione un po' troppo sfrenata per le ragazze facili? Insomma, dobbiamo essere tutte battone per finire in uno dei suoi film?” Harry la guardò attonito, per poi scoppiare in una risata fragorosa arricciando il naso come suo solito; la guardò girare l'angolo della macchina ed entrare in casa. Lei lo salutò dietro all'ombra della zanzariera alzando la mano destra, mentre guardava Harry rimettere in moto l'auto. Entrò in casa e, come previsto, Rebecca la stava aspettando seduta sul divano vicino alla porta. Le due sorelle si guardarono per un attimo: Vittoria voleva riempirla di scuse e di spiegazioni, ma non fece in tempo ad aprire bocca che la rossa disse calma: “E' tardi, sono quasi le due di notte. Ne parliamo domani” prese un ultimo sorso della sua camomilla rosa e andò a dormire. Vittoria passò la notte a rimuginare su quanto si sentisse in colpa per aver fatto preoccupare in quel modo Rebecca e quanto fosse stata bene quella sera con Harry, incredibilmente bene. Il mattino seguente Vittoria decise di scendere piuttosto presto, nonostante le ore piccole fatte la sera prima. Alle sette e mezza era già in cucina e, come poteva immaginarsi, Rebecca era là ad aspettarla: aveva i capelli raccolti, il corpo avvolto in una vestaglia di seta beige e lo sguardo, già di per sé assonnato, appesantito dalle spesse lenti degli occhiali. Stava leggendo il giornale e teneva in mano una tazza di tè, ma non alzò lo sguardo per salutare la sorella che, invece, aveva azzardato un “buongiorno”. Vittoria sospirò leggermente e si mise di spalle a Rebecca per prepararsi il caffè: mentre aspettava che l'acqua bollisse, la testa le si riempiva di ipotetici modi con cui cominciare a scusarsi. “Beck...” “No, Eff, parlo prima io.” Rebecca interruppe Vittoria proprio mentre stava cercando di mettere insieme una frase convincente con cui farsi perdonare; abbassò lo sguardo mentre mescolava il caffè solubile nell'acqua e stette ad ascoltare. “E' da dieci anni che faccio la parte del genitore in questa famiglia; anche quando ancora un genitore ce l'avevamo in casa, sono io quella che ti ha accudito sempre, in qualche modo.” fece una pausa: stava ancora guardando il giornale, ma prima di riprendere a parlare alzò i grandi occhi marroni per incontrare quelli della sorella. “Ho sempre odiato il fatto che mamma mi stesse con il fiato sul collo quando andavo al liceo, e allo stesso tempo odiavo che papà non ci degnasse mai di un po' d'attenzione. Quando mi sono trovata a badare a te, da sola, decisi di trovare una via di mezzo: ti avrei lasciato libera, libera di fare i tuoi errori e libera di divertirti, ma ti sarei stata comunque vicina.” parlava guardando fissa negli occhi Vittoria che nel frattempo si sentiva sempre più in colpa con un magone che cominciava a pesarle sullo stomaco. “Ho sempre fatto affidamento sulla tua intelligenza; dicevo tra me e me "sa come gestire le situazioni, se la caverà, lasciala fare" . E poi sei arrivata quel giorno d'aprile e hai portato in casa quella notizia che, credimi, non ha sconvolto solo papà, ma anche me. Avevo promesso di starti vicina, e insieme, io e te, l'abbiamo superata, in un modo o nell'altro.” Vittoria si voltò di scatto e diede le spalle a Rebecca: stava per scoppiare a piangere e la sorella lo sapeva, ma era necessario. “Non ti ho mai chiesto nulla, Vittoria: non ti ho mai pressata con la scuola e non ti ho mai chiesto di rinunciare a nulla né per me né per entrambe. Ti ho lasciata libera, totalmente, ma