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Autore: Fairy Black    08/05/2006    2 recensioni
ciao a tutti!! tengo a precisare che questa non una classica fic tinta di rosa dove regnano sovrane ragazzine timide con problemi di ragazzi, amicizie, segreti, piccole bugie e, soprattutto, una super-mega-iper-migliore amica del cuore alla quale dire tutto, compreso il codice fiscale.E anche se forse qualche componente fra quelle citate probabilmente non mancherà veniamo alla storia: insomma, è la storia di una ragazzina, più o meno della stessa età dell’autrice della fic, che è al di sopra di tutto ciò ed ha altri problemi a cui pensare: come l’averle attribuito senza che lei facesse nulla di male un nome non proprio convenzionale… oppure una famiglia adottiva che non si può proprio definire “famiglia vera e calorosa” ; oppure ancora, se vogliamo, la cattiva reputazione da parte di tutto il vicinato e, il brusco trasferimento in un’altra città che, come vedrete, le cambierà la vita. Tutte cose che manderebbero in analisi per vent’anni consecutivi chiunque, ma lei no. Il motivo?...leggere per sapere!!ihihihi!! >_< e recensire!!
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Cadde il silenzio nella stanza. Tutta la famiglia guardava lei. Anzi, non tutti: la donna pareva accorgersene solo ora. Poi questa sorrise facendo vedere i denti probabilmente sbiancati col bicarbonato e disse con la voce più da sgualdrina in falsetto che aveva: - Heineken! Oh, Heineken, non ci credo, sei tu! Come sei cresciuta! Beh, certo sono passati quattordici anni! Eh, eh… ti ricordi di me? No, certo che no… -

Heineken rimase impietrita. No, non era possibile. Stava sicuramente sognando.

- Heineken… - disse la zia dalla poltrona dov’era seduta rigidamente - Heineken, questa è… -

-… tua madre. – la interruppe il signor Anderson, dando una durezza veritiera e agghiacciante che Rose avrebbe senz’altro evitato.

La zia si irrigidì ancora di più, poi continuò piano: - Heineken, questa è mia sorella. Jane Miller. Ed è… ed è anche quello che ha detto tuo zio. –

Lo sguardo cadaverico sotto shock di Heineken passò dalla zia alla volgarissima donna scosciata sul tavolo del salotto illuminato da alcune abat-jour. Senza parlare. Non ci sarebbe riuscita.

- beh, tesoro, non dici niente? – le chiese quella.

Ancora nessuna risposta. Era sicura che se avesse aperto bocca avrebbe vomitato.

- Rose, ma… è muta? – chiese Jane rivolgendosi alla zia. Ora non aveva più il tono da sgualdrina, ma da donna quasi normale. Questa rispose un glaciale “No.”, senza neanche guardarla.

- beh, non dici niente? Che c’è, il gatto ti ha mangiato la lingua? -

Di nuovo niente. Solo i suoi occhi sgranati, la bocca serrata e la pelle più bianca del solito.

- beh, se tu non vuoi parlare allora parlo io. Allora… probabilmente ora ti starai chiedendo perché sono qui. Beh, ecco, sì, insomma… sono venuta a riprenderti. Ho la legge dalla mia parte per cui sono libera di riprenderti con me. Tra una settimana tu vieni via con me a Detroit. Giusto il tempo di sistemare un affarino qui a New York. Poi andiamo via.  -

Heineken fissò il vuoto qualche attimo prima di cadere a terra.

 Andare via da New York, con la sua vera madre che era arrivata solo ora tra capo e collo. Lasciare Jim, gli amici, la sua vita. E se le voci erano vere? Se quella che le si parava davanti sotto il nome di sua madre fosse stata davvero quella che le avevano detto?

Cadde a terra, priva di sensi. Nel sonno sentì delle voci, prima di vedere delle cose. Sentì la zia che scattava in piedi e gridava a Jane di lasciare immediatamente la casa; la donna che rispondeva con delle frasi urlate che Heineken non riuscì a capire. Poi immagini: Michelle con il corpo della madre che si drogava insieme a questa, che aveva il corpo di Michelle; Jim che piano piano si allontanava nell’oscurità più profonda tendendole una mano che lei non riusciva ad afferrare. Le gemelle che piangevano di fronte alla sua tomba, vestite in nero e con delle rose rosse in mano, che poi facevano un rituale strano insieme a M.P. per farla rivivere, ma ottenendo solo una sua grottesca trasfigurazione. Gli Anderson che si auto mutilavano di fronte alle risa sguaiate di Jane e un gruppo enorme di sordidi camionisti in canottiera. E lei stessa che provava a scappare in un bosco impervio e buio, ma senza riuscirci, provava ad urlare, ma non ci riusciva. Inseguita dalla madre, che si faceva sempre più vicina e con un volto demoniaco.

