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Autore: RachelDickinson    09/05/2006    3 recensioni
Voldemort è caduto. Harry Potter l'ha sconfitto.
La guerra volge al termine e Ginny Weasley, terminati i suoi doveri da membro dell'ordine della fenice, può tornare al suo tirocinio per diventare guaritrice.
E se la persona che credeva morta, che lei aveva ucciso con le sue stesse mani, venisse ricoverata in ospedale, viva e vegeta?
E se il primario del reparto l'affidasse proprio a lei come "cavia" per i suoi studi?

Lo so, lo so, ormai colo fanfictions da ogni dove, peggio di un colabrodo. Per farmi perdonare non posso far altro che promettervi che le finirò tutte, stavolta!
Genere: Romantico, Azione, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO

PROLOGO

 

Quella sarebbe stata sicuramente ricordata come la notte della caduta di Lord Voldemort.

O almeno così riportavano i titoli dei quotidiani più in vista del mondo magico, quel mattino. Fu la prima cosa che Ginny lesse facendo colazione, e d'altra parte era impossibile non accadesse, perché era scritto a caratteri cubitali sopra una foto assai strana di Harry Potter in piedi e trionfante davanti al cadavere di Voldemort.

"Ma...mamma... cosa è questa fo--" non terminò neanche di parlare che Molly Weasley eruppe in una risata allegra, entusiasta, quasi euforica.

"Oh, non temere Ginny cara, è solo un fotomontaggio. Harry non potrebbe mai assumere quel... oh oh..." rise ancora, mentre si avviava al piano di sopra, borbottando qualcosa che suonava molto come 'Quei fanfaroni sono in ritardo'; probabilmente si riferiva ai gemelli che erano in ritardo per l'apertura del negozio.

La ragazza osservò la madre salire le scale, quindi fece spallucce e riprese a bere il proprio succo di zucca, leggendo l'articolone sulla sconfitta di Voldemort, argomento a cui era interamente dedicata tutta La gazzetta del profeta, quel giorno.

Dopo qualche minuto di lettura, sentì la porta della cucina, quella che dava sul giardino sul retro, aprirsi. Alzò lo sguardo e sorrise nel vedere Hermione rientrare, mentre leggeva anche lei la sua copia del profeta. "Hai letto?" chiese. Hermione si avvicinò al tavolo e prese posto di fronte alla rossa. "Si si. Veniamo citate anche noi, visto? Ora i nostri nomi saranno famosi in tutto il mondo magico come, se non più, quelli di tutti i maghi presenti alla battaglia, stanotte..." Lanciò una veloce occhiata all'orologio da polso, quindi sbadigliò. "Io sono esausta. Abbiamo festeggiato fino all'alba, ho dormito appena tre ore e poi mi sono dovuta alzare alle otto per andare dai miei genitori a dar loro la lieta novella. Ho raccontato loro tutta la situazione, erano in pensiero, e ai babbani non arrivano i nostri quotidiani, quindi per quel che ne sapevano loro, potevo anche esserci rimasta secca. Erano giorni che non davo loro mie notizie, siamo stati sul fronte di guerra con Harry per tre giorni e tre notti. Tu te ne eri accorta? Per me il tempo è volato, non me ne ero affatto resa conto." Ginny scosse un po' il capo. "No, neanche io mi ero accorta di nulla... E come avremmo potuto? Quando sei in pericolo di morte, i giorni sembrano ore..." Hermione si ritrovò perfettamente d'accordo.

"Gli altri dove sono?" Anche Ginny guardò l'orologio. Erano le 11.30 e si ritrovò sorpresa a pensare che stranamente aveva dormito meno del previsto, per essere una che era stata sveglia per tre giorni e tre notti ed aveva passato l'ultima notte a festeggiare con tutta la famiglia a Grimmauld place n°12, ormai ex sede dell'ordine della fenice  e nuova casa di Harry Potter.

"Dormono ancora e nessuno ha intenzione di svegliarli... anche se ho sentito tua madre tirare giù dal letto Fred e George, poco fa. Si meriterebbero anche loro un po' di riposo, poverini, ma d'altra parte il negozio non va avanti senza di loro."

"La gamba di Ron come sta?" disse improvvisamente Ginny, dopo qualche minuto di silenzio in cui lei aveva finito di consumare la sua colazione.

