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Autore: Moony3    05/09/2011    3 recensioni
Questa storia è un Antefatto della mia precedente long fiction: "La Chiave del Tempo" (quindi, essendo un Antefatto, può essere letta da tutti).
È strettamente legata al Tempo, ma non racconta di un Viaggio nel Tempo: è un Viaggio nel Tempo.
Vi ritroverete infatti a passeggiare tra i secoli, guidati da personaggi - a volte famosi (ma non troppo) altre no - che vi permetteranno, cortesi, di sbirciare nelle loro vite.
Perché, tra le altre cose, questa storia è stata la scusa ideale per immaginarmi quello che potrebbe essere successo prima degli avvenimenti raccontati da J. K. Rowling.
Se anche voi siete afflitti da questa curiosità, liberate la fantasia e partite per questo (non così) lungo viaggio sulle tracce de "I Custodi delle Chiavi del Tempo".
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Black, Nuovo personaggio, Teddy Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Capitolo Quinto


La settima Chiave




Londra, 20 luglio 1969 A.D.

Alphard si appoggiò al muro scrostato che si trovava alle sue spalle e chiuse gli occhi, ignorando l'ironica risata che gli riecheggiava nelle orecchie.

«Per la barba di Merlino, Alphard, non avrei mai pensato che una semplice Smaterializzazione ti potesse ancora fare questo effetto» lo dileggiò, divertita, una voce femminile. «Tua sorella è convinta che tu ricorra troppo spesso a quell'Abominio Babbano per spostarti. Be', forse tutti i torti non li ha...»

Alphard si strinse nelle spalle e aprì gli occhi, fissando ancora incredulo il grosso medaglione che serrava tra le mani.
No, non era la Smaterializzazione la causa delle sue vertigini.
Oh, sotto alcuni aspetti era fallimentare, come mago Purosangue... ma non fino a quel punto.
«Ehi, tutto bene?» chiese la voce femminile, non più divertita ma velata di preoccupazione.
«Mmm» borbottò il mago.
Poi - resosi conto che era molto sgarbato ignorare una signora limitandosi a rivolgerle grugniti degni di un Troll afflitto da asocialità cronica - alzò lo sguardo sulla donna che, stringendo tra le mani un paio di stivali neri decorati da vistose fibbie d'argento, lo squadrava sconcertata.
«Può anche darsi che io usi troppo spesso mezzi di trasporto Babbani, Morrigan. Ma non mi sembravi troppo dispiaciuta ieri sera, quando ti ho riportata a casa con quell'Abominio Babbano...»
«Ne convengo. Io non sono Walburga, del resto».
Alphard sogghignò riabbassando gli occhi sul medaglione. «Vero. Sembra che neppure tu sia dotata di gusti particolarmente squisiti».
«Se con questo intendi dire che non trovo irresistibile una testa di elfo impagliata, allora mi vedo costretta a darti ragione. I miei gusti non sono neppure lontanamente squisiti quanto quelli di Walburga. Vedrò di farmene una ragione e di convivere con questa crudele sventura».
L'uomo annuì distratto, continuando a fissare il medaglione che teneva tra le mani e la donna, sbuffando contrariata, si avvicinò per osservare con più attenzione l'oggetto che tanto affascinava il collega.
«Ripensandoci...» disse poi sarcastica. «Forse tu sei dotato di gusti più squisiti di quanto pensassi. Andiamo, Alphard, seriamente, quel medaglione è terrificante. Non è esattamente sobrio, eh... ci fosse stato solo il serpente nero sul bordo allora sì, ma così... quella fenice è un vero e proprio attentato alla sanità oculare di qualsivoglia essere umano dotato di un apparato visivo nella norma»
«Io lo trovo bellissimo, invece. E la fenice è il suo particolare migliore. Guarda come è vivida, Morrigan. Sembra viva»
«Vivida è un eufemismo, mio caro. Non rende nemmeno lontanamente l'idea. Accecante, mi sembra un aggettivo più vicino alla realtà» affermò la strega, sfiorando cauta il medaglione. «Sembra impregnato di Magia. Una Magia strana, però. Non umana. Sarà qualche diavoleria dei folletti».
Alphard scosse il capo. «Centauri».
«Cosa?»
«La Magia che ha creato questo medaglione è dei centauri, non dei folletti».
«I centauri non costruiscono gioielli».
«Ma i maghi sì».
«Centauri e maghi? Non ho mai sentito di una simile collaborazione».
«Hai mai sentito parlare di Cormiac, Kyros e delle Chiavi del Tempo?»
La donna scoppiò in una breve risata incredula. «Sì, certo. Ho sentito parlare anche di Baba Raba, dello Stregone dal Cuore Peloso e dei Doni della Morte, se è per questo».
Il mago si strinse nelle spalle e continuò a fissare assorto il medaglione. In fondo era abituato a non venire preso troppo sul serio. Walburga e Cygnus lo avevano allenato parecchio in tal senso.
«Merlino, Alphard... non puoi pensare davvero che quell'aggeggio sia una delle Chiavi del Tempo! E' solo un vecchio medaglione. Rotto, per di più, visto che nessun incantesimo sembra in grado di aprirlo. Dai, è più probabile che la bacchetta magica del Professor Silente si riveli essere la Bacchetta di Sambuco!»
Alphard non rispose, limitandosi a guardare gli stivali che la donna stringeva ancora tra le mani. «Anche quelli sono una leggenda, Morrigan» disse poi, indicandoli con un cenno del capo. «I bambini Babbani sono convinti che li abbia indossati un orco per inseguire un ragazzino con la mania di seminare briciole e sassolini, pensa un po'».
«Appunto. I bambini Babbani ne sono convinti. Perché i maghi lo hanno fatto loro credere. Sono secoli che questi stivali sono finiti tra i Babbani. Dovevamo pure inventarci qualcosa per rimediare al gesto di quello sciagurato che, non contento di averli sottratti a un mago e di averne fatto perdere le tracce, li aveva inopportunamente mostrati a qualche ispirato cantastorie. Per fortuna quel mago francese... quel Pierrot è riuscito a rimediare».
«Perrault».
«Fa lo stesso. Lui. Ma le Chiavi del Tempo sono una favola per bambini e null'altro. Una storia inventata da qualche antico mago desideroso di mettere in buona luce i centauri appena immigrati dalla Grecia».
Alphard scosse il capo, cocciuto.
«Alphard, se quella è una Chiave del Tempo potrebbe benissimo esserlo anche questo» esclamò un po' spazientita Morrigan, afferrando il medaglione d'oro che Alphard portava al collo. «Sono praticamente identici, vedi? Solo che il tuo non è decorato da fenici abbaglianti e funziona alla perfezione» concluse, aprendolo e ammirando sconcertata la fotografia della donna dai capelli ramati che vi era custodita.
«Oh, Alphard, lo sapevo! Sei un uomo romantico, in fondo» sussurrò deliziata la strega.
Alphard sospirò, richiudendo il medaglione con un gesto secco e nascondendolo sotto la camicia, poi borbottò, la voce più roca del normale: «Molto in fondo, sì...»
Morrigan rise indicando la cabina del telefono rossa che si trovava alla loro destra. «Allora, uomo romantico, sei pronto ad entrare e a scatenare il leggendario entusiasmo di Glover con il ritrovamento degli Stivali delle Sette Leghe?»
Alphard sogghignò: Glover, l'addetto all'Archivio dei Manufatti Magici, era famoso per la sua capacità di entusiasmarsi di poco inferiore a quella del Professor Rûf. «Certo. E poi gli daremo il colpo di grazia con quello della Chiave...»
«Ah, io preferirei evitare, Alphard» lo interruppe la strega, una punta di esasperazione nella voce. «Non menzionerei le Chiavi del Tempo. Davvero. In tutta franchezza, ho un impegno importante, dopo cena... e preferirei evitare di passare le prossime tre ore cercando di rassicurare Glover circa la nostra sanità mentale».
«Ma...».
«Ma niente, Alphard. Quello è solo un vecchio medaglione rotto, creato da qualche folletto dotato di gusti particolarmente squisiti. E al Ministero non sanno che farsene di un vecchio medaglione rotto. Se proprio ti affascina tanto, perché non lo tieni tu? A Glover non dispiacerà di certo, e pare che tu abbia una vera passione per i vecchi medaglioni. Ovunque andiamo studi scrupolosamente ogni esemplare che ci capita a tiro. Sempre. Qualunque sia l'oggetto della nostra ricerca».
Alphard sospirò un po' imbarazzato - aveva sempre pensato che Morrigan non si fosse accorta di quella sua abitudine - e ripose con attenzione il medaglione nella tasca dei pantaloni.
Doveva ammettere che la collega non aveva tutti i torti. Conosceva Glover, non avrebbe mai creduto all'esistenza delle Chiavi del Tempo e si sarebbe limitato, imprecando in tutte le lingue di sua conoscenza, a sistemare l'oggetto su qualche polveroso scaffale dell'Archivio dei Manufatti Magici.
Sarebbe stata una fine ingloriosa per quel manufatto leggendario. No, lo avrebbe tenuto lui. Ne sarebbe divenuto il nuovo Custode. E chissà, forse un giorno avrebbe persino trovato il coraggio di...
«Siamo d'accordo, allora?» domandò Morrigan sfoggiando un cipiglio vagamente minaccioso che, ad un cenno d'assenso del mago, si tramutò in un sorriso soddisfatto. «Bene. Così riuscirò ad andare alla riunione a cui mi ha invitato Abraxas Malfoy».
«Riunione?»
«Sì. Lord Voldemort spiegherà dettagliatamente il suo programma» spiegò la donna, trascinando il mago nella cabina telefonica
«Sulla Gazzetta del Profeta non era scritto».
«Certo che no. Vuole solo ascoltatori scelti. Tu sei un Purosangue, quindi naturalmente puoi unirti a noi. Ci saranno anche i Lestrange. Il loro primogenito sposerà presto tua nipote, giusto?»
«Sì. Ma temo che dovrò declinare l'invito, Morrigan. Ho già un altro impegno».
La donna sbuffò, sistemandosi una ciocca dei sottili capelli biondi sfuggitale dall'austero chignon. «Peccato. Sarà per la prossima volta, allora».
Alphard annuì, ma era piuttosto propenso a credere che ci sarebbe sempre stato un impegno precedente in concomitanza con le riunioni di Tom Riddle.
Il suo vecchio compagno di dormitorio aveva avuto un certo successo in quegli anni, era innegabile. La maggioranza dei maghi Purosangue lo adorava, sostenendo che le sue idee erano giustissime.
Alphard non ne era così sicuro.
«Posso sempre raggiungerti dopo la riunione, Alphard» propose all'improvviso Morrigan, sfiorandogli con una carezza suadente un avambraccio, il viso così vicino al suo da permettergli di sentire il vago aroma di violetta che le caramelle da lei preferite donavano perennemente al suo alito. La proposta era intrigante, ma Alphard si vide costretto a rifiutarla.
«Mi dispiace, Morrigan. Il mio impegno potrebbe rivelarsi abbastanza lungo. E poi...» aggiunse scherzoso inalberando un broncio che, ne era conscio, le donne sembravano trovare irresistibile. «Non sono esattamente entusiasta del fatto che tu mi tenga come seconda scelta dopo Riddle!»
«Ma non mi dire! Non credevo che il tuo Ego maschile fosse tanto fragile».
«E invece te lo dico. Come hai argutamente notato: sono un uomo romantico, in fondo».