Poi buio assoluto.

Quando riuscì ad intravedere qualche cupo spiraglio di luce, era già l’indomani mattina, nel suo letto. Dopo qualche attimo aprì gli occhi, in un primo momento senza capire bene dove si trovasse. Poi i suoi occhi incrociarono lo sguardo della zia.

- dimmi che ho sognato tutto, zia… - disse debolmente Heineken. – dimmi che l’ ho solo sognata… dimmi che non è lei -

Rose guardò Heineken con occhi pieni di lacrime, che però tratteneva con energie sovraumane. Poi abbassò lo sguardo.

- parlami di lei, zia. -

Passarono qualche minuto in silenzio assoluto. Heineken rimaneva nel suo letto, incapace di alzarsi, Rose evitava il suo sguardo, cercando di rimanere calma e immobile; probabilmente cercando il punto da dove cominciare la storia di Jane.

- Bene, Heineken… - cominciò nel tono più controllato possibile – è ora di dirti tutte quelle cose che avresti dovuto sapere molto tempo fa. -

- vedi… la storia comincia quasi trentanove anni fa, a Providence, la città dove siamo nate io e Jane. Vivevamo in una casa benestante appartenente a mio padre, tuo nonno, che all’epoca comandava un azienda di dolci molto importanti: la “Miller ’s Sweetcakes” che esiste ancora oggi. In altre parole era un dirigente. Io… io ricordo di essere sempre stata molto gelosa di lei. All’interno della nostra famiglia Jane è sempre stata la favorita di tutti: parenti, amici di famiglia, colleghi di mio padre, amiche di mia madre, servitù e tutto il vicinato. Ricordo anche che le male lingue ci paragonavano l’una con l’altra e come sempre favorivano lei: portava sempre con grazia gli abitini che ci comprava mia madre, (non che io non lo facessi), cantava solista nel coro della chiesa locale (io ero nel coro), e conosceva a memoria tutto l’albero genealogico di famiglia, sin dagli antichi Miller, abitanti nella Providence di fine 700. (non che io non lo sapessi). Insomma: infine io cercavo di somigliarle, di sforzarmi di essere perfetta, di essere la migliore in tutto… Ma le cose cambiarono tragicamente quando Jane aveva diciassette anni. -

Rose fece una pausa. Heineken la ascoltava interessata, senza staccarle gli occhi di dosso. Poi riprese:

- Anzi, no, prima. Jane aveva un carattere molto ribelle e litigava con i miei genitori ad ogni occasione sin dalla prima adolescenza, da quando era cambiata. Comunque, vedi, la tradizione di famiglia vuole che la primogenita dei Miller sposi uno dei dipendenti più prestigiosi dell’azienda, al fin di mantenere salda questa. Sarei dovuta essere io a sposarmi, anche perché, oltre ad essere la primogenita avevo diciotto anni. Ma Jane riceveva molte più proposte di matrimonio di me, quindi, papà, stanco di aspettare, decise di maritare lei per prima; facendole conoscere un tale Steven Kilborne, uno dei dipendenti più giovani e prestigiosi della “Miller ’s Sweetcakes”, era capoufficio. In tutta confidenza… l’avrei voluto io. Comunque Jane rifiutò piuttosto energicamente lui e tutte le altre proposte di matrimonio e… quando la mia famiglia volle sposarla a forza… scappò di casa. Non ne seppimo più nulla e la mia famiglia non la volle più riconoscere come loro figlia. -

Fece un’altra pausa, le stavano venendo le lacrime. Forse avrebbe finalmente raccontato il grande segreto di Jane.

- poi… poi quando è scappata, io… io… io mi sono sposata c - con Robert e…-

Tirò su col naso. – e… e… e non era capoufficio, booow! Faceva l’impastatoreee! Poi trovò un nuovo stupido l-lavoro come venditore d’auto e… e mi ha anche fatto rifare il senooo!!!- strillò Rose tra le lacrime.

