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Autore: Circe    08/09/2011    9 recensioni
La battaglia non va per il verso giusto, gli Horcrux sono stati distrutti e la bacchetta di Sambuco non funziona a dovere. Il Signore Oscuro improvvisa quindi una ritirata tattica per non venire definitivamente sconfitto. Insieme a lui solo Bellatrix, la persecuzione dell'amore, un problema da affrontare e il potere da riconquistare.
E la storia ... si ripeterà.
Seguito di “Sgáth, che significa oscurità”
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Eclissi di luna: l'oscurità totale'
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Notte di tempesta

Quella notte si era improvvisamente scatenata una tempesta, a tarda notte, con pioggia e vento sferzanti e potenti.

Nessun tuono o lampo all’orizzonte.

Solo vento e tanta pioggia.

La pioggia, tutta quell’acqua mi facevano sentire una sensazione strana di debolezza, nausea, malore.

Mi ero svegliata lentamente, senza muovermi dal letto, perché era quello del mio Signore. Sentivo le imposte che sbattevano, ma non violentemente, e lasciavano insinuare il vento che, a volte, muoveva leggermente le fiamme delle poche candele rimaste accese nella stanza.

Sentivo freddo nonostante fosse il periodo più caldo dell’anno, nonostante tutto il calore e il sudore di quelle giornate, un freddo strano, eccessivo.

Per questo mi ero messa per bene sotto le lenzuola, per cercare di riscaldarmi con quegli indumenti leggeri, e avevo acceso il fuoco con un tocco della bacchetta ma, stranamente, risultava poco potente, riscaldava a malapena.

Quella notte era diventata improvvisamente poco accogliente.

Inspiegabilmente ho stretto le braccia sul mio ventre, mi sentivo le vertigini.

Tentavo di non dirlo a me stessa, ma avevo una strana sensazione, come timore, paura.

Non ho quasi fatto in tempo a percepirla completamente, che ho sentito dei passi lenti entrare nella stanza: il mio Signore era tornato da me. Raramente mi era successo di vederlo entrare in camera senza un chiaro motivo sessuale. Anzi, probabilmente mai.

Per questo mi sono voltata verso di lui, alzandomi a sedere sul letto: in quel momento non dava nemmeno per un attimo l’idea di voler avere rapporti sessuali, anzi, il suo sguardo non pareva avere in mente nulla di vagamente piacevole.

Non so come, ma avevo già capito tutto.

Il suo pallore era più pronunciato del solito, mi impressionava e rassicurava allo stesso tempo, era inquieto, come me.

Questo me lo faceva sentire vicino, ma allo stesso tempo, sapevo bene che lui non stava mai realmente molto vicino ad una persona.

I suoi occhi quasi brillavano di lampi di luce rossa, come se anche da essi scaturisse la sua magia, la sua energia distruttiva.

Le sue intenzioni diaboliche.

Si era fermato sulla porta ad osservarmi lungamente.

Mi ero appoggiata al cuscino ricambiando il suo sguardo, pronta a sentirlo, accontentarlo nei suoi desideri, anche i più incerti.

“Ditemi, mio Signore.”

Lui però restava fermo, come soprappensiero, senza parlare.

Dopo alcuni interminabili istanti di silenzio, ha posato il suo sguardo sul mio ventre, appena gonfio. Poi mi ha guardato serio in volto:

“Il problema sta esistendo davvero, e fin troppo. Carne, fuoco, magia … basta così, è giunta l’ora.”

Ho trattenuto per un attimo il respiro.

Voleva eliminarlo, finalmente si era deciso.

Mentre lo vedevo avvicinarsi lentamente a me, così convinto, così inesorabile, ho capito che non ero assolutamente più sicura di nulla.

Il problema era il suo erede … e il mio erede. Aveva ricominciato a chiamarlo il problema, il mio Sgath …

Lo stavamo distruggendo, cancellando, eliminando ed estirpando.

E avevo insistito io. E quanto avevo insistito: gli sguardi, l’odio, la paura, persino le parole, talvolta.

Ormai non osavo più dire nulla, non volevo in nessun modo contraddire il mio Signore, volevo ubbidire e farlo felice. Avevo solo il terrore che facesse male anche a me.

O forse non solo a me.

L’ho guardato con paura mentre mi si sedeva accanto.

“Non ci vorrà molto, è l’unico momento adatto. Il più preciso e perfetto.”

Mentre diceva quelle parole, era stranamente concentrato, non mi guardava, guardava solo in basso, verso il mio ventre, quasi a sondare ciò che avevo dentro di me, quasi a volerlo penetrare per osservare dentro.

Poi, dopo un altro lungo silenzio, si è scosso di nuovo guardandomi negli occhi con strana vivacità “Sentirai solo un lieve dolore.”

Quelle parole, dette con quello sguardo, non so perché, mi hanno spaventato ancora di più. La sua decisione, la sua sicurezza, al contrario della mia indecisione ed emotività, mi rendevano davvero confusa, mi sentivo strana.

Io, proprio io che ero stata così convinta.

“Non succederà nulla? Siete sicuro?” lui si è limitato ad alzare le spalle, non spazientito, ma sbrigativo.

Ho trovato il coraggio di aggiungere:

“Come lo sapete?”