*****


«Ciao, Zio Al!»

Alphard sorrise al ragazzino dagli arruffati capelli ramati che saltellava allegro sulla soglia del "The Galaxy" e smontò dalla moto guardando sconcertato la luce azzurrina che filtrava dalla porta socchiusa, quindi avanzò deciso verso il ragazzino e gli scompigliò i capelli.
«Ciao Yuri, cosa fai qui tutto solo?»
Il bambino raddrizzò la schiena e rispose spavaldo: «Sono in missione per conto di Papà. Mi ha detto che posso stare in piedi fin quando tutto sarà concluso, questa notte, sai? Non posso certo perdermi il Grande Evento! Papà sarà felice che sei venuto anche tu».
Alphard non ne dubitava.
Non aveva ben chiaro quale potesse essere il grande evento di cui parlava Yuri... ma era sicuro che Jordan sarebbe stato contento della sua presenza.
Erano più di tre mesi che - occupato a girare il paese come una trottola, seguendo contemporaneamente le tracce della Chiave del Tempo e degli Stivali delle Sette Leghe - non metteva piede nel locale dell'amico, e si era perso un appuntamento a cui non avrebbe proprio voluto mancare. Quella sera avrebbe finalmente rimediato: non poteva fare attendere oltre una giovane donna che non vedeva l'ora di incontrare.
«Sai, zio Al, credo che il tuo cucciolo non possa entrare, però... neppure per assistere al Grande Evento...»
Alphard si guardò attorno e chiese, un po' confuso: «Il mio cucciolo?»
Yuri annuì, indicando una specie di Pluffa nera e pelosa che scodinzolava frenetica ai piedi del mago.
«Non è mio, non l'ho mai visto prima d'ora» affermò Alphard deciso a varcare la soglia del pub, ma la Pluffa scodinzolante lo placcò azzannandogli il bordo un po' sdrucito dei jeans.
«Pare che lui ti voglia conoscere, però» disse il ragazzino divertito. «O magari è solo che ha fame e ti ha scambiato per un Roastbeef gigante...»
Alphard, borbottando qualcosa di incomprensibile, si chinò per staccare i dentini del cucciolo dai calzoni. Il botololo però non pareva intenzionato a mollare la presa, così Alpahrd, dando le spalle a Yuri, Evocò con discrezione un pezzo del pasticcio di carne preparatogli per cena dalla sua materna vicina di casa e lo offrì al cucciolo che, evidentemente soddisfatto dallo scambio, lasciò i pantaloni per addentare l'invitate bocconcino.
«Uhm... viaggi spesso con del pasticcio di carne nelle tasche, zio Al?» chiese Yuri sconcertato. «E pensare che mamma non mi permette neppure di metterci delle caramelle».
«Eh... che ne dici di entrare ora, Yuri?»
Il ragazzino scosse il capo e sospirò: «Mi piacerebbe, ma non posso» indicò un punto poco lontano, dove due adolescenti parlottavano sommessi, le teste accostate e le mani intrecciate. «Devo fare la guardia a Caitlin. Quell'idiota di Edward ha intenzioni preoccupanti, secondo papà» concluse bellicoso, mostrando la fionda che teneva stretta nella mano destra.
«Ah, non mi pare che Caitlin voglia una guarda del corpo. Mi sembra anzi che apprezzi le intenzioni preoccupanti del giovane Edward...»
«Mfh... lei è una femmina. Mica lo sa cosa passa per la testa di quello lì. Un fratello deve vegliare sulle sorelle, no? Tu non lo fai con la tua?»
Alphard ci pensò un istante, richiamando alla mente la visione di una Walburga adolescente e scosse il capo. «In realtà no. L'idea non mi ha mai neppure sfiorato. Mia sorella non ne ha proprio bisogno».
In effetti era stata lei a vegliare su di lui. Assicurandosi che nessuna ragazza non Purosangue tentasse di insidiarlo. E non le serviva neppure la fionda...
Sogghignando al ricordo, il mago augurò buon lavoro al ragazzino ed entrò nel pub, stupendosi un po' dell'insolita penombra che lo caratterizzava e osservando affascinato la fonte della misteriosa luce azzurrina che aveva notato dall'esterno: una grossa scatola che somigliava vagamente a un acquario, all'interno della quale un uomo parlava con aria trasognata, stagliandosi davanti a una suggestiva immagine della luna.
«Ciao, zio Al!» lo distrasse una vocetta acuta, mentre piccole dita un po' appiccicose gli stringevano la mano. «Visto? Papà ha comprato una Tilivisione».
«Uff, che sciocchina che sei Gracie. Non è una Tilivisione, ma una Tulivisione!» la riprese una seconda vocetta.
«Ma neppure per idea, Abigail! Zio Al, perdonale, ma sono ancora piccole, loro due. In realtà è una Televisione. Così possiamo vedere il Grande Evento!» intervenne un'altra voce squillante.
«Ah, ecco, grazie per la precisazione, Briana» affermò Alphard, sorridendo alle tre bambine brune che gli si erano strette attorno, ma prima che potesse chiedere ulteriori informazioni in merito, si ritrovò stritolato in un abbraccio caloroso.
«Alphard!» urlò entusiasta Jordan. «Finalmente ti si rivede! E capiti proprio al momento giusto!»
Alphard sorrise, districandosi dall'abbraccio dell'amico. «Veramente non sono passato per te, Jordy» notando la delusione del Babbano si affrettò ad aggiungere: «Ho un appuntamento con una signorina che ho già fatto attendere troppo a lungo».
L'espressione di Jordan si addolcì all'improvviso e un sorriso un po' ebete gli stirò le labbra da orecchio a orecchio. «Oh, certo, capisco. Una creatura irresistibile. Io sono già innamorato perso di lei!»
Alphard sorrise, dandogli una pacca comprensiva. «Immagino, sì. Come delle altre cinque, del resto. E' di sopra?»
Jordan scosse il capo e indicò un tavolino occupato da una donna bruna che canticchiava sommessa stringendo tra le braccia un fagottino rosa. «Non può perdersi neppure lei il Grande Evento».
Alphard annuì avvicinandosi alla donna e si abbassò per osservare incuriosito il fagottino che si rivelò essere una neonata placidamente addormentata.
«E' davvero bellissima, Lucy» affermò sincero, sbirciando di sottecchi Jordan per poi riportare lo sguardo sulla bimba. «Tutta la sua mamma. Per sua fortuna».
Lucy rise mentre Jordan grugnì risentito. «Ehi! E poi non è affatto vero, mio caro. Ha i capelli rossi, come me».
Alphard sfiorò con gentilezza la testina della bimba e rispose scettico: «Mi pare francamente eccessivo parlare di capelli, Jordan. Si potrebbe accennare a quattro peli, volendo essere generosi...»
«Saranno anche quattro peli... ma sono rossi. Anche Yuri era così».
Lucy si guardò attorno alla ricerca dell'unico figlio maschio: «E' vero, Alphard, Jordan ha ragione, questa signorina avrà i capelli rossi... ma a proposito, dov'è Yuri?»
«Oh... è... gli ho chiesto di svolgere un compito per me, tesoro» rispose Jordan cauto.
«Jordan O'Sullivan, spero per te che tu non gli abbia chiesto ancora di sistemare la birra nella spina».
«No! Certo che no. Non sono un padre così degenere».
La donna strinse il fagottino e inarcò scettica un sopracciglio.
«Er... va bene, a volte commetto piccoli errori di valutazione, forse...»
«Tranquilla mamma» intervenne la ragazzina che sedeva sullo sgabello vicino al bancone leggendo con aria concentrata un grosso volume. «Yuri non sta facendo nulla che abbia a che fare con spine o birre».
«Grazie Ailis. Vedi amore? Imparo dai miei errori, io».
«Yuri» continuò Ailis con aria distratta. «E' fuori a fare la guardia a Caitlin».
«Cosa?» chiese Lucy con sguardo sconvolto. «Sta spiando Caitlin ed Edward vuoi dire?»
«Sì» intervenne Alphard senza staccare gli occhi dalla neonata. «E mi pare anche portato. Un'ottima guardia, con cipiglio fiero e fionda pronta».
«Cosa?! Fionda... Jordan, ma sei ammattito?»
«Ma Lucy, quel ragazzo... Edmund...»
«Edward».
«Sì, va bene, quello lì, è molto... espansivo, ecco».
«E allora? A Caitlin piace. E' noi ci fidiamo della nostra Caitlin, no?»
«Di Caitlin sì. E' di quello che non mi fido neppure un po'».
«Edward è un bravo ragazzo. Oh, su Jordan, ti sarebbe piaciuto avere uno Yuri armato di fionda a controllare i tuoi primi appuntamenti?» chiese dolcemente la donna.
Jordan aggrottò le sopracciglia e ammise. «Uh, non particolarmente, no».
«Lo sospettavo» sussurrò Lucy maliziosa. «Ed Edward, in questo momento, vuole stare da solo con Caitlin per gli stessi motivi per cui tu, alla sua età, volevi stare da solo con me... suvvia, Jordy, non ti ricordi quelle sensazioni?»
Jordan corrugò la fronte e sbottò: «Non avevo pensato a questo, Lucy! Ma ora che mi ci hai fatto pensare...» si guardò attorno e quando scorse la sua robusta quartogenita ordinò secco: «Briana! Esci ad aiutare Yuri, subito!».
La bimba scattò in piedi, mostrò la sua fionda al padre ed uscì a passo marziale. Per alcuni versi la piccola Briana ricordava un po' Walburga ad Alphard.
«Jordan O'Sullivan» sibilò Lucy con voce tagliente come gli artigli di un ippogrifo. «Esci subito a recuperare i tuoi due sicari».
«Uff. E va bene. Anzi, farò di più. Inviterò anche coso... Edwin...»
«Edward!» lo ripresero in coro Lucy e Ailis.
«Sì, lui... a seguire il Grande Evento in nostra compagnia».
Lucy sorrise soddisfatta e attirò a sé il marito, stampandogli un bacio affettuoso sulle labbra. «Vedo che cominci a ragionare».
«Già, se mi impegno ci riesco anch'io» borbottò Jordan dirigendosi verso la porta, poi, prima di uscire, aggiunse: «Così almeno potrò controllare che quello non metta in atto le intenzioni che avevo anch'io alla sua età. Non con la mia bambina, almeno!»
Alphard sogghignò allungando affascinato una mano verso la neonata e sfiorandole una guancia, ritraendosi un po' sorpreso quando la piccola voltò il viso cercando il suo dito con la bocca.
Lucy sorrise e gliela porse. «Prendila pure, Alphard. Non si rompe, tranquillo».
L'uomo annuì, un po' impacciato e prese la bimba tra le braccia.
«L'abbiamo chiamata Erin» sussurrò poi con dolcezza la donna.
Alphard sussultò e Lucy gli coprì gentilmente la mano che reggeva la testina della bimba con la sua.
«Spero non ti dispiaccia. Pensavo che a lei avrebbe fatto piacere».
Alphard strinse la piccola al petto e scosse il capo con decisione. «No, Lucy, certo che non mi dispiace, anzi. A lei avrebbe sicuramente fatto piacere. Sarebbe stata al settimo cielo. E fa molto piacere anche a me».
Era vero. Erin avrebbe adorato sapere che quella piccola O'Sullivan portava il suo nome. Avrebbe adorato anche avere un bambino suo, in effetti. Ma Alphard non ne aveva mai voluto sapere, e quando stava per capitolare... serrò gli occhi, tentando di cacciare quello strano bruciore alla gola. Non stava per piangere, naturalmente. I Black non erano costituzionalmente capaci di simili debolezze. Che diamine.
«Alphard» sussurrò con dolcezza Lucy. «Stai bene?»
Alphard annuì e sorrise, o almeno, tentò di farlo, sperando che la smorfia comparsagli sulle labbra potesse essere scambiata per un sorriso.
Lucy fu abbastanza amabile da prenderla per tale, notò grato ridandole la bimba e passandosi rapido una mano sugli occhi.
Oh, era davvero un Black fallimentare, concluse un po' abbacchiato, quando si rese conto che le dita erano umide...
«Alphard, non ti senti ancora in colpa per Erin, vero?»
Alphard cercò di rispondere, i Black erano bravi a mentire... certo, quelli non fallimentari come lui, magari.
«Oh» gemette la donna un po' esasperata. «Ora capisco perché vai tanto d'accordo con Jordan. Siete uguali! Irragionevoli e testardi allo stesso modo! Probabilmente è anche il motivo per cui mi piaci tanto... Tu non hai nessuna colpa per quel fulmine che ha colpito il treno su cui viaggiava Erin! Lo capisci, vero, che non puoi avere il controllo dei fulmini?»
Alphard annuì. Certo che era ben conscio di non avere il controllo dei fulmini. Ma ad incenerire il treno su cui viaggiava Erin non era stato un fulmine. Quella era solo la versione data ai Babbani. Ad incenerire quel treno era stato un Gallese Verde. Quindi lui non aveva colpe personali... ma i suoi simili - che non si erano accorti in tempo di quel drago scappato dalla riserva - erano colpevoli eccome per la morte di Erin e di tutte le persone che viaggiavano con lei.
«Sai, zio Al» disse Ailis che, in un momento imprecisato, aveva abbandonato il libro sul bancone e si era avvicinata al mago. «Tu dovresti proprio uscire con un'altra donna. Zia Erin lo avrebbe voluto» affermò decisa, per concludere con un sognante: «E poi sei un uomo così romantico...»
Alphard sorrise sorpreso e, suo malgrado, divertito. «Ah, Ailis, lo farei sicuramente, e ci sono almeno sette donne meravigliose nella mia vita ma, purtroppo, una è già sposata con il mio migliore amico - un irlandese dalla testa calda - e le altre sei sono tutte minorenni» concluse fingendosi avvilito.
La ragazzina ridacchiò lusingata, prima di venire trascinata via da una delle sorelle che indicava eccitata la televisione dove quattro giovanotti dalle pettinature improbabili cantavano un'orecchiabile canzoncina che parlava di un sottomarino giallo.
«Davvero non c'è neppure una donna adulta e non sposata con un irlandese dalla testa calda nella tua vita, Alphard?» chiese con serietà Lucy, dopo avere posato la piccola Erin nella carrozzina.
Alphard pensò per un istante alla sua strana relazione con Morrigan... ma non era sicuro che quel tipo di coinvolgimento avrebbe soddisfatto Lucy. Anzi. Si stava giusto chiedendo se fosse il caso di parlare della cosa all'amica, quando il locale cominciò ad essere invaso da decine di persone e Alphard, dimenticando Morrigan e tutto quello che la riguardava, si trovò ad assistere, incantato e incredulo come tutti gli altri avventori del pub, al Grande Evento: il primo sbarco dell'uomo sulla luna.


