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Autore: Hiromi    06/09/2011    11 recensioni
"Tesoro, è finita l'era dell'anti-innocenza: qui le persone girano come trottole ventiquattr'ore al giorno per lavorare, studiare, e per fare sesso - hai capito bene: Sesso! - Cupido è volato via dal condominio sdegnato e il principe azzurro per la disperazione è diventato gay!"
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Hilary, Mao, Mariam
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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All’inizio doveva essere un mix tra Sex and The City e Friends. Una commedia piacevole e gentile, qualcosina con cui svagarsi e bla bla bla.

Non avevo idea che i personaggi mi si sarebbero ritorti contro, come marionette petulanti che tagliano i fili a chi li sta muovendo, e che si sarebbero mossi  come pareva e piaceva a loro.

 

Una volta finitola ho deciso di rivederla, ricorreggerla, mettermi le mani tra i capelli e agire di conseguenza mettendo dei paletti che devo spiegarvi, onde evitare, poi, inutili lamentele, quindi partiamo pure in quarta.

 

Questa fanfiction è OOC: è lo è per i motivi esplicati sopra; ma ho il dovere di dirvi che i personaggi hanno dai diciannove anni in su. Questo non è il 4° campionato di beyblade da molti autrici descritto, e si suppone che i loro caratteri siano maturati, sviluppati, cambiati.

Malgrado la maggior parte di loro sia assolutamente IC, vi sono quei pochi che a mio avviso non sono nel personaggio – ve ne accorgerete – e ho preferito mettere quest’avvertimento per evitare di dar fastidio a qualcuno fan sfegatato del character;

 

Questa fanfiction è Lime e di rating arancione: prende pur sempre spunto da Sex and the city, vi sono alcune scene dove il sesso è ben camuffato ma lo si percepisce lo stesso, e il rating ho preferito alzarlo tanto – a mio avviso è fin troppo alto, ma non si sa mai – per proteggere tutti. Abbiamo occhioni delicati, qui…

 

Questa fanfiction è una commedia, benché talvolta il tono sia un po’ più serioso dei miei lavori precedenti, e ho posto sentimentale al posto di romantico per essere coerente con la trama della fanfiction.

 

 

DISCLAIMER (OBBLIGATORIO)

 

La band delle Cloth Dolls è stata inventata e realizzata ispirandomi a quella dei Pretty Reckless, realmente esistente. Le canzoni che inserirò sono specificatamente loro e immesse nella fanfic perché adatte al contesto e ideali nella situazione, non a scopo di lucro.

 

Ogni riferimento a persone o fatti realmente esistenti è puramente casuale; o quasi

 

 

 

 

E, ora, dopo tutto questo tono serioso e da maestrina, posso finalmente rilassarmi…

 

Overboard” (= ‘Alla deriva’) è nata a Febbraio 2011, prendendo spunto da una delle mie tante chiacchierate notturne con Avly – le nostre conversazioni sono sempre foriere di elucubrazioni mentali pazzesche o idee geniali – e, dai primissimi del mese, mi sono cimentata in questo nuovo progetto con entusiasmo e grinta, accantonandolo soltanto per i Missing Moments di RMA.

 

Avevo da subito chiaro che se non avessi stilato la scaletta e non mi fossi fatta aiutare da qualcuno sarei stata nei pasticci: Avly e Lily_92 mi sono state accanto, la prima correggendo come beta i capitoli, la seconda, come la più cara delle amiche, pronta a sostenermi e a supportami sempre, ogni qualvolta ne avessi bisogno, per infondermi il coraggio e lo sprint necessario per affrontare il tutto.

Senza di loro, sarei stata nei pasticci. (Per non dire qualche altra cosa. u_u)

 

Spero non vi siate annoiati a leggere tutta questa filippica ma, credetemi, è veramente necessaria al fine di capire alcuni punti della storia e di evitare, più in la inutili critiche (visto che ho notato che la maggior parte dei lettori non legge gli avvertimenti e poi si lamenta se in una fanfic ci sono certe scene… -____-‘’’’)

Detto tutto questo, vi lascio al primo capitolo,

Spero veramente vi piaccia,

 

 

 

 

 

 

A Lily_92:

Questa fanfic-telefilm non sarebbe stata la stessa

Senza i suoi flash mentali e i suoi scleri che hanno contribuito

Ad ispirarmi e ad entusiasmarmi anche quando tutto pareva scemare.

Il ringraziamento è d’obbligo, così come la dedica, che ci sta tutta!

 

 

 

 

Overboard

 

 

 

 

A woman left lonely will soon grow tired of waiting,
She'll do crazy things, yeah, on lonely occasions.
A simple conversation for the new men now and again
Makes a touchy situation, when a good face come into your head
And when she gets lonely, she's thinking 'bout her man,
She knows he's taking her for granted…

 

A Woman left Lonely – Janis Joplin

 

***********************

 

Rivestendosi in fretta, stette bene attenta a non svegliare il ragazzo che era stato preso da un colpo di sonno non indifferente.

Mordendosi le labbra, allungò le braccia per prendere la pochette che, se non ricordava male, era stata lanciata verso la poltrona ed era andata a finire contro il comodino non si sapeva bene come; la verità era che, in quei momenti, in quelle sere, non si sapeva mai di preciso cosa accadeva, specie con più di tre drink in corpo.

 

Non badando al leggero mal di testa che minacciava di non farla ragionare, ed imponendosi di dover andare all’università a tutti i costi, raccolse le sue cose, facendo sparire ogni traccia di sé  e del suo passaggio; sbuffò impercettibilmente al pensiero di non aver chiuso occhio quella notte: l’aveva semplicemente trascorsa a fare… Qualcosa di meglio.

