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Autore: Feel Good Inc    08/09/2011    2 recensioni
La macchina giunse a destinazione ed Aerith portò il piede sul freno così bruscamente che, non fosse stato per la cintura di sicurezza, sarebbe finita sul parabrezza a fare compagnia ai tergicristalli. Tirò il freno a mano e si fiondò fuori senza neppure spegnere il motore, subito imitata da Cloud, con la pistola pronta in pugno già da un pezzo.
Percorsero in fretta lo slargo costeggiato di siepi, e raggiunsero il cortile su cui si affacciava il portone principale dello stabile. Cloud imprecò ad alta voce.
«Merda...»
La sagoma massiccia dell’agente Lexaeus giaceva immobile davanti a loro, e il chiarore della luna inargentava il rosso del suo sangue mescolato all’erba verdissima del giardino da anni abbandonato a se stesso.

* * *
«Entra e fammi vedere.»
«Ma allora avevo ragione.» Axel sogghignò di nuovo, puntando il gomito destro sul davanzale e guardandolo con malizia. «Vuoi
davvero giocare al dottore.»
Roxas si sentì arrossire. «Sei proprio un idiota.»
«Grazie, bimbo, anche tu non sei male.»
Si tirò su ed entrò dalla finestra. Una volta posati i piedi a terra, si guardò intorno ostentando indifferenza – ma Roxas notò che il suo viso era decisamente pallido. Lasciò scivolare il cappotto sul pavimento.
Un tonfo metallico.
Roxas guardò interrogativamente prima il viso impassibile di Axel, poi il punto in cui l’indumento aveva toccato terra. Da una tasca sbucavano pochi centimetri di qualcosa di lucido e scuro.
La canna di una pistola.

* * *
Quando un adolescente in fuga dalla legge si nasconde in un condominio in cui vive un ragazzino che si ostina a fuggire dal suo passato, e quando le loro storie s'intrecciano a quella di una ragazza che torna da un posto che è lontano in tutti i sensi, ci si accorge che qualche volta bene e male non esistono. Esiste solo il destino.
{ AkuRoku; accenni SoKai, MaruDem, RokuNami, CloudAerith, Sorpresa }
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun gioco
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Pioggia

 

 

 

 

Era stata una giornata calda. Il terreno appariva sfocato alla vista, ma poteva anche essere per la stanchezza degli occhi.

Le prime gocce di una pioggia leggera caddero dalle nuvole addensate su Twilight Town come una cappa grigia di malaugurio. Dall’erba secca si levò all’istante uno sfrigolio spento. Era come se la terra stessa sospirasse – difficile stabilire se di sollievo o di sconfitta.

In un modo o nell’altro, quella era una fine.

 

 

* * *

 

 

Cloud Strife aveva venticinque anni, ed era stanco.

Non era una stanchezza fisica; nasceva molto più in fondo.

C’entravano qualcosa gli occhi di Aerith, pieni di lacrime. C’entravano gli occhi di Tifa Lockhart, sconvolti. C’entravano gli occhi sbarrati di Zexion Ienzo, un ricordo tanto tangibile da essere quasi palpabile, e adesso anche quelli di Demyx Mizu.

Quanti altri sguardi simili avrebbe dovuto sostenere?

Notoriamente, Cloud non era un uomo che si lasciasse coinvolgere facilmente da ciò che gli stava intorno. Anche con le persone era sempre stato ermetico; solo Aerith riusciva talvolta, con la sua aura buona, a penetrare le sue barriere. Eppure quella dannata storia era diversa dalle altre.

Che si trattasse dell’interessamento particolare del tenente verso quel ragazzo, o del fatto che lui stesso avesse ucciso per la prima volta, o delle persone innocenti che loro malgrado erano rimaste coinvolte, sentiva che non avrebbe mai superato davvero e del tutto quella serie di disgraziati eventi.

Sotto la pioggia, si concesse di ammettere di sentirsi stanco.

 

 

* * *

 

 

Aerith Gainsborough teneva lo sguardo basso, perché non aveva il coraggio di guardare la ragazzina dai capelli neri.

Per l’ennesima volta si chiese cosa ci fosse adesso dietro quegli occhi liquidi, cosa si provasse a vedersi crollare il mondo addosso, e se un’anima potesse finire squarciata e il dolore arrivare a un punto in cui le lacrime e le grida e i pugni sui muri non erano più niente.

