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Autore: Aleena    05/09/2011    2 recensioni
Due fazioni, diverse tra loro come il Giorno e la Notte, un'antica tregua infranta.
Due eroi.
Due mondi divisi dalla luce.
Benvenuti nelle Terre Rare.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piccolo spazio-me: Innanzitutto, chiedo scusa per questa enorme attesa, purtroppo la USB con dentro due chap della storia era rimasta alla copisteria, che ovviamente s’è fatta due settimane di vacanza (ed essendo io fuori sede, non ho potuto recuperarla tempestivamente =_=’)
In ogni caso, ora torno ad aggiornare puntuale ;) buona lettura!
 
 
 
 
 

GIORNO
Takryn Cryso

 
 
Erano passati trent’anni dal giorno in cui Takrin Cryso* era stata ammessa nella Casta, un tempo breve per la vita di una ilythiiri, eppure abbastanza da cambiarla, almeno in parte. Le piaceva definirsi una jalil dalla mente aperta, pronta ad accettare e prendere tutto da entrambi i mondi cui apparteneva -il sottosuolo e la Casta dei Maghi- eppure le tradizioni della sua razza erano dure a morire, ed era ancora difficile considerare tale un maestro elfo –maschio, per giunta!- o cercare di portargli rispetto. Si compiaceva oltre modo di ogni suo trionfo, tornando a casa solo quando poteva sbattere in faccia a sua madre ed alle sue sorelle e compagne  i suoi successi.
Questa era una di quelle volte.
Quando, a sessant’anni d’età, aveva annunciato alla matrona sua madre che intendeva lasciare l’accademia sacerdotale per salire alla Città ed Iniziarsi alla magia, lei le aveva riso in faccia. Quando, seria ed algida, Takrin le aveva risposto che la decisione era presa e che voleva solo informarla, sua madre aveva minacciato di frustarla a sangue. E l’avrebbe fatto, se Takrin gliene avesse data la possibilità. Avevano urlato, ma alla fine si era giunti ad un patto: se avesse fallito, lei sarebbe stata diseredata e sua sorelle avrebbe avuto la casata. Avevano giurato sull’altare di Lolth, la Dea Ragno: Takrin aveva cinquant’anni di tempo per diventare Arcimaga. Un’ora di ritardo, ed avrebbe perso tutto: sua madre l’avrebbe fatta sposare allo jaluk più infimo che le fosse riuscito trovare –sempre che Lolth non avesse preteso il suo sangue.
Fu con quattro jaluk alle spalle, pesantemente intabarrata per proteggersi dal sole, che Takrin aveva lasciato il sottosuolo. Sua madre le aveva fatto preparare una scorta adeguata, ma aveva preteso che lei andasse a piedi; nonostante il mantello di scaglie di rettile, i raggi del Giorno le avevano ferito la nera pelle sensibile, penetrando perfino oltre il cappuccio e sotto le lenti blu degli occhiali. A sua madre non piaceva la scelta di Takrin, e gliela stava facendo pagare.
Gli ilythiiri erano una razza da sempre dedita al misticismo ed alla magia, sebbene le armi fossero praticate ritualmente ed insegnate nei campi d’addestramento ai maschi. Tuttavia, quando lo Scisma impose di scegliere, quasi tutte le città drow si allearono con la fazione del Giorno: era la magia la loro arte e nonostante questo gli impedisse di girare per la superficie liberamente, per gli ilythiiri era la soluzione più facile: avevano scelto la parte di quello che ritenevano il vincente, come loro costume.
Nonostante questo, l’amore per la superficie e le altre razze non era cambiato: nonostante il Patto costringesse gli Attinidi –come gli schierati del Giorno vennero chiamati- a non muovere guerra fra loro, gli ilythiiri continuavano a mal vedere le altre genìe, preferendo isolarsene. Al loro sottosuolo si accedeva da una grande scala che, in superficie, era protetta dalle pareti senza finestre di una casa.
Quando Takrin era arrivata all’Accademia, aveva la pelle delle braccia e del volto dolorante, ed un velo di nebbia davanti agli occhi che le impediva di vedere bene; s’era premurata di dirlo alla donnona che l’aveva fatta entrare, usando il suo migliore tono sofferente: era piccola, all’aspetto, non molto diversa da una femmina umana di otto anni –se s’ignoravano la pelle nera come ossidiana, gli occhi rossi ed i capelli bianchi. Dalla donnona –una Strega di alto livello, a giudicare dal colore e dal tipo di cappello- aveva ricevuto una caramella, un sorrisone ingenuo ed una bella stanza confortevole; stupida umana, aveva pensato Takrin, mentre la ringraziava con tutta la cortesia del mondo.
Da quel giorno, era scesa a casa solo altre cinque volte.
La prima, per dire a sua madre d’essere stata accettata come Novizia dell’Ordine dei Maghi, allineamento Neutro. Grigia: era questa l’unica cosa che non aveva previsto: trovatasi a scegliere, s’era resa conto che i Neri, sebbene praticassero la magia oscura, avevano molte limitazioni che ai Neutri non erano imposte. Takrin aveva dunque fatto la scelta più conveniente, che s’era dimostrata la migliore: la magia ora non aveva segreti né vincoli per lei. Arcimaga, alla fine -e prima del previsto.
Quel giorno, trent’anni dopo la sua Iniziazione, Takrin era divenuta la bella rosa che il suo nome suggeriva: molto formosa e proporzionata, nonostante l’altezza tipica della razza –a stento raggiungeva il metro e cinquantadue- era in grado di attirare maschi di tutte le razze solo con lo sguardo. Peccato che la sua lingua tagliente e i modi algidi la rendessero inavvicinabile.
Non era solo apparenza, Takrin: era appena stata accettata da Sevia, una dei quattro Grandi, come sua apprendista. Se avesse saputo cogliere l’occasione –cosa di cui Takrin non dubitava affatto- in breve avrebbe avuto uno scranno nel Concilio della Città, nonché la fedeltà dell’intera casata come sua eredità.
Takrin era una piccola jalil, ma la sua ambizione era sconfinata.
 