 

Si chiuse la porta del monolocale alle spalle più piano che poté, e una volta fuori, si accinse ad andare alla ricerca del primo bar disponibile: un caffè e una buona colazione sarebbero stati l’ideale per darsi una bella svegliata, senza contare che doveva prendere l’autobus per arrivare a casa.

 

Le sei del mattino: per avere sonno ce l’aveva eccome, ma tanto, tempo due ore, e avrebbe ricevuto la telefonata giornaliera da parte di sua madre, ragion per la quale dormire sarebbe stato inutile. 

 

Non appena intravide l’insegna di un bar, vi si fiondò immediatamente, ordinando un caffè forte e un cornetto alla crema: a Tokyo, nel suo quartiere, non l’avrebbero nemmeno riconosciuta in quella mise da Venerdì sera, che avrebbe grandemente stonato in una tranquilla zona di Tokyo specie il Sabato mattina dove tutti erano a dormire; invece lì, a New York, nell’Upper West Side, nessuno la squadrava più di tanto.

Le persone erano abituate a vedere di tutto, e non era certo una ragazza che di prima mattina si presentava in un bar vestita come se dovesse andare ad un concerto rock, che poteva scandalizzare.

Quella era New York, la grande mela, la metropoli non dormiva mai, che ventiquattr’ore su ventiquattro era sempre affollata e caotica: non si poteva mai sapere con chi ci si sarebbe svegliato il giorno dopo, né cosa sarebbe avvenuto nelle ore successive; era imprevedibile, magica, capricciosa, ma non si poteva fare a meno di amarla. 

 

“Grazie.” esclamò, contenta, non appena il barista le pose dinnanzi caffè e cornetto; ebbe appena il tempo di zuccherare la bevanda, quando la tv dietro di lei annunciò un’edizione straordinaria.

 

“Notizie dal mondo dello sport.” fece il giornalista. “Si è da poco conclusa ad Atene la conferenza stampa che vedeva riunirsi le maggiori rispettabilità del mondo del beyblade: il presidente Daitenji, per la BBA, ha annunciato l’apertura di un nuovo campionato mondiale a New York, e l’inizio è previsto per la prossima settimana.”

 

La ragazza sgranò gli occhi castani per poi aggrottare le sopracciglia con fare sospettoso.

 

Di già? Ma prima ci sono le selezioni nei paesi d’origine, solo dopo poche settimane vi è l’effettivo inizio del torneo…

 

Ascoltò attentamente la parte restante della notizia, ma più il giornalista sproloquiava, meno era convinta; bevve il caffè tutto d’un fiato e scosse la testa, piluccando il cornetto.

 

C’è puzza di marcio. E poi perché avrebbero dovuto dare una notizia così alle sei e mezza della mattina?

 

Lasciò velocemente i soldi sul bancone ed uscì, decisa a prendere l’autobus: doveva tornare a casa e collegarsi ad internet: non c’era tempo per star lì a bighellonare.

 

 

 

 

 

La cenere cadde lentamente dalla sigaretta, e un paio di occhi verdi la osservarono severamente volare via, trascinata dal vento: incredibile come essere leggera talvolta pregiudicasse pregi e difetti, pro e contro.

Meglio essere come la cenere della sigaretta bruciata, che una volta che cadeva andava dove trascinata, in balia del vento e di tutti, oppure meglio stare con i piedi ben piantati per terra, e decidere per sé dove andare, e dove non voler andare?

 

Era sempre stata una ragazza ritrosa, Mariam: pungente, acida, riservata, erano più le persone con le quali si mostrava scostante che le persone che potevano vantare una vera e propria amicizia con lei.

Ma, nella vita, era sempre così: c’erano le persone che facevano amicizia anche con i muri, che amavano la gente, il rumore, gli imprevisti, la vita…

E c’erano quelli come lei.

 

Una misantropa schifosa. Ecco come l’aveva apostrofata Dunga in più di un’occasione, e lei non stava a crucciarsene: era vero.

Lei odiava la gente, preferiva i posti appartati e silenziosi a quelli chiassosi e pieni di confusione. Lei non faceva amicizia con il primo che passava; lei selezionava, scannerizzava, sondava e poi, soltanto poi, decideva se il gioco valeva la candela.

 

Le persone erano cattive, potevano ferire, e sin dalla più tenera età, mentre gli altri bambini si circondavano di amichetti e giocattoli, Mariam si era distinta dal gruppo per il suo guardo freddo e per il fatto che, oltre a suo fratello, non aveva legato con nessuno.

 

Cretina

 

Con un’altra boccata di fumo gettò fuori anche un altro insulto per se stessa: l’ennesimo. Mai si era fidata come si era fidata di lui, mai aveva dato tutto il suo cuore ad una persona quanto aveva fatto con lui… E il risultato qual era stato? Cuore spezzato e lei in lacrime. Lei, lei, lei che non piangeva mai.

 

Bastardo.

 

Una delle domande che si era sempre posta e alla quale non avrebbe mai trovato risposta sarebbe stato il perché. Tante cose.

Perché, tra tutti, si era innamorata proprio di lui; perché si era comportato così; perché più si riprometteva di non pensarlo più lo pensava.

E perché i ricordi dovevano necessariamente bruciare. Bruciare come fuoco.

 

 

“Il capo villaggio ci vuole vedere.” suo fratello le lanciò un’occhiata preoccupata, affacciandosi dalla porta di casa.

Mariam fece una smorfia, spegnendo la sigaretta ed alzandosi pigramente: da quando era tornata da Washington non aveva più voglia di fare nulla, era sempre apatica, spenta, e se punzecchiata era acida fino all’inverosimile.

