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Autore: Natalja_Aljona    08/09/2011    4 recensioni
Ungheria, 1848.
Dùnja, ungherese di origini slovacche, per la selvaggia periferia di Debrecen "a lánya a Duna", la figlia del Danubio.
Csónakos, giovane "forradalmi", rivoluzionario di Buda, la città antica di Budapest.
Sullo sfondo c'è Duna Sugárút, il vicolo dei teppistelli ungheresi tra cui Dùnja è cresciuta, il regno dei sognatori, dei rivoluzionari e dei ragazzi di strada.
C'è la Stamperia, che per i ragazzi di Duna Sugárút è tutto, è un angolo di paradiso, una manciata di misericordia, il mondo dei sogni.
E nel cuore, negli occhi e nel sorriso del ragazzo della città dei ponti c'è Budapest, troppo bella per rimanere in mano agli Asburgo.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Storico
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Il ragazzo della città dei ponti


Uno

Utcái fiúk - Ragazzi di strada


Debrecen, Provincia di Hajdú-Bihar, Ungheria Orientale

13 Dicembre 1847


Si diceva che mettesse i brividi, il ragazzo della città dei ponti.

Era un rivoluzionario, ma uno dei più selvaggi, di quelli che sarebbero anche passati sul cadavere della propria madre, per quella Forradalom tanto agognata.

Era un rivoluzionario dei più spietati, ma i teppistelli di Duna Sugárút non lo temevano affatto.

Nessuno sapeva dire quanti anni avesse, il ragazzo della città dei ponti.

C'era chi lo credeva un ragazzino, chi addirittura un giovane uomo.

Di anni avrebbe potuto averne quindici o ventitré come centoquattordici, ma i teppistelli di Duna Sugárút gli avrebbero insegnato a stare al suo posto.

Non c'erano leggi precise, nella periferia di Debrecen.

Forse, solo una parola, Forradalom, ripetuta ad ogni passo dalle suole bucate degli stivali della stagione passata, nello scroscio costante e familiare del Danubio, gridata contro il vento dai ragazzi di quel vicolo stretto stretto ch'era un po' la leggenda, lo storico suolo dei rivoluzionari di Debrecen.

A Duna Sugárút non contava come ti chiamassi, se avevi il nome di un principe o di tuo nonno erbivendolo o pescatore, se avevi il nome di tua madre o della figlia dello zar di Russia.

La cosa più importante, l'unica che veramente avesse valore, in quel fazzoletto di città, in quell'angolo di periferia dove non batteva il sole, era vivere in nome della Forradalom, la Rivoluzione.

Dùnja Geréb, per esempio, sapeva di non essersi sempre chiamata Dùnja.

Era quasi certa che all'anagrafe, e forse addirittura anche tra le amiche di sua madre, qualcuno la conoscesse ancora come Anasztázja, poiché codesto era il nome di sua nonna, della sua bisnonna e di qualche altra trisavola a caso, e suo padre non era mai stato famoso per la fantasia, ma se a Duna Sugárút qualche povero illuso, magari anche in buona fede, avesse chiesto di Anasztázja Geréb, avrebbe certamente trovato chi non si sarebbe fatto problemi a mandarlo al diavolo.

In Russia Dùnja era il vezzeggiativo di Avdotja, e una volta uno sventurato dei quartieri alti aveva pure provato a chiamarla così, ma oltre ad uno sputo in un occhio non aveva ottenuto reazioni da parte della ragazza.

Nonostante la Russia fosse il suo sogno e suo padre vi lavorasse da più di dieci anni, la piccola Geréb vi aveva messo piede solo tre o quattro volte in tutta la sua vita.

I teppistelli di Duna Sugárút l'avevano sempre chiamata Dùnja per la Duna, il nome ungherese del loro caro Danubio, il fiume ch'era la luce dei suoi occhi, più ancora del meraviglioso Lago Balaton, il fiume sulle cui rive aveva raccolto catini d'acqua da far bollire o per lavare i piedi la sera, il fiume sulle cui generose e materne sponde aveva riposato quando, ad affitto scaduto, il signor Leszik l'aveva buttata fuori di casa con mamma, papà e fratelli.