Hermione si rabbuiò, quindi scosse un po' il capo. "Al mio ritorno da casa dei miei, ho fatto un salto al San Mungo, dove ho parlato con tuo padre e mi ha spiegato la situazione. Ora Ron è in isolamento, il veleno di Nagini si è propagato in fretta... non c'è nulla da fare... probabilmente l'amputeranno... Io, te e tuo padre siamo gli unici a saperlo per ora." la voce andò scemando, e alla fine della frase si portò una mano sulle labbra, per sffocare un gemito. Si alzò e si congedò dall'amica, correndo al piano superiore, verso camera sua. Aveva bisogno di stare un po' da sola, per sfogarsi.

La rossa non disse nulla, nè provo a fermarla. L'aveva immaginato. Era stata lei a prestare il primo soccorso al fratello e sapeva bene che probabilmente si sarebbe arrivati a questo, non per nulla frequentava il terzo anno all'accademia per guaritori di Parigi, la più famosa e rinomata al mondo.

Fece un sospiro, quindi decise di controllare il bollettino di guerra. Andò all'ultima pagina e cominciò a scorrere la lunga lista di nomi. Le vittime tra i mangiamorte erano tantissime, ma anche l'ordine aveva subito un duro colpo. Gli occhi cominciarono a pizzicarle, mentre individuava i primi nomi di conoscenti, le scene della morte di alcuni di loro le ritornavano in mente, fresche e nitide come appena accadute. Fortuna volle però che nessuno dei suoi parenti o amici stretti ci avesse rimesso la vita. Sapeva bene fosse un pensiero piuttosto egoistico, ma in quel momento non le importava. Ora era a casa, con le persone più importanti della sua vita vive e vegete, solo questo era importante, in quel momento.

 

*

 

Uscita dalla doccia si avviò nella camera dove dormivano lei ed Hermione, passando davanti a quella di Harry fece un sorriso nel vederlo ancora ronfare beatamente. Erano le quattro del pomeriggio e nessuno si era azzardato a vegliarlo. Probabilmente avrebbe dormito ancora molte ore, ed andava bene così, era quello che si era meritato il riposo più di tutti, aveva combattuto a testa alta fino alla fine, coraggioso, impavido, e la sua forza aveva salvato ancora una volta il mondo magico da Tom Orvoloson Riddle.

Entrò in camera, i capelli rossi gocciolanti lungo la schiena, il corpo avvolto in un grazioso accappatoio di morbido cotone rosa. Aprì l'armadio, rovistò un po', quindi andò sul classic casual, prendendo un paio di jeans chiari ed una canotta rosa. Indossò tutto, insieme a semplici scarpe da ginnastica, quindi legò i capelli in un'alta coda sulla nuca, lasciandoli leggermente bagnati per stare più fresca. Lasciò Grimmauld Place a cavallo della sua Comet 560 ed uno zainetto in spalla, diretta verso il San Mungo per il tirocinio. Ora che la guerra era finita non aveva più scuse per sottrarsi a questo.

 

Alle sedici e trenta esatte, con le lancette dell'orologio che spaccavano il minuto, entrò nell'edificio ospedaliero. Ripose il proprio zaino negli spogliatoi, quindi indossò frettolosamente il camice e cominciò il giro pomeridiano. La prima stanza a visitare fu ovviamente quella di suo fratello che, aveva appena saputo, avevano spostato al terzo piano, nel reparto di Ferite e morsi da creatura magica. In stanza trovò il padre ad attenderla.

"Ciao papà." disse avvicinandosi ad Arthur Weasley e dandogli un piccolo bacio sulla guancia. Si sedette a bordo letto e prese una mano di Ron tra le sue. Erano fredde eppure sudate.

"Hermione te l'ha detto?" chiese la voce stanca del padre, che ancora non aveva dormito.

"Si, papà. So tutto" rispose atona. "Senti, perché non vai a casa? La mamma vuole vederti, e penso debba essere avvisata da te delle condizioni di Ron... e poi hai bisogno di riposo... guardati, come sei sciupato..."

L'uomo annuì in direzione della figlia. "Si... aspettavo te. Lo lascio in buone mani. Tornerò domani mattina."

Si salutarono, quindi la ragazza tornò a guardare il fratello. Rimase un po' con lui, stirava continuamente il lenzuolo con le mani, gli accarezzava il viso, scostandogli ciocche ribelli di capelli rossi dagli occhi, gli teneva la mano tra le sue. Non riusciva a stare ferma e guardarlo, impotente, soffrire in silenzio, sotto l'effetto di tranquillanti e narcotici. Infine dopo quei minuti, che in realtà le sembrarono ore, uscì dalla stanza, richiudendo la porta alle proprie spalle, dopo avergli sussurrato che sarebbe tornata più tardi e che doveva prima finire il turno. Non era sicura lui potesse sentirlo, ma non voleva farlo sentire solo, così tutto quel tempo aveva parlato con lui come fosse stato sveglio e attento.