Londra, 21 luglio 1969 A.D.

Era ufficiale, pensò Alphard qualche ora più tardi, uscendo dal “The Galaxy” e fissando trasognato la mezzaluna quasi perfetta che illuminava il cielo terso di quella notte sorprendente: i Babbani avevano infine superato i maghi.
Checché ne dicesse quell'esaltato di Tom Riddle!
Da qualche parte, lassù sulla luna, si trovava la minuscola impronta di un uomo. Di un Babbano. E questo qualcosa voleva sicuramente dire.
«Oh, zio Al! Il tuo cane ti ha aspettato!» urlò eccitato il piccolo Yuri.
Alphard abbassò lo sguardo e gemette, ritrovando il cagnetto nero tenacemente attaccato al bordo dei suoi pantaloni.
«Uhm... un'altra femmina conquistata dal tuo fascino tenebroso, Al?» chiese Jordan che arrivava in quel momento trasportando un grosso sacco di rifiuti.
Alphard sbuffò, prese in braccio il cagnetto e lo studiò con attenzione prima di rimetterlo a terra.
«Non è una femmina, Jordan» affermò osservando la bestiola che annusava curiosa le scarpe di Jordan per poi "innaffiarle" con evidente soddisfazione.
«Penso che ti abbia marcato, Jordy» osservò il mago cercando di restare serio. «Evidentemente ti trovi sul suo territorio. Mi piace, il piccoletto, ha stile».
Jordan lo fulminò con uno sguardo truce, scuotendo disgustato un piede e borbottando frasi colorite che fecero ridere Yuri.
«Sospetto che Lucy non approverebbe l'uso di un simile linguaggio in presenza del ragazzo» fece notare Alphard, guardando divertito il cucciolo abbaiare minaccioso al sacco dei rifiuti lasciato cadere da Jordan.
«Fa niente, papà» lo rassicurò Yuri. «Mamma non lo verrà mai a sapere... però, zio Al, visto che il cucciolo ha deciso di adottarti, mi sembra il caso di trovargli un nome. Che ne dici di Apollo 11
Il cagnetto, che si era allontanato dal sacco di rifiuti per annusare incuriosito la moto di Alphard, ringhiò con decisione.
«Pare che non gli piaccia, no» dedusse il bimbo. «Allora un bel nome indiano! Qualcosa come Tuono Rombante! O Puma che Corre...»
«Sì, l'idea del nome indiano mi piace. Ma io troverei più appropriato qualcosa tipo Nube Piovosa...» propose Jordan, indicando il cucciolo che stava "innaffiando" una ruota della lucente moto di Alphard.
Il mago imprecò afferrando per la collottola il cane che cominciò a leccargli la faccia scodinzolando con entusiasmo.
«Penso che l'abbia marcata, Al» affermò Jordan con un ghigno diabolico. «Evidentemente si trova sul suo territorio. E sappi che non approvo l'uso di un simile linguaggio davanti al ragazzo».
Quindi, prima che Alphard potesse ribattere, sparì all'interno del pub farfugliando qualcosa a proposito di un trasportino per gatti e trascinando con sé il piccolo Yuri che, sbadigliando vistosamente, parlava di cani, di razzi, di fionde e di sorelle da proteggere da loschi energumeni.
Accarezzando il pelo morbido del cucciolo, Alphard fissò per un istante la porta del pub. Poi, scrutando il cagnetto nei vispi occhi scuri, mormorò: «E ora come faccio a portarti a casa? Non sai smaterializzarti, vero? No, lo sospettavo. E credo che anche l'aggrapparti a qualcuno non sia il tuo forte...» il cucciolo rizzò le orecchie e guaì. «Immaginavo. Abbiamo un problema, mi sa. E abbiamo anche poco tempo per risolverlo. Tra una manciata di ore sono infatti atteso a Casa Black per un dignitoso pranzo di famiglia...».
Si era quasi rassegnato a lasciare lì la moto e a servirsi del Nottetempo, quando Jordan uscì dal pub portando una specie di gabbia di metallo e robuste corde colorate e si mise a trafficare con la moto sotto lo sguardo preoccupato di Alphard.
«Ecco fatto» esclamò qualche istante più tardi, rimirando il risultato dei suoi sforzi. «Così dovrebbe reggere. Nube Piovosa dovrebbe essere sistemato».
Il cagnetto ringhiò con decisione e Alphard aggrottò la fronte. «Pare che neppure questo nome sia di suo gradimento».
Jordan si strinse nelle spalle. «Ha gusti difficili e io ho esaurito la mia fantasia in fatto di nomi».
Alphard sorrise, sistemando il cucciolo nella gabbia, poi si fece serio e chiese cauto: «Jordan, ma come fate a starci tutti e nove in quel minuscolo appartamento sopra al pub, i bambini stanno crescendo, in tutti i sensi... se solo tu mi lasciassi...»
«No, Al. Ti ringrazio, ma sai come la penso. Non si devono mai accettare da un amico prestiti più importanti di un trasportino per gatti decrepito. A meno che, naturalmente, l'amico in questione sia morto. In quel caso non sarebbe un prestito ma un'eredità. Quindi sarebbe accettabile».
«Stai dicendo che prima di vederti accettare un qualcosa di mio dovrei morire?»
«Assolutamente sì... ma, considerato che non mi sembri in procinto di compiere il Grande Salto, non vedo perché parlarne» concluse Jordan, assestando una pacca amichevole sulla schiena dell'amico prima di scoccare un ultimo sguardo sognante alla luna e di rientrare nel pub.
Alphard scosse la testa e montò sulla moto. Accertatosi che la via fosse deserta estrasse furtivo la bacchetta magica eseguendo un Incantesimo di Disillusione: guidare una moto volante era davvero una sensazione unica, ma non sarebbe stato saggio farsi vedere da qualche Babbano. Non gli sarebbe piaciuto particolarmente comparire su qualche rivista specializzata in avvistamenti di U.F.O...
Dopo essersi assicurato della buona riuscita dell'incantesimo, Alphard avviò la moto e decollò.
Dalla finestra sopra al pub, lasciata aperta per combattere il caldo un po' afoso di quella notte estiva, filtravano una luce dorata e la melodia di una dolce ninnananna irlandese.
Alphard, incuriosito, sbirciò all'interno, scorgendo Jordan che passeggiava avanti e indietro per la stanza cullando la piccola Erin, mentre Caitlin, seduta a gambe incrociate al centro del lettone, parlava animatamente con la madre che sorrideva complice.
Lasciandosi avvolgere dalla calda serenità di quella scena Alphard, guidato dal corso sinuoso del Tamigi, si diresse verso casa.


*****


«Ciao, Zio Al!»