“Hai sentito la notizia al telegiornale?”

 

La ragazza inarcò un sopracciglio. “Avrei dovuto?”

Jessie sospirò: sapeva che sua sorella stava passando un periodaccio, e sapeva anche che, nonostante spesso e volentieri si mostrasse apatica, nonostante potesse essere un’acida del cavolo, in realtà, interiormente, stava soffrendo, e tanto. Sperava solo che tutto questo finisse, e presto.

 

“Siete arrivati, finalmente.” la voce di Dunga attirò l’attenzione dei due fratelli: Mariam lo fulminò con lo sguardo, poi entrò in casa dell’autorità del villaggio senza curarsi di lui.

 

“Salve, ragazzi.” l’anziano capo li fissò sorridendo leggermente. “Come componenti degli Scudi Sacri, fin’ora avete svolto un ottimo lavoro, ed è giusto che continui ad essere così: oggi è stata annunciata l’apertura di un nuovo torneo di beyblade a New York, e sarebbe il caso che andiate.”

 

Bastarono quelle poche parole per far implodere il cuore di Mariam: improvvisamente sentì la testa vorticarle, le orecchie fischiarle e il sangue scivolarle via dalla faccia.

“Cosa?” emise un sussurro appena accennato, inghiottendo a vuoto.

 

“Ti senti bene, figliola?” l’anziano la fissò preoccupato, aggrottando la fronte.

 

“I-Io non posso.” lo sussurrò con gli occhi persi nel vuoto: i ricordi le si riversarono addosso con la prepotenza di un film a tutta velocità, e il respiro prese a farsi accelerato.

 

“Perché?” fu la domanda di Dunga a strapparla dai flashback e a portarla con forza alla realtà; si voltò un attimo a guardarlo, e in un attimo ritrovò tutta la sua compostezza. Non aveva senso. Il suo atteggiamento non aveva senso. Si stava comportando come una donnicciola spaventata dalla sua stessa ombra: possibile bastasse uno stupido ragazzo a ridurla in quel modo?

 

“Nulla.” Sbottò, ritrovando la sua proverbiale freddezza. “New York? E sia.” In fondo, esistevano cose peggiori e, dopotutto, c’era ancora una cosa che non aveva sperimentato: la vendetta.

 

 

 

 

 

“Non prenderai freddo vestita così?”

 

Ecco, era proprio così: le parole potevano fare peggio di una coltellata, ed era vero; Mao di sforzò di sorridere, ma tutto quello che le uscì fu una smorfia e, improvvisamente, si sentì ridicola.

 

Patetica’ era proprio una parola interessante: fino a quanto potevi spingerti a esserlo per colui che amavi?

 

“E’ quello che le ho detto io, ma non ha voluto sentire ragioni.” sbottò Lai, incrociando le braccia al petto; Mao chiuse lentamente gli occhi e, quando li riaprì, pochi minuti dopo, riuscì ad ostentare la solita espressione di sempre.

In fondo lei era Mao, la dolce Mao. Quella comprensiva, che non alzava mai la voce; quella energica e un po’ mammina. Magari poteva sopportare, giusto?

 

Pechino era proprio bella: luci, colori sovrastavano tutt’intorno. Era grande. Così diversa dal loro villaggio, così cosmopolita, un crocevia di culture e di popolazioni… Non vi era mai stata, e ne stava rimanendo pressoché affascinata.

 

“Potete dire quello che volete: Mao stasera è più bella del solito.” fu l’esclamazione di Mystel a farla arrossire e balbettare un ringraziamento sconnesso: incredibile come, talvolta, si sentissero certe parole da qualcuno, e si desiderasse ardentemente che provenissero dalla bocca di un altro.

 

In un abito rosso che faceva intravedere le sue gambe tornite e mostrava appena l’inizio del suo bel decolleté, la ragazza aveva speso ore a prepararsi: Pechino non era il villaggio, era la città, la capitale, la metropoli, e lei voleva andarci vestita di tutto punto.

Non appena Lai le aveva visto indosso quell’abito rosso aveva dato di matto, ma Mao aveva resistito, sperando in un qualche suo commento: che era stato praticamente uguale a quello di suo fratello.

 

L’amore bruciava, consumava, distruggeva.

Non sapeva come aveva fatto a convivere così a lungo con questo sentimento, ma era arrivata al limite, o quasi: si sentiva come se da un momento all’altro si stesse per spezzare in due, come se una mano le artigliasse lo stomaco.

 

Perché Rei si ostinava a far finta di nulla? Perché la teneva in bilico così, e non sopraggiungeva per farla stare in equilibrio? Se lo mandava al diavolo le faceva capire che doveva essere paziente, e che presto le cose si sarebbero sistemate, se si avvicinava troppo le faceva capire che non era pronto.

 

Vent’anni.

Nell’ultima telefonata Hilary aveva scherzato, sostenendo che solitamente le donne iniziano a piangere per i loro compleanni dopo i trentacinque, e questa frase le aveva strappato un sorriso tra le lacrime.

Ma non avrebbe mai pensato di passare il compleanno più brutto della sua vita, piangendo e disperandosi, capendo che aveva appena iniziato una nuova era della sua vita.

Aveva praticamente trascorso tutta un’esistenza dietro un ragazzo che non la considerava e che era troppo occupato con il beyblade per badare a lei.

Che vita era?

 

“Allora andremo a New York, c’è poco da fare.” la voce di Lai arrivò decisa, sicura alle sue orecchie. “Un nuovo campionato del mondo sta per iniziare, e non ci coglierà impreparati.”