Heineken aveva appena scoperto un segreto agghiacciante riguardante sua zia: la sua frustrazione. Ma, nonostante fosse altrettanto importante, non le importava: voleva sapere su sua madre, non le lacune non risolte della zia.

- zia, siamo qui per parlare di Jane. Continua l’argomento, per favore. -

- si… poi non c’è molto da dire… quando ero alla fine della gravidanza di Chelsea e Ben era piccolo, un giorno, di mattina presto, mi ero alzata per andare a vedere se fuori c’era posta e… ti ho trovato addormentata sullo zerbino. Non sapevo come tenerti, anche perché a quei tempi eravamo già in difficoltà con un bambino e un’altra che stava arrivando, quindi… ho – ho guardato con rabbia il biglietto che c’era con te e… ti ho portato in orfanotrofio. Quindi… -

- aspetta un attimo. C’era un biglietto con me? -

- sì. -

- e che c’era scritto? -

La zia esitò, poi rispose: - “si chiama Heineken ed è tua nipote. Fanne buon uso.”

- fanne buon uso?!! – ripeté Heineken incredula.

- sì, Heineken, purtroppo è così. -

- Ma se mi hai portato in un orfanotrofio… perché sono qui? -

- ora te lo dico. Vedi, ti ho portato in un istituto perché non sapevo come tenerti e non volevo che tuo zio lo sapesse. Era già di cattivo umore perché stavamo per avere una femmina, lo strnz… - disse le ultime due parole tra i denti. – poi… vedi, mi sono molto sentita in colpa e ti riprendemmo due anni dopo. Non ti aveva preso nessuno con se. -

- quindi sono stata i primi due anni della mia vita in un istituto… -

- No, aspetta, non è proprio così.  Nel frattempo venni a sapere che Jane si era sposata con un tale Jack, e allora le suore dell’istituto ti affidarono a lei, che nel frattempo l’avevano rintracciata. Sei vissuta un po’ di tempo lì da loro, poi sei ritornata in istituto, dove sei mesi dopo ti abbiamo preso noi. Fine della storia. -

- ma… perché sono ritornata in istituto? -

- Heineken… - rispose la zia avvicinandosi, dandole una carezza sulla fronte: - …non è difficile immaginarlo. Poi… io so solo questo. Ti prego, non fare altre domande. -

E uscì dalla stanza, lasciando Heineken sola.

Si riaddormentò.

Poco prima di sprofondare nel sonno si chiese: “ma allora, era una prostituta o no? O lo è ancora? Chi è Jack? E mio padre era lui? Chi era mio padre? Cos’è successo quando ero molto piccola a Detroit? Perché mi hanno strappato alla mia famiglia e riportato in istituto?”

Poi ancora oscurità. Un lungo sonno senza sogni. Buio totale e assenza di suoni. Uno sgocciolo di morte.

 

 

 

 

 

Si risvegliò parecchio tempo dopo, non sapeva che ora fosse, ne se c’era qualcuno con lei o quanto tempo aveva passato a dormire. Solo che ora aveva le energie necessarie e si alzò barcollando sino alla cucina. Vide che c’era tutta la famiglia intorno al tavolo.

- ben svegliata… - grugnì lo zio.

Heineken non ci badò e si rivolse alla zia: - zia… credo di essermi riaddormentata… quanto ho dormito? –

- venticinque ore esatte, Heineken. – disse questa.

- Prego?!? -

- hai dormito più di un giorno. -

- ma se sei venuta in camera mia poco fa… -

- no, Heineken non ci entro da ieri… uhm… forse da qualche ora per controllare che non fossi morta. -

Heineken non rispose. La zia aveva ripreso il suo tono glaciale e altezzoso, o almeno così le sembrava. Ma sapeva che era solo perché c’erano marito e figli in circolazione. Rose era ansiosa. Lo era molto. Ma, senza che Heineken capisse il motivo, lo nascondeva.

Decise di tornare in soffitta, quella che fungeva da camera sua. Arrivata, si sedette sul letto, spinta a formulare un pensiero abbastanza deprimente adatto al caso. Quando era arrivata alla vaga idea del suicidio, le squillò il cellulare. Guardò. Un messaggio da Michelle.