sempre ad una condizione: parlarmi.” Vittoria cominciava a chiedersi il perchè Rebecca stesse facendo un discorso del genere, invece di dirle semplicemente “non farlo più”. “Ti ho lasciata libera anche ieri sera, fin troppo. Sono tornata a casa e di te neanche l'ombra; né un messaggio, né una chiamata... nulla. Eri sparita, come qualcun' altro prima di te.” entrambe sospirarono. “Ho pensato sarà uscita e si sarà dimenticata di dirmelo. Così mi sono messa giù, ho aspettato fino alle undici.. e niente. Tu hai idea la paura, lo spavento che mi hai fatto prendere? Venti tre chiamate, Vittoria. Di te nemmeno l'ombra.” ecco che ritornava arrabbiata. “Venti tre, Vittoria!” alzò la voce e Vittoria sgranò gli occhi per lo spavento. “Che ti diceva il cervello, eh? Si può sapere? Per quanto mi riguardasse potevi anche essere stata rapita, potevi essere scappata di casa. Nemmeno quel giorno, ad aprile, mi hai fatto pentire di essermi fidata di te, ma ieri sera...” adesso Rebecca parlava con un filo di voce, scuotendo la testa, delusa. Vittoria fece un grande respiro; dopo quel discorso non sapeva cosa dire. Rebecca si tolse gli occhiali, scoprendo gli occhi gonfi. “Parlami” disse semplicemente come farebbe una mamma confusa. “Ti avrei mandato un messaggio salita in macchina, ma poi mi sono fatta prendere dalla situazione e mi è passato di mente. Beck, mi sento uno schifo, mi dispiace e non sai quanto. Hai tutte le ragioni del mondo per essere arrabbiata”. Vittoria parlava e contemporaneamente girava il cucchiaino nella tazza del caffè. “Chi è lui? Perchè ti fidi, all'improvviso?” “Si chiama Harry, si è trasferito dall'Inghilterra poco prima dell'inizio della scuola. Non è come pensi tu: non ci sto uscendo.” assaggio il caffè e poi continuò “Però ci sto bene, e invece di rovinare tutto come al solito, ho deciso di provare qualcosa di nuovo, e di frequentarlo come amico.” disse quelle ultime parole tutte d'un fiato, senza nemmeno pensarci troppo. Rebecca la guardò confusa, preoccupata: guardò in basso e poi si rivolse a Vittoria. “E ne sei sicura.” “Stranamente sì” disse Vittoria con tono pacato ma convinto. Rebecca si alzò dal tavolo e sciacquò la sua tazza nel lavandino, per poi avvicinarsi alla sorella. La guardò dritta negli occhi “Mi sei rimasta solo tu.” le tremava la voce; Vittoria posò il caffè sul tavolo e la strinse con un abbraccio forte come una tenaglia. “Ho paura che te ne possa andare pure tu un giorno, senza dirmi niente” Rebecca aveva la voce rotta dai singhiozzi. “Io non ti lascerò mai, tu sei la mia famiglia e tutto ciò che mi è rimasto.” disse Vittoria mentre strofinava la guancia sul collo della sorella; non piangeva: in fondo non era lei quella a cui era preso lo spavento, ma se fosse stata una ragazza dalla lacrima facile probabilmente avrebbe avuto già gli occhi bagnati. “Parlami, sempre!” disse la rossa tenendo il viso di Vittoria tra le mani. “Sempre” si toccarono la fronte sorridendo.


Notaaaaaaaare bene: 
Scusate l'assenza degli ultimi giorni, ma mi stavo godendo l'ultimo weekend di mare dell'anno. *sob*  
Ma son tornata! E mi ero ripromessa di scrivere mentre ero fuori, e così ho fatto: tadààààn :D 
Continuo a ringraziare infinitivamente (?) tutte le buone anime che recensiscono i miei capitoli! *tira caramelle*
Nei prossimi capitoli farò aprire un pò Vittoria, così smetterà di essere troppo misteriosa! 

Spero vi sia piaciuto il capitolo, 
vichi. 

  
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