 

New York…

 

Mao alzò il viso alla luna di Pechino, che sembrò, per un attimo, brillare solo per lei, dopodiché si morse le labbra.

 

 

 

 

 

Raùl!” la voce rabbiosa della rossa raggiunse il fratello, anche se a metri di distanza: era sempre così; lui combinava i danni e fuggiva, lasciando lei in balia degli eventi.

Raùl, ¿qué te pasò?” Julia raggiunse il gemello con due ampie falcate; era incredibile come, pur facendosi sovrastare in altezza, riuscisse comunque a mantenere un cipiglio da generalessa

 

“Non ho fatto niente…” il gemello inghiottì a vuoto: sapeva perfettamente che quando gli occhi verdi della sorella brillavano in quel modo c’era una sola cosa che gli bazzicava nella mente: si salvi chi può.

 

“Non puoi farti battere dalla prima ragazzina che ti si para davanti, joder!” Julia aveva i capelli scombinati, il viso a chiazze rosse e un’aria furibonda. “Habemos un campeonato del mundo, qué mierda!”

 

Il ragazzo abbassò lo sguardo con aria colpevole, mordendosi le labbra. “Lo so, mi dispiace.”

 

“Basta così.” con un battito di mani, il loro allenatore, Romeo, li richiamò all’ordine: “Raùl, ti sei fatto battere come uno sciocco, ed è disdicevole per il campione della Spagna; ma, Julia, un po’ più di elasticità?”

 

La rossa gli scoccò un’occhiata penetrante, dopodiché girò sui tacchi, andandosene; per quel giorno era stata anche abbastanza nervosa, suscettibile, isterica, prendendosela con tutti.

La verità era che non ce la faceva più.

 

Lei adorava suo fratello. Erano cresciuti insieme, erano gemelli, ma non potevano essere più diversi: se Julia era esuberante e vivace, Raùl era timido e riservato, tutto il contrario della tipica irruenza latina.

E questa cosa stava iniziando a pesare.

 

Pesava a lei, che si sentiva sempre più attaccata e legata, costretta, quasi, ed era sicura pesasse anche a lui, costretto all’ombra di una sorella sotto la quale non era facile vivere.

 

Due giorni e sarebbero partiti per New York: da lì, il nuovo, entusiasmante campionato di beyblade. Una nuova sfida, una nuova avventura, nuove emozioni. E nuovi litigi con Raùl.

 

Non vedo l’ora…

 

 

 

 

 

Rientrò nell’appartamento con in una mano quattro tomi di letteratura cinese, e nell’altra il pranzo: avrebbe dovuto smetterla di mangiare roba da take- away, o, prima o poi, le sarebbe stata ricoverata per una bella appendicite.

 

Ma, d’altronde, non ho scelta…

 

Rilasciò i volumi di letteratura da parte e iniziò a mangiare: aveva una fame assurda; era stata al college fino alle due per dare un esame – che aveva superato con il massimo dei voti – ed in quel momento si stava accontentando di mangiare qualcosa al volo perché poi doveva passare all’Avalon per provare con le ragazze.

 

Un altro non riuscirebbe a sostenere questa vita: io non riuscirei a reggere una vita noiosa.

 

Aveva appena iniziato a mangiare il suo pollo messicano che il cellulare aveva preso a squillarle insistentemente: possibile che fosse già Trisha? Era così tardi?

 

Mao?

 

“Ehi!” la ragazza inghiottì rumorosamente un boccone, salvo poi buttarlo giù con un po’ d’acqua.

 

“Ti disturbo, Hilary?” la voce pareva preoccupata ma, almeno, non più angosciata come quella di due settimane fa, quando compiuti gli anni, erano state lacrime amare buttate giù.

 

“Il mio harem è assolutamente contrariato, ma per un’amica posso zittirlo.” tra un boccone e l’altro, la ragazza si preparò all’ennesima sfuriata da parte di Mao all’indirizzo di Rei, ma, ormai, ci era abituata.

 

Invece, ci fu un lungo sospiro. “Inizia il campionato.” proferì la cinese, con voce incolore. “Sai che si terrà a New York e che inizia direttamente tra un paio di giorni?”

 

La bruna accavallò le gambe. “L’avevo sentito dire, e francamente, c’è qualcosa che mi puzza. Ma, fino a quando non vi vedrò chiaro in tutta questa faccenda, non dirò una parola.”

 

Si sentì un altro sospiro. “Dovrei chiederti un favore.”

 

Hilary sbuffò drammaticamente.“Oh, no, un altro! Sappi che lo metterò sul conto, e la tua anima sarà venduta al diavolo per un paio di Levi’s!”

 

Ma la cinese probabilmente non era nemmeno troppo in vena di scherzare. “Tra due giorni sarò lì e la mia squadra alloggerà all’hotel Plaza: tu mi potresti ospitare?”

 

 

 

 

 

Il ragazzo sorrise largamente non appena mise piede sul suolo americano: l’idea che un nuovo campionato del mondo iniziasse, con tutte le avventure ed i brividi che gli avrebbe trasmesso aveva il potere di iniettargli dritto nelle vene una carica di energia non indifferente; sentiva già l’adrenalina in circolo e l’entusiasmo viaggiare, prendendo possesso di lui.

Ormai erano anni che conosceva bene quelle sensazioni: giocava a beyblade sin da piccolissimo, e aveva iniziato a partecipare ai tornei mondiali da quando aveva dodici anni, non ci sarebbe stato mai nulla che lo avrebbe distratto dalla sua passione più grande.

 

“Ciao New York.” Fece con tono consapevole, fissando l’aeroporto che si stagliava attorno a lui e pigliando al volo la sua valigia.