Ripensò al momento in cui Tifa Lockhart aveva spalancato la porta del suo ufficio ed era schizzata fuori ordinando a lei e Cloud di seguirla alla villetta; ricordò la sua espressione quando erano arrivati e avevano visto le porte aperte, le stanze silenziose, il corpo riverso a terra. Cercò di immaginare come si fosse presentata a casa della ragazza e le parole che aveva scelto per dirle che il fratello maggiore che era tornato da lei se n’era andato di nuovo, stavolta per sempre.

«Voglio farlo io» aveva mormorato soltanto.

Le vennero in mente gli Ienzo, superstiti senza lacrime di un’altra condanna.

Aveva trovato la risposta: sì, era possibile ritrovarsi con l’anima squarciata.

Sollevò il capo; cercò di mettere a fuoco il lungo rettangolo di terra smossa davanti a lei, ma la pioggia negli occhi non le facilitava il compito.

Poi si accorse che le gocce si erano fermate: erano lacrime, ancora e soltanto lacrime, quelle che le offuscavano la vista. Alzò lo sguardo, confusa, e le sembrò di vedere la mano di Cloud a sorreggere l’ombrello che la riparava dalla pioggia.

Sospirò e scivolò con la testa sulla spalla del compagno. Sentì il suo braccio libero circondarla, prima di rifugiarsi nel buio inutile delle palpebre abbassate.

Sotto la pioggia, si concesse di accogliere dentro di sé tutto il dolore di qualcun altro.

 

 

* * *

 

 

Tifa Lockhart non si curava del fango sui vestiti.

Quando era bambina, i suoi genitori non la finivano mai di sgridarla per quelle brutte macchie sui pantaloni, per le corse pazze nella melma, per le battaglie a schizzi di pozzanghere con i figli dei vicini.

«Ti prenderanno per un maschiaccio» le dicevano sempre. «Non vuoi diventare una bella signorina e trovarti un bel ragazzo? Come pensi che qualcuno voglia uscire con te, se sei sempre conciata così?»

«Io non voglio un ragazzo!» strillava lei, arricciando il naso o pestando i piedi. «Io i ragazzi li pesto. E lo farò anche da grande. Anzi, meglio: li manderò tutti in prigione!»

Suo padre e sua madre, a quel punto, scoppiavano a ridere.

Oggi le cose non erano cambiate: sedeva sulla nuda terra sotto la pioggia, lontana dagli uomini, e il fango non contava niente.

Trovò semplicemente ridicolo stare lì a pensare alla sua infanzia mentre assisteva alla fine di un’altra vita.

Un’altra persona. Quello era stato Demyx. Uno dei tanti.

Uno dei tanti da cui lei avrebbe dovuto diffidare. Uno dei tanti che lei avrebbe voluto salvare. Uno dei tanti suoi fallimenti.

Pensare che aveva comunque fatto tutto il possibile per lui non le era di alcun conforto. Avrebbe dovuto parlargli delle sue paure. Quando quel criminale era uscito di galera e per prima cosa aveva chiesto di Marluxia, lei aveva avuto un presentimento, una sensazione orribile, ma l’aveva tenuta per sé. Avrebbe dovuto chiamarlo, e subito, invece che rimuginare sulla plausibilità di quella sensazione. Invece no, aveva taciuto, aveva aspettato troppo, e ora davanti ai suoi occhi c’era solo una nuova lapide piantata prima che fosse giunto il momento giusto.

Non aveva ancora compiuto diciannove anni...

Tifa avvertiva una presenza accanto a sé; la ragazzina dai capelli neri che aveva accompagnato, avvolgendola nella sua giacca nella vana speranza di fermarne il tremito, che si era aggrappata alla sua mano come se non avesse avuto altro al mondo, che adesso era là in piedi al suo fianco, vuota anche delle lacrime.

Sentiva la sua presenza, ma le sembrava lontanissima.

Non trovava neanche la forza di desiderare di superare la barriera.

Se c’era un limite a separare la passione dalla follia, lei lo aveva attraversato. Ormai stava cedendo. Magari quel lavoro era al di là delle sue capacità. Si soffriva più del previsto, si soffriva troppo...

Sotto un velo d’acqua – pioggia? Lacrime? – cercò di visualizzare la lapide, la scritta nera funesta nella pietra chiara, e si disperò perché dentro di sé non sapeva scegliere le parole per mandarlo via.

Avevamo una cena in sospeso, Demyx. Sarebbe stato così facile salutarti solo per tornare a casa...

Sotto la pioggia, nessuno vide l’ombra fredda del suo sorriso disperato.

 

 

* * *

 

 

Roxas piangeva. Ed era la prima volta che lo faceva per un estraneo.

