CAPITOLO
I
Il
Dottore e la Sua Coscienza.
1
I
due uomini si trovarono, dopo ore, davanti al
risultato delle loro fatiche: anni e anni di studi sulla balistica,
sulla
chimica e sull'elettromagnetismo condensati in quell'oggetto, ora
giacente sul
tavolo su cui era stato pazientemente assemblato.
Il più alto dei due osservò l'oggetto e, a
braccia
incrociate, fece una smorfia di assenso: «Caro Edward, ce
l'abbiamo fatta,
finalmente».
Edward lo guardò dal basso, essendo di qualche
centimetro meno alto del suo collega, e sorrise: «Hai ragione
Ludwig, è fatta» disse
con voce roca e con l'erre moscia tipica della pronuncia germanica.
«Sarà il caso di presentarla al Generale
Gobbels?».
Ludwig sospirò dubbioso: «Non so se è
il caso,
vogliono dei risultati concreti quelli delle SS, ma ormai il tempo
stringe...».
Ed aveva ragione ad essere preoccupato, il Dottor
Maxis, uno dei migliori fisici di tutto il "Gruppo 935", di cui era
anche il direttore, perché ormai gli Alleati avevano
dimostrato che potevano
essere degli avversari temibili; la notizia delle vittorie alleate in
Nord
Africa e la sconfitta conseguente degli African Korps di Rommel
suscitò nello
Stato Maggiore delle SS non poche preoccupazioni.
Tuttavia, mentre Himmler, capo delle SS era
impegnato a sedare questi tumulti e a gestire l'apparato organizzativo,
altri
si occuparono per lui di amministrare i gruppi di ricerca sparsi nei
vari campi
di concentramento, e questi pretendevano dei risultati concreti, pena
l'internamento.
Edward prese l'oggetto con cautela e lo ripose in
una custodia per fucili, poi entrambi gli scienziati uscirono dal
piccolo e
angusto stanzino in cui stavano lavorando; la porta stagna si
aprì rivelando lo
sconcertante paesaggio: una gigantesca struttura industriale gremita di
scienziati intenti a discutere, operai concentrati nella costruzione e
naturalmente i vigili e austeri soldati della Waffen SS, che
pattugliavano a
gruppi di tre ogni centimetro di cemento e acciaio.
Uno degli scienziati, vestito con un camice bianco
sporco e unto avvicinò Maxis: «Signore? - lo
chiamò con un accento bavarese -
abbiamo quasi terminato la costruzione del teletrasporto Z-C e del
Mainframe...
li stiamo collegando proprio adesso».
«Ottimo, e per quanto riguarda i nostri ospiti?»
chiese
lui gelido.
«Purtroppo non abbiamo volontari per procedere».
Edward sbuffò e lo aggredì: «Come
possiamo portare
avanti il nostro lavoro se non abbiamo le materie prime, razza di
incompetente!».
L'uomo rabbrividì con ogni particella del suo corpo
ed iniziò a tremare mentre guardava il suo superiore in
quegli occhi blu
elettrico iniettati di sangue: «Ma signor Richtofen, io non
ne posso nulla, ci
hanno quasi del tutto privati dei fondi stabiliti a causa della
guerra... i
Feldmarescialli preferiscono mandare i soldati sul fronte piuttosto che
perderli nei nostri esperimenti...».
«Se vogliono veramente raggiungere la perfezione
della Razza, dovranno fare qualche sacrificio...»
sentenziò.
«Avanti Edward - lo scalzò il collega - lascialo
in
pace... tu piuttosto, torna al lavoro».
«Sì, certo signore disse congedandosi e scappando
via».
«Novellini - si lamentò Richtofen - trovano sempre
un sacco di scuse...».
Maxis si bloccò, poi si girò verso l'amico:
«A
proposito, penso che dopo tutto a Gobbels vedere questa bellezza in
azione non
farebbe poi così male, potrebbero riprometterci i fondi
necessari per
procedere!».
«Magnifico - esultò il suo collega - allora
finalmente ti sei convinto...».
Maxis prese un lungo respiro: «Andiamo forza, prima
ci sbrighiamo e meglio sarà per tutti».
Richtofen annuì.
"Speriamo solo che la tua carta vincente non
sia un vaso di Pandora".
2
I
due scienziati si condussero in una zona vicina
alla struttura centrale, la sede dei laboratori vari, ma molto diversa
come
estetica: la sezione amministrativa, dove l'intero campo era gestito in
modo
impeccabile, dalla
logistica alla burocrazia,
dalla gestione delle attrezzature alle comunicazioni.