 

Cacciò un urlo quando, però, si vide vicino uno zombie di fattezze non umane: stava per chiamare gli acchiappa fantasmi quando si accorse che… “Daichi?”

 

Il professore, accanto ai due, ridacchiò. “Lo sai che l’aereo fa brutti scherzi, su. Piuttosto, vediamo di trovare l’uscita.”

 

Il giapponese aggrottò le sopracciglia, salvo poi ricordarsi qualcosa, qualcosa di importantissimo: si diresse verso la porta sovrastata dalla scritta Arrivals, e una volta lì, prese a guardarsi intorno freneticamente, il cuore che batteva forte per l’emozione.

Doveva essere lì, doveva essere lì, doveva essere lì…

 

Ma dove..?

 

Quella zona era sistematicamente gremita di gente che aspettava i propri cari: tra abbracci, persone che si sbracciavano, teste e pelli di tutti i colori, il ragazzo stette un po’ di minuti ad allungare il collo freneticamente, l’attesa di un anno lungo lettere, e-mail e telefonate che si faceva sentire come non mai.

Fu all’improvviso che la vide: gli stava correndo incontro, e non era cambiata, era sempre la stessa, lo capì quando gli saltò in braccio e gli stampò un bacio sulla guancia.

 

“Mi sei mancato tanto.” Hilary lottò per ricacciare indietro delle lacrime di gioia, dopodiché si allontanò bruscamente da lui. “Ma guardati… Sei un gigante!”

Prese a ridacchiare, e mordendosi le labbra per l’emozione: quei dodici mesi non erano stati facili per nessuno dei due, e ora che si erano ritrovati vicini sarebbe stato difficili farli mollare per almeno un paio d’ore.

 

Lui annuì, pieno di sé e consapevole del suo metro e settantotto. “Sei tu che al confronto sei una margheritina di campo, tappetta.” prendendola per la nuca e soffiandole sopra, in un gesto che faceva sempre quando erano piccoli, scoppiarono a ridere entrambi.

 

Il professore e Daichi li raggiunsero poco dopo. “E’ partito a razzo e non c’è stato verso di fermarlo…” spiegò, ammonendo con un sospiro il suo amico. “Ciao, Hila, come stai?”

 

“Tutto bene, prof; vedrete, New York è…  Assurda.” fece, schiacciando loro l’occhiolino.

 

“Se le ochette hanno invaso pure l’America stiamo apposto.” Daichi, che stava sicuramente meglio, mise le braccia dietro la nuca in un’espressione altera.

 

Hilary scosse la testa, fissandolo divertita: quel ragazzino le era mancato, così come le erano mancati le loro scaramucce, i loro battibecchi…  Per quella volta gliel’avrebbe fatta passare.

“Prof, tu non hai notato nulla di strano nell’accennare il campionato del mondo di beyblade?”

 

L’interpellato la fissò profondamente. “Beh, sì, ma non mi sono crucciato più di tanto…”

 

La ragazza annuì, scrollando le spalle. “Magari esagero.”

 

 

 

 

 

L’hotel Plaza era esattamente come se l’era immaginato: luminoso, sfarzoso, lussuoso e degno di celebrities, non di rumorosi campioni del mondo che avrebbero fatto una confusione assurda.

Spense l’ultimo mozzicone di sigaretta per terra per poi entrare nell’atrio, snobbando il portiere. E chi se ne importava se i suoi abiti per quell’hotel a cinque stelle erano poco ricercati.

 

“Muoviti.” abbaiò Dunga. “Ci hanno già dato la stanza.”

 

Fulminarlo con lo sguardo fu naturale. “Chiudi il becco.” replicò, stizzita.

 

“Placatevi.” Ozuma sospirò brevemente, andando verso gli ascensori.

 

Mariam fece per rispondere male anche a lui, ma una voce molto conosciuta la bloccò all’improvviso. “Mari!” si voltò per ostentare la prima espressione rilassata da mesi: Julia era davanti a lei, pareva appena arrivata. “Chica, ¿qué tal? Creo qué-”

 

Eccola lì, la solita irruenza della spagnola: non si smentiva mai. Non l’aveva vista neanche da due secondi e già l’aveva sommersa di parole. Ma sapeva lei cosa ci voleva per farla smettere.

 

“Julia.” il suo nome. Solo il suo nome pronunciato alla spagnola, con la J aspirata, e bastava quello a farla sgonfiare come un palloncino.

 

“¡No me llamar asì!” sbottò infatti, divertendo Mariam.

Da quando due anni prima avevano scoperto che in realtà il suo nome andava pronunciato con la prima lettera risucchiata e non come si ostinava a farsi chiamare lei, alla maniera europea, le ragazze avevano concordato di accontentarla e chiamarla come la sua attrice preferita, la Roberts. La maniera ispanica sarebbe subentrata solo quando ne combinava una delle sue.

 

Meglio cambiare discorso, vah. “Le altre?”

 

“Mao dovrebbe essere atterrata ora, e Hila… Quella ormai, è parte integrante della Grande Mela.” fece, alludendo alla loro amica comune che, da un anno a quella parte si era trasferita nell’Upper West Side per frequentare la Columbia grazie ad una prestigiosa borsa di studio vinta all’ultimo anno di liceo.

 

 

“Chi è parte della Grande Mela?” il tono di voce che lo chiese fu ironico e divertito, e quando le due si videro venire incontro una ragazza dalla chioma castana ondulata, con stampato sulle labbra un gran sorriso, non poterono far altro che riflettere come uno specchio d’acqua: e sorrisero anche loro. “Un anno che non ci vediamo e le vostre facce che non cambiano mai: rinnovatevi per la miseria!” risero nuovamente, non ne poterono fare a meno, e Hilary le stritolò in un abbraccio caloroso, che tanto diceva dell’anno in cui non si erano viste.