A quella domanda mi ha guardato perplesso, poi ha risposto freddamente:

“Non fare l’ingenua ora, Bella. Sai anche tu cosa si fa degli innocenti nuovi nati per invocare la magia oscura. Te l’ho spiegato varie volte.”

In quel momento l’avevo dimenticato, o non avevo collegato per bene.

Senza nemmeno pensare, senza riflettere, ho insistito:

“L’avete fatto altre volte? Con un essere vostro?” non so perché domandavo tutte quelle inutilità. Improvvisamente, la situazione nella quale ci trovavamo mi interessava meno che sapere particolari sulla sua vita privata e sconosciuta.

Anche se faceva male.

Lui mi faceva sempre male.

E lo amavo e lo amo, incondizionatamente.

A quella domanda ha fatto un ghigno selvaggio, che raramente gli avevo visto in volto:

“Ho avuto tante donne, di ogni tipo, mai un figlio … domandati perché.”

Non ci avevo mai riflettuto su, mai. Ora però l’avevo capito quel perché, e capivo anche che la storia stava per ripetersi.

C’era qualcosa che rifiutavo talmente tanto in tutto questo che mi sentivo di vomitare. Continuavo a guardarlo negli occhi pieni di angoscia e domande e sapevo, d’altra parte, che stava avendo fin troppa pazienza con me.

Il mio Signore aveva capito più di me ciò che sentivo in quei momenti, sapeva che non volevo essere paragonata alle altre: io ero di più, molto di più. Io ero la più purosangue di tutte, la sua migliore Mangiamorte, la sua strega più potente.

E Sgath …

Sgath era di più di un offerta all‘oscurità, era l’erede dell‘erede. Il sangue più potente del mondo magico attuale.

Mi osservava per accedere alla mia mente con il legilimens, sembrava pensieroso, a volte percepivo dubbi o ripensamenti, ma forse era solo la mia immaginazione.

Dopo poco, ho deciso di fare semplicemente ciò che voleva lui, come sempre. In questo modo tutto è sempre stato più facile per me, più piacevole e più forte.

Lui, sempre lui nella mia vita. Nessun altro.

Mi sono dunque sdraiata sul letto, porgendogli il mio corpo e il mio ventre, cercavo di guardare altrove, di sembrare tranquilla e decisa.

Si è spazientito comunque:

“Stai tremando, Bella.” ha detto con tono brusco, seccato.

“Solo appena, mio Signore,” ho risposto interdetta “non riesco a controllarmi così tanto. Ho paura.”

Il tremore, notavo, c’era davvero, ma era praticamente impercettibile, e mi sembrava fin troppo poco per la situazione in cui mi trovavo, mentre lui pretendeva l’assoluta normalità.

“Paura del tuo Signore?” ha domandato alzando la testa orgoglioso.

“Sei brava, l‘ho sempre detto. Fai bene ad averne.”

Ho sorriso, quella frase così tipica mi ha ridato calore.

Ha appellato un grande bicchiere, ricolmo di liquido scuro. Forse solo whisky incendiario, o forse quello, con una qualche pozione mescolata dentro.

“Bevi, non sentirai troppo male e non dovrai tremare di paura.” ha aggiunto irato.

Ho ubbidito senza tante discussioni, mandando giù due sorsi enormi per me, svuotando così più di metà del bicchiere.

Era whisky incendiario sì, ma mi pareva straordinariamente pesante, particolare.

Mi faceva sentire quasi completamente bene e mi faceva sentire ancora meglio il fatto che lui mi guardasse, come per aspettare un mio cenno prima di iniziare.

Mi fidavo ciecamente di lui, mi sono sempre fidata e sempre mi fiderò. In maniera totale. Mi sono presa ancora un po’ di tempo, giusto per finire il bicchiere e averne un solo sorso di un altro.

Ho sospirato ricambiando il suo sguardo, in maniera adorante.

Lui ha capito che era il momento, io non capivo più nulla e non mi ricordo più molto.

Solo le sue dita fredde sul mio ventre, verso il basso del mio ventre. Le sue parole in quella lingua sconosciuta, ma che mi affascina sempre, ogni volta che lo sento sibilarla.

Quella lingua che conosceva anche Sgath. Il nostro Sgath.

Dopo poco tempo, un dolore forte, quasi improvviso.

Che continuava e continuava.

Sentivo il dolore quasi come fosse lontano, distaccato da me.

Un sogno.

E poi il sangue caldo che mi scorreva fra le gambe. Era poco quel sangue, ricordo di averlo trovato un fatto strano.

E ho bevuto ancora, perché aveva ripreso a farmi male, molto male.

Prima di addormentarmi, se ben ricordo, ho guardato il mio Signore di nuovo. Ero stravolta, sentivo caldo e freddo ad ondate improvvise, la mente era completamente andata.

Avrei voluto dirgli “Vi amo.”

Spero di non aver proferito parola.

………………………….

Note:

Vi lascio senza note questa volta … perché non saprei cosa dire su questo capitolo, o darei troppi spoiler per il seguito!

Però prometto che risponderò esaurientemente alle nuove recensioni (se deciderete di farle) e di quelle vecchie, con cui sono ovviamente indietro!

Grazie a tutte come sempre!!

   
 
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