Oh, no! Come avrebbe fatto a dire a Michelle e Jim, che erano le persone più importanti della sua vita che li stava per lasciare per sempre?

Guardò il messaggio: una proposta di uscita a un pub, quello della volta precedente, non l’Underground; per quella sera, alle nove e mezza o dieci meno un quarto.

Ecco. L’occasione era arrivata su un piatto d’argento. Quella sera sarebbe stata obbligata a parlare.

Le vennero le lacrime, e mentre le scorrevano lungo il viso afferrò il telefono per rispondere al sms.

Poi si ributtò sul letto aspettando la morte. Era l’unica cosa da fare.

Ma le ore passavano lente, e la zia aveva addirittura rindossato la sua maschera insensibile e artificiale, il che, in un raro momento di umanità, le avrebbe fatto ancora più venire il sentimento di depressiva frustrazione.

Poi, alle nove di quella sera si avviò verso l’uscita con aria mortifera. Non la vide nessuno, ma Heineken sapeva che se l’avesse vista, in cuor suo la zia l’avrebbe voluta fermare con tutte le sue forze. Improvvisamente le venne un pensiero: gli Anderson temevano Jane. Ma non ci stette a pensare troppo perché aveva altre preoccupazioni: era LEI STESSA che sarebbe stata con Jane per il resto del tempo; ed era lei che forse avrebbe dovuto temerla. Non sapeva niente di lei, e la zia non le aveva detto cosa faceva attualmente.

Ma ripensò ai vestiti che portava due giorni prima: davano tutti gli indizi che Heineken avrebbe preferito non dedurre. 

Le stavano ancora per scendere le lacrime. Ma prima che la prima potesse scendere lungo una guancia si sentì chiamare da dietro da Michelle. Oh no. Ecco. Ecco che arriva il dolore. La coltellata è arrivata prima e ora arriva il dolore.

Si asciugò rapidamente e si girò, sforzandosi di fare un sorriso e di salutare con cortesia.

- ciao. -

- Ciao! Beh, perché quella faccia da funerale? -

- quale faccia? – disse Heineken sorridendo forzatamente.

- boh, no, niente. Allora, che mi racconti? – la prese sotto braccio e cominciarono a camminare.

- oh, niente, ti direi solo banalità… -

- niente di nuovo, eh? Uffa la nostra vita non ha mai un colpo di scena… -

“puoi dirlo forte…” pensò sarcasticamente Heineken, facendosi del male da sola.

- comunque…questo pub è bellissimo, ci sono andata un giorno con mia cugina. I pavimenti sono tutti in parquet e le pareti tutte rosse fluo. I bagni non assomigliano ai cessi di un autogrill, ma sono puliti e lindi, e i camerieri sono tutti dei gran pezzi di ragazzi. Ci scateniamo stasera?!? Eh?! -

Heineken non rispose. Ogni tanto dava un cenno di assenso e/o diceva qualcosa, ma fu Michelle a parlare.

Poi arrivarono al pub. Beh, per essere chic lo era. Ma Heineken non disse niente.

- beh, che c’è, non parli?! Questo locale è una figata e tu rimani zitta?? -

Provò ad aprire bocca, ma poi videro Sarah Williams che andava verso di loro.

- Ciao! Venite su, siamo tutti lì! -

le due la seguirono al piano di sopra del locale.

Quando vide Jim, Heineken si sentì come se avesse saltato tre gradini insieme senza accorgersene. E si sentì letteralmente a pezzi quando lo baciò.

Poi i nove presero posto in un tavolino e cominciarono a chiacchierare. Si parlò di tutto: scuola, prof. Obbrobriosi, musica (dove John ebbe uno scontro con Nicole per la differenza di gusti), film, e quant’altro può passare nella mente di un teen ager. Ma Heineken rimase sempre muta.

Dopo che fu sollecitata parecchie volte in pubblico dagli altri, ad un certo punto Michelle la chiamò a voce bassa e le chiese: - ma che cos’ hai? Perché non apri bocca da tutta la sera? –

- vieni un attimo in bagno, ti devo parlare di una cosa. -

Heineken si alzò seguita da Michelle e dagli sguardi degli altri sette.