 

Voy a esperar Mao en el bar del hotel: ¿vamos?” propose la spagnola.

 

“Guarda che il conto sarà stellare anche solo per andare lì e sedersi.” Mariam aveva le sopracciglia inarcate.

 

Julia e Hilary si scambiarono uno sguardo eloquente che la diceva lunga sul loro modo di vedere le cose. “E chi ti dice che devi pagare tu?”

 

 

 

 

 

Due Gin Fizz, due malibù, e due mohito dopo, le ragazze decisero di prendere, finalmente, anche qualcosa di analcolico.

 

“Mettere tutto sul conto di Ming Ming. Molto maturo.” Mariam sbuffò per l’ennesima volta, sorseggiando, però, il suo malibù con fragola.

 

“Lei l’anno scorso ce ne ha fatte di peggio: non è stato proprio il simbolo della maturità aprire il campionato del mondo di bey con un concerto e mettere come riquadro, in televisione, al posto del pubblico, le nostre facce.” Le ricordò Hilary, accavallando le gambe. “Questo è solo un piccolo risarcimento.”

 

“Per cosa?” una voce dietro di loro le fece voltare di scatto: Mao era dietro di loro, con tanto di valigie ed aria stanca, ma ciò che contava era che fosse lì, ed ora erano di nuovo tutte e quattro.

 

“Tesoro!” Hilary prese subito un’altra sedia e la pose accanto a sé. “Come ci hai trovate?”

 

La cinese scrollò le spalle. “Vi si vede da fuori.” Fece, alludendo alle grandi ed eleganti vetrate decorate con delle sontuose tende a baldacchino. “Ma ve li potete permettere tutti questi drink qui?”

 

Julia fece un gesto di noncuranza. “Oh, noi no; ma Ming Ming .”

 

Mao fece scattare la sua mano verso l’alto. “Cameriere! Un cosmopolitan!” e furono risate.

 

 

 

 

“Dichiaro ufficialmente conclusa la stagione dei drink, per stasera.” Mao si portò una mano alla testa. “Se ne bevo un altro mi dovrete portare a dormire in braccio.”

 

Mariam annuì. “Concordo.” fece, cacciando un sospiro. “Non che mi farebbe male ubriacarmi.” dichiarò, con una smorfia.

 

Le altre tre si voltarono contemporaneamente verso l’irlandese: sapevano che stava male, che aveva qualcosa che non andava, ma sapevano anche quanto fosse ritrosa e riservata la loro amica: decideva di confidarsi con i suoi personalissimi tempi e, se non l’aveva fatto a distanza di mesi e mesi, vi era qualcosa di grosso in ballo.

 

“Perché in questi mesi non ci hai scritto?” Mao articolò la domanda lentamente, capendo che stava per dar vita a quella genere di questione che, però, presto o tardi si sarebbe pur dovuta affrontare. “Che cosa ti è successo?”

 

La mora alzò i suoi occhi verdi al cielo, impedendo a tutti i costi ai flashback di sopraffarla, ma fu inutile; quando i suoi lineamenti si irrigidirono si morse le labbra, come a colpevolizzarsi di una debolezza troppo grande per potersela permettere. “Non posso più stare con la mia squadra.” Soffiò. “Gareggiare con loro è un conto, ma non voglio sentirmi addosso i loro…Sguardi assillanti e le loro battute; ne ho fin sopra i capelli.”

 

Julia annuì. “Te entiendo: adoro mio fratello, ma deve imparare a cavarsela da solo; il mio atteggiamento ha spianato la strada a lui in più di un’occasione… E l’ha resa difficile a me. Mi duole dirlo… Pero es una presencia incomoda.” sospirò, ravviandosi i capelli.

 

“A proposito di fratelli…” Mao di prese la testa tra le mani. “Non sopporto più il mio finto fratello: anche perché provo verso di lui sentimenti tutt’altro che… Fraterni.”

 

Ci fu un sospiro generale, dopodiché tutte si voltarono verso l’unica che non aveva parlato e che sorseggiava tranquillamente il suo Gin Fizz: Hilary non aveva fatto una piega, continuando ad ascoltare le amiche, ma, quando si era sentita troppo osservata, aveva inarcato le sopracciglia.

“Che c’è?”

 

“Tu non hai nulla di cui lamentarti?” mugugnò Mao. “Quelle occhiaie, ad esempio? Troppo studio?”

 

Hilary dapprima aggrottò la fronte, poi esibì un sorriso malizioso. “Queste, mia cara, non sono occhiaie da studio; sono occhiaie da sesso.”

 

Julia fischiò, facendo ridacchiare tutte. “La chicaNosotras aquì a lamentarci, e lei a scopare con i Newyorkesi.”

 

La brunetta rise. “Se c’è una cosa che ho imparato è che le lamentele non portano proprio a nulla.” con un’alzata di mano, richiamò l’attenzione di un giovane cameriere. “Un altro giro di Cosmopolitan, per favore.” quello annuì, deliziato dalla vista di tante ragazze in una volta sola, e gli alcolici arrivarono subito dopo.

 

“Patetico, a momenti ti si infilava nella scollatura.” brontolò Mariam, guardandolo male. “Morto di figa.”

 

La bruna scoppiò in una sonora risata. “Abitando a New York impari che certe cose sono all’ordine del giorno; che dietro ogni grande donna… C’è un maschio che le guarda il culo.” fece, con un tono di chi la sapeva lunga.