Qualcosa lo faceva sentire ancora fuori posto, sbagliato, in quel cimitero. Lui non aveva mai conosciuto Demyx; era l’unico dei pochi presenti a non averlo mai neanche visto. Ma aveva visto lo sguardo tormentato di Axel, quella mattina, quando aveva ricevuto la telefonata del tenente Lockhart. Aveva sentito il tono spento della sua voce mentre ne parlava con lui e gli raccontava tutto. Soprattutto, aveva avvertito fin dentro la pelle ciò che era successo.

C’era qualcosa a legarlo a Demyx. E non si trattava soltanto della presenza di Axel. Era una scelta, quella di entrambi: la scelta di rialzarsi.

La differenza era che oggi lui poteva andare avanti, Demyx no.

Così, aveva voluto essere lì anche lui.

Non aveva mai partecipato a un funerale dopo quello dei suoi genitori. Di quel giorno aveva un ricordo confuso, pieno di lampi di dolore fitto alle gambe e di un senso ovattato alla testa, per via dei medicinali e dei tranquillanti che gli avevano inferto. C’erano tante persone, tantissime. C’era il sole, e in qualche modo lui aveva trovato la lucidità per odiarlo. C’erano silenzi e sguardi tristi e mani strette e subito dimenticate.

Questo funerale non avrebbe potuto essere più diverso; il cimitero era vuoto, il silenzio rotto solo dal ticchettio della pioggia, e ogni contatto umano e visivo praticamente inesistente. Soltanto le dita di Axel serrate a pugno sulla sua spalla ricordavano l’esistenza di un mondo che andava oltre la pioggia.

Roxas piangeva. Non poteva evitarlo.

Era questo che ci si doveva aspettare, dopo la curva? Era questo che meritava una persona che aveva ripensato la sua vita pur di proteggere una sorella? Era questa la fine della storia? Non era giusto.

La mano di Axel si serrò un po’ di più. Roxas chiuse gli occhi e inspirò: l’odore della pioggia, quello che aveva sempre amato, si filtrò in quello plastificato e neutro della giacca a vento di lui. Si passò le mani sulle palpebre e le riaprì.

La ragazza di cui Axel gli aveva parlato era laggiù, accanto alla tomba. Roxas osservò i suoi lineamenti regolari e colmi di vuoto, la pelle del viso bianchissima sotto i capelli neri bagnati. Sentì di capirla come non aveva mai capito nessuno in tutta la vita, forse neanche Axel.

Conosceva fin troppo bene quello sguardo: erano gli occhi di un naufrago, in bilico su un precario pezzo di legno, che si volta a guardare la sua nave affondare nella bufera. Gli occhi di chi ha perso anche se stesso.

 

 

* * *

 

 

Axel sapeva che era un incubo, però non riusciva a svegliarsi.

Ma chi voleva prendere in giro? Quella era la schifosissima realtà. Una realtà che prima ti dava l’illusione di poter cambiare e poi, di colpo, ti fotteva in tutta la sua spietatezza.

E lasciava libero un pazzo scatenato che già sembrava essersi dissolto nell’aria.

Il tenente Lockhart gli aveva raccontato tutti i particolari quel pomeriggio, quando si erano visti prima del funerale. Aveva detto che a quel punto non le importava più un cazzo della segretezza, dell’etichetta professionale, né di un eventuale licenziamento – che, anzi, forse sarebbe stato una liberazione. Gli aveva parlato di Saïx, della scarcerazione, dei suoi sospetti quando sulla bocca dell’uomo era affiorato il nome di Marluxia, della sua telefonata a Demyx, del nome che lui aveva sussurrato nella cornetta prima di lasciar cadere il telefono, e anche dei segni di strangolamento rinvenuti sul suo corpo.

«Axel» aveva concluso, con uno sguardo febbricitante. «Se anche tu conosci quest’uomo, devi dirmelo. Per il tuo stesso bene. Mi capisci?»

Lui capiva, ma aveva scosso la testa.

«Non ho avuto modo di conoscerlo; era già in carcere quando ho conosciuto... quando sono entrato nel gruppo. Non posso aiutarvi.»

E fu così che l’uomo nero sparì nella notte buia e tempestosa...

Neanche a dirlo, si udì l’eco di un tuono.

La spalla di Roxas sussultò sotto le sue dita, più volte, piano, come se il ragazzo cercasse di reprimere i singhiozzi. Dischiuse le dita e lo strinse. Nonostante tutto, era felice di averlo accanto a sé.

«Per il tuo stesso bene...»

E se Saïx, invece, avesse saputo chi era lui? Quante volte aveva già rischiato di perdere Roxas? Non credeva di poter sopportare l’idea che...