A capo dell'intero campo vi era un veterano della
prima guerra mondiale, già combattente per il Secondo Reich
di Bismark e
Guglielmo I, un ufficiale senza scrupoli che aveva seguito il partito
nazionalsocialista fin dagli albori, scontento come tanti suoi
connazionali della
pesante sconfitta subita, fino a che ne diventò un
importante esponente: il
Generale Hans Gobbels.
Il nome del Generale marchiava la porta del suo
ufficio, Maxis deglutì, Richtofen rimase impassibile: a
causa di alcuni screzi
lo scienziato e l'ufficiale non potevano sopportarsi, ma erano
costretti dalle
circostanze a farlo, "Per il bene del Reich" disse Gobbels a Maxis
qualche giorno prima, confidandogli quanto Richtofen fosse...
"eccentrico".
Maxis prese un po' di coraggio e bussò sul legno
liscio:
«Chi mi importuna?» tuonò
una profonda voce oltre la porta.
«Sono Maxis, Generale, le ho portato la Wunderwaffe
DG-2».
«Entrate»
Aperta la porta si trovarono davanti al Generale, un
uomo canuto e tarchiato, come tutti i tedeschi d'alto rango,
dall'aspetto
ordinato e insieme sinistro; stava davanti alla finestra ad osservare
il
complesso industriale da cui i due scienziati provenivano, due
ciminiere
tagliavano il cielo eruttando fumo senza sosta, ingrigendo il
già triste
panorama dei palazzi in vetro, cemento e acciaio.
Fissando oltre le finestre, parlò: «Spero proprio
che abbiate veramente portato quello che avete detto... è
una brutta giornata,
non vorrei che peggiorasse... per voi intendo».
«Non è il caso di essere sarcastici signore...
ecco
a lei la Wunderwaffe DG-2».
Maxis fece un cenno a Richtofen, che estrasse dalla
custodia la DG-2: un fucile dall'aspetto avveneristico, simile nella
forma ad
un fucile mitragliatore, ma molto più leggero ed elegante,
alla luce della
lampadina sul soffitto sembrava quasi splendere.
«Accidenti - disse il Generale notando l'arma dal
riflesso sul vetro e girandosi per ammirarla - questa è la
famosa DG-2?».
«Proprio lei - intervenne Richtofen prima che Maxis
potesse aprir bocca - la nostra arma...».
«Incredibile... forse le speranze di risollevarci
dopo El-Alamein sono ben riposte dopo tutto - disse il Generale
dapprima
fissando l'arma, poi rivolgendosi a Maxis - vi porto davanti allo Stato
Maggiore miei signori... i gerarchi devono sapere che i nostri
scienziati non
hanno perso nulla della loro genialità!».
Mentre diceva questa parole con speranza, si
avvicinò alla sedia e prese con violenza la cornetta del
telefono e compose un
numero; Maxis e Richtofen si scambiarono un'occhiata colma di gioia,
perché i
loro sforzi sarebbero stati ripagati, finire davanti allo Stato
Maggiore voleva
dire di parlare faccia a faccia con Himmler del progetto, ed ottenere i
fondi
necessari per continuare gli studi, e per estensione ottenere la
fiducia del
Fuhrer.
Al solo pensiero, Maxis rabbrividì.
«Sì, vorrei parlare con il Feldmaresciallo Himmler
se è possibile - disse Gobbels alla cornetta - Ah! Non lo
sapevo, non è
arrivata nessuna comunicazione ufficiale... Sì si tratta di
un progetto
completato dal Gruppo 935 di stanza al campo di cui ho la gestione...
Dunque
saranno loro a venire? Durante l'ispezione? Ottimo allora, grazie e
arrivederci»
Gobbels appoggiò la cornetta sul telefono e
si sedette dietro la scrivania, asciugandosi
la fronte ambia con un fazzoletto che poi ripose in una tasca dei
pantaloni
della divisa: «E' cosa fatta caro Maxis e... caro Richtofen -
disse con
sarcasmo - purtroppo Himmler non è contattabile
direttamente, è impegnato in
una qualche ricerca di tipo archeologico, dunque la segretaria mi ha
detto che sola
cosa che potete fare, per ora, è aspettate l'ispezione di un
suo vicario presso
il quartier generale delle SS, ne approfitteranno anche per vedere i
vostri
progressi... ben fatto!».
«Grazie signore - ringraziò Maxis - e Heil
Hitler!>>.
«Heil Hitler» gridò Rictofen alzando il
braccio
destro, per poi ricomporsi e riporre l'arma nella custodia.
«Heil Hitler - ribattè il Generale - e ora vedete
sparite, visto che mi pare che abbiamo tutti un gran da fare!»
I due scienziati uscirono dalla stanza mentre il
Generale scuoteva la testa con una smorfia di dissenso; una volta
chiusa la
porta, tornò a sbrigare le sue mansioni.