A Dùnja non era che importasse un granché, di questo fantomatico ragazzo della città dei ponti -semmai le importava di Budapest, la Capitale, di cui era innamorata fin da bambina-, ma una cosa era certa: se aveva intenzione di arrivare al banco di Nándor Dénes, giovane originario di Győr con la passione per i dolci, a comprare la sua quotidiana stecca di croccante -e guarda caso era proprio quello che voleva fare-, avrebbe dovuto passare davanti a lui.

Nándor Dénes le aveva già sorriso, avendola vista pensierosa sui gradini di casa, e le stava facendo segno di avvicinarsi.

Il suo croccante era rinomato, a Duna Sugárút, ma lei si alzava sempre talmente presto che un bel pezzetto di quella prelibatezza alle nocciole avvolto frettolosamente in un foglio di carta stagnola, poiché a quell'ora del mattino, in genere, Nándor Dénes aveva appena finito d'imbandire la sua bancarella, lo doveva per forza trovare.

-Come fa di cognome?- domandò con discrezione a Mitrej, il suo vicino di casa russo, ch'era giusto giusto uscito sulla soglia di casa ad attendere il padre di ritorno dalla miniera.

-Csónakos- rispose a bassa voce Dmitrij Romanovič, badando bene di non farsi notare dal diretto interessato.

Dùnja annuì con estrema compostezza, guardando il giovane che si stagliava nella penombra mattutina del cuore un po' tenero un po' rude della periferia di Debrecen.

Era grande, Debrecen, anche se non come Budapest.

Era grande, la città, la città vera, ma la periferia, il cui massimo, misero splendore era raggiunto a Duna Sugárút, era un altro mondo.

Il suo.

-Csónakos come?-

-Il suo nome non lo sa nessuno- l'informò Mitja, con un'aria tanto cospiratoria che Dùnja non seppe trattenersi dallo scoppiare a ridere.

Con molta cautela ruotò la testa in direzione del ragazzo della città dei ponti, guardandolo con sospetto.

-Dùnjetshka!- la riprese Mitrej, spaventato da tanta sfacciataggine nei confronti del nuovo, inquietante arrivato, usando il vezzeggiativo di quando era alta quanto il tavolo della cucina.

-Cosa vuoi che pensi, ad essere scrutato a quel modo?-

-Non lo so, ma...possibile che nessuno ne conosca il nome?-

-Sai come sono Fëdor e Aleksej- sospirò il ragazzo, facendo il saluto militare nel pronunciare i nomi degli eroi indiscussi di Duna Sugárút.

-Non chiamano nessuno, loro... Sono gli altri ad andarli a cercare, e mai a testa alta-

Dùnja alzò gli occhi al cielo.

Fëdor e Aleksej erano degli scapestrati fatti e finiti, ma per un' assurda -e indubbiamente discutibile- combinazione di stelle, erano anche due dei suoi più cari amici.
Li conosceva più dei riflessi del Danubio, ed erano della stessa pasta di Ìmir e Baldr, i suoi fratelli maggiori.

Sospirando, fece per fare un passo in direzione della bancarella di Nándor Dénes, ma fu costretta a fermarsi: il ragazzo della città dei ponti s'era avvicinato alla sua meta e pareva proprio essersi piantato lì, davanti al regno del croccante, evidentemente senza la minima intenzione di spostarsi.

-Ma guardalo! Se ne sta lì immobile, come un cretino...- protestò, tormentando una ciocca dei capelli biondi che non tagliava da una vita e che costantemente sua madre le acconciava nella treccia che ogni giorno si divertiva a sciogliere durante la strada per la Stamperia.

Erano il marchio di fabbrica delle ragazze Geréb, quei capelli.

Di un biondo chiaro ereditato tutto da suo padre -ma anche dalla mamma e dalla nonna, originarie di Presburgo, l'antica capitale del Regno d'Ungheria-, indecentemente lunghi e meravigliosamente spettinati.

Sua madre, che pure non era da meno, era soggetta a vere e proprie crisi isteriche, quando non li legava, e più di una volta le aveva gridato dietro: "quando te li calpesterai sarai contenta, immagino!".