Era a questo che pensava mentre risaliva le scale d’ossidiana che l’avrebbero portata fuori da Che´el Phish, la sua città.
Era il tramonto, e la Città era vestita d’arancione, le ombre che si allungavano mettendo urgenza nei passi dei pochi Cittadini che percorrevano le vie di marmo. Cèlia, l’Iniziata cui insegnava, l’attendeva in strada, torcendosi le mani nervosamente e guardandosi intorno, quasi si aspettasse che i Lantanidi sorgessero dalle ombre per afferrarle le sottane e farla sprofondare nella terra; era umana, una ragazzina stupida ma piena di talento, o almeno tale Takrin l’aveva giudicata. 
Cryso era un tipo taciturno; non aveva avvertito Cèlia con altro che un cenno della testa imperioso, ordinando all’umana di seguirla senza curarsi di non aver più il suo aspetto: era uno dei primi trucchi che Takrin aveva imparato, cambiare il proprio aspetto in modo da ridurre la sua debolezza. Ora la jalil era una ragazza mora ed alta, probabilmente mezza umana, dalla carnagione olivastra ed occhi viola: era il costume che le piaceva di più indossare, e Cèlia lo sapeva.
«Rientreremo subito in Accademia, Arcimaga Cryso?» pigolò l’Iniziata, mogia.
«Maestra. E si. Le Leggi lo impongono» rispose la jalil, stizzita: la puzza della paura dell’allieva era per Takrin così forte da essere fastidiosa.
«È notte, quasi…» cominciò Cèlia, ma l’occhiataccia dell’Arcimaga le fece morire le parole in bocca.
«Non ti ho presa come allieva per il tuo acume, è questo che mi stai dicendo? Riesco a vedere chiara quanto te l’ora. Affretta il passo e taci» concluse Takrin, la voce dura e carica di rimprovero.
Le ombre della notte le si allungavano intorno, misteriose ed invitanti come solo ad un’ilythiiri potevano apparire. Casa, sussurravano in un linguaggio antico, sicurezza.
Takrin Cryso accelerò il passo.
Aveva paura.
 
 
 
 


*: ho data per scontata parte della “cultura” drow, per non appesantire troppo la storia :) se qualcosa non è chiara, fatemelo sapere!
Inoltre, ci sono termini in lingua drowish, come ilythiiri=Drow, Jalil=ragazza/femmina, Jaluk=ragazzo/maschio. Se volete, ci sono traduttori italiano/inglese/drowish online!
Per quanto riguarda l’età, i drow sono simili agli elfi, ossia longevi. Una jalil sessantenne è poco più di una bambina di otto anni all’aspetto.
 
Piccolo spazio-me (di nuovo): Bene, ora che abbiamo tutti i personaggi presentati.. chi v’è simpatica/antipatico? Io personalmente ho la mia preferenza, ma al momento non la svelo :D al prossimo capitolo!
  
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