«Che stronzo! - si lamentò Richtofen mentre
camminavano lungo il corridoio - noi gli faremo fare bella figura con i
gerarchi e lui ci tratta così, che modi!».
«Cerca di calmarti adesso Edward - ribattè Maxis -
tanto siamo qui... vivi, grazie a lui, nonostante tu gli stia altamente
sullo
stomaco».
«Gli sto sullo stomaco? Bene, bene - disse con uno scatto
d'ira - se ne accorgerà!».
I due colleghi uscirono dal complesso amministrativo,
Maxis diede un'occhiata intorno, in cuor suo era felice per la riuscita
del suo
lavoro, ma sapeva che il Gigante era molto di più che
qualche edificio e tante
belle parole.
Il Gigante era la sua vita.
Il Gigante era l'apoteosi della scienza moderna.
Il Gigante era la sua condanna eterna.
3
La
struttura nota come Gigante fu costruita nei
pressi della città di Breslau, o Breslavia, all'inizio del
1935, concepita
dapprima come campo di concentramento per tutti quegli elementi che
"inquinavano" la razza ariana, poi convertita in un complesso
scientifico tre anni dopo, quando un'incredibile scoperta scientifica
convinse
lo Stato Maggiore ad investire delle corpose cifre nell'approfondimento
del
fenomeno che la scoperta comportava; non di meno l'approfondire alcune
conoscenze in campo medico e biologico sfruttando gli internati come
cavie.
Inutile dire che tra i discutibili metodi utilizzati,
le precarie condizioni di salute portate dall'internamento e la
cattiveria di
soldati e "scienziati", le cosiddette cavie morivano nelle
più atroci
sofferenze e nei peggiori modi.
Maxis, in quanto direttore del Gruppo 935, fu
incaricato di portare avanti la ricerca anche in questo campo, meglio:
fu
costretto a farlo dalle circostanze; i risultati furono talmente
sorprendenti e
incredibili, che i rapporti che inviava periodicamente allo Stato
Maggiore, che
poi si incaricava di inviarli a sua volta al Ministero della Scienza e
dell'educazione e al Ministero delle armi, munizioni e armamenti,
venivano
puntualmente letti, derisi e archiviati nella polvere.
Grazie a questi inconvenienti Maxis divenne per la
Cancelleria del Reich un ciarlatano e un pazzo visionario, che
però aveva la
fiducia del Generale sotto cui lavorava, del suo staff e una notevole
Laurea in
Fisica fieramente appesa alla parete della sua camera da letto.
Ma si sarebbe presto riscattato: la telefonata di
Gobbels avrebbe innescato il processo di ascesa in seno
al Reich e il ciarlatano sarebbe diventato il
più grande scienziato del secolo.
Tutto però stava nel prepararsi adeguatamente alla
visita dei gerarchi, così in una sala del complesso, lo
studio dello stesso
Maxis, il Gruppo 935 si riunì.
La stanza era arredata in modo spartano: un tavolo
con penne, calamai e fogli di carta intestata, subito a fianco una
libreria
piena di libri spessi e ingialliti, le pareti scure, una vetrata che
dava sul
cantiere del Mainframe, un disco di metallo fissato a terra da cui
partivano
degli spessi cavi elettrici, e gli operai, naturalmente sorvegliati,
che ci
lavorano intorno.
Oltre a Maxis e Richtofen , lo staff era composto da
altre due persone: Sophia, coetanea di Maxis, di aspetto grazioso ed
elegante,
con il corpo magro e slanciato, portava una certa "allegria"
suscitando gli appetiti dei più rozzi soldati e viscidi
operai, anche se tutti
sapevano che tra lei e il Direttore del Gruppo c'era del tenero, e non
solo.
L'altro membro, un certo H. Porter, veniva
direttamente dai laboratori di progettazione balistica della
società Mauser,
storica produttrice di molte armi in uso dalla Wehrmacht e
dall'esercito
Imperiale già dal secolo precedente; venne scelto da Maxis
in persona perché riconobbe
il suo talento nel progettare armi, nonostante la sua giovane
età,
relativamente a quella dei tre colleghi.
I quattro si trovarono nello spartano ufficio del
Direttore che, affiancato come sempre dal suo assistente, e amico di
ormai
vecchia data, Richtofen, diede la notizia, con una certa emozione nella
voce
solitamente piatta: «Signori, vi ho convocato con questa
urgenza perché tra
pochi giorni avremo il piacere di ospitare alcuni gerarchi delle SS,
inviati da
Himmler in persona per verificare la... qualità del nostro
lavoro qui al
Gigante».
Sophia tremò e si guardò intorno nervosamente,
Porter invece strinse la mano al suo capo: «Sono contento per
lei signore!».
«Grazie Porter... ma vedete, questo non sarebbe mai
successo se ci fosse stato questo team, - poi si rivolse a Richtofen -
e anche
un grande amico con cui collaborare!».