Lo sguardo gli cadde sulla figurina nera accanto alla tomba, e si sentì improvvisamente egoista.

Senza distogliere gli occhi da lei, si chinò perché la sua voce raggiungesse l’orecchio di Roxas.

«Vado a parlarle.»

Lui tirò su col naso. Si scostò la frangia zuppa dalla fronte, tirò su le spalle e annuì. «Ti aspetto qua.»

Axel lo guardò, premette ancora una volta la mano sulla sua spalla – era lui ad aver bisogno di quel contatto, lui: perché lui non sarebbe mai stato forte come Roxas – poi la ritrasse, si strinse nel bavero della giacca a vento e s’incamminò lentamente tra le pozzanghere.

Senza il contatto di Roxas, sentiva freddo.

Arrivò all’altezza della ragazza e ancora non aveva deciso cosa dirle. Le si fermò accanto, imbarazzato; si conoscevano già, ma in quel momento temeva di non essere altro che un estraneo per lei, per il suo dolore.

Un altro tuono. Il crepuscolo si faceva sempre più scuro, impossibile vedere le prime stelle.

Perché durante i funerali doveva sempre piovere? Gli era capitato di vedere scene esattamente identiche a quella, nei pochi film e nei pochissimi libri che aveva avuto modo di esaminare in orfanotrofio. Forse era una qualche metafora di purificazione. Forse era solo per rendere il tutto più deprimente – come se non lo fosse già abbastanza il fatto di dover “dire addio a una persona cara”.

Il piccolo Axel non aveva mai capito la faccenda della persona cara. Lui non aveva persone care, non aveva parenti, non aveva neanche degli amici. Non c’era nessuno di cui gli importasse davvero qualcosa. Non prima né dopo di Xion.

Però, adesso c’era Roxas.

Abbassò infine lo sguardo sulla ragazzina che gli stava accanto in silenzio, lontana un passo o chissà quanto. Quella era stata la prima persona che avesse mai osato definire ‘cara’; buffo, davvero buffo che la sua crescita fosse iniziata con lei e che anche alla fine comprendesse lei.

Una buffa ennesima coincidenza.

Una cosa che nessuno avrebbe mai potuto dire con assoluta certezza di poter capire.

In quel momento, per la prima volta, la ragazza distolse lo sguardo dalla tomba di suo fratello e lo puntò su di lui.

«Mi sarebbe piaciuto rivederti in circostanze diverse.»

Era la voce che ricordava. Disillusa.

Annuì. «Anche a me.»

Lei fece un sorriso triste. Axel si chiese dove trovasse la forza per cambiare espressione. Poi la vide chiudere gli occhi e portare le mani al viso, la sentì soffocare un gemito.

Da quando era entrata nel cimitero, non aveva versato una sola lacrima.

Istintivamente, Axel l’attirò e la strinse a sé. I suoi piccoli pugni gli si aggrapparono al petto mentre la diga si rompeva, e i suoi singhiozzi gli penetravano nella pelle e scuotevano anche il suo cuore.

Era così piccola. Sola. Alla deriva.

Proprio come Roxas.

Proprio come lui.

 

 

* * *

 

 

Quando glielo dissero, si sentì curiosamente spaccato in due.

Sapere di Saïx, della sua fedeltà che ancora resisteva al tempo, del suo commovente desiderio di dimostrargli che non era cambiato nulla, lo aveva toccato nel profondo. Ma se da un lato ritrovava intatto tutto ciò che lo aveva legato a lui, dall’altro vedeva frantumarsi definitivamente tutto ciò che era stato con Demyx.

Marluxia rimase a lungo immobile nella sua cella, rannicchiato sul pavimento, a chiedersi se era davvero giusto che la storia finisse così.

Lo sapevo che mi saresti mancato, piccolo mio...

Alla fine, sotto il rumore dolce della pioggia oltre le sbarre alla finestra, si addormentò.

 

 

 

 

 

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Disperazione pura. La provai quando scrissi questo capitolo anni fa e la provo oggi che lo rileggo, per motivi più o meno analoghi.

Nella realtà il lieto fine non esiste quasi mai. Era ciò che volevo esprimere. È passato del tempo, ho accumulato altre esperienze, e ne sono più che mai convinta.

Ma queste note non sono per deprimervi quanto sono depressa io; al contrario, vogliono solo ringraziarvi di essere giunti fin qui, e dirvi che, se vorrete seguirla ancora, questa storia si chiuderà definitivamente tra due capitoli.

Aya ~

   
 
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