Camminò a lungo per il corridoio, persa tra i suoi pensieri, quando sentì la voce di William Thompson, il primario, spezzare la quiete del reparto. Stava urlando e lei si affrettò verso la fonte di quelle urla, la stanza 210. Entrò, senza prendersi la briga di bussare, ed osservò il medico, in compagnia di due infermiere, inveire contro un paziente.

"NON MI INTERESSA, LEI NON USCIRà DI QUI FINCHè NON AVREMO FATTO I DOVUTI ACCERTAMENTI!" stava dicendo l'anziano uomo, che non aveva mai visto così fuori di testa come in quel momento, era sempre stato un vecchietto gentile e pacato. Cosa stava succedendo? La risposta ai suoi dubbi giunse subito, quando il suo sguardo, nero come il petrolio, incontro quello azzurro ghiaccio del paziente. Cosa ci faceva Draco Malfoy, il braccio destro di Lord Voldemort, in quell'ospedale? L'aveva visto lei stessa cadere a terra privo di vita. questo perché era stata lei a ferirlo a morte.

Indietreggiò di qualche passo, allungando indietro una mano verso la maniglia, il più lentamente possibile per non attirare la loro attenzione, per non attirare la SUA attenzione.

"Ah, Ginevra!" fu la voce di Thompson a tirare l'attenzione di tutti gli astanti sulla rossa, che arrossì di botto e cominciò a sudare freddo. Sentì lo sguardo glaciale di Malfoy puntato su di lei, ma non osò voltarsi verso di lui per accertassi fosse vero. "Vieni avanti, Ginevra. Tu che sei la mia migliore allieva. Ho saputo di tuo fratello, sono molto addolorato... " accennò a Ron frettolosamente, come per ingraziarsi la sua allieva prediletta. A Ginny questo non sfuggì.

"Si... ehm... posso... fare qualcosa, professor Thompson?" chiese titubante, sapendo perfettamente di stare firmando la sua condanna a morte.

"Ragazza mia, ho piena fiducia nelle tue capacità, di strega, come tutti abbiamo potuto leggere sui giornali" disse con un sorrisino compiaciuto, neanche fosse merito suo "Ma soprattutto nelle tue capacità di guaritrice. Sei la studentessa più brillante del tuo corso, nonchè la tirocinante più in gamba. E' per questo che vorrei assegnare a te lo studio del caso del signor Malfoy, qui presente." indicò il biondo "Vi conoscete già?" chiese poi osservando lo sguardo intenso con cui Malfoy stava squadrando la rossa.

"Oh ehm non proprio ecco..." balbettò lei, ma fu interrotta dal biondo.

"Certo che ci conosciamo. Se sono qui lo devo a lei!" la sua voce strascicata provocò uno spasmo involontario alla ragazza, che fece un risolino nervoso.

Thompson lo guardò un attimo, ma poi non vi diede peso. "Beh, non me ne meraviglio, dato che lei ora dovrebbe stare sei metri sotto terra, ed è qui per puro miracolo." sbottò acido il primario, che si voltò poi verso Ginny con un sorriso amabile. "Vede, Ginevra. Sul torace di Draco Malfoy vi sono i chiari segni dell'incantesimo che lei, da brava seguace di Silente, dio l'abbia in gloria, nonchè appartenente all'ordine della fenice, gli ha scagliato. Ora però noi ci chiediamo come possa essere sopravvissuto ad una fattura di cotal potenza, che ha distrutto tutto ciò che lo circondava ed avrebbe dovuto uccidere anche lui. Bene, Ginevra, Malfoy si è GENTILMENTE OFFERTO  come cavia. Le affido il compito di studiare il caso. Direi che può cominciare..." uno sguardo all'orologio, poi un altro amabile quanto falso sorriso. "Adesso!"

Detto questo si congedò dai due ed uscì dalla stanza, seguito dalle due infermierine, che fino all'uscita lanciavano occhiate di apprezzamento al nuovo paziente, squittendo come due... stupide, Ginny non riusciva a definirle altrimenti.

La porta si chiuse. Erano soli. Ginny gli dava le spalle, non sapeva che fare, nè cosa dire. Sapeva solo di essersi ficcata nella situazione più assurda della sua intera esistenza.

 

... continua...

  
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