Alphard sorrise al ragazzino dai capelli neri che sostava accigliato sulla soglia di Casa Black e smontò dalla moto guardando inquieto il massiccio serpente d'argento che decorava la porta socchiusa, quindi avanzò deciso verso il ragazzino e gli scompigliò i capelli.
«Ciao Sirius, cosa fai qui tutto solo?»
Il bambino raddrizzò la schiena e rispose spavaldo: «Sto evitando mia madre e le sue recriminazioni sul mio comportamento degno di un Troll particolarmente screanzato. Mi ha ordinato di comportarmi dignitosamente fin quando tutto sarà concluso. Perché non posso certo rovinare il Grande Evento! Sarà sollevata ora che sei arrivato anche tu».
Alphard non ne dubitava.
Non aveva ben chiaro quale potesse essere il grande evento di cui parlava Sirius... ma non aveva dubbi che Walburga sarebbe stata sollevata dalla sua presenza.
Perché non era dignitoso mancare a una riunione ufficiale di famiglia. E perché avrebbe adorato potere recriminare anche sul suo comportamento degno di un Troll particolarmente screanzato.
«Si aspettano che tu partecipi alla pianificazione del Grande Evento» disse Sirius, scalciando un grosso sasso.
Alphard corrugò la fronte, pensoso e, ragionevolmente certo che i suoi familiari non stessero pianificando uno sbarco sulla luna, chiese: «Quale grande evento?»
«Il matrimonio di Bellatrix» spiegò Sirius. «Zia Druella ha cominciato a definirlo così. Che ci sia di grande nello sposare quell'Augurey* malriuscito di Lestrange non riesco proprio a capirlo, però».
Alphard sogghignò. Non avrebbe dovuto, lo sapeva, ma la descrizione che Sirius aveva dato del futuro marito di Bellatrix gli sembrava particolarmente azzeccata. Tentando di dissimulare quella sua inopportuna approvazione tornò alla moto per liberare il cucciolo dal suo trasportino improvvisato.
Era stato tentato di lasciare a casa quella Pluffa pelosa più distruttiva di un'orda di giganti contrariati ma, dopo che la bestiola aveva spinto al suicidio un numero non indifferente dei pasciuti pesci rossi che nuotavano nell'acquario di zio Marius, aveva dovuto rinunciarci. Anche perché, non soddisfatto della strage ittica, il botolo aveva anche tentato di mangiarsi la Chiave del Tempo funzionante... no, molto meglio rischiare di fare venire l'ennesima crisi isterica a Walburga, tutto sommato.
«Oh, e lui chi è?» chiese Sirius, avvicinandosi incuriosito alla moto e cominciando ad accarezzare il cucciolo.
«Eh, non sono ancora riuscito a stabilirlo...» ammise Alphard. «Pare che nessuno dei nomi che mi vengono in mente sia di suo gradimento».
Sirius rise prendendo in braccio il cucciolo e, una volta entrato in casa, indicò ad Alphard una tunica che fluttuava, linda e perfettamente stirata, tra le lampade a gas che illuminavano l'ingresso di Casa Black.
«Mia madre dice che devi indossarla sopra gli abominevoli abiti Babbani, zio. Te l'ha fatta confezionare apposta. Su misura. Per evitare che tu mostrassi troppo in giro i tuoi indecorosi polpacci» annunciò Sirius prima di posare il cucciolo per terra e di inseguirlo lungo il corridoio.
Alphard sospirò mesto e infilò la luttuosa tunica nera: Walburga doveva davvero detestarlo per imporgli quell'indumento... Merlino, ricordava in maniera inquietante l'abito di un Ghermidore medievale.
Contrariato, percorse il corridoio accompagnato dagli irritanti commenti dei ritratti di Black trapassati, ritrovando il sorriso solo quando scorse il cucciolo Innominato intento ad "innaffiare", tra le risate di Sirius e gli strepiti di Walburga, lo squisito portaombrelli a forma di zampa di Troll.
Walburga chiamò a gran voce un elfo domestico e, appena scorse il fratello, sbraitò: «Un cane! Nientemeno che un sudicio, pulcioso cane di razza indefinita! Ma perché non puoi prenderti un rispettabile gufo come tutti i maghi dignitosi, dico io... oh, ma che ti riprendo a fare! I nostri genitori avevano ragione: sei un Black davvero fallimentare!» concluse con un sospiro melodrammatico raddrizzando la schiena ed esibendosi nella perfetta imitazione di un rispettabile gufo impagliato. Il cagnetto, per nulla impressionato, l'aggirò in silenzio e abbaiò all'improvviso: Walburga sobbalzò in modo assai poco dignitoso.
Alphard si morse una guancia per non ridere. Sarebbe stato troppo. Anche per un Black fallimentare.
«Sa essere molto silenzioso il tuo cane» affermò Sirius, conquistato.
«Sì, ha il passo felpato di un vero predatore» rispose l'uomo, avviandosi verso la Sala da Pranzo.
Essere un Black fallimentare poteva avere conseguenze molto divertenti, talvolta.

