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Autore: Grouper    08/09/2011    8 recensioni
Harry cominciò il suo assolo verso la fine della canzone; già troppi sguardi erano stati scambiati tra i due, ma in quel momento la cosa diventò ovvia: quelle parole erano rivolte a lei, a lei soltanto. La spalla che l'aveva sostenuta durante tutto questo tempo, i riccioli con cui aveva giocato tante sere, gli occhi in cui poteva sempre rifugiarsi e la voce avvolgente che le dava la sicurezza per andare avanti... tutto ciò si tramutò in un incubo: per Harry era tutta una farsa per poter arrivare a qualcosa di più che un'amicizia, amicizia che per Vittoria era la cosa più bella che potesse esserle capitata.
Il suo cuore traboccava d'ansia e panico, e gli occhi ne erano la limpida riflessione.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Erano ormai le nove di sera quando i due arrivarono a casa di Harry. Vittoria aveva il viso pallido, gli occhi tristi e ancora rossastri dopo il grande pianto che aveva fatto poco prima sul pontile.  Quando varcarono la soia di casa Styles, Harry appoggiò le chiavi bruscamente sul tavolino vicino alla porta, sospirando; si girò lentamente e vide l'amica con la testa appoggiata sulla porta, gli occhi chiusi e le braccia conserte. Harry si guardò in giro, come per cercare aiuto da chi sa cosa, e dopo aver guardato in basso per un attimo, finalmente prese Vittoria tra le sue braccia portandole la testa sul suo petto e baciandole i capelli. Tutto era come la volta prima: anche alle nove di sera l'atmosfera era così accogliente, così calda: Vittoria rimase senza respirare per qualche secondo e poi ricominciò a singhiozzare, senza far scendere alcuna lacrima. Aveva il fiato corto, tossiva, sospirava... faceva tutti i versi immaginabili pur di togliersi di dosso quel macigno insopportabile che le pesava tanto sullo stomaco quanto sul cuore. Alzò lo sguardo verso Harry che la guardava premuroso e continuava a stringerle forte la schiena con le mani grandi. "Hai un pò di Haribo?" riuscì a dire Vittoria con un filo di voce. Harry non riuscì a trattenere una piccola risata: sciolse l'abbraccio e le prese la mano, portandola in cucina a prendere le liquirizie. 
Quando arrivarono in camera si stesero sul letto, uno accanto all'altra: guardavano il soffitto in silenzio, o meglio, masticando quei piccoli freisbee color nero. La cosa andò avanti per un pò di tempo, finchè non finirono la seconda confezione. Vittoria si avvicinò all'amico e mise la testa sulla sua spalla; lui cinse immediatamente il collo di Vittoria con il braccio. Erano accoccolati l'uno all'altra come se fossero fratelli, padre e figlia, o fidanzati. "C'è mio padre a casa" disse Vittoria con tono basso e preoccupato; Harry la guardò e sgranando gli occhi disse: "Che cosa?! Perchè?!" La guardava dritta nei suoi occhi grigi che sembravano estremamente confusi. "Non lo so. Non mi importa adesso; in questo momento ho bisogno di stare qua, con te." Vittoria abbracciò Harry stringendolo forte. "Puoi rimanere quanto vuoi." sospirò accarezzandole la testa.
Si addormentarono in quella posizione, o meglio, Vittoria si addormentò in quel modo, lasciando Harry sveglio per gran parte della notte: non gli importava di stare scomodo o di non avere la testa sul cuscino; osservava la ragazza mora dormire profondamente come fanno i bambini dopo un lungo pianto. Vide le palpebre pesanti chiudersi lentamente, sentì la presa del suo abbraccio allentarsi e il peso del suo visino aumentare sul suo petto, seguiva le onde dei capelli scuri che le accarezzavano la schiena e le spalle: guardava la persona che in poco più di un paio di mesi l'aveva cambiato; guardava Vittoria, in tutte le sue più piccole particolarità. Le leggeva in volto il trauma che aveva subito, e capiva quanto fosse stato difficile per lei riavvicinarsi a qualcuno dopo quell'estate infernale. Eppure quella ragazza dai mille segreti era là, accanto a lui: il cuore di Harry si riempì lentamente di gioia e un sorriso felice gli spuntò in faccia. Chiuse gli occhi e si addormentò con il pensiero di essere la persona giusta per Vittoria. 