“Su, ragazze, brindiamo a noi che ci siamo ritrovate ed ai ragazzi che ci fanno disperare.” fece, alzando il bicchiere in aria. “Sia santo chi ha scoperto l’alcool: è questo che da anni aiuta le donne ad abbassare i loro standard.”

 

Julia scoppiò a ridere. “Ma allora brindiamo all’alcool!”

 

“All’alcool!” concordarono tutte, facendo scontrare i loro bicchieri in maniera che tintinnassero.

 

“Julia, mi dici come mai, il mese scorso, su facebook, ho visto che la tua relazione con Javier è terminata?” Mao stava sorridendo, ma aveva lo sguardo di chi la sapeva lunga.

 

La spagnola fece una smorfia. “¡Que tonto! Se vuoi la verità, non riuscivo a star dietro a lui y a mi hermano al mismo tiempo.”

 

“Niente principe azzurro?” non appena la cinese lo disse, Hilary e Mariam alzarono contemporaneamente gli occhi al cielo.

 

Si todos tienen un principe azùl… Il mio ha preso una strada sbagliata, si è perso ed è troppo testardo per chiedere indicazioni.” la rossa sospirò, finendo di sorseggiare il suo drink.

 

“Ma siccome non esiste…” Hilary sorrise.

“Ragazze, tornando al discorso di poco fa, mi sembra di capire che tutte e tre vogliate ovviamente gareggiare a questo campionato, ma vendereste un rene piuttosto che sopportare certe persone.” qui le ragazze ostentarono delle facce comicissime. “Okay, allora vi propongo una cosa: la mia coinquilina due settimane fa è tornata in Ohio; se ve la sentite di sopportarmi, potreste sempre venire a vivere con me: casa mia non è grandissima e staremmo strettine, ma è sempre meglio di nulla…” propose, stringendosi nelle spalle.

 

“Ci sto.” Mariam e Mao lo dissero in coro, Julia annuì in maniera frenetica.

 

“Possiamo cominciare a portare la nostra roba da te anche ora?”

 

Hilary sbatté gli occhi. “Che entusiasmo… Sì, certo che sì. Prima però non dovreste avvisare i componenti delle vostre squadre?”

 

E tutte fecero una smorfia: Mao sbuffò, sentendo già le urla di Lai e prevedendo i litigi, Mariam si alzò senza dire una parola, probabilmente andando direttamente dagli Scudi Sacri; Julia si prese la testa tra le mani: in quel frangente sì che erano dolori.

 

“Va bene, io vado: arrivo subito.” la cinese lo disse con un tono e uno sguardo che non ammettevano repliche, e sia Hilary che Julia capirono che si stava preparando psicologicamente ad affrontare sia la squadra che il fratello.

 

Voy tambien.” la spagnola si alzò dall’elegante poltrona di seta dell’hotel, e la bruna fece altrettanto.

 

“Vengo con voi: mica mi lasciate qui con il conto di Ming Ming, vero?!”

 

 

 

 

 

Mariam si stava portando da sola il suo zaino e la sua valigia, spostandola dal primo piano all’atrio, ma quando sentì delle voci che le diedero fastidio, le venne naturale andare a vedere cosa stesse succedendo; vi era una stanza socchiusa, e quando intravide una chioma chiara che conosceva bene, la collegò subito alla sua amica.

Mao era nella stanza, di certo ad ascoltare suo fratello urlare; ma possibile che quel ragazzo non sapesse fare altro?!

 

“I Bahiuzu fanno parte della tribù della Tigre Bianca, e la tribù non si disgrega! Mao! Andare a vivere da sola a New York! Che cosa direbbe il capo?”

 

“Se avesse un po’ di cervello vedrebbe che ha vent’anni, che deve fare le sue esperienze di vita e la lascerebbe andare.” non aveva potuto fare a meno di intromettersi: tono di voce acido, sguardo tagliente… Mariam non poteva farci nulla, detestava chi sparava cavolate, e il fratello della sua amica ne stava sparando in gran quantità.

 

“Tu cosa vuoi? Mao fa parte di una tribù, di un villaggio! Ha dei doveri, delle responsabilità!”

 

Mariam roteò gli occhi. “Anch’io faccio parte di un villaggio, di una tribù, eppure Ozuma si è mostrato più aperto mentalmente di te permettendomi di andare. Che poi la questione sarebbe andare a vivere con Hilary, l’immagine della correttezza, della trasparenza, e della puntualità, mica con una che si fa di cocaina battendo la strada!” sbottò, acida, incrociando le braccia.

 

“Che succede?” quando entrò nella stanza, Rei venne subito fissato male da Mariam; Mao, invece, si affrettò ad abbassare lo sguardo.

 

“Mia sorella vuole andare a vivere con Hilary e le sue amiche nell’Upper West Side, e a quanto pare ci andranno anche lei e non so chi altri, e se io non do il permesso non sono abbastanza aperto mentalmente!” eruppe Lai.

 

“Saremo io, Mariam e Julia nella casa di Hilary, non vedo che impiccio potrebbe darti!” ringhiò Mao, andando a prendere la sua valigia, facendo capire che aveva già preso la sua decisione e che nulla poteva farle cambiare idea.

 

Rei aggrottò le sopracciglia. “Hilary è una bravissima ragazza, e di Mao ci fidiamo, non è così, Lai?” quello borbottò un cenno d’assenso. “Se Mao promette di telefonare, di farci avere frequentemente sue notizie e di non farci stare in pensiero, le lasceremo fare quest’esperienza.”

 

Kon, sei un emerito coglione.

Mariam scosse la testa, inarcando le sopracciglia.

 

Mao strinse le labbra, mordendosele a forza, per poi atteggiarle forzandole in un sorriso triste: eccoli là… Il fratello geloso e il fratellone dolce. Ma sempre fratelli erano.