«Non mi pare esattamente entusiasta» osservò Alphard, posando il calice d'argento colmo di pregiato vino elfico sul tavolo e guardando meditabondo Andromeda uscire dalla stanza.
Cygnus scrollò le spalle, indifferente. «Oh, lo sarà. I Malfoy sono una famiglia potente e Purosangue, partito migliore non potrebbe trovare. Andromeda è solo troppo sognatrice, ma farà il suo dovere. Come Bellatrix».
Narcissa scosse il capo, incredula. «Lucius è meraviglioso» affermò con voce sognante. «Ma quella stupida ha perso la testa per un Nato Babbano di Tassorosso... l'ho sempre detto io che non ha un pizzico di buon gusto».
«Né di buon senso» aggiunse Bellatrix, senza degnarsi di sollevare lo sguardo dalla rivista che stava sfogliando.
Druella sospirò, e Alphard suppose che intendesse riprendere le figlie intervenendo in difesa della secondogenita, ma la donna si limitò a mormorare: «Oh, le passerà. Si renderà presto conto di quello che la sua famiglia si aspetta da lei».
Alphard inarcò un sopracciglio e chiese: «Noi ci aspettiamo da lei che sia felice, giusto?»
«Ma certo che sì» sbuffò Walburga esasperata. «E noi tutti sappiamo che la felicità di Andromeda è sposare Lucius Malfoy. Perché la felicità di Andromeda non può che coincidere con il bene della Casata, ovviamente. Ma ora parliamo di cose davvero importanti!» concluse Appellando un numero spropositato di riviste. «Dobbiamo organizzare un matrimonio degno dei Black».
Mentre i parenti dissertavano sui preparativi per il Grande Evento, Alphard - meditando sulla concreta possibilità di essere stato cambiato in culla da qualche folletto dispettoso - sedette composto e, invidiando segretamente i due nipoti più piccoli esonerati da quella raffinata tortura, finse grande interesse annuendo di tanto in tanto con entusiasmo dignitosamente moderato.
Quando da qualche punto imprecisato della casa riecheggiò un abbaiare festoso seguito da allegre risate infantili, il mago scattò in piedi offrendosi volontario per andare ad azzittire quella fonte di disdicevole distrazione e uscì dalla stanza, riuscendo persino a mostrarsi dispiaciuto.
Dopo avere percorso cupi corridoi e scale buie, controllando ombrosi locali arredati come tetri mausolei, Alphard socchiuse un po' esitante la massiccia porta di legno della Stanza dell'Arazzo.
Non era mai entrato volentieri in quel luogo; l'enorme albero genealogico che ne occupava un'intera parete lo aveva sempre messo a disagio.
Quando fissava quei tralci intricati che terminavano con nomi stravaganti - sempre uguali, generazione dopo generazione - Alphard non riusciva a fissare l'attenzione sugli illustri maghi Purosangue che tanto inorgoglivano i fratelli. No, lo sguardo grigio del fallimentare rampollo dei Black veniva irrimediabilmente attratto dalle bruciature che interrompevano qua e là la perfezione un po' monotona dell'arazzo: promemoria tangibili del fuoco usato per estirpare dall'albero genealogico i frutti indesiderati.
Alphard aveva sempre temuto che, un giorno o l'altro, quel fuoco purificatore avrebbe consumato anche lui. Ultimamente però era giunto alla conclusione che, non fosse stato tanto ossessionato da quella paura, la sua vita sarebbe stata migliore. Forse, tutto sommato, trasformarsi in una di quelle chiazze annerite non era la cosa peggiore del mondo...
Immerso nei suoi pensieri, il mago entrò nella sala, imbattendosi in Andromeda che fissava assorta l'arazzo.
«Uhm... opera interessante, vero?» chiese con ostentata leggerezza avvicinandosi alla nipote che, fingendo di scostarsi i capelli castani dalla fronte, si sfregò furtiva gli occhi.
«Sì».
Alphard si ritrovò, suo malgrado, a confrontare la nipote con la gioiosa Caitlin e ad augurare cordialmente al fratello e alla cognata un incontro molto ravvicinato con un branco di Manticore.
«Sai, Andromeda» disse all'improvviso, indicando una delle macchie. «Penso che la parte più interessante siano le bruciature».
La ragazza lo squadrò sorpresa con i suoi occhi scuri - occhi da Black regolamentare - colmi di lacrime trattenute e Alphard le sorrise accarezzandole con gentilezza i capelli: la frequentazione della famiglia O'Sullivan stava avendo effetti sconvolgenti su di lui. «Non vuoi fidanzarti con il giovane Malfoy, vero?»
La ragazza lo guardò titubante, mordicchiandosi il labbro inferiore. Poi rizzò la schiena con fierezza e scosse il capo, decisa. «Mai! Neppure morta».
Alphard annuì. «E quel giovane Tassorosso Nato Babbano di cui parlava Narcissa ha qualche responsabilità in questo, suppongo».
La ragazza abbassò il viso diventato improvvisamente rosso, poi annuì.
«Lo immaginavo» sospirò Alphard, costringendola ad alzare lo sguardo e chiedendosi quando la sua piccola Andromeda fosse cresciuta tanto da preferire i ragazzi alle Gobbiglie. «Be', se il giovane Malfoy somiglia al padre hai tutta la mia comprensione».
La ragazza lo scrutò piacevolmente stupita e indicò l'arazzo. «Bellatrix dice che se non accetterò di fidanzarmi con Lucius il mio nome diventerà una macchia carbonizzata».
«Come ho già detto quelle macchie sono le parti più interessanti dell'arazzo, Andromeda. Nascondono i nomi dei Black migliori» concluse, sfiorando con dolcezza la bruciatura che aveva cancellato il nome di zio Marius.
«Sarà. Ma se io mi aggiungessi a loro... la famiglia non vorrà più saperne di me» mormorò la ragazza mesta.
Alphard scrollò le spalle, stringendo in pugno il medaglione che portava al collo. «Se ami quel ragazzo - se lo ami davvero - non rinunciare a lui solo perché non vuoi che il tuo nome venga cancellato da questo arazzo, Andromeda. Non farlo. Non ne vale la pena, credimi».
Andromeda guardò lo zio con uno sguardo sorprendentemente adulto. Oh, sì. Era davvero cresciuta molto la piccola Andromeda. «Tu hai...»
Alphard annuì. «Io ho commesso un grosso errore, Andromeda. Non farlo anche tu. Se davvero ami il Tassorosso scegli lui... e avrai la famiglia che desideri. Oh, avrai anche me, naturalmente. Ho sempre avuto un'insana predilezione per i Black diseredati, sai?»
Andromeda sorrise un po' sollevata, ma prima che potesse rispondere un abbaiare improvviso la fece sussultare. Zio e nipote si voltarono allarmati, trovandosi a fissare Sirius che, piegato in due dalle risate, accarezzava una Pluffa nera, pelosa e scodinzolante.
«Questo cane è davvero fantastico, zio Al!» esclamò Sirius ricomponendosi. «Ah, per la cronaca, Andromeda, anch'io continuerei a considerarti della famiglia. Anzi, se il tuo nome venisse bruciato mi piaceresti ancora di più».
Andromeda corrugò la fronte e incrociò le braccia. A volte somigliava davvero molto a Bellatrix, notò Alphard con un pizzico di inquietudine.
«Da quanto stai origliando, Sirius?»
«Da abbastanza per sapere che non accetterai di perpetrare la stirpe con quel Vermicolo di Malfoy. L'ho sempre detto che sei intelligente, per essere una femmina!»
«Oh, grazie per la considerazione».
«Prego. Ma sono stato spedito qui per dirti che i tuoi genitori ti cercano. Pare che siate attesi a cena dal Vermicolo».
Andromeda gemette passandosi una mano sulla fronte, poi fissò lo zio. «Grazie per la chiacchierata. Magari sei ancora in tempo anche tu per...»
Alphard sorrise triste e scosse il capo. «No. Io no, ma tu fai quello che davvero desideri fare, Andromeda».
La ragazza annuì. «Non pensavo che lo avrei detto a un Black ma... sei un uomo molto romantico, zio Al».
Quindi, dopo avere elargito un sonoro bacio su una guancia al cuginetto, diede un ultimo sguardo all'arazzo e uscì fiera dalla stanza.
«Bleah... femmine!» borbottò Sirius stropicciandosi sdegnato la guancia. «Sono più appiccicose di un rotolo di Magiscotch!»
«Uhm... guarda che tra qualche anno potrebbe anche piacerti, Sirius...»
«No, non credo. Io mica sono un uomo romantico».
«Ecco... io non...»