Il mattino dopo pioveva; la forte luce grigia riusciva a penetrare anche dalle spesse tende scure della camera. I due si svegliarono in una posizione diversa da quella in cui si erano addormentati: Vittoria era rannicchiata sul lato destro, menstre Harry aveva un braccio sul fianco di Vittoria e l'altro sopra la testa di lei. Quando Vittoria aprì gli occhi si girò dal lato opposto a fissare l'amico che poco dopo si svegliò a sua volta, regalandole un sorriso a trentacinque denti. Rimasero a guardarsi per qualche minuto, ininterrottamente, come se stessero ancora dormendo ad occhi aperti. "Buongiorno" fu Harry a parlare con il suo vocione basso e l'angolo della bocca rivolto in alto.  "Devo tornare a casa..." rispose pensierosa Vittoria tornando seria e triste all'improvviso. Harry capì che non c'era tempo per bruciare toast, far cadere il latte per terra o scottarsi con le tazze bollenti quella mattina: la portò a casa dopo pochi minuti. 
Quando la macchina si fermò Vittoria esitò per qualche momento nell'aprire lo sportello. Guardava una delle finestre di casa sua, nonostante fosse oscurata dalle tende e pensava che incontrare il padre non fosse la cosa migliore. 
"Ehi..." le sussurrò Harry dolcemente. "Andrà tutto bene." Quella era la frase probabilmente più scontata del mondo, che preannuncia solamente un mucchio di guai, eppure quella voce, quegli occhi e quel sorriso convinsero Vittoria a prendere coraggio e ad uscire dalla macchina. Fece un grande sospirò e salutò Harry con la mano e un un sorriso un pò forzato per l'ansia che le correva nel sangue, mentre lo guardava allontanarsi lentamente. Rimase davanti alla porta per qualche istante guardando nel vuoto; poi scrollò la testa pensando alle parole di Harry. Andrà tutto bene, Vittoria. Andrà tutto bene. Entrò in casa: Il salone e l'ingresso erano deserti, nonostante fossero ormai le nove di mattina. Posò silenziosamente le chiavi sul piatto d'argento vicino all'appendi abiti, per non attirare l'attenzione; la tentazione di correre su per le scale e chiudersi in camera stava sempre più velocemente prendendo spazio nella mente di Vittoria, ma decise di accantonare la cosa e di avvicinarsi alla cucina. Scorse Rebecca davanti al lavandino intenta a sciacquare un paio di piatti e qualche posata; era estremamente bella quella mattina: aveva una gonna aderente a vita alta blu, una camicetta bianca di seta e la giacca sempre blu abbottonata sotto al seno; i capelli erano mossi e più rossi del solito, ma ciò che non andava era il suo viso: oltre ad essere estremamente pallido, più giallo che rosato, gli occhi erano scurissimi e aveva un alone rosso sullo zigomo sinistro. Rebecca si voltò verso la sorella, con sguardo severo e senza dire niente uscì dalla cucina avviandosi verso la porta di casa. Vittoria era del tutto sorpresa: sentì la porta chiudersi alle sue spalle, e quando si girò per accertarsi che Rebecca fosse uscita veramente, vide suo padre alla fine delle scale, con una mano appoggiata al pomello della rampa. Il cuore le balzò improvvisamente in gola, ogni singolo muscolo del corpo di Vittoria si tese, serrò la mascella e i pugni stretti vicino ai fianchi. Non riusciva ad emettere un suono, non riusciva a fare nessun movimento: era paralizzata. "Buongiorno, Eff." Era sempre la stessa quella voce che non sentiva ormai da cinque mesi. "Dove sei stata sta notte?" continuò il padre passandole accanto ed entrando in cucina. Vittoria provò a contenersi e ad assumere un tono calmo, più o meno pacato, ma tutto ciò che le uscì di bocca fu: "No, fammi capire, papà," pronunciò quella sparola quasi sputandoci sopra, con disprezzo. "Te ne vai via per cinque mesi, senza dirci niente,lasciando la sottoscritta incinta e Rebecca da sole. Torni dopo tutto questo tempo e mi chiedi dove sono stata sta notte. Siamo al limite del ridicolo." mentre parlava l'agitazione in corpo cominciava a salire sempre di più; scuoteva il manico della borsa che aveva in spalla con una mano, mentre con l'altra gesticolava per aria. Alexander abbassò lo sguardo, penitente, e poi si mise a sedere invitando Vittoria a fare altrettanto. Rimase immobile a guardare suo padre con tutto il disprezzo che poteva trasparirle dagli occhi, ma poi decise di affrontare la situazione e si accomodò di fronte a lui con movimenti rigidi e freddi. Trascorse qualche secondo di puro imbarazzo per il padre, non tanto per Vittoria, quando Alexander cominciò a parlare. "Penso innanzitutto