Una volta arrivate nella toilette delle donne, Heineken si accasciò su una parete. Michelle la guardava con una punta di preoccupazione.

- allora, che ti è successo, Heineken? -

- non so come dirtelo, è una cosa che dovrebbero sapere anche gli altri, ma non ho il coraggio di dirglielo in faccia… specie a Jim. Quindi o dico solo a te che sei la mia migliore amica. -

- spara. -

- si tratta di mia madre. -

- tua zia, vorrai dire…-

- no, Michelle, mia madre. Mia madre in persona. -

- tu non vivi con tua madre… -

- lo so, Michelle, questo lo so anch’io! -

Michelle stette un attimo zitta, poi disse: - allora? Cos’è successo con tua madre? Una volta mi hai pure detto che non sai nemmeno tu chi è… -

- esattamente. Ma… è tornata. È tornata a cercarmi l’altro giorno e mi ha trovato.

Michelle sgranò gli occhi, poi fece un mezzo sorriso e disse: - wow, mi immagino abbracci e lacrime, come nei film strappalacrime che si vedono ogni tanto alla tv…! Beh, non sei contenta? Ora hai la tua mamma, che sicuramente si vendicherà di te con i tuoi zii e vivrete felici e contente insieme. Non è così? Non è tornata a cercarti per prendere casa insieme a te? –

- sì… a Detroit. -

Michelle sgranò ancora di più gli occhi, divenne pallida e il suo sorriso divento una bocca che si spalancava sempre di più; piano piano, con l’abbassamento precoce della mandibola. Le sue pupille diventarono più piccole, restringendosi.

Poi disse confusamente una frase: - v-vuoi dire che… ci lascerai tutti? Noi, Jim, la scuola? È così? –

Heineken guardò per terra; invece Michelle la abbracciò con forza, poggiando gli occhi, che probabilmente piangevano, sulla sua spalla.

- oh, Heineken… e non puoi fare niente per impedirlo? Oddio, mi manchi di già!-

- l’ ho detto a te perché lo dicessi a gli altri e a Jim in separata sede;  non posso dirglielo io. Sento di non farcela. -

- oh, promettimi che mi scriverai tutti i giorni! E telefonami pure! Non so come farò a stare senza di te per sempre! -

Heineken sentì tristezza.  Poi rabbia. Poi odio verso la madre, che, con sadismo e con la sfacciataggine più tosta che un essere umano potesse avere in corpo, se la stava riportando verso una metropoli lontana e sconosciuta, strappandola alla sua vita, dopo che l’aveva abbandonata al suo destino sedici anni prima. Si morse un labbro; avrebbe voluto vederla morta.

- Come farò a dirlo a Jim e gli altri? -

Non rispose. Dopo un po’ disse solo: - vieni, torniamo dagli altri. –

Heineken e Michelle uscirono dalla toilette.

Come arrivarono al tavolo, Sean disse: - ma dov’eravate? Siete fuori da un quarto d’ora! –

- oh, ehm, niente di importante, stavamo parlando di una cosa… - rispose Michelle.

Jim guardava Heineken con un’espressione interrogativa, lei fece finta di non vederlo e lo ignorò. Il resto della serata si passò in tensione. Anche Michelle era diventata legnosa e dall’aria sconvolta. Heineken non sapeva che fare. Senza sapere neanche il motivo, ad un certo punto chiamò una cameriera e ordinò un Rum Bacardi doppio, sotto gli sguardi evidentemente sorpresi degli altri.

- ma sei pazza? – disse Nicole – sai che quella cosa è una bomba? Per chi non è abituato a bere è fatale! -

- questo lo dici tu perché oltre alla gazzosa e un bacardi alla frutta esotica non vai

disse scherzosamente Jesse prima che Heineken potesse rispondere qualcosa.

Jim la guardò, ma non disse niente.

Un paio di minuti dopo arrivò la cameriera con un vassoio con un grande bicchiere con dentro un liquido trasparente con ghiaccio e scorza di limone. Senza dire niente, Heineken cominciò a bere, e lo finì in poco tempo.