«Ah, non preoccuparti, zio Al. Nessuno è perfetto. Mi piaci lo stesso. Ma come mai, se a te le femmine piacciono tanto, non te ne sei mai sposato una?»
Alphard fissò l'arazzo per un istante, poi posò una mano sulla spalla del nipote e, guardandolo negli occhi, rispose serio: «Perché sono un uomo romantico, Sirius. E in quanto uomo romantico avrei potuto sposare una donna solo per amore. E ti pare che, amandola, avrei potuto condannarla a diventare la cognata di tua madre?»
Sirius corrugò la fronte, meditabondo. «Questo ragionamento mi pare sensato» affermò convinto prima di scattare all'inseguimento del cane che, evidentemente attirato da qualcosa, si era fiondato in corridoio.
Sogghignando Alphard lanciò un ultimo sguardo all'arazzo e uscì a sua volta dalla stanza. Scese rapidamente le scale e, attirato da un improvviso abbaiare seguito da un fragore di stoviglie rotte e da urla stizzite, entrò in cucina, scrutando allibito la scena che lo accolse.
Il cane nero trotterellava allegro tra minuscoli frammenti di ceramica, mentre l'elfo di casa borbottava improperi irripetibili, reggendo lo strofinaccio sfilacciato che usava come vestito.
«Il cucciolo è arrivato all'improvviso» spiegò Sirius tra una risata e l'altra. «Si è piazzato alle spalle dell'elfo e ha abbaiato. Oh, zio Al... avresti dovuto vedere che spettacolo! Escludendo quando lo straccio di Kreacher è caduto, certo. Quello è stato abbastanza disgustoso».
Kreacher si sistemò tremante lo strofinaccio e cominciò a raccogliere i frammenti di porcellana borbottando: «Povera padrona, un figlio indegno ha. Riempirà la casa di mostri, ibridi e chissà che altro. Per fortuna c'è il padroncino Regulus».
Sirius strinse i pugni e sibilò: «Già, poverina! Meno male che ha il piccolo Regulus a consolarla dalle sofferenze causatele da me. Per non parlare del suo stupido elfo domestico!» concluse rabbioso, prima di andarsene seguito dal cucciolo.
Alphard scoccò un'occhiata assassina all'elfo, pronto a lanciarsi all'inseguimento del nipote.
«Vuole stare da solo quando fa così» affermò una voce infantile alle sue spalle. «Poi gli passa. E allora si lascia avvicinare».
Alphard si voltò di scatto, guardando il ragazzino bruno seduto al tavolo della cucina.
Un po' sorpreso, gli si avvicinò accovacciandoglisi davanti: «Ciao Regulus, non ti avevo visto. Ma che ci fai qui in cucina?»
Il ragazzino sollevò lo sguardo sullo zio, studiandolo con i suoi occhi scuri e seri: «Stavo parlando un po' con Kreacher» rispose dopo un attimo di esitazione.
«Ah. Stavi parlando un po' con... Kreacher, certo» ripeté Alphard, piuttosto meravigliato. «Deve essere un'esperienza... er... affascinante, suppongo».
Regulus lo squadrò per un istante e poi annuì, solenne come solo un vero Black non fallimentare sapeva essere. «Lo è. Ma non dirlo a mia madre. Lei non vuole che parli con Kreacher. Ammette solo che io gli ordini cose. Ma lui mi ascolta anche quando nessun altro ha tempo di farlo, sai? E se non ho nulla da ordinare, quando mi annoio, lo cerco e gli... domando... cose. Sai che a Kreacher piace il verde, zio?»
«Uh, no Regulus, non ho mai... domandato... cose a Kreacher. Gliene ho solo ordinate» rispose Alphard, scrutando affascinato il nipote.
Il ragazzino annuì mesto. «Lo so. Come ogni buon Black che si rispetti. Pensi che questo... Abominevole Vizio... faccia di me un mago indegno, zio Alphard?»
Alphard sgranò gli occhi sbigottito, era abituato a scorgere lati di se stesso in Sirius... ma mai avrebbe pensato di trovarne anche in Regulus. «No, Regulus, certo che no. Io penso anzi che ti renda un mago un po' migliore».
«Davvero?»
«Assolutamente sì. E' sempre una cosa positiva conoscere cose su chi ci circonda».
«Oh. E se io volessi... aiutarlo? Insomma se cercassi di impedire che venga punito per qualcosa di cui non ha colpa, tu credi che questo farebbe di me un mago indegno?»
Alphard si sfiorò la fronte, perplesso. «Be', è vero che è un elfo, ma se non ha colpa credo che sia giusto evitargli una punizione, Regulus».
Il bambino sorrise sollevato e si alzò in piedi. Guardò pensoso l'elfo indaffarato a pulire i frammenti di ceramica e sospirò. «Allora dirò a mia madre che sono stato io a rompere quei piatti. Ti pregherei di assecondare la mia versione, zio».
Oh, Merlino. Non bastava la nipote pronta a farsi estirpare dall'albero genealogico, no. Ci voleva anche quello deciso a immolarsi al posto dell'elfo domestico!
Un po' esasperato Alphard guardò negli occhi il ragazzino e disse: «Tecnicamente il colpevole è il mio cane, Regulus. Non serve che tu ti prenda una colpa che ha un colpevole ben preciso».
«Credevo che ti piacesse il tuo cane, zio Alphard».
«Ed è così, infatti».
«Se mia madre sapesse che è stato lui lo trasfigurerebbe in un poggiapiedi, penso».
Sì, era un'eventualità da prendere in considerazione, convenne Alphard sorpreso dall'inattesa gentilezza del nipote più piccolo. Aveva sempre pensato che quello sfuggente ragazzino fosse una specie di miniatura di Orion Black: non avrebbe potuto sbagliarsi di più.
«Se fossi un'anima nobile e coraggiosa mi prenderei io la colpa... ma non servirà. Nessuno dovrà prendersi la colpa di avere devastato il servizio buono se non mancheranno piatti all'appello, giusto?» chiese ammiccando al nipotino.
«Ma come... non basterà un Reparo, mi sa, non c'è rimasto nulla da riparare» affermò il bimbo indicando i frammenti radunati dall'elfo.
«Infatti non ho intenzione di ricorrere a quello. Guarda e impara, maghetto! Quanti piatti mancano all'appello, Kreacher?» chiese Alphard prima di avvicinarsi al tavolo su cui erano schierati diversi piatti integri.
«Quattro, Padrone».
Alphard annuì, prese quattro piatti intatti, posandoli con delicatezza accanto ai cocci di quelli rotti, estrasse la bacchetta magica e, con un elegante gesto del polso si esibì in un perfetto Incantesimo Moltiplicatore.
«Et voilà, il servizio buono è intatto».
«Ma... pensavo che nulla si potesse creare dal nulla, zio».
«Non ho creato dal nulla, infatti. Ho usato i frammenti di porcellana dei piatti rotti».
Il ragazzino lo guardò affascinato. Alphard si assicurò che nessuno potesse vederlo e si avvicinò al nipote, porgendogli la bacchetta. «Ti andrebbe di imparare questo incantesimo?»
Regulus lo guardò sconcertato. «Ma non posso, sono minorenne. Ai miei genitori non farebbe piacere».
«Oh, io credo di sì. Sarebbero deliziati dal fatto che il loro rampollo giungesse ad Hogwarts più preparato dei suoi coetanei. E poi non glielo diremo. Sarà un piccolo segreto tra noi due. E potrà tornarti utile nel caso in cui Sirius decida di esibirsi in uno dei suoi creativi scherzi ai danni di Kreacher».
Regulus meditò un istante, combattuto. Poi guardò l'elfo che, dopo un fugace sorriso affermò: «Kreacher non vede niente. Kreacher è troppo occupato per notare il Padroncino, adesso» e, dopo un profondo inchino, si affrettò a dedicarsi alla lucidatura dei calici d'argento.
«Va bene. Insegnami questo incantesimo» esclamò il ragazzino prendendo la bacchetta dalle mani dello zio.
Alphard sorrise e chiese: «Cosa ti piacerebbe duplicare, Regulus?»
Il bambino corrugò la fronte e indicò la Chiave del Tempo danneggiata che Alphard portava al collo.
L'uomo annuì un po' sorpreso, togliendosi il medaglione. «Una scelta interessante. Per un istante ho temuto che tu volessi duplicare il portaombrelli a zampa di Troll!»
«Oh, no zio. Non ho gusti così squisiti, io» mormorò il piccolo con voce garbata, ma un sorriso malandrino gli incurvava le labbra. Il sorriso di Sirius. Il suo stesso sorriso, realizzò con stupore Alphard.
«Sì, però ci servirebbe la materia prima... ci servirebbe dell'oro, Regulus...»
Il ragazzino sospirò affranto alla ricerca di un altro oggetto da duplicare, ma l'elfo si avvicinò titubante, stese una mano e mostrò ai maghi un vasto assortimento di spille rotte. «La Padroncina Bellatrix le dà a Kreacher, quando Kreacher fa cose per lei. A Kreacher fa piacere aiutare la Padroncina Bellatrix. Anche se poi la Padroncina punge Kreacher con queste. A Kreacher piace la Padroncina Bellatrix».