Che tristezza…

 

Un bussare deciso li fece voltare: erano Kiki e Gao: “Il presidente Daitenji ci vuole tutti nella sala conferenze dell’hotel; sembra urgente.”

 

 

 

 

 

Julia aspettava le ragazze tenendo loro il posto, era seduta su una delle poltrone della sala convegni dell’hotel, e ne aveva occupate altre tre per le amiche. Nell’attesa accavallò le gambe, prendendo la borsetta ed estraendo da essa lo specchietto, - dopo tante ore di viaggio e a malapena dieci minuti per andare in camera a rinfrescarsi, avere qualcosa fuori posto sarebbe stato il minimo! - ma un brusco movimento di qualcun altro fece cadere il tutto rovinosamente per terra.

“¡Vaya..!”

 

Questo qualcun altro si chinò a cogliere la borsetta e gliela porse e, quando si ritrovò a contatto con due occhi color ghiaccio, Julia si perse.

Si perse nella stanza, nei battiti accelerati del suo cuore, nella moltitudine di emozioni che quegli occhi stessi scatenarono.

 

Fernandéz.” Yuri Ivanov non sorrise: lo fecero quelle lame di ghiaccio per lui. “Ciao.”

Le pose la borsetta tra le mani e se ne andò, lasciandola stordita, semplicemente attonita a domandarsi perché, dallo scorso campionato, quel gelido ragazzo russo le facesse quell’effetto assurdo.

 

 

Le sue amiche arrivarono un istante dopo, e lei stette ben attenta ad accoglierle con un sorriso di trionfo sulle labbra, indicando loro dove sedersi. “Mio fratello non è stato molto contento, ma gli ho fatto capire che un po’ di distacco avrebbe fatto bene sia a me che a lui.” fece, partendo in quarta e rivolgendosi a Hilary. “Le mie valigie sono già state portate a casa tua da un taxi.”

 

La bruna sgranò gli occhi. “Ho la sensazione che entreranno i vostri bagagli e usciremo noi.” Tutte ridacchiarono.

 

Mao prese a guardarsi intorno, meravigliata. “Sapete mica cosa deve dirci il presidente? Non possono essere solo delle banali regole di campionato…Voglio dire, guardate: c’è la CNN! Qui la roba è grossa!”

 

Mariam strinse gli occhi verdi. Ho una brutta sensazione… “Speriamo non sia nulla di grave…”

 

Dovettero passare tre quarti d’ora prima che il presidente richiamasse l’attenzione su di sé, e immediatamente tutti notarono l’aria stanca e le occhiaie marcate sul viso dell’uomo.

“Andrò dritto al punto senza fare inutili giri di parole né convenevoli vari: la crisi mondiale finanziaria non ha risparmiato il mondo del beyblade, anche se per molto tempo ci siamo illusi che non fosse così. Abbiamo organizzato un campionato mondiale perché avevamo i fondi grazie agli sponsor, che da un giorno all’altro ci hanno abbandonato. Ora non possiamo far altro che annullare il campionato, ma posso dirvi solo una cosa: sto lavorando notte e giorno per trovare altri fondi, altri sponsor e per mettere in piedi un altro campionato, perché amo il mondo del beyblade quanto voi, e non mi arrenderò. Grazie per l’attenzione.”

 

La notizia fu accolta da qualche secondo di silenzio, per poi essere seguita dai flash dei fotografi e dalle domande dei giornalisti.

 

Hilary si ritrovò a fissare le sue amiche: avevano tutte un viso smarrito, spaesato. Era evidente che la notizia era pressoché assurda, ma era pure certa il fattore che tramite quella conferenza stampa il presidente avrebbe presto trovato quello che cercava.

 

Altrimenti chi lo sente Takao?

 

Di certo, per le sue amiche andare a vivere con lei per quel periodo non sarebbe stata certo una cattiva idea… Con quei visi spaesati e provati dai diversi periodacci che stavano affrontando, la giapponese con un sorriso consapevole si convinse che alla fine tutto quello che ci voleva loro era soltanto un po’ di quella vecchia, sconclusionata, stupenda, famigerata New York.

Niente fungeva più da scuola di vita che quella città stessa.

 

E io lo so bene.

 

 

 

 

 

 

Continua.

 

 

 

 

 

 

 

Okay, avete letto gli avvertimenti – per forza, se no botte! e.e – avete letto il primo capitolo.

Prima di dire che vi passo la parola, lasciate che io mi stenda cinque minuti: sono stata sette mesi in fibrillazione ed ora la mia creatura sta a poco a poco nascendo! *_*

 

Sono patetica, lo so.

 

Ditemi che ne pensate, non risparmiatevi niente: adoro le recensioni. Quelle vere, quelle intense, quelle scritte con il cuore, e adoro anche le critiche. Ma devono essere costruttive. Se mi dite che una situazione è brutta e la finite lì – esempio – non ha senso, e la critica, oltre ad essere stupida, è infondata. Motivate le vostre recensioni, scrivete, scrivete e scrivete.

 

Sono un po’ su di giri e nessuno se ne è accorto. u___________u

 

Dopo questa ci sentiamo Martedì 13 con il nuovo capitolo: “So What?!”.

Si iniziano a pestare i piedi, guys, la domanda è: a chi, e come?

 

Lo scoprirete solo vivendo, quindi che nessuno muoia!

 

 

E dopo questo sproloquio da mezzanotte e passa di una che ha mal di pancia per la troppa paura, vi auguro la buonanotte.

 

Alla prossima.

 

Vostra per sempre,

Hiromi

 

   
 
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