Ma di questo, se mai fosse successo, avrebbe dovuto parlare con nonna Eireann, l'unica che aveva davvero rischiato di calpestarseli, e che era tuttora la quarantatreenne più affascinante e la "ragazza" più ammirata di Debrecen.

-Secondo me è un cretino- commentò Dmitrij, serio serio -E la Rivoluzione la vuole fare solo per dimostrare che non tutti i rivoluzionari sono intelligenti-

Dùnja scompigliò affettuosamente i capelli scuri dell'amico, sebbene quest'ultimo avesse due anni più di lei.

-Parla per te, Mitja-

-Lascia stare Mitrej e prendi un po' di croccante anche per noi, Dùnjetshka- l'interruppe l'accento polacco e la voce fin troppo sicura di sé di Fëdor Rájk.

Biondissimo, malauguratamente diciassettenne -i ragazzi più grandi erano sempre insopportabili, a detta della piccola Geréb- e originario di Cracovia, "il ragazzo dalle vanaglorie di capo di Duna Sugárút", come Dùnja era solita chiamare Fëdor, le aveva messo in mano una manciata di fillér, più allegro che mai.

Accanto a lui, un po' più scuro di capelli, diciannovenne -ma non si vedeva neanche un po'- e nato a Brno, Aleksej Doroevskij le sorrideva, serafico.

-Ecco Castore e Polluce- sbuffò la ragazzina, ma era evidente che la presenza dei due la preoccupasse non poco: se loro erano già in piedi, allora anche i suoi terribili fratelli dovevano essere lì lì per svegliarsi!

E i suoi terribili fratelli, si sapeva, erano ghiotti di croccante.

-Devo riuscire a precedere Ìmir e Baldr!- fece presente ai tre baldi giovani presenti, per poi correre verso la bancarella di Nándor Dénes.

-Sbrigati, però!- le gridò dietro Fëdor, battendosi una mano sullo stomaco.

In quel momento Dùnja aveva una voglia incredibile di lanciare i suoi fillér nel Danubio, girarsi e fargli una linguaccia, ma c'era davvero il rischio di non trovare più croccante, così si costrinse a contenersi.

E, com'era prevedibile, si trovò davanti il ragazzo della città dei ponti.

Inizialmente sussultò, poiché il giovane di Budapest, pur non essendo particolarmente imponente, le sbarrava completamente il cammino, ma poi l'orgoglio e la fame vinsero su qualsiasi forma di soggezione.

Nonostante l'aria apparentemente malinconica, l'altezza non esattamente degna di nota ed il fisico esile e provato dalla povertà, il ragazzo aveva il sorriso più apertamente sfacciato che Dùnja avesse incontrato sui volti dei ragazzi di Duna Sugárút.

Nemmeno Fëdor -ed era tutto un dire- era mai arrivato a tanto!

Sembrava proprio incurante del mondo, il ragazzo della città dei ponti.

Sorrideva a chissà chi, sorrideva al cielo, più che altro, con gli occhi persi e perdutamente grigi, ebbe modo di notare Dùnja.

I capelli erano neri e folti e, Dùnja ebbe un moto di simpatia verso il giovane, nell'accorgersi di questo particolare, irrimediabilmente spettinati.

Stava giusto per chiedergli di spostarsi, quando il ragazzo della città dei ponti starnutì.

Fëdor scoppiò a ridere di gusto, tenendosi le mani sul panciotto mal stirato, senza alcun contegno.

Poco ma sicuro, quella sera tutti i ragazzi di Duna Sugárút avrebbero saputo che "Dùnjetshka aveva fatto starnutire il ragazzo della città dei ponti".

-Conosci quel ragazzo?- le domandò inaspettatamente il giovane, stiracchiando un mezzo sorriso apparentemente amichevole.

-Oh, Fëdor? Certo che lo conosco. Comanda lui, qui. Si chiama Fëdor Rájk, ed è polacco. E' un mezzo delinquente, ma basta guardarlo, del resto. E' simpaticissimo, ma insopportabile. So che può sembrare incoerente, ma...credimi-

Senza che nessuno glielo chiedesse -e soprattutto senza aspettare reazione alcuna da parte del suo interlocutore-, Dùnja continuò il discorso, come se stesse parlando da sola:

-Mi ha chiesto di essere la sua fidanzata, quando avevo sette anni, ma poi lui mi ha pestato un piede, io gli ho sputato un occhio, lui mi ha tirato i capelli, e...-

-Non è finita bene, insomma-

-Non esattamente. Ma guardalo! Ti pare uno che può farle finire bene, le cose?-

Il ragazzo della città dei ponti scosse la testa, divertito.