Kreacher sì che aveva un gusto davvero squisito, pensò Alphard, mentre Regulus cercava di rifiutare l'offerta dell'elfo. Ma quando Kreacher minacciò di farsi mordere ripetutamente da una non meglio identificata tabacchiera, Regulus cedette e accettò il dono dell'elfo.
Alphard non capiva perché il morso di una tabacchiera potesse essere tanto convincente - in realtà non capiva neppure perché una tabacchiera dovesse mordere qualcuno, in effetti - ma decise di non indagare: Orion e Walburga avevano un'inspiegabile passione per gli oggetti più discutibili.
Posò le spille rotte di fianco al suo medaglione, si portò alle spalle del bambino, sussurrandogli le semplici parole dell'incantesimo e gli spiegò come muovere la bacchetta. Regulus eseguì, ma le spille si limitarono a mettersi verticali, come se stessero sull'attenti.
Alphard sorrise incoraggiante e sussurrò: «Non importa. E' il primo tentativo. E stai usando una bacchetta che non è tua».
Il ragazzino riprovò e riprovò ancora. Dopo il quarto fallimento si voltò verso lo zio stringendosi nelle spalle, rassegnato.
Alphard gli coprì la mano con la sua: «Proviamo insieme? Con Sirius ha funzionato».
«Hai insegnato a Sirius a fare questo incantesimo?»
«No, non esattamente».
A Sirius aveva insegnato a incantare le pergamene in modo che nessuno potesse scoprire cosa ci disegnava sopra. Quel ragazzino era abbastanza negato per il disegno. Ma aveva idee decisamente esplosive. La sua rilettura alternativa dello stemma dei Black, ad esempio, aveva qualcosa di geniale.
Ma non gli pareva il caso di dare a Regulus questa delicata informazione.
Fortunatamente il nipote non sembrava interessato a quale incantesimo avesse imparato il fratello. Lasciandosi guidare la mano da Alphard, declamò solenne la formula dell'Incantesimo Duplicatore e finalmente qualcosa accadde: le spille vibrarono fondendosi assieme e presero la forma di un medaglione ovale.
Era più piccolo e leggero dell'originale, e non aveva segni sulla superficie, ma la forma era simile: un buon risultato per un primo esperimento.
«Non è proprio uguale, Zio Alphard...» disse Regulus scettico.
«No, ma è molto somigliante, Regulus, guarda... si apre persino. Un ottimo lavoro davvero!»
Regulus sorrise orgoglioso, avvicinandosi all'elfo che sfaccendava indaffarato lucidando calici d'argento già lucidissimi.
Quando il ragazzino gli porse il medaglione, l'elfo si allontanò protestando vivacemente e dedicandosi alla sistemazione dei tovaglioli.
Alphard si accostò al nipote e disse: «Credo che Kreacher desideri che lo tenga tu, Regulus. E mi sembra una buona idea. Sai cosa ha permesso di creare questo medaglione?»
«La Magia».
«Anche, ma non solo. E' stata la tua gentilezza a permetterlo. Se tu non fossi stato tanto gentile con Kreacher lui non ti avrebbe donato l'oro. Non dimenticarlo. Finché saprai essere gentile con chi è più debole di te non sarai mai un mago indegno, Regulus. Indegno lo diventerai solo quando scorderai la gentilezza e approfitterai di chi non si può difendere».
Il bambino annuì solenne, stringendo in pugno il medaglione e raccogliendo un tovagliolo caduto a Kreacher che, avvicinandosi ad Alphard si inchinò chiedendo rispettoso: «Il Padrone desidera che Kreacher prepari la cena anche per lui?»
Alphard sgranò gli occhi, stupito. Quell'elfo non aveva mai nutrito una particolare simpatia per lui e gli si era sempre rivolto con malcelata scortesia.
«No, Kreacher. Anzi, sto proprio per andarmene. Sarà per un'altra volta».
Scoccò un sorriso al nipote e, cominciando a sbottonarsi l'infinita teoria di bottoncini che chiudeva la tunica datagli dalla sorella, salì le scale a due gradini per volta imboccando a passo spedito il lungo corridoio, tentando di ignorare gli sguardi arcigni e i borbottii degli antenati che lo scrutavano tetri dai ritratti affissi ai muri.
Quando raggiunse la porta, tenuta socchiusa da un vecchio mattone sbrecciato, sospirò di sollievo.
Lanciò la tunica sullo squisito candelabro a forma di serpente che sporgeva sinuoso dalla parete e uscì, lasciando che l'aria calda gli togliesse il senso di gelida oppressione che Casa Black aveva il potere di appiccicargli addosso. Quando un improvviso latrato lo raggiunse a tradimento, sobbalzò.
«Zio, questo cane ha un talento innato! Oh, sappi che ho trovato il nome adatto a lui!» esclamò Sirius, scostandosi i capelli scarmigliati dalla fronte e guardando Alphard con occhi colmi di gioioso entusiasmo.
«Sì?» chiese Alphard, tentando di reprimere l'improvviso desiderio di trasfigurare quel botolo in un cuscino da sofà.
«Sì, e gli piace. Risponde! Guarda: qui, Felpato!».
Il cucciolo smise all'istante di mordicchiare l'orlo dei pantaloni di Alphard e si lanciò scodinzolante verso il ragazzino che lo sollevò da terra stringendolo tra le braccia, ridendo deliziato quando il cane cominciò a leccargli il viso con encomiabile entusiasmo. Alphard non ricordava di avere mai visto Sirius tanto felice. Nemmeno quando lo portava a fare un giro sulla sua moto che ora aveva imparato a volare.
Sentendosi inspiegabilmente leggero aprì la gabbia fissata alla moto e Sirius, un po' a malincuore, vi rinchiuse il cucciolo che annusò curioso le sbarre sbadigliando vistosamente per poi acciambellarsi, esausto, sulla vecchia coperta blu che Alphard aveva sistemato sul fondo.
«Mi fai fare un giro, zio Al?»
«Ora non posso Sirius. C'è la gabbia di Felpato, dovrei prima trasfigurarti in cucciolo e rinchiuderti dentro».
Sirius lo guardò interessato, poi spostò gli occhi sul cucciolo e disse serio: «Non mi dispiacerebbe essere un cane per un po'. Ma non voglio stare rinchiuso in una gabbia. Sono sicuro che quello non mi piacerebbe!»
«Sarà per un'altra volta allora!» concluse Alphard sorridendo a Regulus che li aveva raggiunti in silenzio: il nuovo medaglione riluceva in bella vista sulla tunica impeccabile del bambino. «Naturalmente l'invito è esteso anche a te, Regulus. Tu non sei mai salito sulla mia moto, vero?»
Il piccolo scosse il capo, serio come un bambino non dovrebbe mai essere: un vero, dignitoso Black in miniatura. «No, i miei genitori dicono che un mago Purosangue non dovrebbe mai utilizzare mezzi Babbani. Che sarebbe un Abominio. Una cosa indegna».
Sirius alzò gli occhi al cielo, stringendo il fratellino in una morsa scherzosa: «Non è insopportabile, zio? Se ne va perennemente in giro parlando di Abomini e cose indegne! Ma forse sono ancora in tempo per fargli apprezzare il piacere di essere un Abominio! In fondo, se sono riuscito a trovare un nome a Felpato, potrei fare di tutto! Magari persino riuscire a essere il primo Black da generazioni a non finire a Serpeverde!»
«Cosa?» esclamò Regulus scandalizzato, tentando di divincolarsi dalla stretta del fratello.
«Oh, sì... non ne posso più di orridi serpenti argentati! Credo che non mi dispiacerebbe avere un altro simbolo sulla mia uniforme di Hogwarts» affermò Sirius beffardo, scompigliando i capelli al fratellino che, dopo un istante di sbigottimento scosse le spalle e sfiorando un braccio al fratello esclamò: «Sei un Ghoul!» per poi scappare, immediatamente seguito da Sirius che, ululando lugubre, minacciava tremende vendette.
Alphard si guardò attorno cauto, Disilludendo se stesso, la moto e Felpato, quindi partì, godendosi l'ebbrezza del volo e la vista dei due nipoti che giocavano a rincorrersi per strada come due ragazzini qualsiasi, non troppo diversi dai piccoli O'Sullivan.
Anche i Black potevano sembrare una famiglia, di tanto in tanto, constatò compiaciuto, un po' sorpreso dal piacere che gli dava quella semplice considerazione.
Forse le donne della sua vita non avevano tutti i torti: era davvero un uomo romantico. In fondo.