di doverti delle scuse. So che non sei il tipo che le accetta facilmente, e sono quasi del tutto certo che ci vorrà molto tempo prima che tu possa perdonarmi, ma ci tengo comunque a dirti quanto sia mortificato per ciò che è successo quel giorno. Non dovevo abbandonarti, non dovevo abbandonare le mie bambine." il tono di Alexander era così umile e così frustrato che Vittoria riuscì a rilassare i muscoli e le articolazioni ancora tese. Continuò ad ascoltare, più sciolta di prima, senza dire una parola. "Non sono stato un buon padre, me ne rendo conto. Ho sempre messo prima di tutto il mio lavoro, prima del vostro amore, come uno stupido. Non pensavo, o comunque non volevo credere che è così facile perdere voi quanto perdere un conto in banca. Così sbagliando sono riuscito a perdere entrambi." Fece un grande sospiro. Si guardava le mani incrociate e teneva lo sguardo basso, senza guardare in faccia Vittoria per la troppa vergogna. Lei lo guardava con il mento alto. "Sono rimasto senza un soldo, Vittoria. Ho bisogno del vostro aiuto." Vittoria sgranò gli occhi. Scosse la testa e piantando le mani sul tavolo si alzò di scatto. "Aspetta!" Il padre le prese un braccio dolcemente, ma Vittoria se lo tolse di dosso, amareggiata. "Non voglio sentire una parola in più, papà." continuava a scuotere la testa, incredula. Nel frattempo Rebecca era tornata in casa, e in quel momento era davanti alla porta della cucina con le braccia conserte intenta ad ascoltare la conversazione dei due. Quando Vittoria la vide capì subito che probabilmente la sorella aveva accettato di aiutare papà, e voleva che fosse lui stesso a comunicarlo alla mora. "Non ci credo..." Vittoria sussurrava spostando lo sguardo da Rebecca ad Alexander, incredula. "E' nostro padre, Eff..." Rebecca aveva lo sguardo rivolto verso il basso. Vittoria fece una risata amara per poi ritornare seria. "Mi stai prendendo in giro, Rebecca? Ci ha lasciate, abbandonate! Io ero incinta, cazzo! E ha lasciato a te tutta la responsabilità." fissava la sorella. "Rebecca!" Quella volta uscì un verso e proprio urlo dalla bocca di Vittoria. Era furiosa: non poteva credere alle sue orecchie. "Si tratta solo di darmi un posto dove abitare. So che questa casa era di mamma e ora è vostra, ma è solo questo che vi chiedo. Un tetto e un letto, nient'altro" Vittoria si girò di colpo verso il padre, si avvicinò al tavolo lentamente e poi gli puntò un dito in faccia e disse: "Tu meriti tutto quello che ti è capitato. Ma se c'è una cosa che non meriti è la compassione. Per me sei morto, papà. E se non te ne andrai tu, me ne andrò io." Disse così e uscì dalla cucina squadrando Rebecca che la prese per un braccio "Dai, Eff, aspetta!" Vittoria si liberò dalla presa della sorella. Erano vicinissime: la guardò dritta negli occhi e disse "Dopo questo, Rebecca, non provare mai più a chiamarmi così. L'unica persona che poteva farlo, l'unica persona leale, a quanto pare, in questa famiglia se n'è andata dieci anni fa. Quindi non permetterti mai più." La congelò con i suoi occhi grigi. Gli occhi di Rebecca si inumidirono e subito dopo spostò lo sguardo per terra, in preda ai singhiozzi. 
La porta sbattè alle spalle di Vittoria. Davanti a sè c'era lui, l'unica persona che in quel momento voleva vedere, abbracciare, ascoltare. 
Vittoria si fiondò tra le braccia di Harry che l'accolsero più calorosamente che mai. Si abbracciarono per tanto tempo: Vittoria sentiva il profumo che ormai era diventato il suo porto sicuro, sentiva le braccia dell'amico attorcigliarsi dietro di lei, e poi finalmente sentì la sua voce e vide i suoi occhi verdi. "Ti voglio bene." Vittoria lo guardò per un attimo, poi, toccando la fronte di lui con la sua, rispose: "Anche io, non sai quanto."


Notaaaaaaaaaaaare bene: 
Sualve bella gente! allora, come al solito, ringrazio tantissimo tutte le buone anime che hanno recensito lo scorso capitolo, sono contenta che vi sia piaciuto <3 
Spero che anche questo capitolo non vi abbia deluse(: piccola domanda: secondo voi Vittoria ha reagito in modo giusto trattando così duramente il padre e la sorella, oppure date ragione a Rebecca per aver accettato di aiutare il padre?
Fatemi sapere nei commenti, mi riempite sempre il cuore di pace amore e giuoia infinita *canticchia*  e io in cambio vi riempo lo stomaco di caramelle *tira*

Grazie ancora, spero continuerete a seguire la storia :3
un abbraccio, 
vichi. 

  
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