- wow, mitico come te lo sei scolato in fretta! – esclamò Sean incredulo. – sai, ho uno zio che lavora alle fiere campionarie sparse nel Texsas, organizza le gare tra chi si beve più velocemente i bicchieri di Whisky o a chi fa il sorso più lungo. Potremmo mandarti, vinceresti tutti i campionati! -

- non essere stupido, Sean – ribatté Jim guardando Heineken. Poi, quando l’attenzione fu spostata altrove, le chiese sottovoce: - stai bene? Ma è successo qualcosa? -

Heineken fece un cenno di “no” a testa bassa, poi chiamò di nuovo la cameriera e ordinò una sambuca col limone e il chicco di caffè.

Non disse più niente per la serata. Le uniche parole che diceva erano rivolte alla cameriera per: un Gin, un Whisky, un altro Rum Bacardi e, per finire un pesantissimo Irish Coffee. 

Dentro la sua mente non vedeva altro che Jane che parlava con lei, in quella fastidiosa posizione a gambe aperte sul tavolo del salotto. Diceva delle cose che Heineken non capiva, e le immagini a poco a poco si sbiadivano e distorcevano sempre di più, e i suoni si confondevano con le voci degli amici che probabilmente la stavano chiamando per chiedere se andasse tutto ok, con la voce di sua madre.

Ad ogni modo era totalmente incapace di rispondere, anche se avesse capito ciò che dicevano. Vedeva tutto sbiadito e in movimento, confondendo ciò che era all’interno della sua mente con quello che la circondava in quel momento.

Vide delle ombre nere alzarsi intorno a lei, forse lasciandola sola al mondo. Poi, una di loro, dalla sua destra, la sollevò.

Con la paura che le scorreva nel sangue, Heineken vide di nuovo il volto della madre, nel salotto vuoto e semibuio degli zii, che le diceva qualcosa tipo: “ dai, Heineken, non ti preoccupare, ci sono io…”

Guardò l’ombra nera che l’aveva sollevata dalla sua destra, e che ora se la stava portando via, verso non so dove. Mise a fuoco, l’immagine. Si aspettava di vedere Jane, ma poté distinguerla con un volto familiare. Un ragazzo dai capelli neri, vestito con un paio di jeans e una tshirt a maniche lunghe nera. Doveva essere Jim, ma questo lei non lo poteva sapere. Se la stava portando con sé, per quel locale riscaldato che le pareva infinito, come in un labirinto da dove non sarebbero mai usciti vivi.

Ma ad un certo punto, freddo e oscuro, e qualcuno che le infilava un giubbotto sulle spalle. Probabilmente intorno a lei le ombre dicevano qualcosa, ma lei non lo sentiva.

Poi in un attimo, ancora lo sguardo deformatamene demoniaco di sua madre. Oh, no! Era di nuovo nel bosco oscuro da dove non riusciva a scappare! No! Non di nuovo! Basta, lasciami stare! Lasciami in pace e vai via!

Voci confuse intorno a lei: “ma che ha?” “cosa sta succedendo?” poi una voce molto vicina a lei: “Heineken, Heineken, sono io guardami! Non mi riconosci?”

Heineken guardò la figura buia che la teneva stretta a sé. Improvvisamente vide di nuovo quello sguardo mostruoso, quegli occhi bianchi, quei denti aguzzi, quella voce diabolica!

- lasciami! Lasciami andare!Lasciami andare, vai via di qui! Sparisci, vai via da me! -

“Heineken, Heineken, ascoltami: non ti preoccupare, capito? Ci sono io qui, nessuno può farti niente di male! Sono qui vicino a te, nessuno ti toccherà”

Ma Heineken vedeva solo quel volto spaventoso, quegli occhi, solo malvagità e dolore poteva trarre da quella voce che le prometteva di proteggerla.

Con la assai minima forza che si ritrovava in corpo, riuscì a liberarsi dalla figura nera, che a tratti si trasformava nel mostro del bosco, che la reggeva stringendola a sé. Barcollò pochi passi più lontano, camminando all’indietro, vedendo solo quelle ombre che le si avvicinavano per prenderla con loro e portarla via nel bosco della sua mente.

Gemette confusa, con le lacrime che le scorrevano lungo le gote, allontanandosi sempre di più camminando all’indietro. Le ombre continuavano ad avanzare. Poi, all’improvviso, una luce, un lampo a illuminarle insieme all’ambiente circostante. Poi un rumore di frenata, un colpo doloroso e sordo, urla intorno a lei.

Poi di nuovo il buio.

  
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