Augurey*=  Newt Scamandro ne "Gli animali fantastici: dove trovarli" ci assicura che l'Augurey è un uccello tipico della Gran Bretagna, magro, lugubre e nero che ricorda in qualche modo un piccolo avvoltoio denutrito. Questa descrizione è perfetta per descrivere il giovane Lestrange che ha preso forma nella mia mente leggendo i libri. Pare che Sirius e Alphard concordino con me...




Ed eccoci alla sesta tappa del nosto Viaggio.
Una tappa molto lunga, lo so.
Ho anche preso in considerazione l'idea di dividerla in due parti... ma poi non me la sono sentita.
In questo capitolo ho tentato di dare uno spaccato completo della vita di Alphard confrontando i suoi due mondi: la sua famiglia d'origine e la sua famiglia "d'adozione". Contrapponendo Yuri a Sirius, Caitlin ad Andromeda, il Grande Evento che elettrizza i Babbani a quello che esalta i Black (ebbene sì, in questo capitolo i Babbani battono i Maghi alla grande, temo...) e se avessi diviso il capitolo in due parti questo "gioco" si sarebbe un po' perso, così... dividetelo voi, secondo i vostri ritmi e i vostri gusti, interrompendo nel momento esatto in cui vi addormenterete stremati dalla mia logorrea e riprendendolo in un secondo tempo. ;)
E ora le immancabili "Note di Servizio".
La scelta della data è stata suggerita da due motivi: prima di tutto mi serviva un Grande Evento in grado di catalizzare l'attenzione dei Babbani e, ascoltando i racconti di chi quella notte l'ha vissuta, direi che lo sbarco del primo uomo sulla luna possa esserlo... a tal proposito la scenetta che si svolge nel pub di Jordan è stata scritta attingendo proprio ai ricordi di persone che quella diretta l'hanno vissuta e mai più dimenticata.
In secondo luogo... be', mi piaceva l'idea di coinvolgere ancora la luna e la passione per la conquista dello spazio di Jordan. ^^
Uh... a tal paroposito: i quattro giovanotti dalla pettinatura improbabile (secondo gli standard di Alphard, naturalmente) sono i Beatles (mi pareva probabile che delle ragazzine inglesi della fine degli anni sessanta potessero impazzire per loro) e l'orecchiabile canzoncina che parla di un sottomarino giallo è "yellow submarine" dei suddetti quattro giovanotti dalla pettinatura improbabile.
Oh, e per quanto riguarda il promesso fidanzato di Andromeda... ci ho pensato a lungo, ero quasi giunta al punto di inventarmi qualche giovane rampollo di una nota famiglia purosangue, ma poi ho deciso che sarebbe stato divertente affibbiare la parte del pretendente respinto a quel (per usare le parole del piccolo Sirius) Vermicolo di Malfoy. Comprendetemi, era già lì, bello e pronto, non richiedeva alcuno sforzo inventivo... non ho proprio saputo resistere! ;)
E per ultimo l'inserimento del piccolo Regulus... ho pensato a lungo anche a questo, chiedendomi se fosse il caso di inserire quel pezzo in un capitolo già così lungo di suo. Alla fine ho deciso di sì, perché Regulus merita a pieno titolo di essere inserito tra i "Black venuti bene"! ^^
E poi mi è piaciuto molto riversare su Alphard lo stesso stupore che ho provato io scorgendo il vero Regulus. ;)

  
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