«Ho fatto solo il mio dovere!».
«Vero, ma l'dea della DG-2 è stata tua!».
«Ma le competenze ce le hai messe tu!».
Sophia li interruppe mentre Porter seguiva il ringraziarsi
a vicenda dei due scienziati: «Ma cosa faremo per dimostrare
il nostro lavoro?».
Porter si irrigidì: «Eh, bella domanda!».
Maxis fece un sorriso appena accennato: «Ma è
proprio qui che si trova il... "trucco": noi dobbiamo dimostrargli
che meritiamo quei soldi, e che ne vale la pena, perciò
dobbiamo essere pronti
a qualunque loro domanda o dubbio, dobbiamo soddisfare ogni
perplessità, e
naturalmente rendere il più appetibile possibile l'oggetto
delle nostre
ricerche!».
«Però il teletrasporto è ancora
inattivo, senza l'Ununpentio
ad alimentarlo...» avvertì Porter.
«E' vero, ma è quanto abbiamo stabilito, il
frammento di Ununpentio deve restare sotto chiave, sapete che cosa
è in grado
di fare, se non lo usiamo con cautela, giusto?».
Porter abbassò la testa, imbarazzato; Sophia fissava
Maxis negli occhi, lui si sentì a disagio:
«Dobbiamo fargli vedere... tutto?».
«E' necessario...» disse Maxis avvicinandosi alla
donna.
«Potrebbe essere pericoloso, Ludwig» gli
sussurrò in
un orecchio.
Maxis prese le mani della donna e le accarezzò:
«Se
dovesse accadere il peggio, farò in modo che i Soggetti non
ti tocchino neanche
con un dito!».
Richtofen Tossicchiò e i due dottori sciolsero il
legame, Porter alzò la testa, deglutì
amareggiato: «Allora, come procediamo
capo?» chiese sospirando.
«Dobbiamo procurarci indubbiamente delle...
cavie, su cui sperimentare le potenzialità dell'Elemento -
spiegò Maxis - e
credo proprio che il campo di concentramento qui vicino faccia al caso
nostro... vero Edward?».
«Ja... ma non volevi soldati di genealogia germanica
pura?».
«Visto che i soldati sono impiegati al fronte,
conviene arrangiarci, vedi se riesci a recuperare i cadaveri di qualche
prigioniero, potremmo fare i test su di loro e mostrare i risultati ai
gerarchi»
continuò il Direttore.
«Splendida idea
Ludwig!» esultò Sophia.
«E io che faccio?» chiese Porter speranzoso.
«Non volevi costruire quell'arma di cui mi avevi mostrato
i progetti?».
Porter lo guardò con incredulità:«La
X2? Vuoi
davvero che costruisca la X2?».
«Mettiti al lavoro!».
«Sì certo signore!» ed uscì
seguito da gongolante
Richtofen; Maxis e Sophia rimasero soli nell'ufficio.
«E io che faccio, dottore?» chiese lei con tono
malizioso.
«Tu controlla i teletrasporti, e per la carità,
stai
attenta... sai che ci tengo molto a te...».
«Ludwig... - disse mentre respinse il dottore, che
voleva abbracciarla - pazienza tenere... provare a tenere il segreto ai
colleghi, ma non dovresti dirlo a Samantha?».
«Dirgli cosa?» disse facendo finta di non sentire.
«Ma come cosa? Di noi due!».
«E' ancora troppo piccola, non si è più
ripresa
dalla morte di sua madre... le ho promesso un futuro
migliore...».
Sophia lo guardò con il suo sguardo penetrante: «E
sarebbe questo quel futuro?».
«Senti Sohpia, questo è solo un punto intermedio
nel
percorso: quando avrò ottenuto i fondi dallo Stato Maggiore
sarà tutto più
facile, io sarò rivalutato come scienziato... potremmo
finalmente sposarci e
costruire una famiglia, insieme!» fantasticò.
«Ludwig - lo interruppe - sei così preoccupato
della
reputazione che hai ufficialmente che non ti accorgi di non avercela
né come
marito... né come padre... pensaci».
Lui si bloccò guardando verso il basso, Sophia ne
approfittò per uscire dall'ufficio: «Vado, che
purtroppo il Teletrasporto C-Z è
ancora in costruzione, avranno bisogno di me al cantiere».
Chiuse la porta lasciando il Dottor Ludwig Maxis,
Direttore del Gruppo 935, laureato in Fisica a Berlino, padre di una
bambina da
pochi mesi orfana, a riflettere da solo nel suo ufficio su
ciò che lui è e ciò
che dovrebbe in realtà essere.
Ma la tentazione di essere qualcosa di più di quello
che era in quel momento lo corrodeva da dentro.