Scrutandolo con crescente curiosità, Dùnja dedusse che doveva essere stato un giovane di bell'aspetto, chiaramente prima di cadere nel Danubio -poiché questa era l'impressione che dava-.

Non di una bellezza irriverente come quella di Fëdor, ma un certo fascino doveva averlo avuto, quantomeno nella sua città d'origine.

-Sembri il moro di Venezia- pensò ad alta voce, guardandolo con più attenzione.

Il ragazzo si accigliò.

-E' un complimento?-

-Non so. Poi ha soffocato la moglie sotto un guanciale, Otello, ma a me stava abbastanza simpatico. Me l'ha detto mio fratello Baldr: lui l'ha letto-

"Il moro di Budapest" pareva confuso.

-Cosa?-

-L'Otello-

-Gli ha letto la mano?-

-Il libro! E'...bello, credo-

Il giovane annuì, serio.

-Lo penso anch'io-

-Bene...- Dùnja sorrise, pregustandosi il "potresti spostarti, adesso?" che aveva sulla punta della lingua, ma lui la precedette.

-Mi chiamano Csónakos. Ed io lo so, perché mi chiamano Csónakos. E' il cognome di mio padre, quindi anche il mio-

-Già...- le sembrava un ragionamento logico, ma preferì non offenderlo.

Perlomeno non era come Fëdor, che la prima volta che l'aveva vista, sebbene fosse pressoché in fasce, non aveva esitato a chiederle due forint e cinque fillér per comprarsi un pezzo di focaccia al rosmarino.

Il giorno dopo le aveva chiesto di sposarlo, ma doveva averlo detto per scherzare, perché subito dopo le era scoppiato a ridere in faccia, e le aveva chiesto altri quattro forint.

Lanciò uno sguardo distratto all'oggetto dei suoi pensieri, che la stava maledicendo in polacco per la sua dannata abilità nel perdere tempo, per di più davanti alla bancarella del croccante.

-Com'è Budapest?- chiese d'un tratto, curiosa.

Sebbene il suo interlocutore non le paresse particolarmente sveglio, era maledettamente curiosa di sapere com'era cambiata la sua amata Capitale.

Il ragazzo della città dei ponti posò su di lei uno sguardo scintillante, quasi febbricitante.

Dùnja dimenticò il croccante, nel muto rancore e nella sfida che brillava negli occhi di Csónakos.

-Troppo bella per rimanere in mano agli Asburgo-



Note


Forint: Fiorini ungheresi.

Fillér: “Centesimi” di fiorini.

Presburgo: Attuale Bratislava, capitale della Slovacchia. Fu la Capitale del Regno d'Ungheria prima di Budapest.

Duna Sugárút (ungherese): Letteralmente, “Viale Danubio”, strada di mia invenzione.


Ho sempre desiderato ambientare una storia in Ungheria, sempre.

Da quando ho letto I ragazzi della via Paal, innamorandomene follemente, l'Ungheria è uno dei miei scenari preferiti.

Molti dei cognomi dei personaggi (per adesso Geréb, Csónakos e Leszik), infatti, sono citazioni del sopracitato romanzo, la mia Bibbia di nomi e cognomi ungheresi ;)

Il nome Dùnja Geréb, per esempio, nasce dall'Avdotja “Dùnja” Romanovna Raskòlnikova del meraviglioso Delitto e Castigo di Dostoevskij (a cui ho “dedicato” il personaggio di Fëdor, anche se in comune hanno solo il nome, e Aleksej, da Aleksej Karamazov) e Dezsö Geréb dei Ragazzi della via Paal.

La città dei ponti è Budapest, la meravigliosa Budapest, durante la Rivoluzione Ungherese del 1848.

Sperando che questo capitolo vi sia piaciuto, lascio a voi la parola! ;)


A presto,
Marty



  
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